Macchine armate, corpi, guerre e mutazioni

Posted: Marzo 7th, 2017 | Author: | Filed under: au-delà, lacanism, postcapitalismo cognitivo | 19 Comments »

Un documentario di Maurizio Gibertini sull’opera di Paolo Gallerani

di Federico Chicchi

Alberto Grifi ha girato, nell’oramai lontano 1977, uno dei documentari più sconvolgenti e politicamente incisivi che abbia mai visto. Il documentario intitolato Il preteso corpo racconta gli esperimenti di un medicinale fabbricato dalla casa farmaceutica “Roche” su persone considerate psicologicamente insane. Trovato per caso in un mercatino a Milano, il readymade di Grifi testimonia di come la sperimentazione farmacologica provocava sulle cavie umane orribili convulsioni e sofferenze indicibili. Questa sofferenza rappresenta nella metafora l’esito dell’azione del capitalismo sulla vita. Trovo che anche il lavoro di Paolo Gallerani recentemente esposto alla Casa della Memoria di Milano (oltre sessanta opere tra sculture, disegni, carte e fotografi) abbia per certi versi a che fare con questa pretesa. Per questo se ne rimane immediatamente coinvolti, c’è qualcosa nella sua arte che dice del disagio del corpo in frantumi, fatto a pezzi nella stanza delle pulegge del capitalismo.

Il lavoro artistico di Paolo Gallerani in realtà non può essere ridotto a questo motivo, esso traccia e dipana spudoratamente diverse ragioni contemporaneamente, intrecciando in maniera stretta, fino a renderla impalpabile, la differenza tra vita e artificio. Non si lascia raccontare facilmente la poesia, profondamente materialistica, di questo geniale ed ecclettico artista, o meglio non si lascia raccogliere in un medium espositivo tradizionale. Tracima da ogni parte, come se lo spazio che la circonda fosse sì quantitativamente capace di contenerla ma al contempo incapace di frenarla qualitativamente. Credo che questo sia dovuto al fatto che l’opera di Gallerani tenta di cogliere la forza, la pulsione, il reale, l’eccedenza che recalcitra.

Questo è poi particolarmente evidente in alcune sue bellissime opere recenti, come ad esempio la Nike (2011), un missile/antimissile che l’arte libera dalla sua funzione guerrafondaia e disumana per mostrarne invece una tremolante ma precisa vocazione estetica nascosta, e prima che l’artista ci mettesse mano, del tutto latente.

Ecco perché il documentario di Maurizio Gibertini (realizzato per OfficinaMultimediale) che ci presenta il modo in cui questa mostra è stata montata e realizzata ha un valore inestimabile, perché punta lo sguardo al lavoro di Gallerani senza tentare di rinchiuderlo, anzi facendolo esplodere attraverso tecniche espressive mirate come l’improvvisa inserzione di immagini documentaristiche, i tagli e i piani sequenza.

Due sono i movimenti che le opere di Gallerani producono a mio avviso su chi le osserva per la prima volta. Il primo movimento appartiene alla dinamica del in-compiuto, un incompiuto che non ammicca a ciò che manca ma al contrario spinge al divenire necessario (insistente e materiale potremmo dire) dell’opera, che attraversata dalla vita, continua a compiersi all’infinito. È il caso della cassa con gli stralci delle vigne, dove quest’ultimi pur mutilati, privati della luce e strappati dalla terra continuano a produrre vita nella sua forma microrganica; o degli alberi lavorati che il documentario realizzato da OfficinaMutimediale mette giustamente in risalto nei suoi dettagli. L’altro movimento, strettamente legato al primo, è quello dello strato o meglio dell’accumulazione dei segni che si producono in seno all’opera. L’opera dell’artista centese non è rappresentabile con il piano liscio, levigato, pareggiato ma è al contrario sempre un rizoma di scarti che si accumulano, scarti che mostrano il conflitto, l’incompletezza, l’entropia, la ricchezza del vivente, il suo perenne godimento in atto. Il trauma quindi, il trauma dell’albero che si fa cannone, e il trauma del cannone che cerca di farsi albero. È la lotta aperta che pone l’uomo al centro di questa torsione, contemporaneamente come attore e come oggetto passivo di questo movimento. C’è un dolore che attraversa l’opera di Gallerani, un dolore che viene lavorato affinché assuma la torsione generativa della poetica: «l’arte deve avere il coraggio di confrontarsi con la catastrofe».

