Pour la suite du monde (Extraits de Maintenant)

Posted: Maggio 9th, 2017 | Author: | Filed under: 99%, au-delà, comunismo, epistemes & società, Révolution | 334 Comments »

Ce qui, en nous, aspire à ménager les chaînes intérieures qui nous empêchent,
Ce qu’il y a en nous de si malade qu’il se cram- ponne à de si précaires conditions d’existence,
Ce qui est si harassé de misère, de besoins et de coups que demain paraît chaque jour plus loin que la lune,
Ce qui trouve doux le temps passé à boire des cafés latte sur fond de jungle dans les cafés bran- chés en surfant sur son MacBook – le dimanche de la vie allié à la fin de l’histoire,
Attend des solutions.

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Gratificazione o sfruttamento? Dal lavoro gratuito alle nuove forme di organizzazione e mutualismo

Posted: Aprile 28th, 2017 | Author: | Filed under: 99%, bio, crisi sistemica, digital conflict, epistemes & società, postcapitalismo cognitivo | 170 Comments »

di Sergio Bologna

Un testo importante di Sergio Bologna che analizza tre libri collettanei pubblicati di recente, all’interno dei quali, nelle differenze di taglio e di configurazioni, è centrale il tema della gratuità del lavoro contemporaneo, cioè la crisi del “valore” del lavoro (“merce per eccellenza, la madre di tutte le merci”). Si tratta di: Salari rubati, a cura di Francesca Coin, Ombre Corte, 2017; Le reti del lavoro gratuito, a cura di Emiliana Armano e Annalisa Murgia, Ombre Corte, 2016; Platform capitalism e confini del lavoro negli spazi digitali, a cura di Emiliana Armano, Annalisa Murgia e Maurizio Teli, Mimesis, 2017

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SULLA PRODUZIONE DI SOGGETTIVITÀ: NEGRI E TRONTI A CONFRONTO

Posted: Aprile 28th, 2017 | Author: | Filed under: 99%, comune, comunismo, epistemes & società, Marx oltre Marx, postoperaismo | 127 Comments »

di MIMMO SERSANTE

Ontologia: pensiero, sapere, scienza ma anche un discorso, un dire, un parlare dell’essere che, lo sappiamo da Aristotele, può essere nominato in tanti modi, con i nomi più disparati per via della sua indifferenza e indistinzione (Hegel).
Insomma, per capire cosa o chi è in questione nell’ontologia, è al suo nome – proprio o comune non importa – che dobbiamo prestare attenzione. Il nome prescelto ci indica anche il terreno entro cui siamo costretti a muoverci. Così, se questo nome è quello di Dio – si tratta solo di un esempio –, capiamo subito con quale problematica dobbiamo misurarci. Il nome scelto da Negri è invece quello comune di «operaio sociale» o «moltitudine». Se il primo rinvia alla versione operaista del nostro marxismo (il primo ad averlo usato è stato Romano Alquati), il secondo ci porta direttamente a Spinoza, il filosofo olandese che nel ’600 secondo Negri avrebbe prospettato una storia diversa per il nostro Occidente.

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“Se sei felice sei un illuso”

Posted: Aprile 20th, 2017 | Author: | Filed under: anthropos, au-delà, crisi sistemica, epistemes & società, post-filosofia | 112 Comments »

«Siamo in una servitù. I signori feudali del digitale come Facebook ci danno la terra e ci dicono: arala e puoi averla gratis. E la ariamo come pazzi, questa terra. Alla fine, i signori feudali tornano e prendono il raccolto. Questo è lo sfruttamento della comunicazione».

Intervista a Byung-Chul Han di Niels Boeing e Andreas Lebert. Traduzione di Nicola Bonimelli.

Byung-Chun Han ha suggerito, come luogo dell’incontro, il Café Liebling di Prenzlauer Berg. Il reticente filosofo insegna alla the Universität der Künste (Università delle Arti) di Berlino e i suoi libri sulla Società della Trasparenza e sulla Società della Stanchezza hanno sollevato un polverone. Evita interviste.

L’orario dell’appuntamento è passato da dieci minuti. Ci ha dato buca?, ci chiediamo.

A questo punto lo vediamo arrivare in bici. Si siede e ordina una Coca-Cola.

