neomutualismo

Posted: Febbraio 7th, 2014 | Author: | Filed under: 99%, anthropos, au-delà, bio, comune, comunismo, crisi sistemica, epistemes & società, vita quotidiana | Commenti disabilitati su neomutualismo

di VALERIO GUIZZARDI

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Nota introduttiva – “Neomutualismo”

Neomutualismo apparve, nella primavera del 1999, sulle pagine della rivista di movimento «Banlieues», testata senza fissa periodicità che si collocava nella galassia dell’autonomia diffusa italiana, sforzandosi di operare una ricognizione critica della prospettiva postoperaista. L’orizzonte era quello dei conflitti che attraversavano l’università e si riversavano nei territori della fabbrica diffusa e del terziario avanzato. Redatto in forma anonima ma in realtà realizzato da Valerio Guizzardi, uno dei redattori della rivista, lo scritto qui riproposto compone una storia disinvolta del movimento cooperativo italiano e delle pratiche di mutualismo a cavallo tra la seconda metà dell’Ottocento e il primo ventennio del Ventesimo secolo.

La scelta di ospitare una lunga riflessione su forme organizzative considerate “riformiste” può apparire discutibile e perfino equivoca. Tanto più se riferita a certi cliché storiografici o al senso comune della sinistra rivoluzionaria e dei movimenti antagonisti. E perfino se rapportata alla linea del contenitore editoriale che la ospitava. O se paragonata agli esiti infami della cooperazione in Italia (mostrati con chiarezza dalle straordinarie lotte dei lavoratori della logistica).

Tuttavia, in quell’ultimo scorcio di Novecento, che Novecento non era già più, si ragionava su varie ipotesi di ricomposizione di quell’intellettualità di massa – «talvolta integrata in reti produttive avanzate, talatra precaria e “dai piedi scalzi”» – considerata da molti il «bandolo di tutte le matasse». Erano i tempi in cui andavano dispiegandosi pienamente gli effetti di un nuovo modello produttivo: il postfordismo o paradigma dell’accumulazione flessibile. Da più parti si riscontrava come l’agire comunicativo, i saperi e la conoscenza permeassero la produzione. Frammentato, inchiodato alla coincidenza di tempo di vita e tempo di lavoro, disperso e atomizzato, il lavoro intellettuale di massa veniva considerato il nuovo soggetto posto nel punto più avanzato dello sviluppo del capitale. Almeno così si diceva.

In quegli anni fu anche coniata la formula “impresa politica autonoma”, alludendo a un insieme di pratiche che andavano da un’interazione conflittuale col mercato a una fuoriuscita ingegnosa e intraprendente dai vincoli del lavoro subordinato, a forme di produzione autonoma di reddito. Era un’illusione, e nel volgere di pochi anni un cognitariato sempre più precario, o – meglio – un nuovo proletariato, si ritrovò ricacciato nella più classica delle contraddizioni: quella tra capitale e lavoro.

Alla fine dei Nineties, decennio dominato dall’euforia e da retoriche mobilitanti che scommettevano sugli infiniti margini d’innovazione da parte del capitale e sui conseguenti spazi di autonomia da costruire e organizzare, Neomutualismo tracciava uno spettro di riferimenti, diverso e parallelo, alludendo alle remote forme di mutualismo e cooperazione praticate da operai e braccianti. Ne richiamava lo specifico di classe, sottolineandone – al contempo – il carattere di resistenza e lo spirito antagonista: quanto più crescevano e si diffondevano le forme della cooperazione, tanto più dilagavano le lotte. Lo scritto, inoltre, tentava di delineare una temporalità complessa che legava bisogni impellenti e concretissime esigenze dell’oggi a un quadro di trasformazione della società. Last but not least: volgeva una certa pedanteria dell’indagine storiografica in virtù linguistica, rinunciando – ad esempio – all’impiego del sostantivo à la page “impresa”, pur aggettivato in modo alternativo, e risignificando allusivamente un lessico composto da parole come “leghe di resistenza”, “società di mutuo soccorso”, “cooperative di produzione, lavoro, consumo e abitazione”. C’era qualcosa di vagamente lungimirante in questo guardare indietro, e altrove. Non a caso, oltre lo spartiacque simbolico dell’anno 2000, di quelle imprese politiche autonome rimarranno solo macerie.

