Posted: Aprile 1st, 2014 | Author: agaragar | Filed under: 99%, BCE, crisi sistemica, critica dell'economia politica, epistemes & società, postcapitalismo cognitivo | Commenti disabilitati su Les entreprises ne créent pas l’emploi
par Frédéric Lordon
Il faut avoir sérieusement forcé sur les boissons fermentées, et se trouver victime de leur propension à faire paraître toutes les routes sinueuses, pour voir, comme s’y emploie le commentariat quasi-unanime, un tournant néolibéral dans les annonces récentes de François Hollande [1]. Sans porter trop hauts les standards de la sobriété, la vérité appelle plutôt une de ces formulations dont Jean-Pierre Raffarin nous avait enchantés en son temps : la route est droite et la pente est forte — mais très descendante (et les freins viennent de lâcher).
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Posted: Febbraio 8th, 2014 | Author: agaragar | Filed under: 99%, anthropos, au-delà, BCE, comunismo, critica dell'economia politica, epistemes & società, Marx oltre Marx, post-filosofia, postcapitalismo cognitivo, postoperaismo, Révolution, vita quotidiana | Commenti disabilitati su Giocare il gioco dell’Italian Theory?
di MARCO ASSENNATO
Giocare il gioco dell’Italian Theory? Note sullo stato della filosofia italiana – 4
A fine gennaio si è tenuto a Parigi un convegno sull’Italian Theory, organizzato dall’Université Paris-Ouest Nanterre e dalla Sorbona1. L’asse del convegno, coordinato da Silvia Contarini, Davide Luglio e Federico Luisetti, era dubitativo: L’Italian Theory existe-t-elle? La domanda potrebbe essere ripensata così: esiste un capitolo specifico della storia del pensiero europeo, geograficamente e cronologicamente circoscritto e relativamente omogeneo dal punto di vista tematico, capace tuttavia di offrire una proposta teorica sulla quale incardinare un dibattito utile a sciogliere alcune questioni urgenti per la filosofia contemporanea? attorno a tale questione si è prodotto un fitto confronto tra Roberto Esposito, Toni Negri, Sandro Mezzadra e gli altri partecipanti all’incontro. Com’è facile intuire, la questione è sbilanciata su molteplici incognite, senza sciogliere le quali, tuttavia, nessuna “unità storiografica” può reggere alla verifica teorica.
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Posted: Gennaio 1st, 2014 | Author: agaragar | Filed under: 99%, BCE, bio, comune, comunismo, crisi sistemica, epistemes & società, Marx oltre Marx, postoperaismo, Révolution | Commenti disabilitati su Rompere l’incanto neoliberale: Europa, terreno di lotta
di SANDRO MEZZADRA e TONI NEGRI.
Chi come noi non ha interessi elettorali è nella migliore posizione per riconoscere la grande importanza che avranno, nel 2014, le elezioni per il parlamento europeo. E’ facile prevedere, nella maggior parte dei Paesi interessati, un elevato astensionismo e una significativa affermazione di forze “euroscettiche”, unite dalla retorica del ritorno alla “sovranità nazionale”, dall’ostilità all’euro e ai “tecnocrati di Bruxelles”. Non sono buone cose, per noi. Siamo da tempo convinti che l’Europa ci sia, che tanto sotto il profilo normativo quanto sotto quello dell’azione governamentale e capitalistica l’integrazione abbia ormai varcato la soglia dell’irreversibilità. Nella crisi, un generale riallineamento dei poteri – attorno alla centralità della BCE e a quel che viene definito “federalismo esecutivo” – ha certo modificato la direzione del processo di integrazione, ma non ne ha posto in discussione la continuità. La stessa moneta unica appare oggi consolidata dalla prospettiva dell’Unione bancaria: contestare la violenza con cui essa esprime il comando capitalistico è necessario, immaginare un ritorno alle monete nazionali significa non capire qual è oggi il terreno su cui si gioca lo scontro di classe. Certo, l’Europa oggi è un’“Europa tedesca”, la sua geografia economica e politica si va riorganizzando attorno a precisi rapporti di forza e di dipendenza che si riflettono anche a livello monetario. Ma solo l’incanto neoliberale induce a scambiare l’irreversibilità del processo di integrazione con l’impossibilità di modificarne i contenuti e le direzioni, di far agire dentro lo spazio europeo la forza e la ricchezza di una nuova ipotesi costituente. Rompere questo incanto, che in Italia è come moltiplicato dalla vera e propria dittatura costituzionale sotto cui stiamo vivendo, significa oggi riscoprire lo spazio europeo come spazio di lotta, di sperimentazione e di invenzione politica. Come terreno sul quale la nuova composizione sociale dei lavoratori e dei poveri aprirà, eventualmente, una prospettiva di organizzazione politica. Certo, lottando sul terreno europeo, essa avrà la possibilità di colpire direttamente la nuova accumulazione capitalistica. E’ ormai solo sul terreno europeo che possono porsi la questione del salario come quella del reddito, la definizione dei diritti come quella delle dimensioni del welfare, il tema delle trasformazioni costituzionali interne ai singoli paesi come la questione costituente europea. Oggi, fuori da questo terreno, non si dà realismo politico.
