Posted: Dicembre 4th, 2013 | Author: agaragar | Filed under: 99%, BCE, crisi sistemica, critica dell'economia politica, epistemes & società, postcapitalismo cognitivo, postoperaismo, Révolution | Commenti disabilitati su Crisi finanziaria e capitalismo cognitivo
Intervista a Yann Moulier-Boutang di DAVIDE GALLO LASSERE
La crisi che scuote il mondo intero da cinque anni pare non voglia calmarsi. Il discorso convenzionale pone sul banco degli accusati la separazione progressiva tra una cosiddetta economia reale, buona e produttiva, e una finanza semplicemente parassitaria, tagliata fuori da ogni connessione col mondo concreto. Da parte tua, sebbene non sottostimi per nulla il dominio e il ricatto esercitati dai mercati e dagli operatori finanziari, rifiuti ogni distinzione così netta. Pertanto, ritieni che non ci si possa più limitare a invocare un fantasmagorico ritorno al reale. Potresti spiegare perché le cose non son così semplici come sembrano?
In effetti bisogna distinguere la parte finanziaria dell’economia reale, dalla parte non finanziaria dell’economia reale. Entrambe sono pienamente reali. Del credito, che è la sostanza della moneta la cui forma consiste nella più o meno grande liquidità o esigibilità (le famose forme della massa monetaria M1, M2, M3), genera immediatamente delle possibilità d’investimento, dei salari, degli acquisti di beni e servizi, degli impieghi. Ciò che succede è che la parte finanziaria dell’economia reale diventa via via più gigantesca a mano a mano che l’economia diventa più complessa, e che si accrescono l’interdipendenza e la mutualizzazione degli impegni contrattuali o legali e regolamentari. Per 150 miliardi di dollari quotidiani di PIL mondiale e altrettanto di commercio di beni, si hanno 1500 miliardi di transazioni che coprono il rischio di cambio e 3700 miliardi di transazioni su delle promesse concernenti il futuro, i famosi prodotti derivati. Questo era l’ordine di grandezza nel 2009 e malgrado la scomparsa della metà dei 2000 Hedge Funds (fondi di piazzamento dei capitali a rischio) la scala è rimasta la medesima. La verità è che affinché ciò che taluni chiamano “l’economia reale” diventi realtà bisogna che la finanza attivi questo armamentario impressionante. L’economia starebbe meglio senza una finanza che tanti a sinistra descrivono come un parassita inutile che si potrebbe tranquillamente appendere a testa in giù? Diffidiamo del sofisma già denunciato da Kant secondo il quale la colomba volerebbe meglio nel vuoto. Non si tratta di negare l’evidenza, ossia che i finanzieri sanno trarre dall’ipertrofia della sfera finanziaria una posizione di forza nella fetta di reddito che si accaparrano. Questa è una costante nella storia del capitalismo mercantilista, industriale, finanziario e oggi cognitivo. Ciò che merita di essere pensato e pesato sono le trasformazione dell’economia in blocco (sfera finanziaria e non finanziaria). Innumerevoli analisi sulla finanziarizzazione dell’economia nella globalizzazione (quest’ultima globalizzazione, preceduta da altre tre nella storia dell’Occidente) considerano soltanto un lato del problema: le ripercussioni (essenzialmente negative) del gonfiamento della sfera finanziaria su ciò che chiamano la sfera dell’economia reale, spesso ridotta a quell’industria che promuovono al rango di sola realtà, unica creatrice di ricchezza (come l’agricoltura in Quesnay). È senz’altro vero che è molto attraente, in un sistema che erige la massimizzazione del profitto all’alfa e all’omega, guadagnare il 30% l’anno tramite i soli piazzamenti finanziari (per esempio la speculazione immobiliare), quando guadagnare il 15% in imprese diventa una prodezza (una prodezza tuttavia pretesa dai fondi pensione), mentre il 5% nelle PMI risulta essere la banale realtà corrente. Questi effetti secondari non risolvono la questione dell’ipertrofia senza precedenti della finanza. Ho cercato di mostrare altrove che la crescita della liquidità e del potere di esercitare un effetto leva da parte della finanza (il passaggio da 5 o 9 del corso del credito per 1 di attivi sotto forma di fondi propri, a più di 30) traduceva nella sfera finanziaria qualcosa che non ha nulla a che vedere con la speculazione, né con un meccanismo autoalimentato in stile bolla, né con gli animal spirits dell’homo oeconomicus, ma che riguarda una trasformazione reale dell’economia.