Di certo, il saggio risente del periodo in cui fu scritto. Il quadro in cui si sviluppano ricostruzione storica e ragionamento politico è quello della riappropriazione dei nessi amministrativi dal basso, opzione in voga negli anni Novanta che puntava sulla determinazione di un welfare municipale. E si percepisce con forza il richiamo all’esodo intraprendente, altra suggestione che – forse – non ha retto alla prova degli anni Zero, né saputo sciogliere l’intricato nodo del politico, e del potere.

Ad ogni modo, al pari del recente romanzo di Valerio Evangelisti Il sole dell’avvenire (leggi l’intervista), Neomutualismo offre importanti spunti di riflessione per ragionare sulle condizioni, sulle pratiche ricompositive, sulla resistenza quotidiana e sulle forme di lotta d’un proletariato senza diritti né fissa occupazione, che passa da un lavoro all’altro in una condizione di perenne intermittenza.

Sembrano gli echi di un passato lontanissimo. Oppure, ad ascoltare con attenzione, può assomigliare alla colonna sonora del presente.

PS: Lo scritto contiene un apparato di note piuttosto importante che contengono non solo gli opportuni riferimenti alle fonti bibliografiche ma anche, e soprattutto, approfondimenti alle argomentazioni proposte. Ciò consente al lettore, volendo, due modi di lettura: o più velocemente del testo per una prima valutazione narrativa per poi passare alle note con calma, oppure tutto insieme per una lettura più complessa e ragionata.

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Il lavoro dell’astrazione. Sette tesi provvisorie su marxismo e accelerazionismo

Posted: Febbraio 2nd, 2014 | Author: | Filed under: 99%, anthropos, au-delà, bio, comune, comunismo, crisi sistemica, critica dell'economia politica, epistemes & società, Foucault, Marx oltre Marx, postcapitalismo cognitivo, postoperaismo, Révolution, vita quotidiana | Commenti disabilitati su Il lavoro dell’astrazione. Sette tesi provvisorie su marxismo e accelerazionismo

di Matteo Pasquinelli

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1. Il capitalismo è un oggetto di elevata astrazione, il comune è una forza di ancor più grande astrazione.

La nozione di lavoro astratto di Marx identificò per la prima volta il motore centrale del capitalismo, ovvero la trasformazione del lavoro in equivalente generale. In seguito, Sonh-Rethel (1970) individuò la stretta relazione che passa storicamente tra astrazione del linguaggio, astrazione della merce e astrazione del denaro. Nella cosiddetta ‘introduzione’ ai Grundrisse (scritta nel 1857) Marx chiarisce l’astrazione come metodologia di analisi che emergerà solo dieci anni più tardi nella pagine del Capitale (1867). Come ricordano in molti (Ilyenkov 1960), in Marx il concreto è un risultato, è un prodotto del processo di astrazione: la realtà capitalistica, così come quella rivoluzionaria, è una invenzione. “Il concreto è concreto perché è sintesi di molte determinazioni, quindi unità del molteplice. Per questo nel pensiero esso si presenta come processo di sintesi, come risultato e non come punto di partenza, sebbene esso sia il punto di partenza effettivo e perciò anche il punto di partenza dell’intuizione e della rappresentazione” (Marx 1857: 101). L’astrazione è sia la tendenza del capitale, sia il metodo del Marxismo. L’operaismo viene quindi a strappare l’astrazione dal doppiopetto del capitale per ricucirla addosso alla tuta del proletario: astrazione è sia il movimento del capitale, sia il movimento della resistenza ad esso.

