Conversazione con Antonio Negri

Posted: Dicembre 6th, 2013 | Author: | Filed under: 99%, comune, comunismo, critica dell'economia politica, Marx oltre Marx, post-filosofia, postoperaismo, Révolution | Commenti disabilitati su Conversazione con Antonio Negri

A mo’ di introduzione alla nuova edizione di “Fabbriche del soggetto
di MIMMO SERSANTE

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Mimmo Sersante – Il libro raccoglie testi scritti tra il 1981 e il 1986, gli anni forse più duri della tua vita di militante comunista ma anche più produttivi dal punto di vista della ricerca filosofica. Mi riferisco all’incontro con Spinoza e la filosofia poststrutturalista francese. Sono anche gli anni della rivoluzione neoliberista e della crisi irreversibile delle politiche keynesiane in tutto l’occidente capitalistico. L’Italia non fa eccezione. Da noi anzi la sconfitta fu più lacerante se pensiamo all’ottimismo alimentato per vent’anni dalle lotte autonome degli operai e degli studenti. Ci sono pagine in questo libro di esplicita autocritica sui limiti della ricerca, tua e di molti tuoi compagni, condotta durante gli anni Settanta sul tema del soggetto.

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Crisi finanziaria e capitalismo cognitivo

Posted: Dicembre 4th, 2013 | Author: | Filed under: 99%, BCE, crisi sistemica, critica dell'economia politica, epistemes & società, postcapitalismo cognitivo, postoperaismo, Révolution | Commenti disabilitati su Crisi finanziaria e capitalismo cognitivo

Intervista a Yann Moulier-Boutang di DAVIDE GALLO LASSERE

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La crisi che scuote il mondo intero da cinque anni pare non voglia calmarsi. Il discorso convenzionale pone sul banco degli accusati la separazione progressiva tra una cosiddetta economia reale, buona e produttiva, e una finanza semplicemente parassitaria, tagliata fuori da ogni connessione col mondo concreto. Da parte tua, sebbene non sottostimi per nulla il dominio e il ricatto esercitati dai mercati e dagli operatori finanziari, rifiuti ogni distinzione così netta. Pertanto, ritieni che non ci si possa più limitare a invocare un fantasmagorico ritorno al reale. Potresti spiegare perché le cose non son così semplici come sembrano?

