Il Nuovo Regno e Balotelli

Posted: Giugno 3rd, 2013 | Author: | Filed under: au-delà, crisi sistemica, epistemes & società, postcapitalismo cognitivo, Révolution | Commenti disabilitati su Il Nuovo Regno e Balotelli

di Militanduquotidien

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“Essere liberi significa per voi partecipare al dominio. Partecipare al dominio significa per voi dominare. E il vostro dominio lo chiamate dominio del pensiero. Per dominare siete disposti ad andare con gli affamati, perché qui si combatte per il dominio. Ma gli affamati vogliono il dominio per non aver fame, quindi vogliono un dominio del tutto particolare, che consiste nell’infrangere il dominio di coloro che cagionano la fame. Gli affamati non hanno nulla in contrario ad essere dominati, se questo dominio elimina la fame, in quanto accresce la combattività degli affamati. Essi non tengono in conto alcuno la vostra troppo libera libertà.”
Bertolt Brecht

E’ difficile in questi giorni affacciarsi alla finestra per “stare a vedere” poiché non vi è più nulla da vedere. Se le parole contavano mai come adesso esse risultano vuote e la coerenza si dipinge a bene negoziabile come tutto il restante. Ovunque il neoliberismo fagocita nell’universo mercantile il lavoro, la natura, la sostanza vivente e ciò comprende immancabilmente anche l’immaginario e la mente. Degli sfoghi retorici, in futuro, ci rimarranno forse quelli del Presidente della Camera e di qualche altro “legame” umano all’interno di istituzioni che hanno ormai definitivamente inserito il pilota automatico. Oltre la meccanica rimarrà la retorica nella misura in cui le mine che si stagliano lungo il paesaggio non potranno essere disinnescate dagli stessi che hanno contribuito a posizionarle. Le responsabilità (quelle vere e pressanti) si fanno ora condivise in una “guerra tra poveri” che ha già fatto la sua comparsa e che non potrà più delegare a una “politica” quel ruolo di mediazione abbandonato ormai definitivamente. La TINA (There is no alternative) ha vinto ancora ma oggi lo scenario è più drammatico.

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Foucault, Biopolitics, and Governmentality – e-book

Posted: Maggio 25th, 2013 | Author: | Filed under: anthropos, bio, epistemes & società, postoperaismo, vita quotidiana | Commenti disabilitati su Foucault, Biopolitics, and Governmentality – e-book

Foucault, Biopolitics, and Governmentality, an open-access e-book edited by Sven-Olov Wallenstein and Jakob Nilsson, with essays by Thomas Lemke, Johanna Oksala, Catherine Mills, Julian Reid, Lukasz Stanek, Helena Mattsson, Warren Neidich, Cecilia Sjoholm, Maurizio Lazzarato, and Adenna Mey.

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Foucault’s work on biopolitics and governmentality has inspired a wide variety of responses, ranging from philosophy and political science to history, legal studies, and urban planning. Drawing on historical sources from antiquity to twentieth century liberalism.

Foucault presented us with analyses of freedom, individuality, and power that cut right to the heart of these matters in the present.

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Il soggetto della discordia

Posted: Maggio 2nd, 2013 | Author: | Filed under: epistemes & società, post-filosofia | 2 Comments »

di Fabrizio Denunzio

Foucault

L’ambivalente rapporto di Michel Foucault con Kant e con la teoria critica dei francofortesi. Quello che appare come un problema di filologia svela invece un nodo tutt’ora irrisolto nella politica della trasformazione della realtà. Un sentiero di lettura a partire dal volume «Che cos’è l’Illuminismo?» da poco pubblicato dalla casa editrice Mimesis.

Nel 1784 la «Berlinische Monatsschrift», un periodico tedesco di larga diffusione, pubblica la risposta di Kant alla domanda: Che cos’è l’Illuminismo? A duecento anni di distanza, nel 1984, Michel Foucault, in un libro curato da Paul Rabinow, suo allievo americano, pubblica un saggio dallo stesso titolo e, sulla scia di Kant, risponde alla domanda attualizzandone il significato.

