(Domanda). Ormai diversi anni fa, alcuni tuoi scritti riguardanti l’oggetto di questa intervista sono stati raccolti in un testo il cui titolo, Dalla fabbrica alla metropoli, rimanda all’adagio secondo cui la metropoli sta alla moltitudine come, una volta, la fabbrica stava alla classe operaia. Vorrei oggi parlare con te di cosa le trasformazioni, i movimenti e la crisi globale di questi anni ci dicono rispetto all’analisi della metropoli intesa come griglia analitica attraverso cui è possibile rileggere e interpretare molte categorie di lettura del presente. Recentemente – in particolare nell’intervento Per la costruzione di coalizioni moltitudinarie in Europa – hai fatto cenno all’esigenza di sottoporre a verifica critica alcune categorie consolidate dell’esperienza post-operaista: vorrei chiederti anzitutto se ritieni che anche questo schema di lettura del rapporto fra metropoli e moltitudine debba essere sottoposto a verifica e aggiornamento.
Interventi di Federico Chicchi, Stefano Lucarelli e Sandro Mezzadra
Forum su Maurizio Lazzarato, Il governo dell’uomo indebitato. Saggio sulla condizione neoliberista, DeriveApprodi, Roma 2013 (216 p.)
a cura di Emanuele Leonardi
Domanda: Ne Il governo dell’uomo indebitato (2013) – ma ancor più, in effetti, nel precedente La fabbrica dell’uomo indebitato (2012) – Maurizio Lazzarato lega l’emergere e il consolidarsi delle politiche di austerità al progressivo introiettamento di un senso di colpa legato al debito in quanto dispositivo autoritario di controllo. Prova dell’esistenza pervasiva del debito-colpa sarebbe, secondo il filosofo italiano, l’attuale onnipresenza di richiami all’auto-limitazione, alla cautela, alla circospezione dopo anni di “vita vissuta al di là delle proprie possibilità”. Ritiene che questa chiave di lettura possa risultare utile alla comprensione critica del presente – e alla sua trasformazione?
Postumano. Il femminismo ha sperimentato modelli politici da cui partire per contrastare la violenza del capitalismo. Sul piano teorico vanno assunte come irreversibili le mutazioni delle soggettività attivate dalla scienza. Un’intervista con la teorica femminista Rosi Braidotti, in Italia per presentare il suo nuovo libro «Il postumano»
Il faut avoir sérieusement forcé sur les boissons fermentées, et se trouver victime de leur propension à faire paraître toutes les routes sinueuses, pour voir, comme s’y emploie le commentariat quasi-unanime, un tournant néolibéral dans les annonces récentes de François Hollande [1]. Sans porter trop hauts les standards de la sobriété, la vérité appelle plutôt une de ces formulations dont Jean-Pierre Raffarin nous avait enchantés en son temps : la route est droite et la pente est forte — mais très descendante (et les freins viennent de lâcher).
Conferenza pubblica (Atene, 16 novembre 2013), trascrizione a cura di ΧΡΟΝΟΣ
Traduzione di Giacomo Mercuriali
Una riflessione sul destino della democrazia oggi qui ad Atene in qualche modo è inquietante, poiché obbliga a pensare alla fine della democrazia nel luogo stesso in cui questa è nata. In effetti, l’ipotesi che vorrei proporre è che il paradigma governamentale predominante oggi in Europa non solo non sia democratico, ma che non possa nemmeno essere considerato politico. Tenterò allora di mostrare che la società europea non è più una società politica: è qualcosa di totalmente nuovo, qualcosa per cui ci manca una terminologia appropriata e dovremo quindi inventare una nuova strategia.