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Posted: Dicembre 24th, 2013 | Author: agaragar | Filed under: BCE, crisi sistemica, epistemes & società, General | Commenti disabilitati su Stagnazione secolare
di Christian Marazzi
Secondo alcuni istituti di ricerca, l’anno prossimo l’economia svizzera dovrebbe cavarsela abbastanza bene, certamente se si guarda alle prospettive poco rosee dei paesi dell’eurozona.
Aumento delle espostazioni, grazie al nostro rapporto privilegiato con l’economia tedesca fortemente orientata alla crescita delle esportazioni; aumento, secondo alcuni istituti, addirittura della massa salariale, anche se in questo caso non si specifica a che livello della scala dei redditi.
Tanto meglio, vien da dire, se il nostro PIL è destinato a crescere attorno al 2%, anche se va detto che la crescita in sé non è garanzia di maggiore equità distributiva. Da anni i frutti della crescita non sgocciolano verso il basso, tanto che le disuguaglianze sono aumentate fortemente da noi come ovunque. E questo è “il” problema, certamente sociale, ma anche economico.
Non a caso alcuni economisti che guardano con disincanto al futuro delle economie occidentali parlano di “stagnazione secolare”, un periodo, che rischia di essere lungo, di domanda cronicamente debole e di crescita anemica, nella migliore delle ipotesi. Il rischio deflazione incombe sul mondo, in particolare in Europa, e se non sarà la grande depressione degli anni Trenta è solo grazie alla presenza della rete della sicurezza sociale, che comunque non pochi politici persistono nel voler ridurre. Ma, avvertono i più, il margine sostenibile di intervento dei governi è molto più risicato per il peso elevato della spesa pubblica. Tutto questo dopo cinque anni dall’esplosione della crisi durante i quali gli interventi delle autorità monetarie sono stati davvero straordinari, rivelandosi però più un sostegno ai mercati finanziari che non all’economia reale.
E quindi, che fare? Le ipotesi sono più o meno queste.Una ulteriore riduzione dei tassi reali d’interesse, nella speranza di rilanciare l’inflazione. Benché politicamente accettabile, non sembra proprio che i prezzi possano invertire la tendenza al ribasso con ulteriori iniezioni di liquidità.
L’altra ipotesi è quella di uscire dalla “bonus culture”, la cultura delle alte remunerazioni dei manager che da due decenni ormai ha visto le grandi imprese privilegiare i prezzi dei titoli azionari rispetto agli investimenti produttivi. Su questo fronte è più probabile assistere ad una riduzione degli stipendi del personale a fronte di un aumento dei dividendi distribuiti agli azionisti, sia per fidelizzarli che per attrarne di nuovi, soprattutto nel settore bancario, confrontato con i bisogni di ricapitalizzazione.
La terza ipotesi, quella che sembra la più ragionevole, è di sfruttare l’eccedenza di risparmio in circolazione per finanziare l’aumento degli investimenti pubblici, con particolare attenzione all’economia ecologicamente sostenibile. E’ quanto auspica ad esempio l’OCSE nel suo Rapporto annuale sull’allocazione dei fondi pensione.
