Anonymous:”Operation Facebook – 05/11/2011″

Posted: Agosto 11th, 2011 | Author: | Filed under: riots | Commenti disabilitati su Anonymous:”Operation Facebook – 05/11/2011″

Attention citizens of the world,

We wish to get your attention, hoping you heed the warnings as follows:
Your medium of communication you all so dearly adore will be destroyed. If you are a willing hacktivist or a guy who just wants to protect the freedom of information then join the cause and kill facebook for the sake of your own privacy.

Facebook has been selling information to government agencies and giving clandestine access to information security firms so that they can spy on people from all around the world. Some of these so-called whitehat infosec firms are working for authoritarian governments, such as those of Egypt and Syria.

Everything you do on Facebook stays on Facebook regardless of your “privacy” settings, and deleting your account is impossible, even if you “delete” your account, all your personal info stays on Facebook and can be recovered at any time. Changing the privacy settings to make your Facebook account more “private” is also a delusion. Facebook knows more about you than your family. http://www.physorg.com/news170614271.html http://itgrunts.com/2010/10/07/facebook-steals-numbers-and-data-from-your-iph….

You cannot hide from the reality in which you, the people of the internet, live in. Facebook is the opposite of the Antisec cause. You are not safe from them nor from any government. One day you will look back on this and realise what we have done here is right, you will thank the rulers of the internet, we are not harming you but saving you.

The riots are underway. It is not a battle over the future of privacy and publicity. It is a battle for choice and informed consent. It’s unfolding because people are being raped, tickled, molested, and confused into doing things where they don’t understand the consequences. Facebook keeps saying that it gives users choices, but that is completely false. It gives users the illusion of and hides the details away from them “for their own good” while they then make millions off of you. When a service is “free,” it really means they’re making money off of you and your information.

Think for a while and prepare for a day that will go down in history. November 5 2011, #opfacebook . Engaged.

This is our world now. We exist without nationality, without religious bias. We have the right to not be surveilled, not be stalked, and not be used for profit. We have the right to not live as slaves.

We are anonymous
We are legion
We do not forgive
We do not forget
Expect us

“Operation Facebook”


Franco Berardi “Bifo”

Posted: Agosto 11th, 2011 | Author: | Filed under: crisi sistemica, riots | Commenti disabilitati su Franco Berardi “Bifo”

London calling

pubblicata da Franco Berardi il giorno mercoledì 10 agosto 2011 alle ore 20.30

L’ultima estate all’inferno e la prima dell’insurrezione cognitaria

Ero a Liverpool il 26 ottobre 2010, quando John Osborne Ministro dell’economia del governo conservatore inglese tenne il discorso nel quale si dichiarava l’intenzione della classe politica al servizio del capitalismo finanziario inglese di devastare la società, o meglio quel che della società è rimasto dopo trent’anni di politiche neoliberiste thatcheriane e blairiane. “Cinquecentomila dipendenti pubblici saranno licenziati entro tre anni, la spesa per la sanità pubblica saranno ridotte drasticamente, le tasse universitarie saranno moltiplicate per tre” dichiarava quel giovanotto col sorriso sulle labbra. E così via.

Ascolttandolo provai una sensazione molto netta: questi quarantenni che con la ridicola formula big society spacciano il neoliberismo agonizzante come se fosse un dogma indiscutibile, sono semplicemente degli incompetenti: dilettanti allo sbaraglio. Cresciuti come polli d’allevamento nelle loro scuole d’elite non sanno nulla del mondo e pensano che sia composto soltanto di numeri, indici e listini. Quando compaiono sulla scena degli esseri umani sanno dire soltanto che sono delinquenti e chiamano l’esercito.

Almeno la signora Thatcher aveva dovuto scontrarsi con i rabbiosi minatori di Arthur Scargill, e quando dichiarava che la società è una cosa che non esiste, la figlia del droghiere sapeva che quell’affermazione provocatoria corrispondeva a una dichiarazione di guerra. Condusse la sua guerra contro la società e la vinse. Oggi la metropoli inglese è un inferno di macerie sociali dopo una guerra, nonostante i lustrini che Blair ha cinicamente chiamato Cool Britannia. Un inferno di precariato, sfruttamento schiavistico e miseria.