Negri (1979: 66) muove l’astrazione al centro del metodo della tendenza antagonista come processo di conoscenza collettiva: “il processo dell’astrazione determinata è tutto dentro l’illuminazione collettiva, proletaria, è quindi un elemento di critica e una forma di lotta”. In qualche modo, l’idea del comune nasce come progetto epistemico.

Marx, Karl (1857). Grundrisse der Kritik der politischen Ökonomie. Moscow: Verlag für fremdsprachige Literatur, 1939. Traduzione: Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica. Torino: Einaudi, 1976.

Ilyenkov, E. Vassilievich (1960). La dialettica dell’astratto e del concreto nel Capitale di Marx. Milano : Feltrinelli, 1961.

Sohn-Rethel, Alfred (1970). Geistige und körperliche Arbeit. Frankfurt (Main): Suhrkamp. Traduzione: Lavoro intellettuale e lavoro manuale. Milano, Feltrinelli, 1977.

Negri, Antonio (1979). Marx oltre Marx: Quaderno di lavoro sui Grundrisse. Milano: Feltrinelli.

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La condizione postumana

Posted: Febbraio 2nd, 2014 | Author: | Filed under: anthropos, epistemes & società, post-filosofia, postgender, posthumanism | Commenti disabilitati su La condizione postumana

di Rosi Braidotti

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Non tutti noi possiamo soste nere, con un alto grado di si curezza, che siamo sempre stati umani, o che non siamo null’altro all’infuori di questo. Alcuni di noi non sono considerati completamente umani ora, figuriamoci nelle precedenti epoche della storia occidentale sociale, politica e scientifica.

Non se per «umano» intendiamo quella creatura che ci è diventata tanto familiare a partire dall’illuminismo e dalla sua eredità: il soggetto cartesiano del cogito, la kantiana comunità di esseri razionali o, in termini più sociologici, il soggetto-cittadino, titolare di diritti, proprietario, ecc. E tuttavia questo termine gode di ampio consenso e conserva la rassicurante familiarità del luogo comune. Affermiamo il nostro attaccamento alla specie come se fosse un dato di fatto, un presupposto. Fino al punto di costruire attorno all’umano la nozione fondamentale di diritto. Ma stanno davvero così le cose?

qui


Antonio Caronia

Posted: Febbraio 1st, 2014 | Author: | Filed under: 99%, anthropos, au-delà, bio, digital conflict, epistemes & società, postcapitalismo cognitivo, posthumanism, vita quotidiana | Commenti disabilitati su Antonio Caronia

di Giuseppe Allegri

Non trovo le parole per salutare Antonio Caronia e questo sarà un pessimo post, ma non so fare altrimenti.

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Inutile ricordare quanto gli dobbiamo. Personalmente quasi tutta la distopia infinita: Gibson, Dick, Ballard. E poi le visioni sui postumani. In mezzo “i supereroi con superproblemi”, Frank Miller del Batman, The Dark Night e Alan Moore di Watchmen. Nel passaggio dei primissimi anni ’90, io pivellino universitario provinciale a Roma, a leggerlo in fanzine fichissime, rivistone teoriche e a smanettare per improbabili BBS, da analfabeta cibernetico quale ero e sono.

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Qui per ascoltare le sue lezioni a Brera.


Il giornalismo filosofico come genere della critica

Posted: Febbraio 1st, 2014 | Author: | Filed under: anthropos, epistemes & società, Foucault, Marx oltre Marx, post-filosofia | Commenti disabilitati su Il giornalismo filosofico come genere della critica

di Paolo B. Vernaglione

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Delimitare un’ontologia del presente, ricominciare dalla critica come strumento “povero” per dirla con Benjamin, fare della critica il fuoco delle preoccupazioni e degli addensamenti di pensiero come delle dispersioni e delle traiettorie di esodo dalla infelice esistenza nel capitalismo, sembra essere il contenuto più adeguato del giornalismo filosofico.

