Economia del desiderio e condizioni di libertà nel capitalismo contemporaneo
Questo lavoro si sviluppa a partire da alcune tesi preliminari.
La prima – che in effetti, benché assuma una valenza metodologica, è più una postura o un atteggiamento che una tesi vera e propria – implica che ogni critica allo stato di cose presente e ogni immagine di possibili vie di liberazione debbano forgiarsi con le materie prime e con gli strumenti forniti dal presente stesso. Bisogna resistere alla tentazione di immaginare che le vie di una liberazione possibile consistano nel recupero di qualche antico principio, di qualche forma di vita non inquinata dalle sottili polveri del presente. E bisogna farlo per la semplice ragione che le forme di vita del presente, anche se sfruttate e messe a profitto, sono le forme della nostra vita, sono tutta la vita che abbiamo.
La seconda tesi constata che il presente, la vita nel presente, nella sua materialità e nelle sue relazioni, è presa in ciò che ancora dobbiamo chiamare capitalismo.
Vivere l’insicurezza sociale equivale a trovarsi alla mercé di ogni minimo rischio dell’esistenza: una malattia, un incidente, un’interruzione del lavoro, un imprevisto nel corso della vita possono spezzare il fragile equilibrio della quotidianità e far precipitare nella disgrazia, se non addirittura nella rovina. Su scala storica, questa insicurezza sociale è stata la condizione ordinaria di quello che un tempo era detto il popolo. «Vivere alla giornata», dispiegare sforzi costanti per arrivare a «sbarcare il lunario», sfiancarsi al fine di «guadagnarsi il pane»… Sono stati questi, nel corso dei secoli, i problemi quotidiani di quanti non avevano che il frutto del proprio lavoro per vivere o per sopravvivere. Nessuna provvista, nessuna proprietà, nessun gruzzoletto: tutti i giorni la domanda imperiosa su come si presenterà il domani. L’insicurezza sociale è questa impossibilità di securizzare l’avvenire, poiché la padronanza di questo avvenire dipende da condizioni che ci sfuggono.
Non passa giorno senza che il governo francese dichiari fedeltà alle strategie economiche più liberiste: «politica dell’offerta», tagli alla spesa pubblica, stigmatizzazione degli «sprechi» e degli «abusi» nella previdenza sociale. Tanto che il padronato esita sulla condotta da tenere. E la destra confessa il proprio imbarazzo davanti a un tale livello di plagio…
Scritto da Gigi. Postato in Cartografia delle lotte nella crisi
Proponiamo all’attenzione di tutte/i questo appello firmato da alcuni intellettuali e attivisti europei e non solo per denunciare il clima di crescente intimidazione e repressione presente in Italia e in Europa.
Clamoroso è il caso della lotta in Val di Susa, dove attualmente quattro giovani sono sottoposti a un regime carcerario di isolamento, accusati di “terrorismo”, e 54 persone si trovano sotto processo per aver manifestato, in forme diverse, il loro dissenso contro il proseguo dei lavori per l’Alta Velocità a cui da venti anni si oppongono le comunità della zona. Non basta: altri episodi diffusi di repressione del dissenso e del diritto a manifestare ci allarmano grandemente.
Promotori di tale iniziativa sono gli iscritti alla lista Effimera, variegata realtà di ricerca e di pensiero internazionale, nata dopo l’esperienza di UniNomade 2.0. Chiediamo a tutti coloro che hanno a cuore la libertà di espressione e di critica di appoggiare questa presa di parola che ha lo scopo di ribadire il diritto all’autodeterminazione dei corpi e dei territori al di fuori delle imposizioni e delle logiche del capitalismo finanziario contemporaneo.
Per firmare: appello.contro.repressione@gmail.com
Segue l’appello in italiano, inglese, francese, tedesco, spagnolo con l’elenco dei primi firmatari.
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Foucault, in una lezione tenuta nel 1978 al Collège de France, scrive che oggi l’arte del governare “ha per bersaglio la popolazione, per forma principale di sapere l’economia politica, per strumenti tecnici essenziali i dispositivi di sicurezza”. Se questo è il piano dentro il quale ci muoviamo, oggi stiamo assistendo ad un salto di qualità dei dispositivi di sicurezza. Osserviamo una complessiva e sottile involuzione autoritaria della società italiana ed europea, dove il conflitto viene patologizzato e interiorizzato e vige la repressione di ogni politica affermativa e di ogni pratica di autonoma gestione di corpi, relazioni, territori. In particolare, ci allarma e ci preoccupa il clima di controllo di un neocapitalismo particolarmente violento nei confronti degli attivisti del movimento No Tav in Val di Susa. Quattro giovani, Claudio, Chiara, Mattia e Niccolò, sono da dicembre in carcere accusati di terrorismo. Altri 54 attivisti No Tav sono sotto processo per i fatti relativi alle manifestazioni del 27/6 e del 3/7/2011, attualmente in corso presso la IV Sezione del Tribunale di Torino, in condizioni in cui, come denunciato pubblicamente dagli avvocati della difesa, si consta “l’oggettiva impossibilità di garantire, nelle attuali condizioni, un sereno e concreto esercizio del diritto di difesa”.
Anche in altre città italiane (Bologna, Milano, Padova, Roma, Treviso, Napoli) negli ultimi mesi sono state emesse ordinanze di “divieto di dimora”, “arresti domiciliari”, “obblighi di firma” destinati a coloro che, più di altri, hanno manifestato dissenso politico.