È l’arte o l’autore (l’artista), il protagonista dell’opera di Paolo Gallerani? Non saprei dire. Nel documentario emerge sia la figura umana dell’artista che la forza dell’arte che sfugge al controllo di chi la crea, che rappresenta un piano non governabile a cui occorre, per certi versi, accondiscendere.

In che relazione stanno i cannoni e gli alberi di Gallerani? Sarebbe troppo semplice dire che stanno in opposizione. Non c’è alcuna nostalgia naturalistica, nessun purezza da recuperare, negli alberi artigianati e lavorati dall’autore. Sono invece presi i due materiali, il ferro opaco e il legno chiarificato del tronco, in una congiunzione disgiuntiva dove in gioco c’è proprio il tema della in-appartenenza dell’uomo al mondo. O meglio il tema della ricerca per nulla scontata che l’uomo deve ad ogni passo fare per tentare di abitare il reale impossibile della vita.

In tal senso La stanza delle pulegge realizzata nel 1986 da Gallerani e Le macchine armate, su cui il documento visivo di Maurizio Gibertini ci consegna la storia e uno spaccato di rara intensità, devono a mio avviso essere osservate come se fossero l’una il rovescio dell’altra, l’una la trama del filato artistico dell’altra.

Gallerani, in questo come Kounellis, rompe con l’idea che l’arte del sensibile sia destinata ad essere superata dalla superiorità del logos. A questa «barzelletta» hegeliana l’artista risponde con la tracotanza della materialità dell’opera che si prende gioco del concetto mostrandone appunto l’inesattezza e la inevitabile bestialità. Nulla nel reale è solo razionale. Potremmo dire che Gallerani, pur non evocandolo mai direttamente da un punto di vista anatomico, attraverso le sue opere, faccia corpo, consistenza. Ma di che cosa? Corpo dell’evento, dell’imprevisto, del perturbante dello scontato. Come il corpo che abitiamo è sempre lo stesso medesimo corpo e mai è del tutto lo stesso. Gli accumuli che accompagnano disordinatamente gli oggetti inanimati di Gallerani, privandoli della loro funzionalità, uccidono la simbologia dell’oggetto, per donarli ad una nuova immagine del sensibile che non si accontenta della sua utilizzabilità precedente. Ecco, potremmo dire che l’incompiuto delle opere di Gallerani esprime l’impossibilità delle forme simboliche ad ospitare le forze della vita. Quest’ultima degenera sempre e si corrompe mostruosamente se non troviamo la chiave per accettare lo slancio che offre. È qui che risiede la vena nostalgica e preoccupata che l’opera di Gallerani stimola in chi la osserva. Non è una nostalgia che punta, come in Pasolini, perversamente a una purezza originaria corrotta e da ritrovare. Niente di tutto ciò.

Una chiave di questa sfida, che potremmo anche forse chiamare progetto per una politica per la vita (e non sulla vita), è la scrittura poetica. La Nike, l’opera di cui dicevamo, poc’anzi ce ne consegna la (una possibile) chiave di lettura. Il missile antimissile montato su di un carro che lo mette in condizione di avanzare, insieme ad alcuni innesti imprevedibili che ne perturbano la liscia fallicità. Alcuni di questi innesti sono organici (rami che spuntano come da un tronco dalla macchina/albero da guerra), altri sono testuali. Tra questi, in primo luogo, James Joyce che l’artista ha dichiarato essere fonte importante di ispirazione di quest’opera.