I due testi appaiono ora assieme nel libretto edito da Mimesis, Kant-Foucault, Che cos’è l’illuminismo? (pp. 47, euro 3,90). L’operazione editoriale, di per sé interessante perché offre la partitura originale di un testo classico (quello settecentesco kantiano) con la sua esecuzione contemporanea (quella novecentesca foucaultiana), si espone, però, ad un doppio limite. Il primo, quello di confinare il Foucault pensatore dell’Illuminismo kantiano a questo solo saggio, il secondo di occultare il reale obiettivo perseguito dal filosofo francese: offrire una visione dell’Illuminismo sostanzialmente diversa da quella culturalmente egemonica affermatasi con la Dialettica dell’illuminismo di Max Horkheimer e Theodor W. Adorno. Detta in breve, mettendo mano alla questione dell’Illuminismo Foucault chiarisce i suoi rapporti con la Scuola di Francoforte e la teoria critica della società da essa inventata.

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L’io, l’ex e il plurale di porno attraverso l’etichetta, l’ironia, il fake

Posted: Aprile 14th, 2013 | Author: | Filed under: anthropos, epistemes & società | 1.826 Comments »

di Massimo Canevacci

mutante

La mutazione della pornografia in porno-senza-scrittura è il tratto caratteristico dell’infiltrazione del digitale nella comunicazione psico-culturale attraverso l’orizzontalità dei social network. Le crescenti difficoltà a distinguere le differenze attrattive tra sesso, eros e porno fissano nella pupilla il centro della visione etnografica.

Il porno digitale sviluppa nuovi panorami basati su una probabile mutazione di quello che era inconsciente ottico, e che ora è una spianata in cui si rafforza un’alleanza autoritariamente disinibita tra quello che era un super-io e i resti dell’es. Un’ambigua eroptica, miscela di ottica ed erotica incollata allo schermo digitale. L’oscillazione di tale distinzione porta a un rafforzamento senza concetto tra pulsioni più distratte che distorte (prive di rimozione e sublimazione) e autorità introiettate/accettate (non più autorevoli). L’es emerso diventa un ex affine a un super-io che, insieme, allagano l’io. Un ex-es. In questa terra di nessuno, abita saltuariamente un ioporno: uno strano essere mutante di cui si sa poco, pochissimo, e che andrebbe “ricercato” con minuziose etnografie partecipate per illuminare tale io incollato al porno e spianato dall’alleanza tra es e super-io. Dalla classica metapsicologia illuminista (dove è l’es sarà l’io) si transita all’attuale probabile dove è l’ex, sarà ioporno. L’es diventa “qualcosa” che si sta staccando dal – e che già non è più parte del – soggetto: forse un pulsare del feticismo digitale che unifica il qualcosa con il qualcuno, difficile da definire persino nei contorni. Ogni “io” è diventato un tu (you), un generico “cosa-uno”. Quelle che erano perversioni – e che causavano il turbamento di un soggetto in maturazione – ora sono tassonomie brevi, classificazioni secche, caselle opzionali, su cui cliccare, sostare alcuni minuti, passare alle successive senza drammi, angosce o sensi di colpa. Tantomeno mimesi. Il soggetto ioporno sguscia tra rituali di iniziazione o di perversione e si incolla nella putrefazione carnale illuminata dei pixel. Molta politica contemporanea (compresi i porno studies) flette e riflette tale ioporno, lo legittima e lo performa con indifferente supposizione.

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La potenza di astrazione e il suo antagonismo. Sulle psicopatologie del capitalismo cognitivo

Posted: Marzo 28th, 2013 | Author: | Filed under: au-delà, bio, epistemes & società, postcapitalismo cognitivo, Révolution | 1 Comment »

di MATTEO PASQUINELLI

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La vita fende la materia, elabora e contrae la materia, dando vita alle virtualità contenute nel materiale in direzioni sconosciute. La vita emerge come divenire-concetto, divenire-pensiero o, nel caso della coscienza, come divenire-cervello. — Elisabeth Grosz[1]

