Marazzi: il baratro dell’economia liquida

Posted: Gennaio 9th, 2013 | Author: | Filed under: 99%, BCE, comune, crisi sistemica, critica dell'economia politica, postcapitalismo cognitivo | Commenti disabilitati su Marazzi: il baratro dell’economia liquida

di RADIO UNINOMADE

tornado

Iniziamo dagli Stati Uniti. Tra la fine del 2012 e l’inizio del 2013, le cronache sono state dominate dal terrore del fiscal cliff e poi dall’accordo in extremis raggiunto da democratici e repubblicani, ancora una volta spaccati. Il debito pubblico americano è però sempre più grande e il baratro della recessione resta all’ordine del giorno. Cosa ci dice questa situazione sul prossimo futuro degli Stati Uniti e sull’amministrazione Obama, e quali conseguenze ha dal punto di vista globale?

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David Graber

Posted: Settembre 22nd, 2012 | Author: | Filed under: au-delà, BCE, crisi sistemica, epistemes & società, Révolution | Commenti disabilitati su David Graber

La democrazia viene da Occupy
intervista di François Peverali

Le politiche dell’austerità servono a consolidare il potere costituito senza tuttavia risolvere la crisi del capitalismo. Un’intervista con l’antropologo statunitense autore di un saggio sul «Debito»
L’antropologo David Graeber ricorda con piacere il suo viaggio in Germania, per presentare l’edizione tedesca del suo libro sul Debito (tradotto in Italia dal Saggiatore con il titolo Debito. I primi 5000 anni, pp. 581, euro 23. Il volume è stato analizzato nel numero del settimale «Alias» allegato al «manifesto» del 31 marzo 2012): un’analisi critica del nesso di sudditanza tra debitori e creditori attraverso 5.000 anni di storia, e dei punti di rottura della sottomissione quando i debiti diventano insostenibili. In Germania, il libro ha trovato recensioni entusiaste perfino in un giornale conservatore come la Frankfurter Allgemeine Zeitung, e resta ai primi posti nelle classiche dele vendite come i bestseller. Forse proprio perché la Germania è il paese che più ha ideologizzato, in chiave rigorista, la sacralità dei vincoli del debito, c’è tanto interesse per chi mette in dubbio questa costruzione.

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SCAFFALI

L’anarchia di un antropologo

David Graeber è un docente di antropologia al Goldsmith College di Londa, che lo ha accolto dopo che la prestigiosa Yale non gli ha rinnovato il contratto nel 2005. Un mancato rinnovo che, il diretto interessato, ha imputato per le sue dichiarazioni sulla militanza anarchica e per la critica al capitalismo statunitense da lui svolta all’interno del suo settore disciplinare, l’antropologia. Autore di «Direct Action and Radical Social Theory», ha partecipato alle iniziative del movimento no-global. Recentemente è stato indicato come uno dei teorici più influenti nell’esperienza Occupy Wall Street. In Italia sono stati pubblicati, oltre a «Debito. I primi 500 anni» (Il saggiatore), «La rivoluzione che viene. Come ripartire dopo la fine del capitalismo» (Manni editore), «Critica della democrazia occidentale. Nuovi movimenti, crisi dello stato, democrazia diretta» (Eleuthera) e «Frammenti di antropologia anarchica» (Eleuthera). Il suo anarchismo non gli ha impedito di vedere nell’opera di Karl Marx uno degli strumenti più importanti per individuare «vie di fuga» dal capitalismo.


Zizek: LA GRECIA CI SALVERA’

Posted: Giugno 8th, 2012 | Author: | Filed under: BCE, crisi sistemica, Révolution | Commenti disabilitati su Zizek: LA GRECIA CI SALVERA’

La Grecia ci salverà

Slavoj Zizek
08.06.2012

Al termine della sua vita Sigmund Freud, il padre della psicoanalisi, fece la famosa domanda «che cosa vuole una donna?», ammettendo la perplessità di fronte all’enigma della sessualità femminile. Una simile perplessità sorge oggi: «Che cosa vuole l’Europa?» Questa è la domanda che voi, il popolo greco, state rivolgendo all’Europa. Ma l’Europa non sa quello che vuole. Il modo in cui gli stati europei e i media riportano ciò che sta accadendo oggi in Grecia è, credo, il miglior indicatore di che tipo di Europa vogliono. È l’Europa neoliberale, è l’Europa degli stati isolazionisti. I critici accusano Syriza di essere una minaccia per l’euro, ma Syriza è, al contrario, l’unica possibilità che ha l’Europa. Ma quale minaccia. Voi state dando all’Europa la possibilità di uscire dalla sua inerzia e di trovare una nuova via.

