La crisi delle identità politiche: reinventarsi o morire

Posted: Gennaio 9th, 2014 | Author: | Filed under: 99%, comune, epistemes & società, Marx oltre Marx, postcapitalismo cognitivo, postoperaismo | Commenti disabilitati su La crisi delle identità politiche: reinventarsi o morire

di GIGI ROGGERO

Malli

“Oggi è il 10 gennaio 1610. L’umanità scrive nel suo diario: abolito il cielo.”

“Galileo: Quelli che vedono il pane solo quand’è sulla tavola, non vogliono sapere come è stato cotto. Quelle canaglie preferiscono ringraziar Dio piuttosto che il fornaio! Ma quelli che, il pane, lo fanno, quelli sapranno capire che non si muove niente che non venga messo in movimento.

Ludovico: Rimarrete in eterno schiavo delle vostre passioni.”

B. Brecht, VITA DI GALILEO

Chi sono i populisti? Protagonisti di una nobile tradizione rivoluzionaria che nella seconda metà dell’Ottocento ha cercato di rovesciare lo zarismo (facendo anche fuori l’odiato Alessandro II), erano intellettuali radicali che andavano al popolo, di cui esaltavano forme di vita in via di sparizione o profonda mutazione (innanzitutto la piccola comunità contadina, l’obščina). Mitizzato, il popolo finiva così spesso per divenire astratto e disincarnato: l’unico soggetto concreto del populismo era così lo stesso intellettuale rivoluzionario. In questa sede, tuttavia, non ci interessa una ricostruzione storiografica o etimologica del termine, quanto invece un punto politico pregno di attualità: ci sono categorie (populismo è una di queste, non certo l’unica) di cui si continua a fare ampio uso per una sorta di coazione a ripetere, di pigrizia concettuale, di paura di perdere le proprie sicurezze. Sarebbe ora di superare questi tic nervosi e di mandare definitivamente in pensione il dottor Stranamore che alberga dentro di noi. Sarebbe ora, cioè, di rendersi conto che se non servono più a interpretare e soprattutto a trasformare la realtà, queste categorie vanno buttate via o reinventate completamente. Questo è per noi il principio fondamentale di un realismo materialista, che nulla ha a che vedere con la realpolitik sempre in odore di opportunismo.

Se abbiamo cominciato dal populismo, un motivo evidentemente c’è: negli ultimi vent’anni l’etichetta è una sorta di inappellabile sentenza di condanna che ha colpito in modo trasversale, il cui uso – subalterno all’ordine del discorso dominante – si è impennato con lo sviluppo della crisi. Se poi ai soggetti astratti esaltati dai populisti russi dessimo un nome diverso, scegliendolo nell’ampio repertorio concettuale utilizzato negli ultimi anni per identificare gli auspicati soggetti o gli spazi delle lotte contemporanee, il campo definitorio si rovescerebbe in modo sorprendente. Qui il problema, però, è che non serve a nulla bollare di populismo chi oggi tenta di comprendere condizioni di vita e comportamenti soggettivi delle figure del lavoro vivo contemporaneo, a costo di immergersi nelle sue espressioni bastarde, di navigare su ambigue frontiere, di provare a orientarsi e agire dentro movimenti impuri e perfino cosparsi di melma. La semplice domanda che poniamo è: esiste un’alternativa al rischio di insozzarsi? Se l’alternativa è il rifugio nel cielo di dubbie certezze identitarie e di lessici del già noto, quelli che scaldano i nostri cuori e consegnano alla marginalità politica, preferiamo il pericolo – duramente terreno – della sporcizia ideologica.

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Manifesto per una politica accelerazionista

Posted: Dicembre 22nd, 2013 | Author: | Filed under: anthropos, arts, au-delà, digital conflict, epistemes & società, postcapitalismo cognitivo | Commenti disabilitati su Manifesto per una politica accelerazionista

di ALEX WILLIAMS e NICK SRNICEK.

01. INTRODUZIONE: Sulla congiuntura

1. All’inizio della seconda decade del ventunesimo secolo, la civilizzazione globale si trova ad affrontare una nuova progenie di cataclismi. Imminenti apocalissi appaiono ridicolizzare le norme e le strutture organizzative delle politica che furono forgiate alla nascita degli stati-nazione, agli albori del capitalismo e in un ventesimo secolo contrassegnato da guerre senza precedenti.

