Posted: Dicembre 13th, 2013 | Author: agaragar | Filed under: 99%, bio, comune, epistemes & società, postoperaismo, Révolution, vita quotidiana | Commenti disabilitati su Note sulla moneta tra soggettività e reddito garantito
di Laboratorio Acrobax
Premessa
Una vicenda abbastanza datata quella sul reddito garantito si è riaccesa nel dibattito di movimento e non solo. Il “non solo” si riferisce prevalentemente all’ultimo periodo della vita politica istituzionale e del suo spazio pubblico che perlomeno dalle elezioni del 2013 in poi ha indicato il reddito, certamente minimo e condizionato, come uno dei terreni di riforma possibile. Chiaramente nemmeno a dirlo dopo mesi di governo dellebasse e strette intese, il dispositivo di briciole è stato definito nella Legge di Stabilità 2014 con risorse allocate risibili: come la montagna partorisce il topolino. Nel maxi-emendamento compare una misura presentata mediaticamente come reddito minimo ma in verità si stratta di un sussidio contro la povertà il cui finanziamento è a dir poco ridicolo ovvero 120 milioni di Euro in tre anni. Queste risorse dovrebbero confluire nel fondo contro la povertà che attualmente gestisce la Social Card. La misura è estremamente familista ed destinata ad una platea ridottissima. Non ci aspettavamo di più dal governo dell’austerity, ma una cosa ci sembra fondamentale sottolineare: i tre disegni di legge presentati alla Camera (PD, SEL e M5S) in modo assolutamente divergenti sia come filosofia dell’intervento che come previsioni di copertura economica hanno messo chiaramente in luce almeno tre caratteristiche fondamentali. La prima riguarda il bisogno della governance di dare una risposta spot sul tema del reddito a tutti gli esclusi dagli ammortizzatori sociali e dagli strumenti di protezione sociale. Ci riferiamo alla composizione sociale fatta da milioni di precari, precarizzati, working poor e giovani disoccupati, questo lo vediamo come un segno che il dibattito (a volte confuso ed ambiguo) e la penetrazione sociale della rivendicazione ha tutte le potenzialità per diventare una miscela esplosiva e preoccupante. La seconda caratteristiche riguarda l’impostazione degli schemi di reddito proposti delle diverse forze politiche, completamente schiacciata sui dispositivi di regolazione sociale imposti dall’Europea che obbligano l’Italia ad attivare forme di sostegno al reddito legate a politiche di welfare to work ovvero un welfare condizionale completamente legato a regimi sanzionatori. Dispositivi simili, con risorse esigue, verranno attivati anche attraverso il programma europeo Youth Guarantee il cui baricentro dichiarato è la lotta contro la disoccupazione giovanile e le politiche di attivazione dei cosiddetti NEET. La terza caratteristica riguarda il tema dell’allocazione delle risorse pubbliche, nei tre diversi disegni di legge si parla di investimenti che vanno da 2 ai 19 miliardi di euro, ultimo progetto proposto da M5S. Dall’analisi di questi semplici dati emerge, infatti, che il problema non è di risorse ma di volontà politica. L’obbiettivo del governo dell’austerity è quello smantellare e finanziarizzare il welfare, contrastando qualsiasi provvedimenti di redistribuzione della ricchezza continua a finanziare banche, spese militari ect ect. Tutto ciò accade in un contesto di impoverimento generalizzato di larghi strati della popolazione, l’INPS ha recentemente affermato che il 29% della popolazione, a più di 18 milioni di persone, rischia la povertà, un dato vicino a quello greco, che è pari al 34%. Osservando i dati il paese ellenico è l’unico peggiore dell’Italia all’interno dell’Eurozona.
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Posted: Dicembre 7th, 2013 | Author: agaragar | Filed under: 99%, au-delà, comune, epistemes & società, vita quotidiana | Commenti disabilitati su JU-JITSU POLITIQUE
JU-JITSU POLITIQUE, l’art du levier, est une brochure écrite par la Rotative.
Le principe du « Jujitsu Politique » est d’utiliser les forces adverses pour modifier une situation politique. Les procédés de détournement et d’amplification sont à la base de toute mécanique – utilitaire, guerrière ou scientifique. Ils passent par des combinaisons imprévues de forces et d’outils, et parfois par le simple retournement de l’arme dans un sens contraire.