Lacan, come è noto, ha dedicato il suo Seminario XXIII alla figura di Joyce. Cosa vi vedeva di così significativo il grande psicoanalista francese nello scrittore dell’Ulisse? Vi vedeva la possibilità di nominarsi attraverso l’opera, di ricomporre il corpo in frantumi attraverso la scrittura. Attraverso l’opera Joyce ricostituisce il suo nome. In tal senso l’opera di Gallerani rappresenta il tentativo “joyciano” di produrre sul piano collettivo, in questo caso, una glossografia, che significa tentare di scrivere l’illeggibile e l’intrasmissibile per generare l’imprevisto e aprire un varco verso il nuovo passando attraverso l’estetica di un sogno comune.


Senza padri e melanconici

Posted: Ottobre 27th, 2014 | Author: | Filed under: Deleuze, epistemes & società, lacanism, post-filosofia, psichè, vita quotidiana | Commenti disabilitati su Senza padri e melanconici

di Federico Zappino

Appunti (a mo’ di recensione) intorno a Senza padri. Economia del desiderio e condizioni di libertà nel capitalismo contemporaneo di Paolo Godani (DeriveApprodi, 2014).

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La mia relazione con Senza padri. Economia del desiderio e condizioni di libertà nel capitalismo contemporaneo di Paolo Godani è stata, ed è tuttora, complicata. Senza indugiare oltremodo nei triboli emotivi, i moventi di questo attaccamento, e delle alternate, quasi reazionarie!, prese di distanza dal libro, affondano nella personale convinzione che buona parte della geremiade psicoanalitica e filosofica sull’evaporazione del Padre, e la conseguente riabilitazione di questa categoria, da cui il libro di Godani prende esplicitamente le mosse, sia fondamentalmente in malafede, posticcia, ancora prima che fuori asse, o reazionaria. Vi sarebbero infatti ottimi motivi per dubitare che la retorica dell’evaporazione del Padre, questo «nuovo ordine del discorso», come lo definisce lo stesso autore, abbia una, e una sola, funzione: lavorare, in modo più o meno cosciente, o più o meno sottile, al servizio dello spostamento del conflitto sociale su un terreno del tutto fittizio – conflitto che invece deve essere mantenuto vivo, ma da tutt’altra parte.

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Attualità di Lacan

Posted: Agosto 30th, 2014 | Author: | Filed under: anthropos, bio, Deleuze, epistemes & società, Foucault, General, lacanism, psichè | Commenti disabilitati su Attualità di Lacan

di Federico Chicchi

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Ogni lettore che si rispetti lo sa bene: ci sono libri che si limitano ad aggiungere semplici didascalie e libri che producono concatenamenti, aprendo nuovi e imprevedibili orizzonti di ricerca. Questo secondo è certamente il caso di Attualità di Lacan (a cura di Alex Pagliardini e Rocco Ronchi per Textus edizioni, 2014), un libro imperdibile per chi non sia allergico a quella fondamentale passione dell’essere che lo psicoanalista francese definiva ignoranza.

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Senza padri

Posted: Maggio 23rd, 2014 | Author: | Filed under: anthropos, au-delà, Deleuze, lacanism, psichè, vita quotidiana | Commenti disabilitati su Senza padri

di PAOLO GODANI

Economia del desiderio e condizioni di libertà nel capitalismo contemporaneo

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Questo lavoro si sviluppa a partire da alcune tesi preliminari.

La prima – che in effetti, benché assuma una valenza metodologica, è più una postura o un atteggiamento che una tesi vera e propria – implica che ogni critica allo stato di cose presente e ogni immagine di possibili vie di liberazione debbano forgiarsi con le materie prime e con gli strumenti forniti dal presente stesso. Bisogna resistere alla tentazione di immaginare che le vie di una liberazione possibile consistano nel recupero di qualche antico principio, di qualche forma di vita non inquinata dalle sottili polveri del presente. E bisogna farlo per la semplice ragione che le forme di vita del presente, anche se sfruttate e messe a profitto, sono le forme della nostra vita, sono tutta la vita che abbiamo.

La seconda tesi constata che il presente, la vita nel presente, nella sua materialità e nelle sue relazioni, è presa in ciò che ancora dobbiamo chiamare capitalismo.