In effetti bisogna distinguere la parte finanziaria dell’economia reale, dalla parte non finanziaria dell’economia reale. Entrambe sono pienamente reali. Del credito, che è la sostanza della moneta la cui forma consiste nella più o meno grande liquidità o esigibilità (le famose forme della massa monetaria M1, M2, M3), genera immediatamente delle possibilità d’investimento, dei salari, degli acquisti di beni e servizi, degli impieghi. Ciò che succede è che la parte finanziaria dell’economia reale diventa via via più gigantesca a mano a mano che l’economia diventa più complessa, e che si accrescono l’interdipendenza e la mutualizzazione degli impegni contrattuali o legali e regolamentari. Per 150 miliardi di dollari quotidiani di PIL mondiale e altrettanto di commercio di beni, si hanno 1500 miliardi di transazioni che coprono il rischio di cambio e 3700 miliardi di transazioni su delle promesse concernenti il futuro, i famosi prodotti derivati. Questo era l’ordine di grandezza nel 2009 e malgrado la scomparsa della metà dei 2000 Hedge Funds (fondi di piazzamento dei capitali a rischio) la scala è rimasta la medesima. La verità è che affinché ciò che taluni chiamano “l’economia reale” diventi realtà bisogna che la finanza attivi questo armamentario impressionante. L’economia starebbe meglio senza una finanza che tanti a sinistra descrivono come un parassita inutile che si potrebbe tranquillamente appendere a testa in giù? Diffidiamo del sofisma già denunciato da Kant secondo il quale la colomba volerebbe meglio nel vuoto. Non si tratta di negare l’evidenza, ossia che i finanzieri sanno trarre dall’ipertrofia della sfera finanziaria una posizione di forza nella fetta di reddito che si accaparrano. Questa è una costante nella storia del capitalismo mercantilista, industriale, finanziario e oggi cognitivo. Ciò che merita di essere pensato e pesato sono le trasformazione dell’economia in blocco (sfera finanziaria e non finanziaria). Innumerevoli analisi sulla finanziarizzazione dell’economia nella globalizzazione (quest’ultima globalizzazione, preceduta da altre tre nella storia dell’Occidente) considerano soltanto un lato del problema: le ripercussioni (essenzialmente negative) del gonfiamento della sfera finanziaria su ciò che chiamano la sfera dell’economia reale, spesso ridotta a quell’industria che promuovono al rango di sola realtà, unica creatrice di ricchezza (come l’agricoltura in Quesnay). È senz’altro vero che è molto attraente, in un sistema che erige la massimizzazione del profitto all’alfa e all’omega, guadagnare il 30% l’anno tramite i soli piazzamenti finanziari (per esempio la speculazione immobiliare), quando guadagnare il 15% in imprese diventa una prodezza (una prodezza tuttavia pretesa dai fondi pensione), mentre il 5% nelle PMI risulta essere la banale realtà corrente. Questi effetti secondari non risolvono la questione dell’ipertrofia senza precedenti della finanza. Ho cercato di mostrare altrove che la crescita della liquidità e del potere di esercitare un effetto leva da parte della finanza (il passaggio da 5 o 9 del corso del credito per 1 di attivi sotto forma di fondi propri, a più di 30) traduceva nella sfera finanziaria qualcosa che non ha nulla a che vedere con la speculazione, né con un meccanismo autoalimentato in stile bolla, né con gli animal spirits dell’homo oeconomicus, ma che riguarda una trasformazione reale dell’economia.

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IL FURTO LIBERALE

Posted: Dicembre 3rd, 2013 | Author: | Filed under: 99%, anthropos, bio, comune, epistemes & società, Foucault, Marx oltre Marx, postcapitalismo cognitivo, postoperaismo, Révolution | Commenti disabilitati su IL FURTO LIBERALE

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in ALIAS – 30 novembre 2013

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presentazione editoriale


Guy Debord, un art de la guerre

Posted: Dicembre 2nd, 2013 | Author: | Filed under: arts, au-delà, Guy Debord, Révolution, situationism | Commenti disabilitati su Guy Debord, un art de la guerre

À l’occasion de l’acquisition des archives Guy Debord par la Bibliothèque nationale de France en 2011 grâce au mécénat, classées Trésor national, l’Institution organise une exposition consacrée aux situationnistes et à leur figure de proue, retraçant leur ambition subversive. Thierry Paquot, philosophe enseignant à l’Institut d’urbanisme de Paris, intime de Guy Debord, nous guide dans les détours de ce parcours, proposé jusqu’au 13 juillet 2013.

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Il datagate dell’opinione pubblica

Posted: Novembre 13th, 2013 | Author: | Filed under: 99%, anthropos, digital conflict, Révolution, vita quotidiana | Commenti disabilitati su Il datagate dell’opinione pubblica