Il dibattito filosofico-politico degli ultimi anni, almeno alle latitudini del pensiero francese e italiano, è stato caratterizzato da una oscillazione concettuale che ha focalizzato di volta in volta il lavoro immateriale o il lavoro affettivo, l’economia della conoscenza o l’economia del desiderio, il cognitivo o il biopolitico. Nessuna agenda di ricerca o politica è stata immune a questa oscillazione, talvolta recitando in modo polemico un polo contro l’altro. Dopo un periodo al lavoro sull’economia della conoscenza, per esempio, una maggiore attenzione veniva data al lavoro affettivo (tornando a riscoprire quello che il femminismo aveva già tentato di politicizzare negli anni ’70), mentre le biotecnologie occupavano il palco centrale del dibattito sulle nuove forme di potere. Spesso è capitato di sentire lamentele contro un paradigma cognitivo che si dimenticava della materialità biologica e genetica del corpo, della sua libido, dei suoi affetti, ecc. Da alcuni come Lazzarato la noopolitica fu allora proposta come estensione dello spazio del biopotere per arrivare a coprire anche le nuove forme dell’immaginario collettivo e delle tecnologie della conoscenza.[2] Ma solo recentemente si è cominciato propriamente a capire l’importanza delle neuroscienze nelle ricerche dell’operaismo e del post-strutturalismo.[3]

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Dieci tesi contro il capitalismo predatorio

Posted: Marzo 21st, 2013 | Author: | Filed under: 99%, anthropos, crisi sistemica, epistemes & società, vita quotidiana | Commenti disabilitati su Dieci tesi contro il capitalismo predatorio

di Jean-Claude Lévêque

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I

Il capitalismo contemporaneo è la forma estrema dello stesso, ovvero il capitalismo nella sua fase discendente, ancora inedita nei suoi effetti complessivi. La «servitù del debito» è uno dei suoi modi di oppressione e controllo delle masse, ma non il solo.

Si può a ragione parlare di «capitalismo predatorio» o di «Capitalismo assoluto» (Preve), anche se entrambe le definizioni paiono ancora insufficienti per coglierne le caratteristiche dominanti. Il dibattito attuale (considero come posizioni interessanti e opposte quelle di Dardot/Laval, di Bidet, di Lazzarato, Negri, Zizek, Badiou, di Aglietta e di Lévy) stenta a trovare una strategia di uscita dal dominio del capitale finanziario, per ragioni teoriche e ideologiche. Si fanno delle analisi convincenti- anche se non sempre-, ma quello che risulta pressoché impossibile (forse soprattutto perché, in generale, non si tiene conto di Lenin) è trovare un modo per opporsi efficacemente alla retorica intransigente della classe dominante.

La strategia dei capitalisti sembra invece molto più efficace nello spuntare le armi dei movimenti che vi si oppongono. La constante criminalizzazione di qualsiasi forma di opposizione e l’affermazione constante e martellante dell’assenza di alternative lasciano poco spazio ai movimenti.2

Un’altra caratteristica del capitalismo predatorio è la sua connivenza con le mafie mondiali, che ormai spesso appare assolutamente evidente, sebbene negata dai media di regime.

I metodi dei «pirati legalizzati» e dei «pirati fuorilegge» spesso coincidono, sia nei modi che nei risultati ottenuti. Il velo fuorviante della retorica dei “diritti umani” serve solo a occultare il fatto che di essi è stato fatto strame.

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Deleuze

Posted: Febbraio 22nd, 2013 | Author: | Filed under: anthropos, au-delà, epistemes & società, post-filosofia, Révolution | Commenti disabilitati su Deleuze

di Fabrizio Denunzio

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Nuova edizione di un saggio germinale di Gilles Deleuze dedicato al filosofo David Hume. Una teoria del rapporto tra stato e società postrivoluzionarie alimentata dal ruolo che alcuni sentimenti hanno nel costruire un nuovo ordine

Leggendo con attenzione Empirismo e soggettività. Saggio sulla natura umana secondo Hume di Gilles Deleuze (nuova edizione a cura di A. Vinale, Cronopio, pp. 174, euro 16), si rimane sorprendentemente impressionati dalla volontà dell’autore di confrontarsi con il mondo delle scienze sociali. La sorpresa dipende in massima parte dalla formazione culturale di Deleuze e dal momento storico in cui compare il suo libro.