[introduzione]


Soggettivazioni

Posted: Maggio 22nd, 2014 | Author: | Filed under: 99%, au-delà, bio, comunismo, crisi sistemica, epistemes & società, Foucault, lacanism, post-filosofia, postcapitalismo cognitivo | 17 Comments »

di FEDERICO CHICCHI

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Intervento sulla “produzione di soggettività” nell’incontro di autoformazione “Cartografia delle lotte”

Il soggetto come estimità del capitale

Non è per nulla facile costruire una riflessione sistematica sul soggetto. La soggettività è un concetto teorico a dir poco scivoloso, che scappa da tutte le parti quando provi a includerla in paradigma interpretativo.

Il soggetto (come la sua etimologia mostra chiaramente) è al contempo il risultato della presa dell’ordine simbolico sul bios, dell’azione del potere sull’individuo, e al contempo quell’elemento che rende strutturalmente insaturo quello stesso ordine e che bucandolo lo costringe ad un processo dinamico di continua trasformazione. Il capitalismo non è un cristallo.

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Nuovi disagi nella civiltà

Posted: Marzo 17th, 2014 | Author: | Filed under: anthropos, au-delà, bio, crisi sistemica, epistemes & società, lacanism, Marx oltre Marx, posthumanism | 1 Comment »

di Paolo B. Vernaglione

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Che il “discorso del capitalista” sia parlato in sottotraccia da TV, rete e grandi giornali è evidente, soprattutto nella continua denegazione della crisi della finanza neoliberale. Che i tratti specie-specifici della natura umana (senza virgolette) risaltino nella prassi del presente è cosa meno evidente nel colpevole oblìo della critica.

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Freud e Lacan

Posted: Giugno 9th, 2013 | Author: | Filed under: anthropos, au-delà, lacanism, psichè | Commenti disabilitati su Freud e Lacan

di Louis Althusser

pubblicato su aut aut (1974)

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Slavoj Zizek on David Lynch

Posted: Maggio 5th, 2013 | Author: | Filed under: anthropos, arts, lacanism | Commenti disabilitati su Slavoj Zizek on David Lynch

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In chapter 15 of Seminar XI, Lacan introduces the mysterious notion of the “lamella”: the libido as an organ without body, the incorporeal and for that very reason indestructible life substance that persists beyond the circuit of generation and corruption.(1) It is no accident that commentaries on this passage are rare (for all practical purposes nonexistent); the Lacan with whom we are confronted in this passage does not have a lot in common with the usual figure of Lacan which reigns in the domain of cultural studies. The Lacan of the lamella is “Another Lacan,” as Jacques-Alain Miller put it, a Lacan of drive not desire, of the real not the symbolic.

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Fobia e perversione nell’insegnamento di Jacques Lacan

Posted: Febbraio 18th, 2013 | Author: | Filed under: anthropos, au-delà, lacanism | Commenti disabilitati su Fobia e perversione nell’insegnamento di Jacques Lacan

Rossella Armellino e Maria Parisi (cura)

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Frutto di un lavoro collettivo sul Seminario IV. La relazione d’oggetto di Jacques Lacan, questo volume raccoglie vari contributi di studiosi noti e meno noti, giovani e meno giovani, apprendisti e maestri, psicoanalisti e filosofi, stranieri e italiani, tutti facenti capo – questi ultimi – alla Associazione Lacaniana di Napoli, agguerrito avamposto di ricerca e divulgazione della dottrina lacaniana fondato nel 2008, i cui membri sono passati – chi in maniera più diretta, chi in maniera più indiretta – per l’insegnamento di Paola Caròla, figura chiave della psicoanalisi napoletana degli ultimi trent’anni alla quale la raccolta è meritoriamente dedicata.