di BENEDETTO VECCHI

troppo tardi per cambiare rotta

Indifferenti alla denunce, alle critiche, alle mobilitazioni dentro e fuori lo schermo – l’ultima, quella di Anonymous, ha suscitato l’indifferenza dei media mainstrem -, i guru dei big data continuano a presentare la raccolta, l’elaborazione e la vendita dei dati personali come una tappa della lunga marcia verso la società dell’abbondanza digitale. Fanno spallucce quando Snowden, Bradley Manning o Julian Assange denunciano che tale ammasso di dati viene conseguito ignorando il sacro principio delle società anglosassoni – la privacy – e di come i big data abbiano come contraltare una strisciante militarizzazione della comunicazione sociale, esemplificata dalla costituzione di un complesso militare-digitale che vede la partecipazione degli uomini e donne in divisa con i white collars della più note società che operano in Rete, da Microsoft a Google, da Apple a Facebook, solo per rimanere in ambito statunitense. Sia però chiara una cosa. Le recenti divulgazioni sulla attività di spionaggio della National Security Agency è una classica scoperta dell’acqua calda. E’ noto dai tempi di Echelon che le attività di intercettazione, di raccolta dati sulle comunicazioni personali sia un obiettivo strategico da parte dei governi nazionali. Quel che colpisce è che tale raccolta vede spostare una massa così ingente di finanziamenti statali verso tale attività che supera di gran lunga quelli destinati all’acquisto e alla messa a punto di nuovi sistemi di armamento. Solo negli ultimi cinque anni, infatti, Washington ha investito oltre cento miliardi di dollari nelle operazioni di intelligence digitale, proprio mentre chiudeva basi militari e «metteva in pensione» decine di migliaia di soldati e personale del Pentagono.

Suonano altresì imbarazzanti le dichiarazioni di Barack Obama sulla necessità di regolamentare tale attività, visto che ne era a conoscenza e che sotto la sua amministrazione la Nsa ha visto quadruplicare i finanziamenti da parte di Washington. Così come suonano ridicole le rassicurazione che il presidente statunitense ha dato ai governi tedesco, francese, brasiliano, boliviano e argentino sul fatto che in futuro i cellulari dei rispettivi presidenti e le e-mail dei cittadini non saranno più “spiati”.

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NEL CERVELLO DELLA CRISI

Posted: Novembre 10th, 2013 | Author: | Filed under: 99%, anthropos, Archivio, bio, comune, critica dell'economia politica, epistemes & società, Marx oltre Marx, postoperaismo, Révolution | Commenti disabilitati su NEL CERVELLO DELLA CRISI

Nel cervello della crisi. La «storia militante» di Sergio Bologna tra passato e presente

di Damiano Palano

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Proprio quarant’anni fa, mentre esplodeva la prima crisi dell’economia post-bellica, a Milano veniva dato alle stampe il primo numero di «Primo maggio», una delle riviste più importanti nella storia dell’«operaismo italiano». Quella rivista aveva il proprio punto di riferimento in Sergio Bologna, attorno al quale si erano raccolti alcuni giovani storici provenienti da differenti esperienze politiche della sinistra extra-parlamentare, ma vicini all’istanza di quella che veniva definita come una «storia militante». Da qualche anno il ricchissimo Dvd che accompagna un volume curato da Cesare Bermani su quell’esperienza (La rivista «Primo maggio» (1973-1989), Derive Approdi, Roma, 2010) ha rimesso in circolazione tutti i ventinove numeri della rivista, insieme ad alcuni rari documenti complementari. D’altronde, nel lavoro di riscoperta dei classici dell’operaismo italiano promosso in questi ultimi anni da editori come Derive Approdi e Ombre corte, «Primo maggio» non poteva davvero essere dimenticata. Non solo perché, a causa di tormentate vicende editoriali, i fascicoli della rivista erano diventati ben presto introvabili, scomparendo così (quasi totalmente) anche dallo sguardo delle nuove generazioni e da ciò che rimaneva della ricerca critica sulle trasformazioni sociali. Ma soprattutto perché quella rivista – capace di resistere per un quindicennio, oltrepassando anche la soglia fatale del 1980 – seppe proporre al dibattito teorico e politico degli anni Settanta intuizioni preziose, in grado di sfuggire anche alle inevitabili semplificazioni e scorciatoie di una discussione segnata costantemente dall’urgenza. In effetti, scorrendo oggi le pagine dei ventinove numeri di «Primo maggio», ciò che emerge – insieme a qualche scontato segno del tempo, marcato soprattutto a livello lessicale (perché il lessico politico-teorico di allora era abissalmente distante da quello di oggi, tanto da risultare talvolta persino indecifrabile a un lettore contemporaneo) – è il quadro di un’esperienza capace di proporre ipotesi originali e di individuare con lungimiranza i sentieri che la ristrutturazione produttiva avrebbe imboccato negli anni seguenti.