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“Ripresa, autonomie, fiscalità” – Piste di ricerca per i movimenti moltitudinari in Europa – Intervista con Toni Negri

Posted: Gennaio 29th, 2014 | Author: | Filed under: 99%, crisi sistemica, epistemes & società, postoperaismo, Révolution | 9 Comments »

Con questa intervista a Toni Negri, si apre su globalproject.info una nuova finestra che proporrà con continuità a partire da oggi inedite occasioni di analisi, approfondimento e formazione teorico-politica.

E proprio le caratteristiche della fase “post-austerity”, che si sta affacciando dopo sei anni di gestione capitalistica della crisi, in Europa e nella relazione tra questo spazio e gli scenari globali, saranno al centro del lavoro di queste prime settimane.

A partire, ad esempio, dalle tensioni che hanno investito nelle ultime ore i mercati delle cosiddette “economie emergenti”. E’ il sistema nei cambi ad entrare, per la prima volta dall’inizio della crisi, in fibrillazione, quasi ad indicare come forse sui rapporti valutari il capitale finanziario abbia cominciato a giocarsi la partita per la stabilizzazione e il rilancio delle dinamiche di accumulazione. Provare a comprendere che cosa stia succedendo sarà una delle sfide che MM si prepara ad affrontare.

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lavoro cognitivo

Posted: Gennaio 25th, 2014 | Author: | Filed under: anthropos, digital conflict, epistemes & società, postcapitalismo cognitivo, postoperaismo | Commenti disabilitati su lavoro cognitivo

di Enzo Rullani

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1. Se dovesse individuare delle qualità fondamentali per definire la trama del lavoro cognitivo oggi emergente, cosa indicherebbe?

Per identificare le qualità rilevanti del lavoro cognitivo, bisogna innanzitutto capire che cosa è e dove lo troviamo, nei processi produttivi di oggi. Bisogna innanzitutto distinguere il lavoro cognitivo con cui abbiamo a che fare ai nostri giorni (nel contesto della modernità) dal lavoro energetico-muscolare del passato (riferito ai modelli provenienti dall’epoca pre-moderna). In linea generale, possiamo chiamare lavoro cognitivo ogni forma di lavoro che – come output utile – produce conoscenza, usando questa conoscenza sia per generare significati o legami dotati di valore (per gli interlocutori a cui sono rivolti), sia, in altri casi, per governare e avviare trasformazioni materiali realizzate da macchine e da energia artificiale.

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Qui di seguito un intervento di Emiliana Armano sul lavoro cognitivo


Biorank: Algoritmi e trasformazioni del bios nel capitalismo cognitivo

Posted: Gennaio 23rd, 2014 | Author: | Filed under: 99%, anthropos, au-delà, bio, epistemes & società, postcapitalismo cognitivo, posthumanism, vita quotidiana | Commenti disabilitati su Biorank: Algoritmi e trasformazioni del bios nel capitalismo cognitivo

di Giorgio Griziotti

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Il processo di messa a valore della vita procede in modo sempre più veloce. Oltre alla cattura e all’espropriazione quotidiana del general intellect, elementi sempre più sofisticati della cooperazione sociale costituiscono ambiti di sfruttamento e di accumulazione biocapitalistica. In particolar modo, i social network con i nuovi algoritmi recentemente inseriti, sono in grado di personalizzare le nostre relazioni sociali, creando enormi riserve di “big data” funzionali alla creazione di banche dati per la diffusione di nuove forme di bio-marketing e di potenti strumenti di sussunzione della vita. Ma tali algoritmi possono essere utilizzati anche per fini alternativi. Nel workshop “Algorithm and Capital”, che si è tenuto al Goldsmith College di Londra, lo scorso 21 gennaio, si è discusso anche di moneta digitale, delle sue potenzialità e limiti. Qui presentiamo l’intervento di Giorgio Griziotti.

