Startup, classe creativa e capitalismo delle “relazioni”

Posted: Luglio 4th, 2013 | Author: | Filed under: anthropos, comune, comunismo, crisi sistemica, epistemes & società, post-filosofia, postcapitalismo cognitivo, Révolution | Commenti disabilitati su Startup, classe creativa e capitalismo delle “relazioni”

Note per una discussione

a cura di KAINOS

livello 57

Le riflessioni che seguono sono relative alla lettura di due libri sulle nuove “forme del lavoro” e sul “capitalismo digitale”. Il primo di questi libri, il più importante, serio e stimolante, è quello di Carlo Formenti, intitolato Felici e sfruttati. Il capitalismo digitale e l’eclissi del lavoro1. Il secondo, molto meno stimolante, ma a suo modo utile come “oggetto” teorico su cui riflettere, è il libro a più (troppe) mani, curato da Gianni Vattimo, Pasquale Davide de Palma e Giuseppe Iannantuono, dal titolo Il lavoro perduto e ritrovato2.

La discussione di tali libri mi ha dato l’opportunità di rileggere l’importante saggio di Jean-Luc Nancy, La création du monde ou la mondialisation3, pubblicato in Francia nel 2002. Tale rilettura mi ha portato a porre in questione l’ideologia della creatività che è il presupposto (in parte non ancora indagato) sia delle teorie neo-liberiste relative alla “classe creativa” (Florida4) sia delle teorie che (apparentemente) si oppongono alle attuali forme del capitalismo tecno-globalizzato.

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Paolo Virno

Posted: Giugno 20th, 2013 | Author: | Filed under: anthropos, epistemes & società, philosophia, post-filosofia, vita quotidiana | Commenti disabilitati su Paolo Virno

Saussure

http://www.letteratura.rai.it/articoli/paolo-virno-lattualit%C3%A0-di-ferdinand-de-saussure/22220/default.aspx


Derive del lavoro

Posted: Giugno 9th, 2013 | Author: | Filed under: anthropos, crisi sistemica, critica dell'economia politica, epistemes & società, Marx oltre Marx, philosophia, post-filosofia, postoperaismo | Commenti disabilitati su Derive del lavoro

Ovvero il capitalismo della scommessa

su kainòs

art19

A partire dagli anni Novanta dello scorso secolo, le forme del lavoro si sono profondamente trasformate, non solo in virtù del crollo dell’economia pianificata del blocco sovietico – evento che ha portato il mercato ad una fase di definitiva mondializzazione e di potenziale saturazione –, ma anche e soprattutto in ragione dell’impetuoso sviluppo dell’informatica che lo stesso mercato aveva favorito (si pensi al fenomeno della Sylicon Valley in California): per usare i termini di Marx, i vecchi rapporti di produzione sono stati polverizzati da un accelerato processo di innovazione tecnologica, che, insieme al ricorso alla robotizzazione, ha enormemente ridotto la necessità di manodopera. Un intero modello di organizzazione sociale, che aveva il suo centro propulsore nella fabbrica fordista, è entrato in crisi irreversibile, mentre il mercato ha cominciato a presentare una nuova divaricazione, quella che intercorre tra le grandi fabbriche ormai de-localizzate (dunque ormai incapaci di creare legami sociali sul territorio: si pensi al declino delle città minerarie degli Usa o al fenomeno dell’‘archeologia industriale’) da un lato e, dall’altro, alla disgregazione atomistica e alla semi-privatizzazione del lavoro cognitivo-progettuale, che nell’ultimo decennio del secolo appariva ancora piuttosto concentrato in Europa, negli USA e in Giappone. È in quegli anni che iniziano ad imporsi e a proliferare nuove forme di lavoro sempre più “precarizzate” e semi-private, innescate dai suaccennati processi economici e tecnologici ma, fin dagli anni ottanta, “facilitate” dall’adozione di nuove “politiche del lavoro” liberiste.

