Crisi finanziaria e capitalismo cognitivo

Posted: Dicembre 4th, 2013 | Author: | Filed under: 99%, BCE, crisi sistemica, critica dell'economia politica, epistemes & società, postcapitalismo cognitivo, postoperaismo, Révolution | Commenti disabilitati su Crisi finanziaria e capitalismo cognitivo

Intervista a Yann Moulier-Boutang di DAVIDE GALLO LASSERE

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La crisi che scuote il mondo intero da cinque anni pare non voglia calmarsi. Il discorso convenzionale pone sul banco degli accusati la separazione progressiva tra una cosiddetta economia reale, buona e produttiva, e una finanza semplicemente parassitaria, tagliata fuori da ogni connessione col mondo concreto. Da parte tua, sebbene non sottostimi per nulla il dominio e il ricatto esercitati dai mercati e dagli operatori finanziari, rifiuti ogni distinzione così netta. Pertanto, ritieni che non ci si possa più limitare a invocare un fantasmagorico ritorno al reale. Potresti spiegare perché le cose non son così semplici come sembrano?

In effetti bisogna distinguere la parte finanziaria dell’economia reale, dalla parte non finanziaria dell’economia reale. Entrambe sono pienamente reali. Del credito, che è la sostanza della moneta la cui forma consiste nella più o meno grande liquidità o esigibilità (le famose forme della massa monetaria M1, M2, M3), genera immediatamente delle possibilità d’investimento, dei salari, degli acquisti di beni e servizi, degli impieghi. Ciò che succede è che la parte finanziaria dell’economia reale diventa via via più gigantesca a mano a mano che l’economia diventa più complessa, e che si accrescono l’interdipendenza e la mutualizzazione degli impegni contrattuali o legali e regolamentari. Per 150 miliardi di dollari quotidiani di PIL mondiale e altrettanto di commercio di beni, si hanno 1500 miliardi di transazioni che coprono il rischio di cambio e 3700 miliardi di transazioni su delle promesse concernenti il futuro, i famosi prodotti derivati. Questo era l’ordine di grandezza nel 2009 e malgrado la scomparsa della metà dei 2000 Hedge Funds (fondi di piazzamento dei capitali a rischio) la scala è rimasta la medesima. La verità è che affinché ciò che taluni chiamano “l’economia reale” diventi realtà bisogna che la finanza attivi questo armamentario impressionante. L’economia starebbe meglio senza una finanza che tanti a sinistra descrivono come un parassita inutile che si potrebbe tranquillamente appendere a testa in giù? Diffidiamo del sofisma già denunciato da Kant secondo il quale la colomba volerebbe meglio nel vuoto. Non si tratta di negare l’evidenza, ossia che i finanzieri sanno trarre dall’ipertrofia della sfera finanziaria una posizione di forza nella fetta di reddito che si accaparrano. Questa è una costante nella storia del capitalismo mercantilista, industriale, finanziario e oggi cognitivo. Ciò che merita di essere pensato e pesato sono le trasformazione dell’economia in blocco (sfera finanziaria e non finanziaria). Innumerevoli analisi sulla finanziarizzazione dell’economia nella globalizzazione (quest’ultima globalizzazione, preceduta da altre tre nella storia dell’Occidente) considerano soltanto un lato del problema: le ripercussioni (essenzialmente negative) del gonfiamento della sfera finanziaria su ciò che chiamano la sfera dell’economia reale, spesso ridotta a quell’industria che promuovono al rango di sola realtà, unica creatrice di ricchezza (come l’agricoltura in Quesnay). È senz’altro vero che è molto attraente, in un sistema che erige la massimizzazione del profitto all’alfa e all’omega, guadagnare il 30% l’anno tramite i soli piazzamenti finanziari (per esempio la speculazione immobiliare), quando guadagnare il 15% in imprese diventa una prodezza (una prodezza tuttavia pretesa dai fondi pensione), mentre il 5% nelle PMI risulta essere la banale realtà corrente. Questi effetti secondari non risolvono la questione dell’ipertrofia senza precedenti della finanza. Ho cercato di mostrare altrove che la crescita della liquidità e del potere di esercitare un effetto leva da parte della finanza (il passaggio da 5 o 9 del corso del credito per 1 di attivi sotto forma di fondi propri, a più di 30) traduceva nella sfera finanziaria qualcosa che non ha nulla a che vedere con la speculazione, né con un meccanismo autoalimentato in stile bolla, né con gli animal spirits dell’homo oeconomicus, ma che riguarda una trasformazione reale dell’economia.

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