Osborne non pareva chiedersi: è possibile comprimere ulteriormente la vita di milioni di giovani costretti a vivere in condizioni già insopportabili? Sembrava pensare che si trattava di prendere decisioni amministrative e aspettare che la società (che tanto non esiste) si adattasse. La sera del 26 ottobre tenni una conferenza alla Biennale di Liverpool davanti a un pubblico di artisti di strada, insegnanti sottopagati, studenti che fanno lavori precari. Dissi che a mio parere l’Europa stava morendo perché non era in grado di emanciparsi dal dogma monetarista e che entro un anno la Gran Bretagna sarebbe esplosa. E’ accaduto con qualche mese di anticipo, e so per certo che è solo l’inizio.

L’inizio dell’insurrezione europea.

Qualcuno dice che questi rivoltosi non hanno ideali e si limitano a fare la spesa senza pagare. La generazione precaria è stata espropriata di tutto, anche del suo futuro. Ora inizia facendo la spesa senza pagare. Ma è anche la generazione del lavoro cognitivo. Tra i razziatori d’agosto ci sono gli studenti che il 14 dicembre occuparono il centro della city per protestare contro la politica economica che gli toglie l’università e nei mesi di primavera occuparono le banche per tenervi lezioni di microbiologia e letteratura francese, dato che le banche hanno razziato tutto e alla scuola non sono rimasti neppure gli occhi per piangere.

Chi accusa i ribelli d’agosto di essere dei violenti è in mala fede. Prima di tutto Mark Duggan è stato ucciso dai poliziotti e l’inchiesta ha dimostrato che non aveva sparato né intendeva fuggire. In secondo luogo la violenza è quella di una classe dirigente che impedisce ai giovani di studiare.

La generazione cognitiva precaria comincia la sua rivolta afferrando quel che le occorre senza chiedere permesso. Ma la rivolta non si ferma qui, perchè il lavoro precario è anche lavoro ad alto contenuto intellettuale. Ora ci solleviamo, perchè è l’unico modo per riconquistare il nostro territorio di esistenza. Poi ricostruiremo tutto secondo scienza e coscienza. perché soltanto noi, i ribelli precari e cognitivi, liberi dal dogma neoliberista, siamo in grado di farlo.

Con rapidità impressionante il castello del capitalismo finanziario sta crollando, e la civiltà sociale costruita dal lavoro e dalla scienza nei secoli passati della modernità rischia di rimanere sotto le sue macerie. Solo l’autonomia del lavoro cognitivo potrà salvare quell’eredità, e questo è il compito politico, scientifico, e poetico che siamo chiamati a svolgere.

Inizia un decennio di conflitto insurrezionale che si dispiegherà su tutto il territorio europeo.Per difendere i suoi profitti la classe finanziaria è pronta a distruggere tutto, a gettare la popolazione nella miseria, a uccidere e istaurare una dittatura militare come Cameron minaccia di fare nella metropoli inglese. Ma per la prima volta in centocinquant’anni la rivoluzione mondiale è all’ordine del giorno.

L’Europa è il luogo in cui il conflitto si manifesta nella sua forma più avanzata, anche se la recessione occidentale aprirà la strada alla rivolta di centinaia di milioni di operai dell’India e della Cina.

Paradossalmente proprio il collasso dell’Unione europea riporta l’Europa al centro del mondo. Il patrimonio che la dittatura finanziaria sta distruggendo è il patrimonio di cinque secoli di Umanesimo, Illuminismo e Socialismo. Diconoo che questa rivolta non ha ideali. Ma gli ideali sono finora serviti per fregarci.

La follia volontarista del comunismo isterico novecentesco ha lasciato alle sue spalle cinismo e paralisi del pensiero. Ora si è conclusa, come doveva, tragicamente, e i dogmatici stalinisti del ’68 si sono tramutati in dogmatici liberisti. Il fallimento del leninismo ha lasciato campo libero al dogmatismo neoliberista che sta devastando il pianeta. Ma il collasso d’Europa riporta il dramma della lotta fra le classi nel punto in cui lo vide Marx: Londra è in fiamme.

Un passaggio gigantesco della storia del mondo, più grande di quanto fu il ’17, il 68 e l’89, per gli effetti che esso produrrà nel bene o nel male nella storia umana, si sta svolgendo per così dire, senza parole. Il pensiero fa scena muta. Assorbiti dal dogmatismo servile, e nella migliore delle ipotesi ridotti alle forme miopi del giornalismo gli intellettuali non pensano, e non sanno immaginare oltre la presente apocalisse. Ma qualcuno deve assumersi questo compito.