Alcuni avvenimenti di cui siamo stati testimoni appena ieri hanno segnato fatalmente i nostri immaginari. Voglio iniziare il mio ragionamento sul tema “Generi e generazioni” ricordandoli perché, piaccia o meno, essi ci hanno cambiati per sempre. Le nuove generazioni di uomini e donne dell’altra sponda del Mediterraneo, giovani “con buona formazione ma senza lavoro, produttive ma impoverite” come le ha definite Michael Blecher[1], sono scese in piazza e hanno sovvertito regimi. In Spagna hanno invaso le strade rendendo evidente lo scandalo di aver vent’anni e nessuna prospettiva in un mondo fatto come è fatto oggi, e di non sentirsi rappresentate dalla cosiddetta “democrazia”, occupata da una classe politica adulta indifferente alle loro sorti. In Turchia hanno eletto un parco a loro simbolo, costringendo il governo a confrontarsi con nuove esigenze che parlano anche dell’eco-sostenibilità del mondo, della precarietà del territorio e degli spazi metropolitani, entità mutevoli, in continua trasformazione e alla ricerca di nuove connessioni.
Cos’è la politica? Questo, con sguardo ottimista, Agamben suggerisce di chiedersi nell’intervista greca che presentiamo, a ridosso delle elezioni europee (22-25 maggio) in cui il radicale greco Tsipras sarà il candidato della Sinistra. Le questioni su cui il filosofo ci invita a riflettere sono molteplici. Il filo conduttore è rintracciabile in un richiamo a quei dispositivi che, pur assoggettando la materia biologica, investono la nostra capacità di attivare processi di soggettivazione che vi oppongano resistenza. La crisi che stiamo vivendo può allora diventare ricerca di nuove forme. Queste non sono né giuridiche, né morali, ma innanzitutto politiche. Sulla scia del migliore insegnamento foucaultiano, più che un gesto di liberazione, noi dobbiamo costruire una pratica della libertà, non un altro esistenzialismo ma un’etica del sé non ridotta a individualità.
Per cominciare ringrazio tutti per aver letto il libro e «Materiali foucaultiani» per aver organizzato il forum! Non è una cosa scontata!
1. Non sostengo che la morale del debito sostituisce quella del consumo. Trattando del debito dicevo che la “crisi” mette in primo piano la colpa legata al debito, ma questo non esclude le altre morali, le fa invece funzionare insieme.
Nell’introduzione all’edizione italiana dicevo che le differenti morali (la morale del lavoro, la morale del consumismo, la morale del debito) convivono in maniera più contraddittoria di prima del 2007. L’esempio della «televisiun che ha la forza di un leun», con il suo discorso significante colpevolizzante (i giornali televisivi) e le semiotiche della pubblicità che spinge a un consumo compulsivo e frustrante, voleva mostrare questa coesistenza.
Come può il compagno Chicchi dire che la morale della colpa non funziona più, quando tutte le “riforme di struttura” hanno al loro centro e come obiettivo principale il mercato del lavoro?
Intervista a cura di Beppe Caccia – Metropolitan Multiversity
Abbiamo intervistato Christian Marazzi a Lugano, nei giorni della tempesta che ha investito le valute delle potenze economiche emergenti e all’indomani del referendum con cui oltre il 50 per cento degli elettori svizzeri hanno chiesto misure restrittive nei confronti dell’immigrazione proveniente dai paesi dell’Unione Europea. Ne è venuta fuori una lettura originale e stimolante delle politiche monetarie seguite dalla Federal Reserve Bank americana e dalla Banca Centrale Europea, nel quadro dell’evoluzione della crisi finanziaria globale. E alcune utili indicazione per i movimenti sociali costituenti in Europa.
Anche nella comunicazione dominante, la narrazione della “ripresa” ha sostituito la retorica dei “sacrifici”: dalle “lacrime e sangue” dell’austerity si è passati a descrivere l’apertura di un nuovo ciclo, di una nuova fase economica di superamento della crisi. Quanto c’è di reale in questo discorso, guardando ovviamente alle diverse aree economiche e politiche del pianeta? Un discorso vale sicuramente per gli Stati Uniti, un discorso vale per le cosiddette “economie emergenti”, un discorso vale per l’Europa. Ma possiamo dire che la crisi è entrata in una nuova fase e che questa è caratterizzata, in qualche modo, da una “ripresa”?