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Posted: Novembre 24th, 2013 | Author: agaragar | Filed under: anthropos, bio, crisi sistemica, epistemes & società, Global, vita quotidiana | Commenti disabilitati su Cambiamenti critici del clima
di ROSI BRAIDOTTI
Il lavoro di Melinda Cooper illumina con genialità e intuizione l’economia politica perversa del capitalismo avanzato. La sua perversione consiste nella coesistenza di regimi biopolitici di coltivazione e sfruttamento di tutto ciò che vive, con le pratiche crudeli tipiche della distruzione necropolitica mirata. Modi di morire e modi di vivere vengono strategicamente schierati attraverso gli spazi sociali sfaccettati e sconvolti della sostenibilità di stampo aziendale, del mix culturale globalizzato e del consumismo monotono e coercitivo.
Altrettanto perversa è l’ideologia contemporanea della “libera” mobilità. Il capitalismo avanzato è una forza centrifuga che produce freneticamente e mette in circolazione beni differenziati a livello quantitativo: dati, capitali, bit e byte di informazioni, a tutto vantaggio della mercificazione e del profitto. Gli individui, soprattutto i non europei, i migranti e i rifugiati apolidi, così come i membri delle minoranze sociali, culturali e di genere, non circolano affatto altrettanto “liberamente” (Braidotti 2003). A livello dei processi di soggettivazione, questo sistema appare come un moltiplicatore di differenze deterritorializzate, che vengono confezionate e commercializzate grazie all’etichetta del “nuovo”, identità negoziabili e fluide create su misura delle infinite scelte dei consumatori. Proliferazioni quantitative senza cambiamenti qualitativi.
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Posted: Ottobre 31st, 2013 | Author: agaragar | Filed under: comune, crisi sistemica, epistemes & società, Marx oltre Marx, situationism | Commenti disabilitati su CONTRO IL DENARO
di Aldo Meccariello
Anselm Jappe
Contro il denaro
Mimesis, Milano-Udine 2013,
pp.62, € 4,90
ISBN 978-88-5751-161-0
E se il vero azzardo fosse quello di scommettere sulla scomparsa del denaro, che cosa ne sarebbe del capitalismo? E che cosa ne sarebbe di noi che «ci siamo consegnati, piedi e mani legate, al denaro»? Come saranno le nostre vite dopo un crollo su vasta scala delle banche e delle finanze pubbliche? Domande provocatorie, come è provocatorio il titolo di questo agile volumetto, che raccoglie tre lucidi e sferzanti articoli di Anselm Jappe, allievo di Mario Perniola e professore di Estetica all’Accademia di Belle Arti di Frosinone. Nel primo articolo, Il denaro è diventato obsoleto?, l’Autore descrive un raccapricciante scenario distopico che potrebbe stimolare l’immaginazione di un regista di film catastrofici. Senza il denaro, che è il nostro feticcio, senza «questa divinità che noi stessi abbiamo creato dal quale crediamo di dipendere e al quale siamo pronti a sacrificare tutto pur di placare le sue ire» (p. 11), ci saranno magazzini pieni ma senza clienti, fabbriche in grado di funzionare ma senza operai e maestranze, scuole in cui i professori non si presenteranno più, perché privi di salario da mesi, le campagne senza contadini, uffici senza più impiegati: saremmo di fronte all’incantesimo di un nuovo Medioevo «che separa gli uomini dai loro prodotti» (p. 8). Con il susseguirsi di crisi finanziarie peggiori di quelle del 2008, saremmo dinanzi alla fase terminale del capitalismo che implode insieme a quel mediatore universale che Marx chiamava il denaro. In effetti, questo scenario non è così surreale perché – sostiene Jappe – il denaro si sta rarefacendo sia dal punto di vista materiale (deflazione) sia da quello del valore (inflazione), ma senza di esso «che fa circolare le cose, noi siamo come un corpo senza sangue» (p. 10). Ma «se le banche sprofondano, se falliscono a catena, se cessano di distribuire denaro, noi tutti rischiamo di sprofondare con loro» (p. 12), perché un’economia senza questa interfaccia che è il denaro è, al momento, un salto nell’ignoto che sgomenta.