Noi vediamo nell’esplicarsi di tali durezze fuori misura, il volto di un potere che ha cambiato natura: lontano e dittatoriale, repressivo e dunque “esterno” rispetto alle culture, ai corpi, ai volti, ma contemporaneamente vicino e “intimo”, capace di effettuare un’integrale cattura dell’anima, reclamando di volerla orientare attraverso dispositivi ambientali ed economici che favoriscono l’adesione alla “norma” oppure, viceversa, pronto a espellere, imprigionare, scartare qualsiasi elemento che alla “norma” non voglia adeguarsi.
Un’intera valle e tutta la sua popolazione da quasi venti anni resistono al destino stabilito dalle logiche dello sfruttamento intensivo neoliberista, sordo a ogni desiderio, insensibile ai bisogni della vita e al rispetto dell’ambiente, interessato solo alla razionalizzazione capitalistica dell’esistenza, al calcolo di investimenti in grandi opere inutili ed irragionevoli che debbono essere il più possibile soltanto una fonte di denaro. Di fronte alla fermezza con cui la decisione unilaterale sulla sorte della Val di Susa viene da decenni presentata come una funzione che sottomette tutti i comportamenti agli interessi economici, le comunità hanno messo in gioco i propri corpi, diventando un modello di testarda resistenza alle ragioni del capitalismo-finanziario per il Paese nella sua interezza e anche oltre i confini nazionali. Siamo in presenza di regole oscene che autorizzano a imprigionare quattro ragazzi poiché “l’azione terroristica è idonea ad arrecare danno d’immagine all’Italia” e, aspetto particolarmente significativo, siamo di fronte alla pubblica rivendicazione del lato indecente di questa repressione, con la complicità dei principali media e di buona parte del milieu intellettuale italiano (con poche, ma significative, eccezioni).
Per queste ragioni noi firmando chiediamo l’immediata liberazione degli attivisti imprigionati dietro accuse strumentali e gigantesche. Pensiamo che la moltitudine che si solleva in Val di Susa trasgredisca solo la logica imperante del “capitale umano”. Questi giovani mettono in gioco le proprie vite, rifiutando l’idea della libertà come libera accettazione di una scelta obbligata; hanno sottratto la propria libertà al calcolo, per affidarla alla manifestazione di un’idea.
Non c’è politica che non cominci da lampi come questi, vogliamo ricordarlo. Essi sono i lampi dell’intelligenza e del coraggio imprendibile dell’umanità, gli unici capaci di far tremare la presunta solidità del biopotere contemporaneo. Noi dunque pensiamo che l’avvenire della politica stia nella fedeltà a questi lampi cui chiunque può partecipare, purché sia disposto a mettere davvero in gioco se stesso.
Intervista a cura di Beppe Caccia – Metropolitan Multiversity
Abbiamo intervistato Christian Marazzi a Lugano, nei giorni della tempesta che ha investito le valute delle potenze economiche emergenti e all’indomani del referendum con cui oltre il 50 per cento degli elettori svizzeri hanno chiesto misure restrittive nei confronti dell’immigrazione proveniente dai paesi dell’Unione Europea. Ne è venuta fuori una lettura originale e stimolante delle politiche monetarie seguite dalla Federal Reserve Bank americana e dalla Banca Centrale Europea, nel quadro dell’evoluzione della crisi finanziaria globale. E alcune utili indicazione per i movimenti sociali costituenti in Europa.
Anche nella comunicazione dominante, la narrazione della “ripresa” ha sostituito la retorica dei “sacrifici”: dalle “lacrime e sangue” dell’austerity si è passati a descrivere l’apertura di un nuovo ciclo, di una nuova fase economica di superamento della crisi. Quanto c’è di reale in questo discorso, guardando ovviamente alle diverse aree economiche e politiche del pianeta? Un discorso vale sicuramente per gli Stati Uniti, un discorso vale per le cosiddette “economie emergenti”, un discorso vale per l’Europa. Ma possiamo dire che la crisi è entrata in una nuova fase e che questa è caratterizzata, in qualche modo, da una “ripresa”?
Arjun Appadurai. Nel nuovo libro «Il futuro come fatto culturale. Saggi sulla condizione globale», pubblicato da Raffaello Cortina, l’antropologo indiano mette a tema le forme politiche alternative ai modelli dominanti, a partire dall’esperienza dei movimenti sociali urbani di Mumbai.
Nel suo ultimo lavoro Chantal Mouffe propone una lettura delle più pressanti questioni nella teoria politica contemporanea a partire dalla suo modello di democrazia agonistica. Dalla possibilità di un ordine cosmopolitico alle prospettive di una democratizzazione dell’Unione europea, dai limiti dei movimenti contro l’austerity degli ultimi anni fino agli orizzonti di una ‘nuova sinistra’, l’idea di agonismo è per Mouffe la chiave di volta di un ripensamento complessivo del problema democratico e di una strategia per la costruzione di un’alternativa al neoliberismo. Ma la proposta teorica di Mouffe regge davvero?
Nel suo libro La società della stanchezza (Nottetempo, 2012, pp. 81, Traduzione di Federica Buongiorno), il filosofo Byung-Chul Han sostiene che la società del XXI secolo non può più essere intesa come una società di tipo disciplinare, ma una società della prestazione. I soggetti infatti che la compongono non sono più sottoposti, attraverso determinati dispositivi, a forme di obbedienza, come magistralmente ci ha insegnato Michel Foucault, si caratterizzano piuttosto come imprenditori di se stessi.
Come l’ossessione della sicurezza fa mutare la democrazia
La sicurezza figura tra quelle parole «sgabuzzino» alle quali non si presta più alcuna attenzione tanto sono familiari. Eretta a priorità politica da una quarantina di anni, questa nuova denominazione del mantenimento dell’ordine cambia spesso di pretesto (la sovversione politica, il «terrorismo») ma conserva la sua mira: governare le popolazioni. Per comprendere ed eludere la ragione securitaria, bisogna coglierne l’origine e risalire al XVIII secolo…