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Speciale Jean Baudrillard 2007-2017

Posted: Marzo 7th, 2017 | Author: | Filed under: anthropos, au-delà, Baudrillard, epistemes & società, General, postcapitalismo cognitivo | 35 Comments »

Dieci anni fa, il 6 marzo 2007, moriva Jean Baudrillard. Lo ricordiamo con due testi che – come tanti dei suoi – precorrono il tempo presente.

Nel primo, tratto da un libro del 1987, L’Autre par lui-même (L’altro visto da sé, Costa & Nolan), il filosofo francese descrive la trasformazione della vita privata in “un terminale di reti multiple”. Difficile resistere alla tentazione di vedere in questa immagine una prefigurazione dei social network, le nostre “reti sociali” multiple e onnipresenti.

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Macchine armate, corpi, guerre e mutazioni

Posted: Marzo 7th, 2017 | Author: | Filed under: au-delà, lacanism, postcapitalismo cognitivo | 19 Comments »

Un documentario di Maurizio Gibertini sull’opera di Paolo Gallerani

di Federico Chicchi

Alberto Grifi ha girato, nell’oramai lontano 1977, uno dei documentari più sconvolgenti e politicamente incisivi che abbia mai visto. Il documentario intitolato Il preteso corpo racconta gli esperimenti di un medicinale fabbricato dalla casa farmaceutica “Roche” su persone considerate psicologicamente insane. Trovato per caso in un mercatino a Milano, il readymade di Grifi testimonia di come la sperimentazione farmacologica provocava sulle cavie umane orribili convulsioni e sofferenze indicibili. Questa sofferenza rappresenta nella metafora l’esito dell’azione del capitalismo sulla vita. Trovo che anche il lavoro di Paolo Gallerani recentemente esposto alla Casa della Memoria di Milano (oltre sessanta opere tra sculture, disegni, carte e fotografi) abbia per certi versi a che fare con questa pretesa. Per questo se ne rimane immediatamente coinvolti, c’è qualcosa nella sua arte che dice del disagio del corpo in frantumi, fatto a pezzi nella stanza delle pulegge del capitalismo.

Il lavoro artistico di Paolo Gallerani in realtà non può essere ridotto a questo motivo, esso traccia e dipana spudoratamente diverse ragioni contemporaneamente, intrecciando in maniera stretta, fino a renderla impalpabile, la differenza tra vita e artificio. Non si lascia raccontare facilmente la poesia, profondamente materialistica, di questo geniale ed ecclettico artista, o meglio non si lascia raccogliere in un medium espositivo tradizionale. Tracima da ogni parte, come se lo spazio che la circonda fosse sì quantitativamente capace di contenerla ma al contempo incapace di frenarla qualitativamente. Credo che questo sia dovuto al fatto che l’opera di Gallerani tenta di cogliere la forza, la pulsione, il reale, l’eccedenza che recalcitra.

Questo è poi particolarmente evidente in alcune sue bellissime opere recenti, come ad esempio la Nike (2011), un missile/antimissile che l’arte libera dalla sua funzione guerrafondaia e disumana per mostrarne invece una tremolante ma precisa vocazione estetica nascosta, e prima che l’artista ci mettesse mano, del tutto latente.

Ecco perché il documentario di Maurizio Gibertini (realizzato per OfficinaMultimediale) che ci presenta il modo in cui questa mostra è stata montata e realizzata ha un valore inestimabile, perché punta lo sguardo al lavoro di Gallerani senza tentare di rinchiuderlo, anzi facendolo esplodere attraverso tecniche espressive mirate come l’improvvisa inserzione di immagini documentaristiche, i tagli e i piani sequenza.