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Spinoza

Posted: Giugno 8th, 2013 | Author: | Filed under: anthropos, comune, comunismo, epistemes & società, philosophia, post-filosofia | Commenti disabilitati su Spinoza

Spinoza e le «scienze sociali». Il difficile se non impossibile incontro tra la filosofia critica e una visione neutrale del sociale Un percorso di lettura a partire dal volume collettivo «Ordo e connexio» pubblicato da Mimesis.

di Toni Negri

Animal Spirits

Da tempo ormai la questione (meglio, il problema – perché tutt’altro che diretta e lineare ne è la risposta) dell’utilità dello spinozismo per le scienze sociali è aperta. Pochi anni fa mi capitò di partecipare ad un seminario parigino sul medesimo tema. Annotavo allora come, nel procedere su questo terreno, la difficoltà stesse nel configurare non tanto l’importanza del pensiero di Spinoza per la ricerca sociale quanto il dubbio se ci fosse una sociologia capace di cogliere la portata della critica. «La sociologia si propone come una scienza Wertfrei, cioè come scienza avalutativa che riguarda un oggetto specifico (il sociale); oppure si propone come una disciplina positiva che ha per oggetto l’istituzione. Essa si presenta allo stesso tempo come una rottura con le teorie naturaliste del sociale,a fortiori con il giusnaturalismo, e come rottura con le teorie normative o performative di quel conatus del sociale che il politico rappresenta». E aggiungevo che in Spinoza quelle due rotture erano impensabili: se infatti lì si fosse arrivati a definire qualcosa che assomigliasse ad una sociologia, questo qualcosa sarebbe stato insieme naturalista e/o giusnaturalista (cioè ontologicamente fondato) e performativo e/o normativo (cioè eticamente fondato). Insomma avrebbe significato stabilire un nuovo statuto epistemologico della sociologia.

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W. Benjamin e l’omino con la gobba

Posted: Maggio 20th, 2013 | Author: | Filed under: philosophia, post-filosofia | Commenti disabilitati su W. Benjamin e l’omino con la gobba

di Raffaele K. Salinari

Benjamin

Il dybbuk e il dybbukim

C’è un personaggio che accompagna, nascosto nel profondo permanente ed immutabile degli archetipi infantili, tutta la vita di Walter Benjamin; un «chi è» che troviamo armeggiante nei nascondigli immaginali in cui il filosofo dei Passages ha voluto esplicitamente collocare la scaturigine del suo pensiero. Un essere metaforico che si nasconde nel buio più recondito da cui originano le sue folgoranti intuizioni, e che da quella postazione gli disamina la visione delle cose.

Questo personaggio ha solo una speciale richiesta, che fa per perpetrarsi nel tempo e nel ricordo di altre generazioni, eternizzare la sua essenza mutandone la forma, come avviene per ogni immortalità simbolica: chiede che il suo nome resti segreto. In caso contrario egli sparirebbe, e con lui il mondo che lo ospita. È il dybbuk di Walter Benjamin: l’«omino con la gobba», Das bucklicht Männlein, che troviamo nascosto anche nell’automa giocatore di scacchi della prima Tesi sul concetto di storia. “È noto che sarebbe esistito un automa costruito in un modo tale da reagire ad ogni mossa di un giocatore di scacchi con una contromossa che gli assicurava la vittoria.

Un manichino vestito da turco, con una pipa in bocca, sedeva davanti alla scacchiera, posta su un ampio tavolo. Con un sistema di specchi veniva data l’illusione che vi si potesse guardare attraverso da ogni lato. In verità c’era seduto dentro un nano gobbo, maestro nel gioco degli scacchi, che guidava per mezzo di fili la mano del manichino.

Un corrispettivo di questo marchingegno si può immaginare nella filosofia. Vincere sempre deve il manichino detto «materialismo storico». Esso può competere senz’altro con chiunque se prende al suo servizio la teologia, che oggi, com’è a tutti noto, è piccola e brutta, e tra l’altro non deve lasciarsi vedere”.