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Tra crisi della riproduzione sociale e welfare comune

Posted: Dicembre 18th, 2013 | Author: | Filed under: 99%, bio, comune, donnewomenfemmes, epistemes & società, postcapitalismo cognitivo | Commenti disabilitati su Tra crisi della riproduzione sociale e welfare comune

Intervista a SILVIA FEDERICI – di ANTONIO ALIA

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Silvia Federici non ha bisogno di presentazioni. Militante e intellettuale femminista, da sempre impegnata nei movimenti sociali, è stata tra le fondatrice della campagna Wages for Housework. Le abbiamo rivolto alcune domande per offrire una lettura della crisi e delle possibili alternative con cui sicuramente occorre confrontarsi. L’intervista si chiude con un commento ad un articolo di Nancy Fraser. Nell’intervento, Silvia Federici ricorda l’importanza di quel femminismo che ha ispirato lotte e riflessioni teoriche e che non ha concesso nulla ai processi di istituzionalizzazione neoliberale. Un femminismo che fa definitivamente i conti con la fine di ogni possibile riformismo contro cui occorre invece “costruire nuove strutture e nuovi rapporti alternativi allo Stato e al mercato”.

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Crisi finanziaria e capitalismo cognitivo

Posted: Dicembre 4th, 2013 | Author: | Filed under: 99%, BCE, crisi sistemica, critica dell'economia politica, epistemes & società, postcapitalismo cognitivo, postoperaismo, Révolution | Commenti disabilitati su Crisi finanziaria e capitalismo cognitivo

Intervista a Yann Moulier-Boutang di DAVIDE GALLO LASSERE

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La crisi che scuote il mondo intero da cinque anni pare non voglia calmarsi. Il discorso convenzionale pone sul banco degli accusati la separazione progressiva tra una cosiddetta economia reale, buona e produttiva, e una finanza semplicemente parassitaria, tagliata fuori da ogni connessione col mondo concreto. Da parte tua, sebbene non sottostimi per nulla il dominio e il ricatto esercitati dai mercati e dagli operatori finanziari, rifiuti ogni distinzione così netta. Pertanto, ritieni che non ci si possa più limitare a invocare un fantasmagorico ritorno al reale. Potresti spiegare perché le cose non son così semplici come sembrano?

In effetti bisogna distinguere la parte finanziaria dell’economia reale, dalla parte non finanziaria dell’economia reale. Entrambe sono pienamente reali. Del credito, che è la sostanza della moneta la cui forma consiste nella più o meno grande liquidità o esigibilità (le famose forme della massa monetaria M1, M2, M3), genera immediatamente delle possibilità d’investimento, dei salari, degli acquisti di beni e servizi, degli impieghi. Ciò che succede è che la parte finanziaria dell’economia reale diventa via via più gigantesca a mano a mano che l’economia diventa più complessa, e che si accrescono l’interdipendenza e la mutualizzazione degli impegni contrattuali o legali e regolamentari. Per 150 miliardi di dollari quotidiani di PIL mondiale e altrettanto di commercio di beni, si hanno 1500 miliardi di transazioni che coprono il rischio di cambio e 3700 miliardi di transazioni su delle promesse concernenti il futuro, i famosi prodotti derivati. Questo era l’ordine di grandezza nel 2009 e malgrado la scomparsa della metà dei 2000 Hedge Funds (fondi di piazzamento dei capitali a rischio) la scala è rimasta la medesima. La verità è che affinché ciò che taluni chiamano “l’economia reale” diventi realtà bisogna che la finanza attivi questo armamentario impressionante. L’economia starebbe meglio senza una finanza che tanti a sinistra descrivono come un parassita inutile che si potrebbe tranquillamente appendere a testa in giù? Diffidiamo del sofisma già denunciato da Kant secondo il quale la colomba volerebbe meglio nel vuoto. Non si tratta di negare l’evidenza, ossia che i finanzieri sanno trarre dall’ipertrofia della sfera finanziaria una posizione di forza nella fetta di reddito che si accaparrano. Questa è una costante nella storia del capitalismo mercantilista, industriale, finanziario e oggi cognitivo. Ciò che merita di essere pensato e pesato sono le trasformazione dell’economia in blocco (sfera finanziaria e non finanziaria). Innumerevoli analisi sulla finanziarizzazione dell’economia nella globalizzazione (quest’ultima globalizzazione, preceduta da altre tre nella storia dell’Occidente) considerano soltanto un lato del problema: le ripercussioni (essenzialmente negative) del gonfiamento della sfera finanziaria su ciò che chiamano la sfera dell’economia reale, spesso ridotta a quell’industria che promuovono al rango di sola realtà, unica creatrice di ricchezza (come l’agricoltura in Quesnay). È senz’altro vero che è molto attraente, in un sistema che erige la massimizzazione del profitto all’alfa e all’omega, guadagnare il 30% l’anno tramite i soli piazzamenti finanziari (per esempio la speculazione immobiliare), quando guadagnare il 15% in imprese diventa una prodezza (una prodezza tuttavia pretesa dai fondi pensione), mentre il 5% nelle PMI risulta essere la banale realtà corrente. Questi effetti secondari non risolvono la questione dell’ipertrofia senza precedenti della finanza. Ho cercato di mostrare altrove che la crescita della liquidità e del potere di esercitare un effetto leva da parte della finanza (il passaggio da 5 o 9 del corso del credito per 1 di attivi sotto forma di fondi propri, a più di 30) traduceva nella sfera finanziaria qualcosa che non ha nulla a che vedere con la speculazione, né con un meccanismo autoalimentato in stile bolla, né con gli animal spirits dell’homo oeconomicus, ma che riguarda una trasformazione reale dell’economia.