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L’avenir de l’Europe se joue en Grèce

Posted: Maggio 24th, 2012 | Author: | Filed under: BCE, crisi sistemica, Révolution | Commenti disabilitati su L’avenir de l’Europe se joue en Grèce

« Le nouveau gouvernement français, qui se cantonne dans un silence prudent, devrait affirmer haut et fort, qu’il respectera les décisions du peuple grec, et rejettera toute proposition d’exclure la Grèce de l’Europe ou de la zone euro. » Par Etienne Balibar, philosophe, Michaël Löwy, philosophe et sociologue et Eleni Varikas, professeure de science politique.

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Il vuoto di sovranità in Europa

Posted: Dicembre 22nd, 2011 | Author: | Filed under: BCE, crisi sistemica | 6 Comments »

di Christian Marazzi

Diario economico-politico: il vuoto di sovranità in Europa

di CHRISTIAN MARAZZI

Le reazioni e i commenti al vertice di Bruxelles sono stati tutti prevalentemente negativi. “A disastrous failure at the summit”, ha scritto Martin Wolf sul Financial Times (14 dicembre). Allo stesso modo hanno commentato The Economist, Bloomberg BusinessWeek, e tutti i maggiori quotidiani finanziari. Di fatto, il vertice europeo non ha preso alcuna decisione che possa salvare il Sistema monetario europeo, il patto fiscale (fiscal compact) imposto dalla Germania e accettato dagli altri leader europei, ad eccezione di David Cameron, prefigura quelle che dovrebbero essere le regole di Eurolandia, ma ha scarse possibilità di essere ratificato dai Parlamenti nazionali, perché riduce drasticamente la sovranità nazionale di ogni Paese.

“Le vere misure di emergenza sono state demandate alla Banca centrale europea. Quest’ultima alla vigilia del vertice ha deciso di abbassare i tassi europei all’1% e soprattutto ha deciso di concedere alle banche prestiti illimitati della durata di tre anni, accettando in pegno (come collaterale) anche titoli di scarsa qualità. In questo modo l’Europa spera di invogliare le banche con la prospettiva di consistenti guadagni ad indebitarsi all’1% presso gli sportelli di Francoforte e di usare questi capitali per acquistare titoli statali, che come quelli italiani offrono rendimenti che si aggirano attorno al 6%” (Alfondo Tuor, Ticinonews, 14, 12).

Le cose, però, non sono così semplici. “Nel corso del 2009, quando la Bce iniziò a offrire liquidità su un orizzonte di 12 mesi, molte banche effettivamente ne approfittarono per riempire i bilanci di titoli di Stato. Ma allora il debito pubblico di quasi tutti i Paesi dell’euro sembrava ancora privo di rischi. Oggi non è più così, e le banche sicuramente rimpiangono amaramente quelle decisioni. Le banche del Nord Europa, pur essendo piene di liquidità, stanno cercando di sbarazzarsi del debito dei Paesi periferici dell’euro, e si guarderanno bene dal ricomprarlo. Perché mai le banche del Sud dovrebbero scegliere spontaneamente di comportarsi diversamente? Tra sei mesi l’Autorità bancaria europea condurrà un altro stress test sui bilanci delle banche, e come già successo, il debito pubblico sarà valutato a prezzi di mercato. A quel punto, se la crisi non sarà rientrata, le banche che hanno acquistato debito a rischio potrebbero doversi ricapitalizzare di nuovo. Chi mai vorrà esporsi a questa incognita se non vi è costretto” (Guido Tabellini, “Le banche salva-debito? Un grave errore”, Il Sole 24 Ore, 18 dicembre).