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Non si tratta più di decidere se bisogna arrivare o meno, alle pratiche dell’ingegneria biologica, ma di cosa fare con queste tecniche. La lotta è ormai portata sulle alternative paradigmatiche del bios e la moltitudine è chiamata a scontrarsi sull’idea e la realtà, modello, linguaggio di corpo che vuol destinare al General Intellect.

Toni Negri “Desiderio del mostro: dal circo al laboratorio alla politica” 2001[1]

L’uso delle tecnologie è l’asse portante della metamorfosi indotta dalla fusione di vita e lavoro caratteristica del capitalismo cognitivo. Una metamorfosi che investe la coppia innato/acquisito, dove quest’ultimo nel darwinista nature vs nurture[2] è il “nutrimento” dell’ambiente, dalla terra madre alla parola.

Per più di un secolo il dibattito speculativo sul binomio alimenta filosofia, psicologia, ricerca medica e scienze umane e fonda l’organizzazione disciplinare della società compresa quella del regime nazista che ne fa il perno della sua ontologia distruttrice.

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Le parole insidiose

Posted: Gennaio 22nd, 2014 | Author: | Filed under: anthropos, epistemes & società, vita quotidiana | Commenti disabilitati su Le parole insidiose

di Jason Stanley*

Parole

Anticipazioni. Un estratto della conferenza che il filosofo del linguaggio terrà al Festival delle scienze, all’Auditorium di Roma, venerdì 24, alle ore 16.30

Pla­tone aveva una scarsa con­si­de­ra­zione della demo­cra­zia. Rite­neva che la poli­tica fosse un’arte ed era con­vinto che per com­pren­dere l’essenza di quell’arte biso­gnasse avere delle com­pe­tenze. Il filo­sofo ha sem­pre soste­nuto che non c’è alcuna spe­ranza che la mol­ti­tu­dine possa con­se­guire le abi­lità richie­ste per gover­nare, poi­ché viene facil­mente ingan­nata dai sofi­sti. Da ciò ne è con­se­guito, per il pen­sa­tore greco, un rifiuto netto per la demo­cra­zia come sistema di potere pra­ti­ca­bile. È «pro­ba­bile che le ori­gini della tiran­nia si tro­vino pro­prio in un regime demo­cra­tico e in nes­sun altro luogo» (Pla­tone, La Repub­blica). Un giu­sto sistema di governo deve inse­diare al potere i filo­sofi, sono loro gli unici in grado di com­pren­dere l’essenza delle cose.

Pla­tone aveva ragione a con­si­de­rare le sue opi­nioni incom­pa­ti­bili con la demo­cra­zia. L’idea che i cit­ta­dini non siano capaci di dare giu­dizi sull’amministrazione pub­blica, che l’economia e la poli­tica siano aree di com­pe­tenza, come il campo medico, è qual­cosa di pro­fon­da­mente anti­de­mo­cra­tico. Cosa è neces­sa­rio dun­que per una demo­cra­zia al fine di evi­tare la minac­cia che si «tra­sformi in tiran­nia»? Secondo quanto affer­mato da molti stu­diosi, la demo­cra­zia esige una cit­ta­di­nanza infor­mata, qual­cuno che possa impe­gnarsi in dibat­titi pub­blici moti­vati su que­stioni poli­ti­che. È uno stan­dard elevato.

Un’idea più «mode­sta» dei requi­siti neces­sari alla demo­cra­zia è tut­ta­via difen­di­bile: i cit­ta­dini devono avere una ragio­ne­vole capa­cità nel rico­no­scere quando un’azione poli­tica viene fatta nel loro inte­resse. La visione di Pla­tone è anti­de­mo­cra­tica per­ché parte dal pre­sup­po­sto che anche que­sto livello sia troppo alto. La mol­ti­tu­dine sarà sem­pre ingan­nata dalla pro­pa­ganda e dalla falsa reto­rica, indotta a votare con­tro i pro­pri interessi.

Una pro­fonda com­pren­sione di come il lin­guag­gio venga uti­liz­zato per insi­diare la demo­cra­zia stessa è, quindi, essen­ziale in ogni stato democratico.