Anche il lavoro si sta dissolvendo in questa specie di tableau apocalittico: è questo il tema del secondo articolo, ancora più radicale del primo, che ha per titolo Lavoro astratto o lavoro immateriale?.Jappe propone al lettore un excursus critico e stringente delle categorie marxiane di valore, merce, denaro e lavoro astratto per spiazzare i teorici e i corifeidel cosiddetto capitalismo cognitivo che identificano in maniera grossolana «‘il lavoro immateriale’ con ‘il lavoro astratto’ di cui parla Marx» (p. 25). Il lavoratore postfordista non è al di là della logica capitalista, e il fatto che metta in gioco il suo capitale cognitivo non gli impedisce di essere la figura più moderna e aggiornata del marxismo tradizionale. Lo spostamento di focus dal materiale all’immateriale non ha significato un cambiamento o una rottura delle analisi classiche dei rapporti di produzione, anche se l’esplosione del terziario prima e della società dell’informazione poi ha reso sempre meno produttivo, in termini puramente capitalistici, il lavoro. Il paradosso risiede nel fatto che è proprio la società del lavoro ad abolire il lavoro. La sostituzione del lavoro con la tecnologia e la conseguente disoccupazione potrebbero in sé essere un fattore positivo: in una società razionale, le tecnologie permetterebbero a tutti di lavorare molto di meno, e ciò sarebbe un bene. Invece la società capitalista non si interessa all’utilità o meno, ma alla sola produzione del “valore”: chi non ha un lavoro viene tagliato fuori dalla società. Ma quando la crisi del capitalismo raggiungerà il suo apice, almeno la metà della popolazione globale diventerà superflua. Da tale punto di vista il capitalismo – osserva Jappe – vive uno stadio terminale, e «non fa altro che rinviare il redde rationem tramite la finanziarizzazione. Infatti, nessun modello nuovo di accumulazione è più venuto: si sono solo simulati dei profitti» (p. 32). La crescita esplosiva del capitale finanziario aumenta la volatilità dei mercati e la progressiva abolizione del denaro; in tale ottica i mezzi di creazione del profitto divengono meramente finanziari, provocando il collasso delle politiche occupazionali la cui stagnazione o retrocessione porta indirettamente alla precarizzazione o alla crisi del lavoro.
All’apparenza, quelle di Jappe sembrano provocazioni intellettuali e analisi iperboliche, ma ad una riflessione più attenta sono tesi nuove ed originali che però sfuggono all’interno del dibattito della sinistra italiana, rassegnata da sempre all’eternità del capitalismo e delle sue categorie. Il ragionamento dell’Autore continua serrato anche nel terzo saggio che chiude il volumetto, intitolato Credito a morte. La storiella che la finanza sia la sola responsabile della crisi mentre l’economia reale sarebbe buona e sana non regge più perché la crisi che stiamo vivendo non è l’occasione di un miglioramento del capitalismo «come motore di un nuovo regime» di accumulazione e produttore di impiego» (p. 42), ma semplicemente il suo colpo di coda, la sua agonia. È mera illusione pensare che tutta la responsabilità sia attribuibile all’avidità di gruppi di speculatori o di multinazionali ingorde per favorire invece «un ritorno al capitalismo “saggio”, perché “regolato” e sottomesso alla “politica”» (p. 44). La tesi ovvia e spiazzante di Jappe che ilcapitalismo non è eterno e pertanto può crollare per i limiti interni al proprio sviluppo è una tesi che meriterebbe di essere approfondita e discussa in ben altri luoghi istituzionali e in organismi internazionali dove si decide l’assetto economico del mondo. L’intero sistema per ora tiene perché si basa essenzialmente sul credito, ma non può durare. I dati certi con cui fare i conti sono l’esaurimento delle risorse, i cambiamenti irreversibili del clima, l’estinzione delle specie naturali e dei paesaggi, l’avanzare impetuoso delle tecnologie che sostituiscono il lavoro vivo. Perfino gli antagonismi storici (operai e capitale, lavoro e denaro) «rischiano di scomparire insieme, avvinti nella loro agonia» (p. 61). Come uscirne? È la bella domanda che non può trovare risposte a meno che non si ricorra, come suggerisce Jappe, alla contemplazione di un quadro di Paul Klee, Finalmente, l’uscita.