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Assata Shakur

Posted: Novembre 7th, 2013 | Author: | Filed under: au-delà, Black Power, comunismo, epistemes & società, Révolution | Commenti disabilitati su Assata Shakur

La militante noire américaine Assata Shakur est mal connue, voire inconnue en France. Dans une interview accordée en 1997 à Christian Parenti, un journaliste et sociologue états-unien, et publiée en mars 1998 dans Z Magazine sous le titre « Assata Shakur speaks from exile. Post-modern maroon in the ultimate palenque », elle revient sur sa trajectoire politique, sur l’expérience de la traque policière et de la prison, sur son évasion puis son exil à Cuba. La traduction de cet entretien vise à faire connaître Assata Shakur en France, et à travers elle un pan occulté du mouvement de libération noir, en rendant accessibles en français des textes courts : entretiens, lettres ouvertes, témoignages.

Joanne Deborah Byron, devenue Joanne Chesimard après son mariage, est plus connue sous son nom africain : Assata Olugbala Shakur. Née le 16 juillet 1947 à New York aux États-Unis, celle qui deviendra la marraine du rappeur Tupac Shakur fut une membre active de la section de Harlem du Black Panther Party (BPP) puis de la Black Liberation Army (BLA). Cette dernière, passée du modèle d’auto-défense armée du BPP à la lutte armée, émerge après l’hécatombe dans les rangs des radicaux noirs due à la répression d’État, et notamment au COINTELPRO, un programme d’infiltration, de répression et d’assassinats ciblés dirigé contre les mouvements radicaux noirs, latinos et amérindiens. Formée en 1970, la BLA devient véritablement active à partir de la scission au sein du BPP en 1971. Elle se présente comme un groupe anti-capitaliste, anti-impérialiste, anti-raciste et anti-sexiste, luttant pour « l’institution de relations socialistes dans lesquelles le peuple noir aurait un contrôle total et absolu sur son propre destin en tant que peuple ». La BLA mènera entre autres une campagne défensive et offensive contre les violences policières comme l’avaient fait les Black Panthers et procédera à des éxécutions ciblées de policiers pour protester contre des crimes policiers ou des morts en détention.

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[qui] la seconda parte


I poteri, la sessualità e la liquidazione del desiderio: soggettività in divenire

Posted: Novembre 7th, 2013 | Author: | Filed under: bio, comune, epistemes & società, Révolution, vita quotidiana | 1 Comment »

di Tiziana Villani e Paolo B. Vernaglione

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In questi anni di aggressiva mutazione delle strategie di potere neoliberale, forme decisamente pervasive di riorganizzazione delle soggettività sono avvenute e continuano ad accadere, con particolare riferimento al problema sempre irrisolto delle appartenenze di genere.

Le scritture identitarie e comunicative si sono dimostrate capaci di operare un profondo lavoro di catalogazione dei comportamenti, che, a partire dalla codificazione della sessualità, hanno costruito una griglia in cui ogni possibile variazione potesse trovare collocazione, scrittura, codice.

Il genere è divenuto un vero “mot d’ordre” atto a veicolare la misoginia imperante e trasversale delle attuali forme di dominio.

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NOTIZIE SU EURIDICE

Posted: Novembre 6th, 2013 | Author: | Filed under: Archivio, comunismo, epistemes & società, Révolution | 15 Comments »

di Erri De Luca

Euridice alla lettera significa trovare giustizia. Orfeo va oltre il confine dei vivi per riportarla in terra. Ho conosciuto e fatto parte di una generazione politica appassionata di giustizia, perciò innamorata di lei al punto di imbracciare le armi per ottenerla. Intorno bolliva il 1900, secolo che spostava i rapporti di forza tra oppressori e oppressi con le rivoluzioni. Orfeo scende impugnando il suo strumento e il suo canto solista. La mia generazione e scesa in coro dentro la rivolta di piazza. Non dichiaro qui le sue ragioni: per gli sconfitti nelle aule dei tribunali speciali quelle ragioni erano delle circostanze aggravanti, usate contro di loro.