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IL FURTO LIBERALE

Posted: Dicembre 3rd, 2013 | Author: | Filed under: 99%, anthropos, bio, comune, epistemes & società, Foucault, Marx oltre Marx, postcapitalismo cognitivo, postoperaismo, Révolution | Commenti disabilitati su IL FURTO LIBERALE

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in ALIAS – 30 novembre 2013

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presentazione editoriale


Marazzi: la moneta corrente del liberismo

Posted: Ottobre 11th, 2013 | Author: | Filed under: 99%, comune, comunismo, crisi sistemica, critica dell'economia politica, Marx oltre Marx, postcapitalismo cognitivo, postoperaismo | Commenti disabilitati su Marazzi: la moneta corrente del liberismo

di Christian Marazzi

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«Banche e crisi» di Sergio Bologna per DeriveApprodi

Le basi materiali del dominio finanziario sono nei nuovi modelli produttivi, nell’«innovazione» permanente della logistica, della circolazione delle merci e del mercato del lavoro

C’è sempre un po’ d’azzardo editoriale nella pubblicazione di testi apparsi ormai nel corso di alcuni decenni, a maggior ragione quando si passa dal Marx che studia, come corrispondente del New York Daily Tribune, la prima crisi monetaria e finanziaria «moderna» (1856-1857), alla storia del rapporto tra petrolio e mercato mondiale, alla funzione della logistica e dei porti come «integratori di sistema» e come riedizione della logica della crisi dei subprime, esempio dell’intreccio tra processi produttivi e di circolazione delle merci e finanziarizzazione, con saggi pubblicati tra il 2012 e il 2013. Per chi questi scritti li ha letti man mano che uscivano, si tratta di una bella occasione per rivivere alcuni passaggi fondamentali della storia del pensiero critico di un «operaista indipendente» quale è sempre stato Sergio Bologna, ma per un giovane di vent’anni che, immerso anima e corpo nella crisi odierna che ha una gran voglia di agire e di costruire collettivamente nuovi strumenti di analisi e interpretazione del capitalismo finanziario (fatiscente? ipermaturo?), la fruizione de Banche e crisi. Dal petrolio al container (DeriveApprodi, pp. 200, euro 17), non è immediatamente evidente. Oltretutto in un periodo in cui la letteratura sulla crisi finanziaria è ormai sterminata e la lettura quotidiana del Sole 24 Ore o del Financial Times per capire dove va lo spread, i rendimenti sui titoli del debito sovrano, il tasso di cambio tra Euro e dollaro, le decisioni della Federal Reserve sui tassi d’interesse direttori e altre cosucce del genere, lascia poco tempo allo studio delle contraddizioni strutturali del sistema economico capitalistico.