Indurre le banche italiane, ad esempio, a comportarsi in modo “patriottico”, cioè ad acquistare titoli delo Stato italiano in assenza di acquirenti esterni, è un’assurdità, specie se le banche sono già chiamate a finanziare l’economia privata. “Tanto per cominciare, le dimensioni del debito in scadenza sono troppo grandi: solo nel 2012 le Stato italiano dovrà collocare oltre 400 miliardi di debito, circa il 50% in più di tutto il debito già detenuto dalle banche italiane. Ma soprattutto, spingere le banche italiane a comportarsi da acquirente di ultima istanza, al posto di una banca centrale che abdica a questo ruolo, rischia di essere controproducente. Oggi circa il 40% del debito pubblico italiano è detenuto all’estero, in prevalenza dalle banche tedesche e francesi. E’ bene che resti così, perché questa ‘spada di Damocle’ che pende su Germania e Francia è l’unica nostra arma contrattuale” (G. Tabellini, cit.). In altre parole, per tenere assieme Eurolandia bisogna giocare un paese contro l’altro. Non male come prospettiva!

Mario Draghi ha comunque lasciato chiaramente intendere che la Bce potrebbe mettersi a stampare grandi quantità di euro per poi riacquistare titoli statali , se le linee di credito concesse alle banche non si rivelassero sufficienti. Il Quantitative Easing europeo sarebbe giustificato dall’obiettivo della Bce di mantenere la stabilità dei prezzi: “L’obiettivo della stabilità dei prezzi deve essere inteso nelle due direzioni”, Draghi dixit, il che vuol dire che la Bce è chiamata a combattere l’inflazione, ma anche la deflazione, ossia il calo dei prezzi. Dato che siamo già entrati in recessione, la Bce dovrebbe essere disposta a monetizzare il debito stampando grandi quantità di euro.

Questa strategia, simile a quanto sta facendo la Gran Bretagna (austerità da una parte, quantitative easing dall’altra) deve però fare i conti con l’opposizione tedesca. Angela Merkel ha imposto agli altri leader europei di sottoscrivere un Patto fiscale, facendo chiaramente intendere che altrimenti la Germania sarebbe uscita dall’euro. Il che comporta una sostanziale riduzione della sovranità nazionale di ogni Paese membro. E questo non lo vuole nessuno, nemmeno l’Olanda, la Danimarco o la Svezia.

“Il governo tedesco è perfettamente consapevole che il processo di ratifica di questo accordo è estremamente difficile. Sa anche che molti Paesi non riuscirebbero mai a rispettarlo. Basti pensare che l’obiettivo di ridurre ogni anno di un ventesimo il debito pubblico italiano che eccede il 60% del PIL vorrebbe dire che l’Italia, ad esempio, dovrebbe ogni anno attuare manovre di risparmio di ben 45 miliardi di euro. Insomma, queste misure di austerità non sono sostenibili dai Paesi deboli dell’Europa, che già non riescono a centrare gli obiettivi di risanamento dei loro conti pubblici” (A. Tuor, cit.).

“The parallels to the Great Depression are obvuious: the euro acts as a modern day gold standard; fiscal policies are procyclical; adjustment is delayed through an Irving Fisher-style debt deflation dynamics. Will the euro survive a depression? This hard to say. If it does, under unchanged policies, we will be meauring the costs of adjustment not in euros but through a death toll” (Wolfang Münchau, “The British will fare better in this Anglo-French spat”, Financial Times, 19 dicembre).

Ma allora, cosa vuole Berlino? Sembrerebbe che il Governo tedesco voglia la spaccatura della zona euro, senza però assumersene la responsabilità. Per questo continua ad alzare l’asticella delle condizioni che gli altri paesi dovrebbero rispettare per giungere al punto di essere invitata ad uscire dall’euro.

Comunque, non è facile capire cosa e come pensi Angela Merkel. “What is she thinking?” si chiede Peter Coy in un articolo apparso su Bloomberg BusinessWeek (5-11 dicembre). E la risposta è la seguente: il Governo tedesco e Angela Merkel sono degli ordoliberali: “Modern German politics continues to be lnfluenced by a philosophy that originated at the university of Freiburg in the 1930s: ordoliberalism, a conceptual blend of free markets and strong government. It says rigourous regulation is necessary, but only to help the free market achieve its full potential”.