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Il soggetto della discordia

Posted: Maggio 2nd, 2013 | Author: | Filed under: epistemes & società, post-filosofia | 2 Comments »

di Fabrizio Denunzio

Foucault

L’ambivalente rapporto di Michel Foucault con Kant e con la teoria critica dei francofortesi. Quello che appare come un problema di filologia svela invece un nodo tutt’ora irrisolto nella politica della trasformazione della realtà. Un sentiero di lettura a partire dal volume «Che cos’è l’Illuminismo?» da poco pubblicato dalla casa editrice Mimesis.

Nel 1784 la «Berlinische Monatsschrift», un periodico tedesco di larga diffusione, pubblica la risposta di Kant alla domanda: Che cos’è l’Illuminismo? A duecento anni di distanza, nel 1984, Michel Foucault, in un libro curato da Paul Rabinow, suo allievo americano, pubblica un saggio dallo stesso titolo e, sulla scia di Kant, risponde alla domanda attualizzandone il significato.

I due testi appaiono ora assieme nel libretto edito da Mimesis, Kant-Foucault, Che cos’è l’illuminismo? (pp. 47, euro 3,90). L’operazione editoriale, di per sé interessante perché offre la partitura originale di un testo classico (quello settecentesco kantiano) con la sua esecuzione contemporanea (quella novecentesca foucaultiana), si espone, però, ad un doppio limite. Il primo, quello di confinare il Foucault pensatore dell’Illuminismo kantiano a questo solo saggio, il secondo di occultare il reale obiettivo perseguito dal filosofo francese: offrire una visione dell’Illuminismo sostanzialmente diversa da quella culturalmente egemonica affermatasi con la Dialettica dell’illuminismo di Max Horkheimer e Theodor W. Adorno. Detta in breve, mettendo mano alla questione dell’Illuminismo Foucault chiarisce i suoi rapporti con la Scuola di Francoforte e la teoria critica della società da essa inventata.

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Il guardiano dell’idea assoluta

Posted: Aprile 27th, 2013 | Author: | Filed under: comune, comunismo, philosophia, post-filosofia, postoperaismo | 78 Comments »

di TONI NEGRI

ambasciatori

C’è, in questa riscrittura badiousiana della Repubblica di Platone, un richiamo al “comunismo” come forma di governo, “quinta” oltre le quattro criticate dal fondatore dell’idealismo filosofico: dunque, oltre la Timocrazia (o il governo degli eroi) e l’Oligarchia (dei principi), oltre la Democrazia e la Tirannide (sempre fra loro ciclicamente intercambiabili). Ed è un bel concetto, questo, quasi una innovazione teorica – essa ha, come molte proposte del post-moderno avuto espressione già in altri episodi della filosofia politica, come nelle varie esperienze democratiche di costruzione di comunità ecclesiali, nel Medioevo o nella Riforma, o nella “democrazia assoluta” spinoziana, o nelle stesse utopie anarchiche e socialiste della modernità. Che un solido Philosophe – ovvero un uomo dei Lumi, come a me pare Badiou – rivendichi quest’ideale, è non solo atteso ma bello. Nel suo libro che non è una trattazione sistematica della Repubblica di Platone, né un semplicemente un ammodernamento del testo, né l’esperienza di un dialogo amoroso del filosofo con Amantea (figura femminile e “repubblicana”, invenzione davvero formidabile) – nel suo libro dunque, la si legge con gioia quest’avventura ideale – solo relativamente appassita da qualche noioso esercizio antiquario.

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Le tre missioni di Nietzsche

Posted: Aprile 17th, 2013 | Author: | Filed under: anthropos, philosophia, post-filosofia | Commenti disabilitati su Le tre missioni di Nietzsche

di Sossio Giametta

N.1

È vero che Nietzsche non si può e non si deve capire? Chi era e che cosa ha fatto? A fronte delle tre crisi: della filosofia, della civiltà cristiano-europea e della religione, ha compiuto tre missioni: distruzione della filosofia concettuale a favore del moralismo; trasfigurazione del tramonto dell’Occidente in poesia e filosofia tragica e d’altra parte legittimazione e accelerazione della crisi; fondazione della religione laica, meta della modernità.