Come ricorda il curatore, a cui dobbiamo una nuova traduzione che ha il merito di emendare quella precedente di Marta Cavazza e di rendere quanto mai lucido il complesso dettato originale deleuziano, il lavoro su Hume inizia nel 1947 in occasione del conseguimento del diploma nazionale per l’insegnamento scolastico della filosofia e viene pubblicato nel 1953.

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Carlo Sini

Posted: Febbraio 14th, 2013 | Author: | Filed under: anthropos, epistemes & società, philosophia, post-filosofia, vita quotidiana | 9 Comments »

di ANTONIO GNOLI

“ARRENDIAMOCI, NON POSSIAMO CONOSCERE LA REALTÀ”.

Parla il filosofo Carlo Sini mentre viene ripubblicata la sua opera che mette in discussione il pensiero occidentale.

Ho qualche dubbio che i filosofi – come si sente dire in giro – conoscano i
sentieri della felicità e ci accompagnino per mano lungo quegli ameni
percorsi. Ma un tale sospetto non deve indurre a gettarci tra le braccia dei
torturatori del concetto, dei paranoici del pensiero, attenti a che nulla
del reale sfugga alla loro occhiuta attenzione. La filosofia ha molto di
problematico, di sfuggente, soprattutto oggi in cui le certezze sono messe
in discussione alla radice. E a pensarlo, fra gli altri, con un percorso
molto originale, è Carlo Sini che sta per compiere 80 anni. Allievo di
Emanuele Barié ed Enzo Paci, per decenni professore di teoretica alla
cattedra di Milano, Sini sta pubblicando per Jaca Book la sua intera opera.

Dove ha sparso i suoi interessi: nel mondo antico, che è all’origine –
almeno in Occidente – del passaggio denso di conseguenze dall’oralità alla
scrittura; in quello moderno sovrastato da Spinoza ed Hegel e infine in
quello contemporaneo dal quale affiorano i nomi di Husserl, Peirce e
Wittgenstein.

«È un quadro veritiero, fatalmente approssimativo quello che lei riassume.
Ma in fondo l’ultima parola non è mai la nostra. Diceva Peirce: il
significato della mia vita è affidato agli altri».

Ma gli altri possono avere molti pregiudizi.

«Il che prova che la verità non è mai qualcosa di definitivo, siamo sempre
in errore. In cammino. Non a caso io parlo di “transito della verità”».
A nessuno piace l’errore. La filosofia greca e poi il cristianesimo ci hanno
insegnato a diffidare dell’errore e del peccato, suggerendo i modi per
evitarli.

«C’è in queste filosofie o visioni del mondo un’idea di perfezione che ha
provocato danni e fraintendimenti. E tutto ciò è nato dalla pretesa di
affidare alla scrittura il ruolo di cardine su cui l’Occidente ha fondato il
proprio sapere».

Prima i saperi si costituivano oralmente. Poi arriva la scrittura. Tutto
diventa più semplice. Perché diffidarne?

«Non è una diffidenza, ma la consapevolezza che l’introduzione della
scrittura modifica la nostra percezione del mondo. Il Logos, di cui parlano
i greci, non potrebbe sussistere senza la scrittura».

Perché?

«Per il semplice motivo che ogni scrittura ha un supporto che è fuori dal
corpo di chi parla. La scrittura – diversamente dall’oralità – ci pone di
fronte a un sapere oggettivo che va interpretato. Quando è la voce a
trasmettere il sapere, non c’è separazione o distanza tra ciò che diciamo e
il mondo che lo accoglie e di cui facciamo parte. Nella scrittura invece va
ravvisata quella radice oggettiva che si svilupperà con la scienza».

Questo è un passaggio ulteriore.

«È una continuità. Senza la scrittura alfabetica e matematica – che sono
scritture per tutti – non avremmo avuto l’universale e quindi la scienza.
L’universale – che i greci hanno chiamato Logos – ha determinato il corso
del sapere occidentale. È stata la nostra forza, la nostra potenza, ma anche
la nostra superstizione e il nostro equivoco».

Capisco la potenza, ma perché superstizione ed equivoco?