Posted: Ottobre 30th, 2013 | Author: agaragar | Filed under: 99%, comune, crisi sistemica, epistemes & società, Global, Révolution, U$A, vita quotidiana | Commenti disabilitati su How Science Is Telling Us All to Revolt
by Naomi Klein, NewStatesman
29 October 13
Is our relentless quest for economic growth killing the planet? Climate scientists have seen the data – and they are coming to some incendiary conclusions.
In December 2012, a pink-haired complex systems researcher named Brad Werner made his way through the throng of 24,000 earth and space scientists at the Fall Meeting of the American Geophysical Union, held annually in San Francisco. This year’s conference had some big-name participants, from Ed Stone of Nasa’s Voyager project, explaining a new milestone on the path to interstellar space, to the film-maker James Cameron, discussing his adventures in deep-sea submersibles.
But it was Werner’s own session that was attracting much of the buzz. It was titled “Is Earth F**ked?” (full title: “Is Earth F**ked? Dynamical Futility of Global Environmental Management and Possibilities for Sustainability via Direct Action Activism”).
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La traduzione in italiano qui
Posted: Ottobre 28th, 2013 | Author: agaragar | Filed under: 99%, bio, comune, crisi sistemica, critica dell'economia politica, digital conflict, epistemes & società, vita quotidiana | Commenti disabilitati su Rendita, accumulazione e nuovi processi di valorizzazione nel web 2.0
Il numero 40 della rivista Millepiani – “Se la filosofia morirà sarà per assassinio. La macchina, i soggetti e il desiderio” – dedica i suoi vent’anni di laboratorio di ricerca a Gilles Deleuze e Félix Guattari. Pubblichiamo l’anticipazione del contributo di Andrea Cagioni su “Rendita, accumulazione e nuovi processi di valorizzazione nel web 2.0”.
L’articolo intende fornire un contributo critico su alcuni elementi di economia politica della new economy e offrire strumenti analitici utili alla comprensione delle aporie, dei rapporti di forza e dei conflitti che attraversano il campo del Web 2.0.
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Posted: Ottobre 26th, 2013 | Author: agaragar | Filed under: 99%, BCE, comunismo, crisi sistemica, critica dell'economia politica, epistemes & società, postoperaismo | Commenti disabilitati su Quale sovranità monetaria? Pensare la crisi europea
di Stefano Lucarelli
In occasione della pubblicazione francese del saggio di Christian Marazzi “Finanza bruciata”, può essere utile analizzare il dibattito francese sulla crisi economico-finanziaria. In questo saggio, Stefano Lucarelli ripercorre le diverse posizioni della corrente eterodossa (da André Orléan, François Chesnais, Jacques Sapir al “Manifesto d’économistes atterrés” promosso in Francia da P. Askenazy, T. Coutrot, H. Sterdyniak e dallo stesso Orléan), mettendo in luce come il tema dell’instabilità connaturata nei mercati finanziari e la questione dei debiti illegittimi porti alle necessità di ridefinire la sovranità monetaria in Europa. In questa ottica, diventa impellente oggi avviare un dibattito sulla “moneta del comune”, ovvero la possibilità di istituire dei circuiti finanziari alternativi.
« Uno dei rischi peggiori di questa crisi è la chiusura su se stessi degli Stati-nazione, la corsa a svalutazioni competitive per riconquistare fette di mercato sottraendole agli altri con misure protezionistiche. È così che, di solito, scoppiano le guerre »[1].