“Ho letto come sempre con piacere il Suo saggio sul Crepuscolo degli idoli di Nietzsche, che non conosco o non ricordo. La Sua scrittura chiara ed efficace mi aiuta, come sempre, a capire. Ma, una volta che ho capito, il pensiero complessivo di Nietzsche mi sfugge. Mi appassiona, mi avvince, ma alla fine mi sfugge.” Così mi scrisse, il 30 aprile 1997, Norberto Bobbio, un faro della cultura italiana, che mi onorava della sua amicizia.

La difficoltà di comprendere Nietzsche è così diffusa, che in Italia è finita in una canzone di un noto cantante pop, “Zucchero” Fornaciari. La canzone si domanda e ripete: “Nietzsche, che dice? Boh, boh!”

Lo strano è che questa difficoltà c’è con Nietzsche, che scrive in modo chiaro, e non con pensatori che scrivono in modo oscuro, come Heidegger, Hegel, Schleiermacher ecc. Si può allora dire anche di lui ciò che egli ha detto dei filosofi tedeschi, che sarebbero tutti degli “Schleiermacher”, cioè facitori di veli? oscuratori?

Certo, questa non era la sua intenzione. Anzi, la sua intenzione era esattamente il contrario. Egli voleva essere un portatore di luce.

Ma allora, dove sta la difficoltà?

La difficoltà sta sia dalla parte degli interpreti, sia dalla parte delle molteplici e intricate missioni di Nietzsche.

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Genealogie del futuro

Posted: Aprile 6th, 2013 | Author: | Filed under: 99%, comune, crisi sistemica, post-filosofia, postcapitalismo cognitivo, Révolution | 2 Comments »

di ADELINO ZANINI e GIGI ROGGERO*

Pubblichiamo l’introduzione al volume “Genealogie del futuro. Sette lezioni per sovvertire il presente” (uscito in questi giorni nella collana UniNomade di ombre corte), che raccoglie il corso di autoformazione Commonware del 2012 “Da Marx all’operaismo”.

Holly Peers

Formazione militante. Non è semplice oggi tornare a pronunciare queste parole, ancor meno tradurle in una pratica. Troppo pesante sembrerebbe l’ipoteca delle vecchie “scuole di partito” che su di esse grava. Eppure, questa è la sfida: come ripensare la formazione politica dentro le mutazioni soggettive e le pratiche di movimento contemporanee? È una sfida che UniNomade ha assunto. L’abbiamo chiamata Commonware: è un nome apparentemente criptico e volutamente ironico, scelto per dileggiare i pacchetti didattici delle aziende universitarie, i cosiddetti courseware, rovesciandone il senso dentro la libera cooperazione sociale. Non è un caso, del resto, che le sette lezioni raccolte nel presente volume si siano tenute in sede universitaria (quella di Bologna, nello specifico), simbolicamente e concretamente uno dei principali laboratori dei processi di dequalificazione del sapere critico.

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Capitalismo come religione

Posted: Aprile 3rd, 2013 | Author: | Filed under: philosophia, post-filosofia, Révolution | 16 Comments »

di Giorgio Fontana

Leggere Capitalismo come religione di Walter Benjamin (appena edito da il Melangolo) può sembrare soltanto un esercizio di memoralistica, o un vuoto sforzo intellettuale. Il capitalismo del 1921 – l’anno in cui il filosofo tedesco quando prese questi appunti – era molto diverso da quello contemporaneo: ancora non aveva subito l’onda della grande crisi, e soprattutto non era passato attraverso le successive, numerose metamorfosi. Cosa possono insegnarci quattro pagine scarne di novant’anni fa sul momento storico che stiamo vivendo?

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