Sull’ordoliberalismo Michel Foucault ha scritto pagine importantissime nel suo La nascita della biopolitica (Feltrinelli, Milano, 2005). Secondo Eucken, il caposcuola dell’ordoliberalismo, “Lo stato è responsabile del risultato dell’attività economica”, ossia lo stato deve dominare il divenire economico. Diversamente dalle politiche liberali keynesiane, il problema dell’ordoliberalismo “è di sapere in che modo sia possibile regolare l’esercizio globale del potere politico in base al principio di un’economia di mercato” (cit. p. 115). Si deve, insomma, governare per il mercato, piuttosto che governare a causa del mercato. “Il problema è sapere come intervenire. Si tratta del problema della maniera di fare, o, se volete, dello stile di governo” (cit., p. 117). Insomma, è il problema della governamentalità e della governance che ha caratterizzato il capitalismo finanziario degli ultimi trent’anni. Per una ricostruzione articolata, critica e molto utile delle contraddizioni che hanno il divenire della contraddizione tra finanziarizzazione e governance, si veda il bel libro di Marco Bertorello e Danilo Corradi, Capitalismo tossico. Crisi della compoetizione e modelli alternativi (Alegre, Roma, 2011).

Non credo che l’esito di questa fase storica sia una sorta di “Deutschemark nationalism”, credo piuttosto che qui, sul piano europeo, ci sia un vuoto di sovranità che impedisca all’ordoliberalismo di funzionare secondo i suoi principi costitutivi. Per ritornare all’articolo di Peter Coy: “The paradox at the heart of the crisis in Europe is that Merkel’s fetish for stability has become deeply destabilizing”. Nel discorso di Angela Merkel, tenuto in febbraio a Freiburg alla conferenza della “Stiftung Ordungspolitik”, l’organizzazione dell’ordoliberalismo tedesco, alla domanda: quanto può adattarsi la Germania alle politiche degli altri paesi, e quanto invece deve attenersi al suo credo ordoliberale, la sua risposta è stata: “That’s an eternal question that plagues me when I wake up in the morning and when I go to bed at night”.


Grèce: coup d’Etat européen face au soulèvement populaire

Posted: Novembre 28th, 2011 | Author: | Filed under: BCE, crisi sistemica | Commenti disabilitati su Grèce: coup d’Etat européen face au soulèvement populaire

Par Stathis Kouvélakis

À l’heure où ces lignes sont écrites, Loukas Papadémos vient de former le nouveau gouvernement dit «d’entente nationale» appelé à succéder à celui du démissionnaire Georges Papandréou. Il a fallu plusieurs jours de tergiversations et d’âpres négociations entre le PASOK (social-démocrate), toujours majoritaire au Parlement, et la Nouvelle Démocratie (ND, opposition de droite), sans oublier le rôle particulièrement actif de l’extrême droite du LAOS [Rassemblement Populaire Orthodoxe], pour arriver à ce résultat.

Au final, un gouvernement dont les principaux portefeuilles économiques et sociaux restent aux mains du PASOK, la droite se cantonnant à deux ministères «régaliens» (Défense, Affaires étrangères). Un gouvernement également marqué par la participation de l’extrême-droite, pour la première fois depuis la chute du régime militaire (1974), qui se voit attribuer un ministère (Transports et Travaux publics) et trois secrétariats d’État.

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Zapatero ha chinato la testa

Posted: Ottobre 3rd, 2011 | Author: | Filed under: BCE, crisi sistemica | Commenti disabilitati su Zapatero ha chinato la testa

A cosa servono le sinistre europee?

di Franco Berardi “Bifo”

Il 20 Novembre si terranno le elezioni in Spagna, dopo che il governo a guida socialista ha deciso di rinunciare a condurre a termine la legislatura per le difficoltà di gestione della situazione economica, non prima però di avere avviato una politica di austerità aggressiva, che è già costata riduzioni di stipendio per i lavoratori pubblici, tagli alle diponibilità delle amministrazioni regionali, riduzione del finanziamento per i servizi sanitari, e soprattutto non prima di aver accettato la devastante logica antisociale imposta dalle autorità centrali europee.

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Intervista a Giorgio Lunghini

Posted: Ottobre 1st, 2011 | Author: | Filed under: BCE | 51 Comments »

Se governa la finanza. Intervista a Giorgio Lunghini

Che cos’è che ti colpisce di più della crisi attuale dell’Europa? L’immutabilità del paradigma liberista? L’intoccabilità della finanza? L’incapacità politica?

Colpiscono tutte e tre le cose, che però vanno ridefinite. È davvero liberista la politica economica europea, una politica economica in verità imposta da un solo paese, la Germania? In che senso la finanza è intoccabile, se non nel senso che essa finanza è al governo e che dunque la politica è impotente? La finanza è al governo perché l’Unione Europea, non essendo una unione politica, è indifesa nei confronti di quello che Chomski, riprendendo Eichengreen, chiama il “senato virtuale”.