«Per la semplice ragione che sia la scienza che il senso comune pensano che
ci sia un mondo fuori di noi che possiamo conoscere».

Effettivamente è così: da un lato la realtà dall’altro noi che l’avviciniamo
e la conosciamo. Se vuole, molto rozzamente, siamo in una delle tante
versioni del realismo.

«Posizione ingenua. Perché o noi facciamo parte di quella realtà oppure è
illusorio pensare di conoscerla».

Eppure, se non riuscissi a distinguermi dalla realtà esterna, allo stesso
modo, non potrei conoscerla.

«Obiezione giusta. Nel senso che noi siamo parte della realtà pur
distinguendoci da essa. Siamo parte della verità ma non siamo la verità».

Un bel paradosso. Allora cosa siamo?

«Siamo nella differenza del sapere, o meglio siamo in ciò che chiamo
“l’essere in errore”. Verità ed errore sono in qualche modo due facce della
stessa medaglia ».

Anche la scienza partecipa della verità e dell’errore. Ne fa esperienza, nel
senso che corregge continuamente l’errore.

«Il lavoro della scienza è meraviglioso, va bene così, ne beneficiamo tutti.
Sarebbe insensato rifiutare la scoperta di una cura contro il cancro o
condannare
un treno perché copre distanze lunghe in tempi sempre più brevi. Altra cosa
è l’idea che gli scienziati per lo più si fanno del loro lavoro. Qui prevale
quello che Husserl chiamava il pregiudizio “naturalistico”. Ossia il
riferimento ingenuo e inconsistente a un misterioso mondo che è “là fuori” e
a un ancor più misterioso “qui dentro”».

Lei, insomma, mette in discussione il modo tradizionale di concepire il
dentro e il fuori, il soggetto e l’oggetto, la realtà e la coscienza. Dove
collocherebbe tutto ciò?

«Nella vita che si svolge e che si traduce negli innumerevoli archivi
dell’accaduto, i quali ricompongono di continuo il passato in nuovi archivi
e mappe per il futuro».

Vedo che usa la parola “archivio”. Immagino che non sia solo il deposito
delle conoscenze al quale attingiamo.

«È qualcosa di più strategico, è il modo di venire alla luce della verità
pubblica».

I filosofi hanno a volte il vizio di rispondere a una complicazione con una
complicazione ulteriore. Cos’è la verità pubblica?

«È quella, per esempio, che in questo momento io e lei pratichiamo in questa
conversazione».

Una conversazione che al lettore potrà apparire troppo tecnica.

«Un margine di oscurità è preferibile a insulse certezze. E poi distinguerei
tra competenza e sapere, anche se tra loro sono connessi. Una competenza
analitica la posso apprendere anche da un computer opportunamente
programmato; il sapere in senso complessivo non può invece fare a meno del
coinvolgimento delle emozioni corporee profonde. Si tratta di creare
un’intesa condivisa, cioè anche pubblica o comune».

Ciò che è pubblico è anche esposto al fraintendimento, al rumore mediatico,
al sentire massificato.

«Che cosa sia stato e sia nel profondo il “secolo della masse” –
l’espressione deriva da Sorel – è ancora una domanda attuale. Non abbiamo un
pensiero all’altezza del problema, io credo. Che cosa significa fare
politica, fare cultura, e quindi fare anche filosofia, in un tempo
globalizzato, massificato, mercificato e via dicendo, non l’ha chiaro
nessuno. La fiumana trascina le nostre antiche barche, ormai senza governo».

Appellarsi al passato o alla tradizione?

«Mi sembra evidente che la nostra grande tradizione storico-culturale si è
formata in società così differenti dall’attuale che la pretesa di travasare
in essa i nostri contenuti e i nostri stili di pensiero si rivela fatalmente
utopica».

Propone una variante della filosofia della crisi?

«No, ma occorre prendere atto della crisi se la si vuole affrontare. Direi
perciò che l’evidente crisi del modello capitalistico va in parallelo con la
crisi di ciò che un tempo si considerava alta cultura. Il liberalismo
politico e il liberalismo economico sono falliti nei loro propositi
esattamente come la scuola pubblica e l’universale alfabetizzazione. Non
possiamo rinunciarvi perché non conosciamo modelli più efficienti o più
realistici, ma non ne deriviamo affatto quel benessere per tutti e quella
diffusa formazione critica e liberatrice che erano attesi».