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DALLA PARTE DEL SOGGETTO: IL RAPPORTO LACAN – FOUCAULT: di Amalia Mele [–>]


Lacan

Posted: Novembre 28th, 2012 | Author: | Filed under: anthropos, bio, epistemes & società, lacanism | 8 Comments »

di ROBERTO ESPOSITO – la Repubblica | 28 Novembre 2012

DALL’ETICA AL DESIDERIO. I PENSIERI DI UN MAESTRO. Massimo Recalcati dedica due volumi al controverso psicoanalista Il primo, appena pubblicato, è sul soggetto e i sentimenti

Noi, i soggetti. Ma chi siamo, noi? E cosa vuol dire “soggetto”? Che rapporto passa tra me e l’altro, all’interno della comunità? Ma anche tra me e ciò che, senza appartenermi, come il linguaggio che parlo, mi condiziona, mi modella, mi altera? E ancora: cosa è, per ciascuno di noi, il desiderio? A quale legge risponde? E come si articola con l’etica, l’arte, l’amore? Sono le grandi domande che si pone, e ci pone, Massimo Recalcati in Jacques Lacan. Desiderio, godimento, soggettivazione (Cortina), prima parte di un dittico, straordinario per quantità e qualità, cui seguirà un’altra sulla clinica psicoanalitica. Si tratta del suo ultimo libro, ma anche, più a fondo, del libro della sua vita. Certamente Recalcati ne scriverà ancora molti. Ma il libro della vita è un’altra cosa. È il libro cui dedichiamo la vita, ingaggiando una battaglia che non possiamo mai davvero vincere. E che poi, a un certo momento, sorprendendoci, la vita scrive attraverso di noi.

Si potrebbe dire che questo, a conti fatti, è quanto ci ha insegnato Lacan. La sua è un’opera “difficile” – non perché lontana dalla nostra esperienza, ma perché, al contrario, tanto prossima ad essa che quasi non riusciamo a metterla a fuoco e oggettivarla. La forza e il fascino del libro di Recalcati stanno appunto in questa consapevolezza. Nel sapere, e nel dirci, che le tesi di Lacan non possono essere descritte dall’esterno, come una qualsiasi teoria, ma vanno riconosciute dentro di noi – nei nostri gesti e nelle nostre parole, nei nostri impulsi e nei nostri smarrimenti. In questo senso va intesa quella “sovversione del soggetto” cui, fin dai primi seminari, Lacan dedica la propria opera – e dunque, come si diceva, la propria vita. Contro l’idea di una padronanza del soggetto su se stesso egli ci insegna che diveniamo ciò che siamo soltanto attraverso la mediazione simbolica dell’Altro – di un terzo che s’interpone nella relazione narcisistica tra noi e la nostra immagine, complicandola ma anche vivificandola, dando senso a ciò che sembra non averne.

Recalcati ricostruisce in tutte le sue pieghe lo sviluppo, tutt’altro che lineare, di un pensiero, come quello di Lacan, costituito nel punto di confluenza e di tensione tra esistenzialismo e strutturalismo, capace di assorbire, traducendoli in un impasto originalissimo, gli influssi di Hegel e Heidegger, di Sartre e Kojève, di Saussurre e Jakobson – per non parlare di Freud, restato fino all’ultimo il suo interlocutore privilegiato. In questo quadro complesso e in continua evoluzione, quale è il suo punto di partenza – il nucleo rovente da cui si può dire nasca la necessità del suo pensiero? Si tratta del fatto che, nel rifiuto narcisistico dell’altro, nel tentativo inane di ricucire la propria faglia originaria, il soggetto mostra di odiare innanzitutto se stesso. In questo modo – nel nodo mortifero che lega Narciso a Caino – si può rinvenire la radice dei totalitarismi e della guerra, a ridosso dei quali Lacan comincia a lavorare.

Quello che, nella stretta distruttiva tra Immaginario e Reale, risulta escluso è il piano del Simbolico, della relazione con l’altro, intesa come domanda di riconoscimento reciproco, come legge della parola e del dono. Quando la tendenza all’immunità – alla chiusura identitaria – prevale sulla passione per la comunità, l’Io batte contro il proprio limite rimbalzando sull’altro, secondo una pulsione di morte che finisce per risucchiarli entrambi nel proprio vortice. I grandi temi dell’inconscio come linguaggio, del nome del padre, della dialettica tra desiderio e godimento, sono tutti modi per proporre, da parte di Lacan, la medesima esigenza. Che è quella, per un soggetto esposto alla propria alterità, di non identificarsi con se stesso, ma senza perdersi nell’altro. Di sfuggire alla ricerca compulsiva di un godimento senza limiti, ma anche alla legge di un desiderio senza realizzazione.