Mediamente, solo lo 0,9% dei fondi pensione analizzati su scala europea è investito in infrastrutture pubbliche, il che è assurdo, dato che i rendimenti dei fondi e delle infrastrutture dovrebbero convergere nel medio-lungo periodo, e questo nell’interesse della collettività.
Certo è che se non si affronta con determinazione il rischio della “stagnazione secolare”, tentando nuove vie e senza paura di commettere possibili errori, nessun ottimismo di fine anno riuscirà a tranquillizzarci.
Posted: Dicembre 4th, 2013 | Author: agaragar | Filed under: 99%, BCE, crisi sistemica, critica dell'economia politica, epistemes & società, postcapitalismo cognitivo, postoperaismo, Révolution | Commenti disabilitati su Crisi finanziaria e capitalismo cognitivo
Intervista a Yann Moulier-Boutang di DAVIDE GALLO LASSERE
La crisi che scuote il mondo intero da cinque anni pare non voglia calmarsi. Il discorso convenzionale pone sul banco degli accusati la separazione progressiva tra una cosiddetta economia reale, buona e produttiva, e una finanza semplicemente parassitaria, tagliata fuori da ogni connessione col mondo concreto. Da parte tua, sebbene non sottostimi per nulla il dominio e il ricatto esercitati dai mercati e dagli operatori finanziari, rifiuti ogni distinzione così netta. Pertanto, ritieni che non ci si possa più limitare a invocare un fantasmagorico ritorno al reale. Potresti spiegare perché le cose non son così semplici come sembrano?
In effetti bisogna distinguere la parte finanziaria dell’economia reale, dalla parte non finanziaria dell’economia reale. Entrambe sono pienamente reali. Del credito, che è la sostanza della moneta la cui forma consiste nella più o meno grande liquidità o esigibilità (le famose forme della massa monetaria M1, M2, M3), genera immediatamente delle possibilità d’investimento, dei salari, degli acquisti di beni e servizi, degli impieghi. Ciò che succede è che la parte finanziaria dell’economia reale diventa via via più gigantesca a mano a mano che l’economia diventa più complessa, e che si accrescono l’interdipendenza e la mutualizzazione degli impegni contrattuali o legali e regolamentari. Per 150 miliardi di dollari quotidiani di PIL mondiale e altrettanto di commercio di beni, si hanno 1500 miliardi di transazioni che coprono il rischio di cambio e 3700 miliardi di transazioni su delle promesse concernenti il futuro, i famosi prodotti derivati. Questo era l’ordine di grandezza nel 2009 e malgrado la scomparsa della metà dei 2000 Hedge Funds (fondi di piazzamento dei capitali a rischio) la scala è rimasta la medesima. La verità è che affinché ciò che taluni chiamano “l’economia reale” diventi realtà bisogna che la finanza attivi questo armamentario impressionante. L’economia starebbe meglio senza una finanza che tanti a sinistra descrivono come un parassita inutile che si potrebbe tranquillamente appendere a testa in giù? Diffidiamo del sofisma già denunciato da Kant secondo il quale la colomba volerebbe meglio nel vuoto. Non si tratta di negare l’evidenza, ossia che i finanzieri sanno trarre dall’ipertrofia della sfera finanziaria una posizione di forza nella fetta di reddito che si accaparrano. Questa è una costante nella storia del capitalismo mercantilista, industriale, finanziario e oggi cognitivo. Ciò che merita di essere pensato e pesato sono le trasformazione dell’economia in blocco (sfera finanziaria e non finanziaria). Innumerevoli analisi sulla finanziarizzazione dell’economia nella globalizzazione (quest’ultima globalizzazione, preceduta da altre tre nella storia dell’Occidente) considerano soltanto un lato del problema: le ripercussioni (essenzialmente negative) del gonfiamento della sfera finanziaria su ciò che chiamano la sfera dell’economia reale, spesso ridotta a quell’industria che promuovono al rango di sola realtà, unica creatrice di ricchezza (come l’agricoltura in Quesnay). È senz’altro vero che è molto attraente, in un sistema che erige la massimizzazione del profitto all’alfa e all’omega, guadagnare il 30% l’anno tramite i soli piazzamenti finanziari (per esempio la speculazione immobiliare), quando guadagnare il 15% in imprese diventa una prodezza (una prodezza tuttavia pretesa dai fondi pensione), mentre il 5% nelle PMI risulta essere la banale realtà corrente. Questi effetti secondari non risolvono la questione dell’ipertrofia senza precedenti della finanza. Ho cercato di mostrare altrove che la crescita della liquidità e del potere di esercitare un effetto leva da parte della finanza (il passaggio da 5 o 9 del corso del credito per 1 di attivi sotto forma di fondi propri, a più di 30) traduceva nella sfera finanziaria qualcosa che non ha nulla a che vedere con la speculazione, né con un meccanismo autoalimentato in stile bolla, né con gli animal spirits dell’homo oeconomicus, ma che riguarda una trasformazione reale dell’economia.