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Cfr. anche qui e qui
Posted: Dicembre 6th, 2013 | Author: agaragar | Filed under: 99%, comune, comunismo, critica dell'economia politica, Marx oltre Marx, post-filosofia, postoperaismo, Révolution | Commenti disabilitati su Conversazione con Antonio Negri
A mo’ di introduzione alla nuova edizione di “Fabbriche del soggetto”
di MIMMO SERSANTE
Mimmo Sersante – Il libro raccoglie testi scritti tra il 1981 e il 1986, gli anni forse più duri della tua vita di militante comunista ma anche più produttivi dal punto di vista della ricerca filosofica. Mi riferisco all’incontro con Spinoza e la filosofia poststrutturalista francese. Sono anche gli anni della rivoluzione neoliberista e della crisi irreversibile delle politiche keynesiane in tutto l’occidente capitalistico. L’Italia non fa eccezione. Da noi anzi la sconfitta fu più lacerante se pensiamo all’ottimismo alimentato per vent’anni dalle lotte autonome degli operai e degli studenti. Ci sono pagine in questo libro di esplicita autocritica sui limiti della ricerca, tua e di molti tuoi compagni, condotta durante gli anni Settanta sul tema del soggetto.
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Posted: Dicembre 4th, 2013 | Author: agaragar | Filed under: 99%, BCE, crisi sistemica, critica dell'economia politica, epistemes & società, postcapitalismo cognitivo, postoperaismo, Révolution | Commenti disabilitati su Crisi finanziaria e capitalismo cognitivo
Intervista a Yann Moulier-Boutang di DAVIDE GALLO LASSERE
La crisi che scuote il mondo intero da cinque anni pare non voglia calmarsi. Il discorso convenzionale pone sul banco degli accusati la separazione progressiva tra una cosiddetta economia reale, buona e produttiva, e una finanza semplicemente parassitaria, tagliata fuori da ogni connessione col mondo concreto. Da parte tua, sebbene non sottostimi per nulla il dominio e il ricatto esercitati dai mercati e dagli operatori finanziari, rifiuti ogni distinzione così netta. Pertanto, ritieni che non ci si possa più limitare a invocare un fantasmagorico ritorno al reale. Potresti spiegare perché le cose non son così semplici come sembrano?
In effetti bisogna distinguere la parte finanziaria dell’economia reale, dalla parte non finanziaria dell’economia reale. Entrambe sono pienamente reali. Del credito, che è la sostanza della moneta la cui forma consiste nella più o meno grande liquidità o esigibilità (le famose forme della massa monetaria M1, M2, M3), genera immediatamente delle possibilità d’investimento, dei salari, degli acquisti di beni e servizi, degli impieghi. Ciò che succede è che la parte finanziaria dell’economia reale diventa via via più gigantesca a mano a mano che l’economia diventa più complessa, e che si accrescono l’interdipendenza e la mutualizzazione degli impegni contrattuali o legali e regolamentari. Per 150 miliardi di dollari quotidiani di PIL mondiale e altrettanto di commercio di beni, si hanno 1500 miliardi di transazioni che coprono il rischio di cambio e 3700 miliardi di transazioni su delle promesse concernenti il futuro, i famosi prodotti derivati. Questo era l’ordine di grandezza nel 2009 e malgrado la scomparsa della metà dei 2000 Hedge Funds (fondi di piazzamento dei capitali a rischio) la scala è rimasta la medesima. La verità è che affinché ciò che taluni chiamano “l’economia reale” diventi realtà bisogna che la finanza attivi questo armamentario impressionante. L’economia starebbe meglio senza una finanza che tanti a sinistra descrivono come un parassita inutile che si potrebbe tranquillamente appendere a testa in giù? Diffidiamo del sofisma già denunciato da Kant secondo il quale la colomba volerebbe meglio nel vuoto. Non si tratta di negare l’evidenza, ossia che i finanzieri sanno trarre dall’ipertrofia della sfera finanziaria una posizione di forza nella fetta di reddito che si accaparrano. Questa è una costante nella storia del capitalismo mercantilista, industriale, finanziario e oggi cognitivo. Ciò che merita di essere pensato e pesato sono le trasformazione dell’economia in blocco (sfera finanziaria e non finanziaria). Innumerevoli analisi sulla finanziarizzazione dell’economia nella globalizzazione (quest’ultima globalizzazione, preceduta da altre tre nella storia dell’Occidente) considerano soltanto un lato del problema: le ripercussioni (essenzialmente negative) del gonfiamento della sfera finanziaria su ciò che chiamano la sfera dell’economia reale, spesso ridotta a quell’industria che promuovono al rango di sola realtà, unica creatrice di ricchezza (come l’agricoltura in Quesnay). È senz’altro vero che è molto attraente, in un sistema che erige la massimizzazione del profitto all’alfa e all’omega, guadagnare il 30% l’anno tramite i soli piazzamenti finanziari (per esempio la speculazione immobiliare), quando guadagnare il 15% in imprese diventa una prodezza (una prodezza tuttavia pretesa dai fondi pensione), mentre il 5% nelle PMI risulta essere la banale realtà corrente. Questi effetti secondari non risolvono la questione dell’ipertrofia senza precedenti della finanza. Ho cercato di mostrare altrove che la crescita della liquidità e del potere di esercitare un effetto leva da parte della finanza (il passaggio da 5 o 9 del corso del credito per 1 di attivi sotto forma di fondi propri, a più di 30) traduceva nella sfera finanziaria qualcosa che non ha nulla a che vedere con la speculazione, né con un meccanismo autoalimentato in stile bolla, né con gli animal spirits dell’homo oeconomicus, ma che riguarda una trasformazione reale dell’economia.