Quel che sta accadendo in questi mesi cambia definitivamente il corso delle nostre vite, e la prospettiva storica e politica in cui ci troviamo. La storia del capitalismo borghese moderno è finita e al suo posto vediamo delinearsi una forma di dittatura finanziaria, portatrice di barbarie e di miseria. Si tratta di un mutamento che modifica le nostre prospettive esistenziali. Potremo fingere di non saperlo potremo cercare di trovare rifugio nella sfera individuale ma la barbarie ci perseguiterà dovunque, come miseria e come violenza.

Oppure potremo arruolarci nell’insurrezione che immagina forme sociali libere dal ricatto del salario e della crescita obbligatoria.

Prima che la situazione precipitasse abbiamo costruito una scuola europea per l’immaginazione sociale.

La consideriamo un nucleo dal quale irradiare progetti di conoscenza e di innovazione autonomi dalla catastrofe del capitalismo finanziario.

Nei prossimi mesi ci impegneremo nell’organizzazione di seminari sceptici capaci di accompagnare immaginativamente l’insurrezione.

SCEPSI è un nucleo di pensiero e di immaginazione, nel cuore dell’insurrezione europea.


Umberto Galimberti

Posted: Agosto 11th, 2011 | Author: | Filed under: riots | 9 Comments »

«Questa è la ribellione degli esclusi dal denaro»

di Tonino Bucci

su Liberazione del 10/08/2011

La rivolta in Gran Bretagna. Intevista ad Umberto Galimberti, filosofo e docente universitario

In rete rimbalzano foto della rivolta nelle città inglesi che mostrano episodi di saccheggio. Il premier inglese Cameron, ieri, ha etichettato la protesta «pura criminalità». Una lettura che prelude a quella che sarà l’unica risposta tangibile del governo inglese: sedicimila agenti schierati per le strade di Londra, città epicentro degli scontri. Eppure, proprio i saccheggi, esibiti come prova incontrovertibile del carattere violento dei rivoltosi, sono il sintomo di un corto circuito nell’immaginario simbolico. Una generazione cresciuta in una società il cui unico messaggio era “consumate e siate felici”, tenta di rientrare in un mondo dal quale è stata esclusa. L’ideale consumistico è diventato irrealizzabile per una parte della popolazione. Chi non produce e non consuma non esiste. Ne parliamo con Umberto Galimberti, filosofo e docente universitario.

L’immaginario consumista è entrato in conflitto con una realtà sociale che non garantisce più a tutti l’accesso al paradiso delle merci e comincia a creare sacche di emarginazione. I saccheggi sono la rivendicazione del diritto al consumo e all’esistenza. Gli oggetti più desiderati sono quelli ad alto valore tecnologico, computer e smartphone. Non è un sintomo?

Vero. In questi anni il denaro è stato l’unico regolatore di tutti i valori simbolici. La società ci prevede tutti come produttori e come consumatori. Ognuno di noi non è altro che un transito di denaro, che prendiamo a fine mese con la busta paga e restituiamo alla fine del mese successivo. I giovani, quei giovani inglesi, che non si trovano in condizione di poter produrre e poter consumare, traggono un ragionamento semplice: se questa è la cultura, allora andiamo nei negozi e prendiamocele queste cose. I prodotti elettronici sno i più desiderati perché è la loro cultura, il loro spazio, il loro mondo e modo di comunicare. E per quanto concerne la violenza, è chiaro che tutti siamo contrari. Ma facciamoci carico di quanto avviene. Non è che la violenza un bel giorno esplode perché tira il vento. La violenza è il sintomo che di speranza non ne hanno più. Anche l’adolescente che sbatte la porta e se ne va, comunica che non ha più speranza in quella casa e in quella famiglia. Lo stesso avviene nella società. E’ chiaro che la violenza è sgradevole, distruttiva e che può colpire gli innocenti, però le condizioni che la provocano sono così evidenti che solo l’incuria può far sfuggire.

Come è possibile che, non in un paese periferico, ma nel cuore dell’occidente avanzato, sia esploso un fenomeno senza che nessuno avesse il sentore di quel che covava in profondità?