L’originalità di Lacan – nell’interpretazione di Recalcati – sta nella capacità di tenersi lontano da entrambi questi estremi. Di non contrapporre il godimento al desiderio, ma di cercare di articolarli in una forma che fa di uno il contenuto dell’altro. Il processo di soggettivazione – vale a dire di elaborazione, da parte dell’io, dell’alterità da cui proviene – è il luogo di questa alleanza, la zona mobile in cui le acque del desiderio confluiscono in quelle del godimento, pur senza mischiarsi. Godere nel desiderio, attraverso il desiderio – vale a dire non di una pienezza irraggiungibile, ma della differenza che ci attraversa e ci costituisce: ecco la sfida, il luogo impervio della nostra responsabilità etica verso l’altro, che né la dissipazione libertina di Sade né la morale sacrificale di Kant potevano mai attingere. È il tema su cui sono tornati con efficacia anche Bruno Moroncini e Rosanna Petrillo in L’etica del desiderio. Un commentario del seminario sull’etica di Lacan (Cronopio). Quali sono i segni di questa possibile giuntura tra godimento e desiderio, pulsione e legge, uno e altro? Lacan li rintraccia intanto in un’etica del reale – non dei valori trascendenti – che, pur consapevole della necessità che ci governa, la apre alla contingenza dell’incontro inatteso, come quella che, nell’interpretazione sartriana, fa di Flaubert non un idiota, ma un genio.

Ma li ritrova anche nella dinamica dell’amore – come ciò che riscatta l’impossibilità degli amanti di ottenere un godimento reciproco. Mentre il maschio non può godere che di se stesso e in se stesso, la domanda della donna è senza limiti e dunque mai soddisfatta. Vero amore è quello che, anziché rimuoverla, riconosce questa distanza, rinunciando al godimento assoluto. Non l’abolizione della mancanza, ma la sua condivisione nell’abbandono e nel rischio che ne deriva. L’arte, in una diversa esperienza di sublimazione, riproduce tale condizione. Anche in essa la pulsione si afferma circoscrivendo un vuoto – elevando il proprio oggetto alla dignità della Cosa. Come provano i quadri di Cézanne, ma anche la scatola di fiammiferi di Prévert, in una pratica artistica intesa come organizzazione del vuoto, presenza e assenza si sovrappongono in una forma che fa dell’una l’espressione rovesciata dell’altra, così come, in tutta l’arte contemporanea, la figura si rivolge all’infigurabile.

Ancora una volta il soggetto si riconosce assoggettato a qualcosa che lo domina, su cui egli non può avere controllo. E tuttavia, ciò non ne determina né la dissoluzione né la soggezione a una potenza straniera. C’è sempre, in ogni esistenza, una sporgenza rispetto al proprio destino, un punto di resistenza alla ripetizione che coincide con la singolarità della vita. È proprio l’assenza di governo di sé, l’esposizione all’Altro, che riapre il cerchio della necessità alla dimensione del possibile. Forse, si potrebbe aggiungere, l’unico terreno sul quale questa possibilità appare più appannata, nell’opera di Lacan, è quello della politica. Non a caso il libro di Recalcati percorre i territori della filosofia, dell’etica, dell’estetica, ma non quello della politica. Forse perché alla politica non basta la soggettivazione in quanto tale, e neanche l’incrocio dell’uno con l’altro. Occorre anche una linea conflittuale che, all’interno della società, aggreghi gli uni contro, o almeno di fronte, agli altri. Ecco è la questione ultima, lasciata aperta da Lacan, con cui la ricerca di Recalcati è chiamata a confrontarsi.