Non è neces­sa­ria nes­suna spe­cia­liz­za­zione in filo­so­fia del lin­guag­gio o in lin­gui­stica per riu­scire a indi­vi­duare alcuni usi della pro­pa­ganda. Per esem­pio, è pra­tica comune negli Stati Uniti dare un nome fuor­viante ai dise­gni di legge. Quello del 2001, che ha per­messo alle forze gover­na­tive di vio­lare la Costi­tu­zione degli Stati Uniti, con lo spio­nag­gio dei suoi cit­ta­dini, senza un man­dato, è stato chia­mato «Patriot Act», un nome che ha inde­bo­lito la pos­si­bi­lità di fare opposizione.

Più di recente, nel novem­bre 2013, la Camera dei Rap­pre­sen­tanti ame­ri­cana ha appro­vato la legge «Swap Regu­la­tory Impro­ve­ment Act». Il nome del dise­gno di legge sug­ge­riva che quel dispo­si­tivo avrebbe dovuto miglio­rare la rego­la­men­ta­zione del mer­cato nel campo dei deri­vati, lo stesso che pro­vocò il crollo del sistema finan­zia­rio mon­diale nel 2008 e obbligò al sal­va­tag­gio di grandi isti­tu­zioni finan­zia­rie in Usa. Eppure, scritto quasi inte­ra­mente dalla mega­banca Citi­group, il dise­gno di legge per­mette pro­prio alle ban­che di uti­liz­zare i depo­siti assi­cu­rati dal governo fede­rale per spe­cu­lare sul mer­cato dei deri­vati. Tutela in tal modo le stesse ban­che: saranno infatti nuo­va­mente «sal­vate» se i mer­cati dei deri­vati, ancora una volta, subi­ranno un col­lasso. È que­sto in realtà l’unico «miglio­ra­mento nor­ma­tivo» che il dise­gno di legge propone.

La stra­te­gia è par­ti­co­lar­mente dif­fusa nella poli­tica eco­no­mica, in cui le parole uti­liz­zate per rac­con­tare ciò che sta acca­dendo con gli Stati ven­gono pre­le­vate dai con­te­sti che descri­vono le finanze di una fami­glia nor­male. La parola «debito» è diversa se appli­cata all’Unione euro­pea, che può stam­pare la pro­pria moneta, piut­to­sto che ad una fami­glia, che non può farlo. Ma un capo­fa­mi­glia, che si iden­ti­fica in colui che cerca di evi­tare di debito, può essere ingan­nato e appog­giare poli­ti­che che, di fatto, vanno con­tro gli inte­ressi della sua fami­glia; l’imbroglio sta nell’incapacità di com­pren­dere che «debito» signi­fica qual­cosa di molto dif­fe­rente se riguarda un governo o una unione politica.

Ci sono poi forme più sot­tili di pro­pa­ganda, per le quali un’analisi det­ta­gliata del lin­guag­gio e dell’uso lin­gui­stico risulta assai utile. I lin­gui­sti distin­guono tra ciò che è pre­sup­po­sto da un enun­ciato e il punto focale del mede­simo. Chi è in disac­cordo, deve accet­tare prima i pre­sup­po­sti di quell’enunciato. Se affermo: «È Gio­vanni che ha risolto il pro­blema», e qual­cuno non è d’accordo, deve sug­ge­rire che un altro abbia agito. È dif­fi­cile dire «no» e voler con ciò asse­rire che il pro­blema non sia stato affatto risolto. L’espressione «È Gio­vanni che ha risolto il pro­blema» fa pre­su­mere che qual­cuno lo abbia comun­que districato.