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Posted: Dicembre 3rd, 2013 | Author: agaragar | Filed under: 99%, anthropos, bio, comune, epistemes & società, Foucault, Marx oltre Marx, postcapitalismo cognitivo, postoperaismo, Révolution | Commenti disabilitati su IL FURTO LIBERALE
in ALIAS – 30 novembre 2013
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presentazione editoriale
Posted: Novembre 13th, 2013 | Author: agaragar | Filed under: 99%, anthropos, digital conflict, Révolution, vita quotidiana | Commenti disabilitati su Il datagate dell’opinione pubblica
di BENEDETTO VECCHI
Indifferenti alla denunce, alle critiche, alle mobilitazioni dentro e fuori lo schermo – l’ultima, quella di Anonymous, ha suscitato l’indifferenza dei media mainstrem -, i guru dei big data continuano a presentare la raccolta, l’elaborazione e la vendita dei dati personali come una tappa della lunga marcia verso la società dell’abbondanza digitale. Fanno spallucce quando Snowden, Bradley Manning o Julian Assange denunciano che tale ammasso di dati viene conseguito ignorando il sacro principio delle società anglosassoni – la privacy – e di come i big data abbiano come contraltare una strisciante militarizzazione della comunicazione sociale, esemplificata dalla costituzione di un complesso militare-digitale che vede la partecipazione degli uomini e donne in divisa con i white collars della più note società che operano in Rete, da Microsoft a Google, da Apple a Facebook, solo per rimanere in ambito statunitense. Sia però chiara una cosa. Le recenti divulgazioni sulla attività di spionaggio della National Security Agency è una classica scoperta dell’acqua calda. E’ noto dai tempi di Echelon che le attività di intercettazione, di raccolta dati sulle comunicazioni personali sia un obiettivo strategico da parte dei governi nazionali. Quel che colpisce è che tale raccolta vede spostare una massa così ingente di finanziamenti statali verso tale attività che supera di gran lunga quelli destinati all’acquisto e alla messa a punto di nuovi sistemi di armamento. Solo negli ultimi cinque anni, infatti, Washington ha investito oltre cento miliardi di dollari nelle operazioni di intelligence digitale, proprio mentre chiudeva basi militari e «metteva in pensione» decine di migliaia di soldati e personale del Pentagono.
Suonano altresì imbarazzanti le dichiarazioni di Barack Obama sulla necessità di regolamentare tale attività, visto che ne era a conoscenza e che sotto la sua amministrazione la Nsa ha visto quadruplicare i finanziamenti da parte di Washington. Così come suonano ridicole le rassicurazione che il presidente statunitense ha dato ai governi tedesco, francese, brasiliano, boliviano e argentino sul fatto che in futuro i cellulari dei rispettivi presidenti e le e-mail dei cittadini non saranno più “spiati”.
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Posted: Novembre 10th, 2013 | Author: agaragar | Filed under: 99%, anthropos, Archivio, bio, comune, critica dell'economia politica, epistemes & società, Marx oltre Marx, postoperaismo, Révolution | Commenti disabilitati su NEL CERVELLO DELLA CRISI
Nel cervello della crisi. La «storia militante» di Sergio Bologna tra passato e presente
di Damiano Palano
Proprio quarant’anni fa, mentre esplodeva la prima crisi dell’economia post-bellica, a Milano veniva dato alle stampe il primo numero di «Primo maggio», una delle riviste più importanti nella storia dell’«operaismo italiano». Quella rivista aveva il proprio punto di riferimento in Sergio Bologna, attorno al quale si erano raccolti alcuni giovani storici provenienti da differenti esperienze politiche della sinistra extra-parlamentare, ma vicini all’istanza di quella che veniva definita come una «storia militante». Da qualche anno il ricchissimo Dvd che accompagna un volume curato da Cesare Bermani su quell’esperienza (La rivista «Primo maggio» (1973-1989), Derive Approdi, Roma, 2010) ha rimesso in circolazione tutti i ventinove numeri della rivista, insieme ad alcuni rari documenti complementari. D’altronde, nel lavoro di riscoperta dei classici dell’operaismo italiano promosso in questi ultimi anni da editori come Derive Approdi e Ombre corte, «Primo maggio» non poteva davvero essere dimenticata. Non solo perché, a causa di tormentate vicende editoriali, i fascicoli della rivista erano diventati ben presto introvabili, scomparendo così (quasi totalmente) anche dallo sguardo delle nuove generazioni e da ciò che rimaneva della ricerca critica sulle trasformazioni sociali. Ma soprattutto perché quella rivista – capace di resistere per un quindicennio, oltrepassando anche la soglia fatale del 1980 – seppe proporre al dibattito teorico e politico degli anni Settanta intuizioni preziose, in grado di sfuggire anche alle inevitabili semplificazioni e scorciatoie di una discussione segnata costantemente dall’urgenza. In effetti, scorrendo oggi le pagine dei ventinove numeri di «Primo maggio», ciò che emerge – insieme a qualche scontato segno del tempo, marcato soprattutto a livello lessicale (perché il lessico politico-teorico di allora era abissalmente distante da quello di oggi, tanto da risultare talvolta persino indecifrabile a un lettore contemporaneo) – è il quadro di un’esperienza capace di proporre ipotesi originali e di individuare con lungimiranza i sentieri che la ristrutturazione produttiva avrebbe imboccato negli anni seguenti.