Due sono i movimenti che le opere di Gallerani producono a mio avviso su chi le osserva per la prima volta. Il primo movimento appartiene alla dinamica del in-compiuto, un incompiuto che non ammicca a ciò che manca ma al contrario spinge al divenire necessario (insistente e materiale potremmo dire) dell’opera, che attraversata dalla vita, continua a compiersi all’infinito. È il caso della cassa con gli stralci delle vigne, dove quest’ultimi pur mutilati, privati della luce e strappati dalla terra continuano a produrre vita nella sua forma microrganica; o degli alberi lavorati che il documentario realizzato da OfficinaMutimediale mette giustamente in risalto nei suoi dettagli. L’altro movimento, strettamente legato al primo, è quello dello strato o meglio dell’accumulazione dei segni che si producono in seno all’opera. L’opera dell’artista centese non è rappresentabile con il piano liscio, levigato, pareggiato ma è al contrario sempre un rizoma di scarti che si accumulano, scarti che mostrano il conflitto, l’incompletezza, l’entropia, la ricchezza del vivente, il suo perenne godimento in atto. Il trauma quindi, il trauma dell’albero che si fa cannone, e il trauma del cannone che cerca di farsi albero. È la lotta aperta che pone l’uomo al centro di questa torsione, contemporaneamente come attore e come oggetto passivo di questo movimento. C’è un dolore che attraversa l’opera di Gallerani, un dolore che viene lavorato affinché assuma la torsione generativa della poetica: «l’arte deve avere il coraggio di confrontarsi con la catastrofe».

È l’arte o l’autore (l’artista), il protagonista dell’opera di Paolo Gallerani? Non saprei dire. Nel documentario emerge sia la figura umana dell’artista che la forza dell’arte che sfugge al controllo di chi la crea, che rappresenta un piano non governabile a cui occorre, per certi versi, accondiscendere.

In che relazione stanno i cannoni e gli alberi di Gallerani? Sarebbe troppo semplice dire che stanno in opposizione. Non c’è alcuna nostalgia naturalistica, nessun purezza da recuperare, negli alberi artigianati e lavorati dall’autore. Sono invece presi i due materiali, il ferro opaco e il legno chiarificato del tronco, in una congiunzione disgiuntiva dove in gioco c’è proprio il tema della in-appartenenza dell’uomo al mondo. O meglio il tema della ricerca per nulla scontata che l’uomo deve ad ogni passo fare per tentare di abitare il reale impossibile della vita.

In tal senso La stanza delle pulegge realizzata nel 1986 da Gallerani e Le macchine armate, su cui il documento visivo di Maurizio Gibertini ci consegna la storia e uno spaccato di rara intensità, devono a mio avviso essere osservate come se fossero l’una il rovescio dell’altra, l’una la trama del filato artistico dell’altra.

Gallerani, in questo come Kounellis, rompe con l’idea che l’arte del sensibile sia destinata ad essere superata dalla superiorità del logos. A questa «barzelletta» hegeliana l’artista risponde con la tracotanza della materialità dell’opera che si prende gioco del concetto mostrandone appunto l’inesattezza e la inevitabile bestialità. Nulla nel reale è solo razionale. Potremmo dire che Gallerani, pur non evocandolo mai direttamente da un punto di vista anatomico, attraverso le sue opere, faccia corpo, consistenza. Ma di che cosa? Corpo dell’evento, dell’imprevisto, del perturbante dello scontato. Come il corpo che abitiamo è sempre lo stesso medesimo corpo e mai è del tutto lo stesso. Gli accumuli che accompagnano disordinatamente gli oggetti inanimati di Gallerani, privandoli della loro funzionalità, uccidono la simbologia dell’oggetto, per donarli ad una nuova immagine del sensibile che non si accontenta della sua utilizzabilità precedente. Ecco, potremmo dire che l’incompiuto delle opere di Gallerani esprime l’impossibilità delle forme simboliche ad ospitare le forze della vita. Quest’ultima degenera sempre e si corrompe mostruosamente se non troviamo la chiave per accettare lo slancio che offre. È qui che risiede la vena nostalgica e preoccupata che l’opera di Gallerani stimola in chi la osserva. Non è una nostalgia che punta, come in Pasolini, perversamente a una purezza originaria corrotta e da ritrovare. Niente di tutto ciò.

Una chiave di questa sfida, che potremmo anche forse chiamare progetto per una politica per la vita (e non sulla vita), è la scrittura poetica. La Nike, l’opera di cui dicevamo, poc’anzi ce ne consegna la (una possibile) chiave di lettura. Il missile antimissile montato su di un carro che lo mette in condizione di avanzare, insieme ad alcuni innesti imprevedibili che ne perturbano la liscia fallicità. Alcuni di questi innesti sono organici (rami che spuntano come da un tronco dalla macchina/albero da guerra), altri sono testuali. Tra questi, in primo luogo, James Joyce che l’artista ha dichiarato essere fonte importante di ispirazione di quest’opera.