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Posted: Novembre 2nd, 2013 | Author: agaragar | Filed under: 99%, BCE, bio, comune, comunismo, epistemes & società | Commenti disabilitati su L’economia del debito e il «governo» della povertà: una critica della microfinanza
di Marco Fama
Il contributo di Marco Fama rappresenta una critica della microfinanza, in quanto istituzione capitalistica. La microfinanza è raccontata al di là di ogni retorica. Essa è spiegata come una vera e propria (bio)politica monetaria che realizza una forma di dominio attraverso l’istituzione di rapporti creditizi che mettono a valore la condizione di povertà. Le nuove forme di governo della povertà incentrate sul (micro)debito, nel mentre si avvalgono della produzione discorsiva neoliberale per mezzo della quale sono presentate come un’occasione di auto-emancipazione per i poveri, portano questi direttamente nel cuore dei meccanismi di spoliazione messi in atto dai mercati finanziari; attraverso le logiche del debito/colpa a queste sottese, inoltre, viene ad esprimersi una forma fattiva di biopotere che ambisce a produrre – tra coloro i quali più di chiunque altro avrebbero motivo di insorgere – delle soggettività docili. Una riflessione preziosa per coloro che aspirano a riappropriarsi di un sapere monetario che sfidi la violenza finanziaria.
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Posted: Ottobre 26th, 2013 | Author: agaragar | Filed under: 99%, BCE, comunismo, crisi sistemica, critica dell'economia politica, epistemes & società, postoperaismo | Commenti disabilitati su Quale sovranità monetaria? Pensare la crisi europea
di Stefano Lucarelli
In occasione della pubblicazione francese del saggio di Christian Marazzi “Finanza bruciata”, può essere utile analizzare il dibattito francese sulla crisi economico-finanziaria. In questo saggio, Stefano Lucarelli ripercorre le diverse posizioni della corrente eterodossa (da André Orléan, François Chesnais, Jacques Sapir al “Manifesto d’économistes atterrés” promosso in Francia da P. Askenazy, T. Coutrot, H. Sterdyniak e dallo stesso Orléan), mettendo in luce come il tema dell’instabilità connaturata nei mercati finanziari e la questione dei debiti illegittimi porti alle necessità di ridefinire la sovranità monetaria in Europa. In questa ottica, diventa impellente oggi avviare un dibattito sulla “moneta del comune”, ovvero la possibilità di istituire dei circuiti finanziari alternativi.
« Uno dei rischi peggiori di questa crisi è la chiusura su se stessi degli Stati-nazione, la corsa a svalutazioni competitive per riconquistare fette di mercato sottraendole agli altri con misure protezionistiche. È così che, di solito, scoppiano le guerre »[1].
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Posted: Ottobre 6th, 2013 | Author: agaragar | Filed under: 99%, BCE, crisi sistemica, critica dell'economia politica, epistemes & società, Global, Marx oltre Marx | 2 Comments »
Per comprendere la natura della crisi delle istituzioni democratiche che accompagna la crisi economica esplosa tra il 2007 e il 2008 appare sempre più urgente definire un quadro analitico di lungo periodo: la deriva plebiscitaria e carismatica non è che un frutto del trentennio neoliberista apertosi dalla metà degli anni Settanta.
di Alberto Burgio, da www.costituzionalismo.it
Tra liberismo e fascismo
In estrema sintesi, il senso di questo intervento consiste nell’affermare che è possibile comprendere la crisi della politica, nell’ambito della quale si pongono fenomeni oggi particolarmente vistosi come l’astensionismo di massa, la critica della democrazia rappresentativa e l’invocazione della democrazia diretta, soltanto se la si inquadra in un contesto ampio e di lungo periodo. Ampio, nel senso che questa crisi si collega alla crisi sociale ed economica (in verità anche a una crisi che Gramsci definirebbe «intellettuale e morale»); di lungo periodo, poiché essa chiama in causa una «grande trasformazione» verificatasi nel corso degli ultimi 50-60 anni.