Un giornalista chiamato Marx

«Per leggere Marx occorre avere una forte tensione politica presente», scrive Bologna; Marx «ti prende semplicemente per il braccio e ti dice…guarda da questo angolo visuale». Sotto questo profilo, per così dire metodologico, la Postfazione di Gian Enzo Duci, Crisi e intelligenza della merce, è davvero molto utile, oltre che luicida e riassuntiva di alcuni dei contributi più significativi dell’opera di Bologna che, anche lui, ti prende per il braccio e «cerca di far vedere, non per forza credere, qualcosa di più» su quanto sta accadendo nel mondo «marxiano» della merce. Ad esempio, la inarrestabile crescita dell’offerta navale e il parallelo sviluppo delle infrastrutture portuali, il crescente intervento della finanza nel mondo dello shipping, il rapporto tra produzione di mezzi di traporto e domanda, guardando però anche alle merci trasportate all’interno del mercato mondiale, la crisi da sovraproduzione sempre in agguato, così simile a quella dei subprime o di qualsiasi altra merce che i mercati finanziari da una trentina d’anni a questa parte selezionano e trasformano da valore d’uso in asset finanziario, eleggendo di volta in volta queste merci regine a «convenzioni collettive», come Keynes scriveva nella sua Teoria generale del 1936, e che oggi chiamiamo bolle finanziarie, processi alimentati dal credito bancario, modalità razionali attraverso cui il capitale realizza profitti a breve termine, per poi esplodere puntualmente, lasciando dietro di sé macerie, svalutazione della ricchezza sociale, povertà e disperazione umana.

Gli scritti di Bologna sullo shipping, il too big to fail delle corporations del mare, le infrastrutture portuali, sono di tale attualità che, nell’editoriale del febbraio del 2013, la più autorevole rivista mondiale sul traffico marino «Containerisation International», invitava i suoi lettori (non proprio gli stessi de il manifesto) a leggere uno dei suoi saggi «se volevano chiarirsi le idee». E, per tornare a noi, Marx, oltretutto il Marx giornalista che si occupa dell’attualità della crisi pensando al futuro Das Kapital, come entra nel lavoro teorico e analitico di Sergio Bologna? Quel saggio del 1973, riletto oggi, è straordinariamente attuale. Per tanti motivi: apparse a due anni dalla decisione statunitense di rendere il dollaro inconvertibile, vera e propria «rivoluzione dall’alto» che ha dato avvio all’uscita non solo dal sistema monetario di Bretton Woods, ma anche, verso la fine degli anni Settanta, dal modello fordista, traghettando il capitale mondiale nell’epoca attuale, quella appunto del capitalismo finanziarizzato.

Diede avvio, quel saggio, a un programma di lavoro all’interno della rivista Primo Maggio, e da allora molti di coloro che vi parteciparono non hanno smesso di studiare la moneta e le crisi finanziarie. Un bell’esempio, anch’esso particolarmente attuale, di metodo di lavoro legato al presente ma con lo sguardo rivolto al futuro, ai gangli sociali e soggettivi della rivoluzione capitalistica, alla crisi-trasformazione della composizione sociale, insomma alla lotta di classe.

La forma del valore

La vera attualità nella lettura che Bologna fa di Marx nel bel mezzo di un dibattito marxista tanto entusiasmante quanto, già allora, decisamente in declino, è l’analisi del rapporto inscindibile, circolare, tra merce e moneta. Non era e non è ancora evidente in ambito marxista, dato che molto spesso si guarda a merce e moneta in modo schizofrenico, privilegiando una volta la prima, un’altra la seconda. La moneta del Marx letto da Bologna è forma del valore delle merci, espressione del lavoro all’interno dell’intero circuito del capitale, dalla compra-vendita della forza-lavoro alla realizzazione monetaria dei profitti, e che in questo periplo circolatorio assume funzioni diverse. Forma del valore, non equivalente generale-universale (che della forma-valore è una funzione tra le altre), come praticamente tutta la tradizione marxista ha sempre teorizzato, anche quando il sistema monetario internazionale aveva tagliato il cordone ombelicale tra denaro oro come «merce Regina», passando a un regime monetario in cui la creazione di liquidità ex nihilo la fa decisamente da padrone. È questa lettura del denaro in Marx che permetterà di seguire le trasformazioni future tenendo ben fermo lo sguardo sulla produzione e la riproduzione del capitale come rapporto sociale, e non come mero rapporto tra quantità di lavoro astratto contenuto nelle merci.

L’emergenza dei nuovi soggetti «dentro e contro» la transizione al postfordismo, il problema immanente di come comandare monetariamente il lavoro vivo ormai disperso nella società, la vita dell’uomo flessibile, non è possibile senza questo sguardo «disciplinare» unitario. Ne va della comprensione di tutto quanto sta accadendo nella sfera non solo della circolazione delle merci, ma, quel che a tutti noi interessa politicamente, della riproduzione della merce forza-lavoro, della sua vita messa al lavoro. Una riproduzione priva di equivalenti generali di riferimento, orfana dell’«ultima istanza», se non quel nostro essere singolarità fluttuanti, corpi, alla ricerca di un nuovo punto di vista collettivo, di nuove parole per lottare assieme. Di nuove forme di vita.