Questo senato virtuale è costituito da prestatori di fondi e da investitori internazionali che continuamente sottopongono a giudizio, anche per mezzo delle agenzie di rating, le politiche dei governi nazionali; e che se giudicano ”irrazionali” tali politiche – perché contrarie ai loro interessi – votano contro di esse con fughe di capitali, attacchi speculativi o altre misure a danno di quei paesi (e in particolare delle varie forme di stato sociale). I governi democratici hanno dunque un doppio elettorato: i loro cittadini e il senato virtuale, che normalmente prevale.

Ma ciò che colpisce di più è la straordinaria occasione storica che l’Europa ha mancato, nonostante le risorse naturali, economiche, umane e culturali di cui dispone: l’occasione di diventare una Unione democratica e giusta, ricca e indipendente.

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Il lungo purgatorio che ci attende

Posted: Settembre 12th, 2011 | Author: | Filed under: BCE, crisi sistemica | 9 Comments »

di Bifo

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“L’operaio tedesco non vuol pagare il conto del pescatore greco.” dicono i pasdaran dell’integralismo economicista. Mettendo lavoratori contro lavoratori la classe dirigente finanziaria ha portato l’Europa sull’orlo della guerra civile. Le dimissioni di Stark segnano un punto di svolta: un alto funzionario dello stato tedesco alimenta l’idea (falsa) che i laboriosi nordici stiano sostenendo i pigri mediterranei, mentre la verità è che le banche hanno favorito l’indebitamento per sostenere le esportazioni tedesche.Per spostare risorse e reddito dalla società verso le casse del grande capitale, gli ideologi neoliberisti hanno ripetuto un milione di volte una serie di panzane, che grazie al bombardamento mediatico e alla subalternità culturale della sinistra sono diventati luoghi comuni, ovvietà indiscutibili, anche se sono pure e semplici contraffazioni. Elenchiamo alcune di queste manipolazioni che sono l’alfa e l’omega dell’ideologia che ha portato il mondo e l’Europa alla catastrofe:

Prima manipolazione:

riducendo le tasse ai possessori di grandi capitali si favorisce l’occupazione. Perché? Non l’ha mai capito nessuno. I possessori di grandi capitali non investono quando lo stato si astiene dall’intaccare i loro patrimoni, ma solo quando pensano di poter far fruttare i loro soldi. Perciò lo stato dovrebbe tassare progressivamente i ricchi per poter investire risorse e creare occupazione. La curva di Laffer che sta alla base della Reaganomics è una patacca trasformata in fondamento indiscutibile dell’azione legislativa della destra come della sinistra negli ultimi tre decenni.

Seconda manipolazione:

prolungando il tempo di lavoro degli anziani, posponendo l’età della pensione si favorisce l’occupazione giovanile. Si tratta di un’affermazione evidentemente assurda. Se un lavoratore va in pensione si libera un posto che può essere occupato da un giovane, no? E se invece l’anziano lavoratore è costretto a lavorare cinque sei sette anni di più di quello che era scritto nel suo contratto di assunzione, i giovani non potranno avere i posti di lavoro che restano occupati. Non è evidente? Eppure le politiche della destra come della sinistra da tre decenni a questa parte sono fondate sul misterioso principio che bisogna far lavorare di più gli anziani per favorire l’occupazione giovanile. Risultato effettivo: i detentori di capitale, che dovrebbero pagare una pensione al vecchietto e un salario al giovane assunto, pagano invece solo un salario allo stanco non pensionato, e ricattano il giovane disoccupato costringendolo ad accettare ogni condizione di precariato.

Terza manipolazione:

Occorre privatizzare la scuola e i servizi sociali per migliorarne la qualità grazie alla concorrenza. L’esperienza trentennale mostra che la privatizzazione comporta un peggioramento della qualità perché lo scopo del servizio non è più soddisfare un bisogno pubblico ma aumentare il profitto privato. E quando le cose cominciano a funzionare male, come spesso accade, allora le perdite si socializzano perché non si può rinunciare a quel servizio, mentre i profitti continuano a essere privati.