Suggerisce la rassegnazione?

«Suggerisco la consapevolezza. Ogni civiltà è destinata a tramontare: “Della
civiltà non rimarrà che un cumulo di macerie e di cenere, ma sopra le ceneri
aleggerà lo spirito”, lo ha detto Wittgenstein. Ci troviamo in mezzo a un
grande sommovimento che ci sovrasta e ci inquieta. Il nostro compito è
rimettere in gioco la verità. Disincagliarla dal dogmatismo. Non conosco
modo migliore per riprendersi il futuro».


URBAN 5

Posted: Febbraio 10th, 2013 | Author: | Filed under: anthropos, arts, au-delà, comune, epistemes & società, Révolution, situationism | Commenti disabilitati su URBAN 5

Urban 5

MILLEPIANI/URBAN 5
CARTOGRAFIE DEL DESIDERIO
Per la creazione di una nuova polis

Testi di: Tiziana Villani, Thierry Paquot, Giairo Daghini, Anselm Jappe, Lucien Kroll, Ubaldo Fadini, Paul D. Miller, VOINA, Camilla Pin, Enzo Scandurra, Claudia Mattogno, Giovanni Attili, Carlo Cellamare

Testi di: Tiziana Villani, Thierry Paquot, Giairo Daghini, Anselm Jappe, Lucien Kroll, Ubaldo Fadini, Paul D. Miller, VOINA, Camilla Pin, Enzo Scandurra, Claudia Mattogno, Giovanni Attili, Carlo Cellamare

In che modo è possibile ripensare i modi dell’abitare contemporaneo?
La prima considerazione che intendiamo proporre in questo volume riguarda l’esistente, ciò che conosciamo e che attraversiamo tutti i giorni, il consueto che distrattamente ci accompagna nei diversi momenti in cui si declinano le nostre esistenze.
Lo spazio dell’urbano contemporaneo disegna in modo decisivo la trasformazione dei processi sociali in corso, e per quanto le sue forme possano apparire differenziate, tutte testimoniano una sorta di onda d’urto che si frantuma in direzioni diverse senza potersi poi ricomporre.
I rapporti di lavoro, di vicinanza, di periferizzazione, di riorientamento verde di alcuni spazi, appaiono molto fragili se confrontati con i processi speculativi e di cementificazione.
È possibile immaginare delle nuove agora nel tempo della “gentrificazione” e della marginalizzazione degli spazi urbani?
Lo spazio della condivisione in cui il potere viene sospeso è uno spazio materiale, oltre che simbolico, che nell’oggi deve farsi carico della transitorietà che caratterizza l’abitare umano. Strumento dunque tanto più necessario perché dovrà assumere caratteri rizomatici e indispensabili al fine di restituire luoghi e pensieri alla creazione di nuove situazioni e di nuove istituzioni che ripensino i lavori, i saperi, la cura, le relazioni, le forme della comunicazione.
Gli interventi qui raccolti non si limitano a descrivere, ma si spingono ad interpretare queste domande urgenti spesso partendo da esperienze o territori profondamente diversi.
Il problema del “naturale”, del “verde”, della resilienza, della sostenibilità è assunto in questo numero, nella domanda di nuova articolazione tra il biologico e il tecnologicamente avanzato, che solo nel reciproco intrecciarsi potranno indicare condizioni più soddisfacenti di esistenza. Questi spazi sono “porosi”, ossia territori di interscambio e contaminazione continua, ma non per questo si tratta di spazi dell’abbandono e del degrado; occorre modificare lo sguardo e l’approccio considerando le potenzialità che ogni luogo offre. L’abitare, i movimenti di territorializzazione e di deterritorializzazione chiamano in causa quella specifica attenzione che Gilles Deleuze e Félix Guattari sottolineavano quando affermavano che la prima delle arti è l’architettura, poiché l’uomo nasce con essa, considerazione da coniugare con le Immagini di città di Walter Benjamin, in cui è quasi una compromissione corporea quella che coinvolge il viaggiatore con le città che attraversa. Inoltre, impossibile in proposito non tener presente la lucida analisi di Jean-Pierre Vernant, che intende ripensare l’istituzione delle agora, luogo essenziale della polis: “Lo spazio urbano non gravita più intorno a una cittadella reale che lo domina, ma è incentrato sull’agora che, più che il mercato dove si scambiano i prodotti, è il luogo per eccellenza in cui si discute liberamente tra uguali. Il miracolo greco (che tale non è) è questo: un gruppo umano si propone di spersonalizzare il potere sovrano, di metterlo in una situazione tale che nessuno possa più esercitarlo da solo, a modo suo. E affinché sia impossibile appropriarsene, lo si ‘deposita al centro’ […] Depositare il kratos, il potere di dominio, in questo luogo pensato come centrale, equidistante da ogni membro della città, non significa soltanto spersonalizzarlo, ma anche neutralizzarlo…”. (J.P. Vernant, Senza frontiere. Memoria, mito e politica, Milano, R. Cortina, 2005, p. 128).
Agora di transito dunque, luoghi per una discussione tra eguali, capaci di mettere insieme creazione e saperi, atti alla soddisfazione della prima tra le dimensioni “in comune”: quella dell’abitare.