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Posted: Novembre 6th, 2013 | Author: agaragar | Filed under: 99%, anthropos, bio, donnewomenfemmes, epistemes & società, Révolution, vita quotidiana | 8 Comments »
by ada
“Every technology is reproductive technology” – Donna Haraway
Reproductive futurism in the neoliberal present
Suddenly, it feels a lot like 1984—not the iconic 1984 of Orwell’s dystopia, but the 1984 in which Margaret Atwood composed The Handmaid’s Tale. This was the same year that saw the release of the anti-abortion film The Silent Scream, and only a few years after the unsuccessful push for congressional ratification of the Human Life Statute, which brought the idea of fetal personhood to the national stage. As Valerie Hartouni notes, the 1980s were “obsessively preoccupied with women and fetuses” (42). We might say the same about the 2010s. The list of newly adopted or narrowly averted anti-abortion legislation from the past year is extensive, and all of it justified through the logic of biopolitics. When Texas State Representative Jodie Laubenberg hails the passage of that state’s 20-week abortion ban as “ensuring that women are given the highest quality of health care in a very vulnerable time of their lives,” she appeals to the general affirmation that it is the state’s business to attend to the health and wellbeing of its population—a mandate then easily extended to the health and wellbeing of the unborn [1].
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Posted: Novembre 2nd, 2013 | Author: agaragar | Filed under: 99%, BCE, bio, comune, comunismo, epistemes & società | Commenti disabilitati su L’economia del debito e il «governo» della povertà: una critica della microfinanza
di Marco Fama
Il contributo di Marco Fama rappresenta una critica della microfinanza, in quanto istituzione capitalistica. La microfinanza è raccontata al di là di ogni retorica. Essa è spiegata come una vera e propria (bio)politica monetaria che realizza una forma di dominio attraverso l’istituzione di rapporti creditizi che mettono a valore la condizione di povertà. Le nuove forme di governo della povertà incentrate sul (micro)debito, nel mentre si avvalgono della produzione discorsiva neoliberale per mezzo della quale sono presentate come un’occasione di auto-emancipazione per i poveri, portano questi direttamente nel cuore dei meccanismi di spoliazione messi in atto dai mercati finanziari; attraverso le logiche del debito/colpa a queste sottese, inoltre, viene ad esprimersi una forma fattiva di biopotere che ambisce a produrre – tra coloro i quali più di chiunque altro avrebbero motivo di insorgere – delle soggettività docili. Una riflessione preziosa per coloro che aspirano a riappropriarsi di un sapere monetario che sfidi la violenza finanziaria.
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Posted: Ottobre 31st, 2013 | Author: agaragar | Filed under: 99%, au-delà, bio, comune, comunismo, critica dell'economia politica, Marx oltre Marx, postoperaismo | 54 Comments »
di TONI NEGRI.1
1. È nel secondo dopo guerra che si afferma l’intuizione di Pollock – elaborata nell’epoca weimariana – che il mercato capitalista non possa essere considerato in maniera semplicista e retorica come libertà (se non addirittura anarchia) di circolazione e realizzazione del valore delle merci bensì al contrario e fondamentalmente come unità di comando sul livello sociale, come “pianificazione”. Questo concetto socialista, aborrito dal pensiero economico capitalista, rientrava gloriosamente fra le categorie della scienza economica. Il concetto di “capitale sociale” (e cioè di un capitale unificato nella sua estensione sociale, dentro e al di sopra del mercato ed inteso come dispositivo di garanzia del funzionamento del mercato stesso), insomma come sigla di una effettiva direzione capitalista della società, viene sempre più largamente sviluppato.
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