Quarta manipolazione:

I salari sono troppo alti, abbiamo vissuto al disopra dei nostri mezzi dobbiamo stringere la cinghia per essere competitivi. Negli ultimi decenni il valore reale dei salari si è ridotto drasticamente, mentre i profitti si sono dovunque ingigantiti. Riducendo i salari degli operai occidentali grazie alla minaccia di trasferire il lavoro nei paesi di nuova industrializzazione dove il costo del lavoro era e rimane a livelli schiavistici, il capitale ha ridotto la capacità di spesa. Perché la gente possa comprare le merci che altrimenti rimangono invendute, si è allora favorito l’indebitamento in tutte le sue forme. Questo ha indotto dipendenza culturale e politica negli attori sociali (il debito agisce nella sfera dell’inconscio collettivo come colpa da espiare), e al tempo stesso ha fragilizzato il sistema esponendolo come ora vediamo al collasso provocato dall’esplodere della bolla.

Quinta manipolazione:

l’inflazione è il pericolo principale, al punto che la Banca centrale europea ha un unico obiettivo dichiarato nel suo statuto, quello di contrastare l’inflazione costi quel che costi.

Cos’è l’inflazione? E’ una riduzione del valore del denaro o piuttosto un aumento dei prezzi delle merci. E’ chiaro che l’inflazione può diventare pericolosa per la società, ma si possono creare dei dispositivi di compensazione (come era la scala mobile che in Italia venne cancellata nel 1984, all’inizio della gloriosa “riforma” neoliberista). Il vero pericolo per la società è la deflazione, strettamente collegata alla recessione, riduzione della potenza produttiva della macchina collettiva. Ma chi detiene grandi capitali, piuttosto che vederne ridotto il valore dall’inflazione, preferisce mettere alla fame l’intera società, come sta accadendo adesso. La Banca europea preferisce provocare recessione, miseria, disoccupazione, impoverimento, barbarie, violenza, piuttosto che rinunciare ai criteri restrittivi di Maastricht, stampare moneta, dando così fiato all’economia sociale, e cominciando a redistribuire ricchezza. Per creare l’artificiale terrore dell’inflazione si agita lo spettro (comprensibilmente temuto dai tedeschi) degli anni ’20 in Germania, come se causa del nazismo fosse stata l’inflazione, e non la gestione che dell’inflazione fece il grande capitale tedesco e internazionale.

Ora tutto sta crollando, è chiaro come il sole. Le misure che la classe finanziaria sta imponendo agli stati europei sono il contrario di una soluzione: sono un fattore di moltiplicazione del disastro. Il salvataggio finanziario viene infatti accompagnato da misure che colpiscono il salario (riducendo la domanda futura), e colpiscono gli investimenti nella istruzione e nella ricerca (riducendo la capacità produttiva futura), quindi immediatamente inducono recessione. La Grecia ormai lo dimostra. Il salvataggio europeo ne ha distrutto le capacità produttive, privatizzato le strutture pubbliche demoralizzato la popolazione. Il prodotto interno lordo è diminuito del 7% e non smette di crollare. I prestiti vengono erogati con interessi talmente alti che anno dopo anno la Grecia sprofonda sempre più nel debito, nella colpa, nella miseria e nell’odio antieuropeo. La cura greca viene ora estesa al Portogallo, alla Spagna, all’Irlanda, all’Italia. Il suo unico effetto è quello di provocare uno spostamento di risorse dalla società di questi paesi verso la classe finanziaria. L’austerità non serve affatto a ridurre il debito, al contrario, provoca deflazione, riduce la massa di ricchezza prodotta e di conseguenza provocherà un ulteriore indebitamento, fin quando l’intero castello crollerà.

A questo i movimenti debbono essere preparati. La rivolta serpeggia nelle città europee. In qualche momento, nel corso dell’ultimo anno, ha preso forma in modo visibile, dal 14 dicembre di Roma Atene e Londra, all’acampada del maggio-giugno di Spagna, fino alle quattro notti di rabbia dei sobborghi d’Inghilterra. E’ chiaro che nei prossimi mesi l’insurrezione è destinata a espandersi, a proliferare. Non sarà un’avventura felice, non sarà un processo lineare di emancipazione sociale.

La società dei paesi è stata disgregata, fragilizzata, frammentata da trent’anni di precarizzazione, di competizione selvaggia nel campo del lavoro, e da trent’anni di avvelenamento psicosferico prodotto dalle mafie mediatiche, gestite da criminali come Berlusconi e Murdoch.

L’insurrezione che viene sarà un processo non sempre allegro, spesso venato da fenomeni di razzismo, di violenza autolesionista. Questo è l’effetto della desolidarizzazione che il neoliberismo e la politica criminale della sinistra hanno prodotto nell’esercito proliferante e frammentato del lavoro.