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Agalma 24

Posted: Febbraio 5th, 2013 | Author: | Filed under: anthropos, epistemes & società, kunst, post-filosofia | Commenti disabilitati su Agalma 24

DA NIETZSCHE A BREIVIK

di Mario Perniola

donna

Anche questo numero è monografico, come il n. 5 (Magnificenza e mondo antico di Sarah F. Maclaren), il n. 18 (Strategie del bello. Quarant’anni di estetica italiana 1968-2008) e il n. 20-21 (La società dei simulacri) entrambi scritti interamente dal sottoscritto. Del testo che qui viene proposto furono pubblicate solo cinquecento copie nel 1986. E’ stata l’edizione brasiliana Ligação Direta – Estética e Política, Florianopolis, Editora UFSC, 2011, a rivelarne l’attualità. Segno che esso tratta di processi storici di durata relativamente lunga, il cui inizio è da individuarsi negli anni Sessanta del Novecento. Fu allora che avvenne una profonda cesura storica che si manifestò in tutti gli ambiti della cultura e della vita privata e collettiva. Nacque in Occidente una nuova civiltà che fu chiamata in vari modi: “società dello spettacolo”, “società dei consumi”, “società della comunicazione”, “società dei simulacri”, e così via. Tutto quello che avverrà dopo, era già in germe allora. L’estetica e la politica hanno rappresentato luoghi di osservazione privilegiati, perché essi sono stati i primi ad essere destabilizzati e destrutturati. Volendo individuare due episodi emblematici di questo profondo cambiamento, indicherei il successo mondiale della Pop Art dal 1960 in poi, e la soluzione della crisi dei missili di Cuba nell’ottobre 1962. Col primo apparve chiaro che qualsiasi cosa poteva diventare arte, col secondo che la cosiddetta Guerra Fredda tra l’USA e l’URSS non sarebbe mai diventata calda. In altre parole, non valeva la pena morire né per l’arte, né per la politica. Pochissimi si resero conto che questi due fatti avevano aperto orizzonti post-artistici e post-politici che furono poi ampiamente percorsi in moltissime direzioni nei decenni successivi fino ad oggi. Il sociologo tedesco Arnold Gehlen proprio allora aveva previsto l’avvento di un fenomeno di cristallizzazione delle società occidentali: questa è una condizione che interviene allorquando le possibilità contenute in un certo contesto sono tutte sviluppate nel loro patrimonio fondamentale. La società diventa tanto uniforme e omogenea che non ci sono più differenze culturali e personali. Secondo tale impostazione, nulla di veramente importante o di decisivo può più accadere: tutte le attività sono coinvolte in questo processo generale di restringimento e di raggrinzimento, una specie di “esonero” (Entlastung) da quell’ambizione di rapporto con l’essenziale e il decisivo, su cui si fondava la possibilità dell’azione. Si entra in una fase che è stata definita col termine di post-historia.

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