Le nostre società hanno trascurato i giovani. Sono stati ritenuti insignificanti, socialmente inutili. Ora il fenomeno è esploso. Non hanno nulla davanti, non hanno lavoro, non hanno prospettive di pensioni, non hanno possibilità né di farsi una famiglia né di comprarsi una casa. La politica è stata rigorosamente distratta. L’attenzione è stata rivolta esclusivamente verso quello che considero il male radicale della cultura occidentale. La nostra cultura ha assunto come unico valore di relazione e organizzazione sociale il denaro. Quando il denaro diventa l’unico generatore simbolico di tutti i valori, tutti coloro che non sono funzionali alla produzione di denaro o di profitto non vengono neppure considerati dei soggetti sociali. I giovani per primi. Gli stessi immigrati ottengono il diritto alla cittadinanza alla sola condizione che diventino produttori di profitto. Lo stato dei migranti non è dissimile, oggi, dalla situazione di tutti i giovani. Vanno a scuola, alcuni si laureano, ma non hanno la possibilità di realizzare ciò per cui hanno studiato. Sono costretti a vivere alle spalle della famiglia che è diventata l’unico ammortizzatore sociale rispetto a un welfare in continua riduzione. La condizione giovanile diventa drammatica e non ce ne siamo accorti.

I movimenti giovanili del ‘900 erano, come si dice, politicizzati. Il 68, per esempio, aveva politicizzato la vita quotidiana. Le rivolte giovanili di questi anni seguono un’altra logica, assomigliano di più alle insurrezioni ottocentesche, sono una reazione all’emarginazione, un’affermazione immediata, qui e ora, della propria esistenza. O no?

Nel ’68 si voleva cambiare il mondo della vita in nome dell’antiautoritarismo, della rivoluzione sessuale, della liberazione. Ma non c’era disagio sociale nel movimento universitario. Era composto anche da borghesi e cattolici. Oggi, invece, non si tratta di libertà, ma dell’impossibilità di proseguire oltre nel modello di sviluppo occidentale della produzione e del consumo illimitato. Finora è stato possibile perché a pagare il conto era il resto del mondo. Adesso bisogna cambiare strada, dobbiamo decrescere. Il che significa che dobbiamo adottare un altro modello di sviluppo, che non sia fondato esclusivamente sul Pil e sul valore economico. I giovani inglesi assaltano le vetrine delle banche perché sono un simbolo del denaro. Il mondo dell’economia collassa. Non se ne può più di avere come unica espressione di vita il valore economico – da cui i giovani sono esclusi. Io credo che la scala di valori stia cambiando. Le giovani generazioni non hanno l’ossessione del guadagnare sempre più, ma desiderano un lavoro che lasci spazi di vita e tempo libero. Siccome però i giovani di oggi non possono né produrre denaro né avere spazi di vita – la loro è una vita tutta a disposizione per non poter fare assolutamente nulla – ecco che la situazione esplode. Al di là delle differenze tra i paesi, la rivolta inglese e le rivolte nel mondo arabo hanno in comune che si tratta di fenomeni giovanili di insostenibilità del modello di vita. E’ accaduto anche nelle banlieues parigine. Non ci sono istanze di partito, come in passato, quindi si aggregano in base a istanze ribellistiche ed esprimono un’insoddisfazione radicale. Nel ‘900 le forze in campo erano dstinguibili, c’era una destra e una sinistra. Oggi, invece, è una marmellata.

Il nemico di queste rivolte è sempre lo stesso, la polizia, il volto più immediato del potere…

La polizia è il fronteggiarsi corpo a corpo. Lo Stato non ha più un corpo e la politica abita ormai solo nello spazio televisivo.


riots

Posted: Agosto 9th, 2011 | Author: | Filed under: riots | 1 Comment »

Londra sta chiamando. L’economia morale dei riot britannici

Martedì 09 Agosto 2011 17:39

A causa di un significativo processo di connessione globale dei contenuti mainstream, le notizie e i commenti sulle rivolte inglesi differiscono di poco se si tratta di media britannici, italiani o francesi. Si tratta dello stesso processo di connessione globale dei contenuti, degli automatismi linguistici e dei concetti di analisi, che stiamo vedendo anche nei commenti sulla crisi finanziaria e che ha una lunga storia dietro le spalle. A partire dall’unificazione mondiale dei format televisivi di notizie che è maturata significativamente durante gli anni ’80, ben prima di Internet. Per il gold standard liberista delle notizie globali la crisi finanziaria produce quindi la necessità di “rassicurare i mercati” mentre, dove si manifesta profondamente la crisi della coesione sociale ,il circuito mondiale delle notizie si concentra sulla condanna al “crimine” e sulla questione dell’efficacia delle misure di polizia. Certo, con qualche significativo approfondimento nelle tattiche di propaganda nel paese colpito dagli incidenti, il Daily Mail parla di “cinismo e immoralità di coloro che legano la rivolta ai tagli della spesa pubblica” (per prevenire sul nascere la legittimità di ogni richiesta di giustizia sociale), ed uno sguardo leggermente più libero da parte di media dei paesi che, a turno, osservano i riot in corso.

riots