Nei prossimi cinque anni possiamo attenderci un diffondersi di fenomeni di guerra civile interetnica, come già si è intravisto nei fumi della rivolta inglese, ad esempio negli episodi violenti di Birmingham. Nessuno potrà evitarlo, e nessuno potrà dirigere quell’insurrezione, che sarà un caotico riattivarsi delle energie del corpo della società europea troppo a lungo compresso, frammentato e decerebrato.

Il compito che i movimenti debbono svolgere non è provocare l’insurrezione, dato che questa seguirà una dinamica spontanea e ingovernabile, ma creare (dentro l’insurrezione o piuttosto accanto, in parallelo) le strutture conoscitive, didattiche, esistenziali, psicoterapeutiche, estetiche, tecnologiche e produttive che potranno dare senso e autonomia a un processo in larga parte insensato e reattivo.

Nell’insurrezione ma anche fuori di essa dovrà crescere il movimento di reinvenzione d’Europa, ponendosi come primo obiettivo l’abbattimento dell’Europa di Maastricht, il disconoscimento del debito e delle regole che l’hanno generato e lo alimentano, e lavorando alla creazione di luoghi di bellezza e di intelligenza, di sperimentazione tecnica e politica.

La caduta d’Europa (inevitabile) non sarà un fatto da salutare con gioia, perché aprirà la porta a processi di violenza nazionalista e razzista. Ma l’Europa di Maastricht non può essere difesa.

Compito del movimento sarà proprio riarticolare un discorso europeo basato sulla solidarietà sociale, sull’egualitarismo, sulla riduzione del tempo di lavoro, sulla redistribuzione della ricchezza, sull’esproprio dei grandi capitali, sulla cancellazione del debito, e sulla nozione di sconfinamento, di superamento della territorialità della politica.

Abolire Maastricht, abolire Schengen, per ripensare l’Europa come forma futura dell’internazionale, dell’uguaglianza e della libertà (dagli stati, dai padroni e dai dogmi)

E’ probabile che il prossimo passaggio dell’insurrezione europea abbia come scenario l’Italia.

Mentre Berlusconi ci ipnotizza con i suoi funambolismi da vecchio mafioso, eccitando l’indignazione legalitaria, Napolitano ci frega il portafoglio. La divisione del lavoro è perfetta. Gli indignati d’Italia credono che basti ristabilire la legalità perché le cose si rimettano a funzionare decentemente, e credono che i diktat europei siano la soluzione per le malefatte della casta mafiosa italiana. Dopo trent’anni di Minzolini e Ferrara non ci dobbiamo meravigliare che si possa credere a favole di questo genere. Il Purgatorio che ci aspetta è invece più complicato e lungo.

Dovremo forse passare attraverso un’insurrezione legalitaria che porterà al disastro di un governo della Banca centrale europea impersonato da un banchiere o da un confindustriale osannato dai legalitari.

Sarà quel governo a distruggere definitivamente la società italiana, e i prossimi anni italiani saranno peggiori dei venti che abbiamo alle spalle. E’ meglio saperlo.

Ed è anche meglio sapere che una soluzione al problema italiano non si trova in Italia, ma forse (e sottolineo forse) si troverà nell’insurrezione europea.

10 settembre 2011


resistenza

Posted: Settembre 1st, 2011 | Author: | Filed under: BCE, crisi sistemica, critica dell'economia politica | Commenti disabilitati su resistenza

Il diritto alla bancarotta come contropotere finanziario

di Andrea Fumagalli *

Solo il diritto all’insolvenza degli stati potrebbe smontare il potere finanziario. L’Euopa potrebbe cambiare le regole e unire le sue politiche fiscali Una finanza mondiale grande otto volte l’economia reale non è sopportabile e la politica monetaria aiuta la speculazione

In queste settimane di crisi finanziaria e di pressione speculativa sui paesi mediterranei, l’Europa non ha fatto una bella figura. E non poteva essere altrimenti, dal momento che la costruzione di un’Europa politica, economica e sociale è ancora lungi dall’essere raggiunta. I poteri sono in mano alla Bce, che detta legge, tramite l’asse Merkel -Sarkozy. Eppure, ci potrebbero essere gli spazi per creare le premesse della costruzione di quell’Unione europea, sociale, economica, solidale e federale che tutti auspichiamo, in grado di essere superiore agli opportunismi nazionalistici.

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