Allo stesso modo: «È stato il pre­si­dente Obama a cau­sare il disa­stro», ci dice qual­cosa circa il suo ten­ta­tivo di ampliare l’accesso alle cure sani­ta­rie, ma ipo­tizza che la legge sani­ta­ria sia cata­stro­fica, affer­mando però che la causa è pro­prio il pre­si­dente Obama (piut­to­sto che le assi­cu­ra­zioni sani­ta­rie). L’attenzione al dibat­tito in lin­gui­stica circa il «pre­sup­po­sto» è essen­ziale per com­pren­dere a fondo cosa stia accadendo.

Un altro tipo di esem­pio. Lo slo­gan di canale Fox descrive l’emittente come «impar­ziale ed equi­li­brata». Ma è abba­stanza ovvio, anche al suo stesso pub­blico, che il canale Fox News non sia né l’uno né l’altro. La ragione per cui sfog­gia que­sto slo­gan è quello di invi­tare a pen­sare che non esi­ste qual­cosa che sia giu­sto ed equi­li­brato — che non vi è alcuna pos­si­bi­lità di dare noti­zie obiet­tive, esi­ste solo la pro­pa­ganda. Lo scopo è quello di insi­nuare che tutti i media siano gene­ral­mente insin­ceri. Gli effetti di un tale pre­giu­di­zio sono evi­denti nelle società in cui i media sta­tali usano il lin­guag­gio sol­tanto come un mec­ca­ni­smo di con­trollo, invece che come fonte di infor­ma­zione. I cit­ta­dini che cre­scono in uno stato in cui le auto­rità distri­bui­scono esclu­si­va­mente pro­pa­ganda non svi­lup­pano alcuna dome­sti­chezza con i mec­ca­ni­smi della fiducia.

Quindi, anche se i mem­bri di quella società hanno accesso a noti­zie atten­di­bili, magari via Inter­net, non si fidano. Sono adde­strati al sospetto. Senza fidu­cia, non vi è alcun modo, per qual­siasi spea­ker, di essere preso sul serio nel pub­blico domi­nio. Il risul­tato di que­sto atteg­gia­mento? È una società in cui le distin­zioni tra poli­tici e clo­wns svaniscono.

Uno Stato demo­cra­tico è quello in cui l’ingresso delle per­sone comuni nelle scelte poli­ti­che le rende legit­time. Ma la dif­fu­sione e l’accettazione della pro­pa­ganda da parte dei poli­tici e dei media mina la pre­gnanza della loro par­te­ci­pa­zione. Se l’opinione pub­blica è stata diso­rien­tata dalla pro­pa­ganda costruita da chi detiene il potere, l’entrata in poli­tica dei cit­ta­dini è irri­le­vante e lo stato non demo­cra­tico. Uno Stato demo­cra­tico neces­sita una cit­ta­di­nanza sem­pre vigile, in grado di moni­to­rare e punire i suoi poli­tici e i media quando pie­gano il lin­guag­gio ad un mec­ca­ni­smo di con­trollo, dimen­ti­cando che è invece una fonte di informazione.

* Filo­sofo del lin­guag­gio, Yale University


Judith Butler

Posted: Gennaio 16th, 2014 | Author: | Filed under: anthropos, au-delà, bio, donnewomenfemmes, epistemes & società, postgender | Commenti disabilitati su Judith Butler

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Le Nouvel Observateur: Nel 1990 ha pubblicato Gender Trouble (trad. it., Questione di genere), testo che ha segnato l’irruzione, nel dibattito intellettuale, della “teoria del gender”. Di cosa si tratta?

Judith Butler: Intanto ritengo importante precisare di non aver inventato gli “studi di genere” (gender studies): la categoria di “genere” era infatti già in uso dagli anni Sessanta, negli Stati Uniti, sia all’interno della ricerca sociologica, sia in quella antropologica. In Francia, invece, in particolare sotto l’influsso di Lévi-Strauss, si è preferito parlare di “differenze sessuali”. La cosiddetta “teoria del gender” prende dunque piede solo tra gli anni Ottanta e Novanta, innestandosi proprio all’incrocio tra l’antropologia statunitense e lo strutturalismo francese.

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