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Posted: Ottobre 5th, 2013 | Author: agaragar | Filed under: 99%, anthropos, BCE, comune, crisi sistemica, epistemes & società, Global, racisme | 11 Comments »
di Susan George
Un intervento della sociologa americana, ospite al festival Internazionale di Ferrara. Le «autorità illegittime» dell’Europa sono le imprese transnazionali: come un governo ombra, agiscono attraverso le lobby e gli oscuri comitati di esperti, decidendo tutto ciò che riguarda la nostra vita quotidiana
Se avete a cuore il vostro cibo, la vostra salute e la sicurezza finanziaria vostra e quella della vostra famiglia, le tasse che pagate, lo stato del pianeta e della stessa democrazia, vi è un importante cambiamento politico di cui dovete essere consapevoli.
Io chiamo questo cambiamento la «ascesa di autorità illegittima». Il governo di rappresentanti chiaramente identificabili e democraticamente eletti viene gradualmente soppiantato da un nuovo governo ombra in cui enormi imprese transnazionali (Tnc) sono onnipresenti e stanno prendendo di più in più decisioni che riguardano tutta la nostra vita quotidiana.
Essi possono agire attraverso le lobby o oscuri «comitati di esperti»; attraverso organismi ad hoc che ottengono un riconoscimento ufficiale; talvolta, attraverso accordi negoziati in segreto e preparati con cura da executive delle imprese al più alto livello. Lavorano a livello nazionale, europeo e sovranazionale, ma anche all’interno delle stesse Nazioni Unite, da una dozzina di anni nuovo campo di azione per le attività delle corporate. Non si tratta di una sorta di teoria paranoica della cospirazione: i segni sono tutti intorno a noi, ma per il cittadino medio sono difficili da riconoscere. Noi continuiamo a credere, almeno in Europa, di vivere in un sistema democratico.
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Posted: Giugno 1st, 2013 | Author: agaragar | Filed under: BCE, comune, crisi sistemica | 37 Comments »
CONTINENTI ALLA DERIVA
L’Unione parla tedesco
di Marco Bascetta
Da nazione a vocazione europeista dopo la catastrofe nazionalsocialista all’egemonia esercitata sugli altri paesi dell’Europa per allontanare dal paese gli effetti della crisi. L’ultimo libro di Ulrich Beck per Laterza
«Oggi il Bundestag tedesco decide sul destino della Grecia», annuncia un notiziario della radio nel febbraio del 2012. È da questo annuncio, inquietante nella sua ostentata naturalezza, che Ulrich Beck prende le mosse per affrontare in un piccolo volume edito da Laterza (Europa tedesca, pp. 96, Euro 12) il tema, spinosissimo, dell’egemonia germanica nell’Europa della crisi. Che il parlamento di uno stato membro possa dettare legge a quello di un altro, non legittimato naturalmente da alcun ordinamento, ma in base a un potere di ricatto che le circostanze gli conferiscono, è un paradosso al quale ci siamo ormai quasi assuefatti. E il fatto che questo potere di decisione passi attraverso i trattati e le istituzioni dell’Unione europea, la valutazione e il giudizio di commissioni e commissari comunitari e transnazionali, perfino attraverso il simulacro di un negoziato, cambia poco alla sostanza e, soprattutto, alla percezione di una profondissima asimmetria, di una dipendenza a senso unico. L’annuncio ci rivela essenzialmente una cosa: la politica europea, in conseguenza dell’architettura comunitaria e delle sue lacune, è ostaggio delle politiche interne dei diversi stati e in particolare di quello economicamente più potente. Dalla Germania europea, quella che abbiamo conosciuto dal 1945 al 1989, saremmo passati, in un breve volgere di anni, – come sostiene Beck – all’Europa tedesca.
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