Toni Negri: “Disarticolare la proprietà”

Posted: Ottobre 10th, 2013 | Author: | Filed under: comune, comunismo, crisi sistemica, critica dell'economia politica, epistemes & società, Marx oltre Marx, post-filosofia, postcapitalismo cognitivo, postoperaismo | Commenti disabilitati su Toni Negri: “Disarticolare la proprietà”

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qui il testo dell’intervento


DOPO IL FUTURO:DAL FUTURISMO AL CYBERPUNK.L’ESAURIMENTO DELLA MODERNITA’

Posted: Ottobre 9th, 2013 | Author: | Filed under: 99%, arts, au-delà, bio, crisi sistemica, digital conflict, epistemes & società, post-filosofia, postcapitalismo cognitivo, postoperaismo, Révolution | Commenti disabilitati su DOPO IL FUTURO:DAL FUTURISMO AL CYBERPUNK.L’ESAURIMENTO DELLA MODERNITA’

di Tiziana Terranova

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Bifo_futuroFranco Berardi (Bifo), Dopo il futuro: Dal Futurismo al Cyberpunk. L’esaurimento della Modernità, DeriveApprodi, Roma 2013, pp. 136, € 14.00

In una delle sue lezioni al Collège de France, Michel Foucault offre questa spiegazione del rapporto tra il sapere dell’intellettuale e la lotta. Non spetta all’intellettuale esortare il popolo alla lotta (‘battetevi contro questo in tale o talaltro modo’), piuttosto quello che il sapere dovrebbe fare è dire, rivolgendosi a coloro che vogliono lottare, ‘se volete lottare, ecco dei punti chiave, delle linee di forza, delle zone di chiusura e di blocco’1. È chiaro che nonostante il titolo del nuovo libro di Franco Berardi sia carico di parole quale ‘dopo il futuro’ e ‘esaurimento’, esso non può fare a meno o non intende dissaduere dalla lotta, dalla ricreazione del futuro, non è un libro cioè che ci dissuade da quell’atto fondamentale per qualsiasi pratica politica costituente che è credere nel mondo. E tuttavia, da schizoanalista qual è, si tratta di un libro che pone pesantemente l’accento sui blocchi del desiderio e quindi delle lotte, o nei termini del libro, esso pone la centralità della questione della sensibilità, dell’empatia e dell’etica. Si tratta di un libro che pratica l’arte schizoanalitica della diagnosi, mettendo in evidenza tutta una serie di sintomi, culturali e sociali, che mostrano l’evoluzione e l’esaurimento di quella idea di futuro che ha giocato un ruolo fondamentale nei movimenti politici del novecento, e le conseguenze oggi del suo esaurimento.

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Quaderni di San Precario – n. 5

Posted: Ottobre 6th, 2013 | Author: | Filed under: 99%, bio, critica dell'economia politica, epistemes & società, postcapitalismo cognitivo, postoperaismo, Révolution | 11 Comments »

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Reddito di base incondizionato come reddito primario

Posted: Ottobre 3rd, 2013 | Author: | Filed under: comune, critica dell'economia politica, epistemes & società, postcapitalismo cognitivo, postoperaismo, Révolution | Commenti disabilitati su Reddito di base incondizionato come reddito primario

di Andrea Fumagalli e Carlo Vercellone

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Negli ultimi mesi sia sul sito di Sbilanciamoci che su Il Manifesto sono apparsi alcuni articoli critici in materia di reddito di cittadinanza (vedi, tra gli altri, gli articoli di Pennacchi, Lunghini, Mazzetti). In questa sede, vorremmo chiarire alcuni principi di fondo per meglio far comprendere che cosa, a nostro avviso, si debba intendere quando in modo assai confuso e ambiguo si parla di “reddito di cittadinanza”. Noi preferiamo chiamarlo reddito di base incondizionato (RBI) ed è su questa concezione che vorremmo si sviluppasse un serio dibattito (con le eventuali critiche). Le note che seguono sono una parte di una più lunga riflessione che è apparsa sul n. 5 dei Quaderni di San Precario.

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