Lacan, come è noto, ha dedicato il suo Seminario XXIII alla figura di Joyce. Cosa vi vedeva di così significativo il grande psicoanalista francese nello scrittore dell’Ulisse? Vi vedeva la possibilità di nominarsi attraverso l’opera, di ricomporre il corpo in frantumi attraverso la scrittura. Attraverso l’opera Joyce ricostituisce il suo nome. In tal senso l’opera di Gallerani rappresenta il tentativo “joyciano” di produrre sul piano collettivo, in questo caso, una glossografia, che significa tentare di scrivere l’illeggibile e l’intrasmissibile per generare l’imprevisto e aprire un varco verso il nuovo passando attraverso l’estetica di un sogno comune.


Appropriazione di capitale fisso: una metafora ?

Posted: Marzo 5th, 2017 | Author: | Filed under: au-delà, comune, crisi sistemica, digital conflict, epistemes & società, hacking, post-filosofia, postcapitalismo cognitivo | 18 Comments »

di Toni Negri

(SEMINARIO LE PIATTAFORME DEL CAPITALE, MILANO, MACAO, 3-4 marzo)

1. Nel dibattito sull’impatto del digitale sulla società, prendendo atto che le tecnologie digitali hanno profondamente modificato il “modo di produrre”(oltre al conoscere e al comunicare), si presenta la solida ipotesi che il lavoratore, il produttore sia trasformato dall’uso della macchina digitale. La discussione sulle conseguenze psico-politiche delle macchine digitali è talmente larga che vale solo la pena di ricordarla, anche se i risultati cui queste ricerche pervengono sono altamente problematici.

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Le anime elettriche del capitale

Posted: Febbraio 27th, 2017 | Author: | Filed under: anthropos, crisi sistemica, epistemes & società, Foucault, Marx oltre Marx, Révolution | 18 Comments »

Intervista di Benedetta Pinzari e Salvatore Cominu a Ippolita per il cantiere di discussione su macchine, lavoro e soggettività

Abbiamo intervistato il collettivo Ippolita che da anni analizza gli effetti delle nuove tecnologie di rete sulla soggettività, le ricadute sociali dell’innovazione e le pratiche di autodifesa digitale.

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La governamentalità oltre la biopolitica. Strumenti per l’autogoverno dell’ethos

Posted: Febbraio 17th, 2017 | Author: | Filed under: au-delà, bio, epistemes & società, Foucault | Commenti disabilitati su La governamentalità oltre la biopolitica. Strumenti per l’autogoverno dell’ethos

di Antonio Moretti

Recensione di Ottavio Marzocca, Foucault ingovernabile. Dal bios all’ethos, Meltemi, Sesto San Giovanni 2016 (211 p.)

In Foucault ingovernabile, Ottavio Marzocca prosegue un lavoro che aveva prodotto i primi frutti nel testo del 2007, intitolato Perché il governo[1]. In quest’ultimo si trattava di prendere sul serio quel “laboratorio etico-politico” che Michel Foucault ha portato avanti dalla seconda metà degli anni settanta fino alla sua morte, ovvero gli anni successivi alla pubblicazione di Sorvegliare e punire e La volontà di sapere; si trattava, dunque, di porre le basi per una comprensione più profonda del periodo di silenzio editoriale coinciso con la revisione del programma della Storia della sessualità – auscultando l’imponente frastuono delle sortite minori di Foucault. Si trattava, insomma, di rimettere mano ad alcune categorie già date per scontate nella vulgata foucaultiana, per far emergere chiaramente tutta la pregnanza che il tema del governo assume per Foucault come risposta ai problemi sollevati dallo studio dell’analitica del potere.

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Violences: anthropologie, politique, philosophie

Posted: Febbraio 6th, 2017 | Author: | Filed under: au-delà, bio, Deleuze, epistemes & società, Foucault, post-filosofia | 65 Comments »

Cet ouvrage comporte une série d’études sur la question de la violence dans la pensée du XXe siècle. Chaque étude interroge à sa façon la circularité critique que la question de la violence introduit entre pensée politique et anthropologie. À partir d’Arendt, de Fanon ou d’Althusser, de Deligny ou de Girard, de Deleuze ou de Balibar, chacune met en question la possibilité d’une fondation anthropologique de la politique, et la possibilité d’un discours anthropologique qui ne présuppose déjà une politique.

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