C’è nella formazione di un carattere rivoluzionario il lievito delle commozioni. Il loro accumulo forma una valanga. Rivoluzionario non è un ribelle, che sfoga un suo temperamento, è invece un’alleanza stretta con uguali con lo scopo di ottenere giustizia, liberare Euridice.

Innamorati di lei, accettammo l’urto frontale con i poteri costituiti. Nel parlamento italiano che allora ospitava il più forte partito comunista di occidente, nessuno di loro era con noi. Fummo liberi da ipoteche, tutori, padri adottivi. Andammo da soli, però in massa, sulle piste di Euridice. Conoscemmo le prigioni e le condanne sommarie costruite sopra reati associativi che non avevano bisogno di accertare responsabilità individuali. Ognuno era colpevole di tutto. Il nostro Orfeo collettivo e stato il più imprigionato per motivi
politici di tutta la storia d’Italia, molto di più della generazione passata nelle carceri fasciste.

Il nostro Orfeo ha scontato i sotterranei, per molti un viaggio di sola andata. La nostra variante al mito: la nostra Euridice usciva alla luce dentro qualche vittoria presa di forza all’aria aperta e pubblica, ma Orfeo finiva ostaggio.

Cos’altro ha di meglio da fare una gioventù, se non scendere a liberare dai ceppi la sua Euridice? Chi della mia generazione si astenne, disertò. Gli altri fecero corpo con i poteri forti e costituiti e oggi sono la classe dirigente politica italiana. Cambiammo allora i connotati del nostro paese, nelle fabbriche, nelle prigioni, nei ranghi dell’esercito, nella aule scolastiche e delle università. Perfino allo stadio i tifosi imitavano gli slogan, i ritmi scanditi dentro le nostre manifestazioni. L’Orfeo che siamo stati fu contagioso, riempì di sé il decennio settanta. Chi lo nomina sotto la voce “sessantotto” vuole abrogare una dozzina di anni dal calendario. Si consumò una guerra civile di bassa intensità ma con migliaia di detenuti politici. Una parte di noi si specializzò in agguati e in clandestinità. Ci furono azioni micidiali e clamorose ma senza futuro. Quella parte di Orfeo credette di essere seguito da Euridice, ma quando si voltò nel buio
delle celle dell’isolamento, lei non c’era.

Ho conosciuto questa versione di quei due e del loro rapporto, li ho incontrati all’aperto nelle strade. Povera è una generazione nuova che non s’innamora di Euridice e non la va a cercare anche all’inferno.


Somatic Capitalism: Reproduction, Futurity, and Feminist Science Fiction

Posted: Novembre 6th, 2013 | Author: | Filed under: 99%, anthropos, bio, donnewomenfemmes, epistemes & società, Révolution, vita quotidiana | 8 Comments »

by ada

“Every technology is reproductive technology” – Donna Haraway

femminismo

Reproductive futurism in the neoliberal present

Suddenly, it feels a lot like 1984—not the iconic 1984 of Orwell’s dystopia, but the 1984 in which Margaret Atwood composed The Handmaid’s Tale. This was the same year that saw the release of the anti-abortion film The Silent Scream, and only a few years after the unsuccessful push for congressional ratification of the Human Life Statute, which brought the idea of fetal personhood to the national stage. As Valerie Hartouni notes, the 1980s were “obsessively preoccupied with women and fetuses” (42). We might say the same about the 2010s. The list of newly adopted or narrowly averted anti-abortion legislation from the past year is extensive, and all of it justified through the logic of biopolitics. When Texas State Representative Jodie Laubenberg hails the passage of that state’s 20-week abortion ban as “ensuring that women are given the highest quality of health care in a very vulnerable time of their lives,” she appeals to the general affirmation that it is the state’s business to attend to the health and wellbeing of its population—a mandate then easily extended to the health and wellbeing of the unborn [1].

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