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Posted: Ottobre 11th, 2013 | Author: agaragar | Filed under: 99%, comune, comunismo, crisi sistemica, critica dell'economia politica, Marx oltre Marx, postcapitalismo cognitivo, postoperaismo | Commenti disabilitati su Marazzi: la moneta corrente del liberismo
di Christian Marazzi
«Banche e crisi» di Sergio Bologna per DeriveApprodi
Le basi materiali del dominio finanziario sono nei nuovi modelli produttivi, nell’«innovazione» permanente della logistica, della circolazione delle merci e del mercato del lavoro
C’è sempre un po’ d’azzardo editoriale nella pubblicazione di testi apparsi ormai nel corso di alcuni decenni, a maggior ragione quando si passa dal Marx che studia, come corrispondente del New York Daily Tribune, la prima crisi monetaria e finanziaria «moderna» (1856-1857), alla storia del rapporto tra petrolio e mercato mondiale, alla funzione della logistica e dei porti come «integratori di sistema» e come riedizione della logica della crisi dei subprime, esempio dell’intreccio tra processi produttivi e di circolazione delle merci e finanziarizzazione, con saggi pubblicati tra il 2012 e il 2013. Per chi questi scritti li ha letti man mano che uscivano, si tratta di una bella occasione per rivivere alcuni passaggi fondamentali della storia del pensiero critico di un «operaista indipendente» quale è sempre stato Sergio Bologna, ma per un giovane di vent’anni che, immerso anima e corpo nella crisi odierna che ha una gran voglia di agire e di costruire collettivamente nuovi strumenti di analisi e interpretazione del capitalismo finanziario (fatiscente? ipermaturo?), la fruizione de Banche e crisi. Dal petrolio al container (DeriveApprodi, pp. 200, euro 17), non è immediatamente evidente. Oltretutto in un periodo in cui la letteratura sulla crisi finanziaria è ormai sterminata e la lettura quotidiana del Sole 24 Ore o del Financial Times per capire dove va lo spread, i rendimenti sui titoli del debito sovrano, il tasso di cambio tra Euro e dollaro, le decisioni della Federal Reserve sui tassi d’interesse direttori e altre cosucce del genere, lascia poco tempo allo studio delle contraddizioni strutturali del sistema economico capitalistico.
Un giornalista chiamato Marx
«Per leggere Marx occorre avere una forte tensione politica presente», scrive Bologna; Marx «ti prende semplicemente per il braccio e ti dice…guarda da questo angolo visuale». Sotto questo profilo, per così dire metodologico, la Postfazione di Gian Enzo Duci, Crisi e intelligenza della merce, è davvero molto utile, oltre che luicida e riassuntiva di alcuni dei contributi più significativi dell’opera di Bologna che, anche lui, ti prende per il braccio e «cerca di far vedere, non per forza credere, qualcosa di più» su quanto sta accadendo nel mondo «marxiano» della merce. Ad esempio, la inarrestabile crescita dell’offerta navale e il parallelo sviluppo delle infrastrutture portuali, il crescente intervento della finanza nel mondo dello shipping, il rapporto tra produzione di mezzi di traporto e domanda, guardando però anche alle merci trasportate all’interno del mercato mondiale, la crisi da sovraproduzione sempre in agguato, così simile a quella dei subprime o di qualsiasi altra merce che i mercati finanziari da una trentina d’anni a questa parte selezionano e trasformano da valore d’uso in asset finanziario, eleggendo di volta in volta queste merci regine a «convenzioni collettive», come Keynes scriveva nella sua Teoria generale del 1936, e che oggi chiamiamo bolle finanziarie, processi alimentati dal credito bancario, modalità razionali attraverso cui il capitale realizza profitti a breve termine, per poi esplodere puntualmente, lasciando dietro di sé macerie, svalutazione della ricchezza sociale, povertà e disperazione umana.
Gli scritti di Bologna sullo shipping, il too big to fail delle corporations del mare, le infrastrutture portuali, sono di tale attualità che, nell’editoriale del febbraio del 2013, la più autorevole rivista mondiale sul traffico marino «Containerisation International», invitava i suoi lettori (non proprio gli stessi de il manifesto) a leggere uno dei suoi saggi «se volevano chiarirsi le idee». E, per tornare a noi, Marx, oltretutto il Marx giornalista che si occupa dell’attualità della crisi pensando al futuro Das Kapital, come entra nel lavoro teorico e analitico di Sergio Bologna? Quel saggio del 1973, riletto oggi, è straordinariamente attuale. Per tanti motivi: apparse a due anni dalla decisione statunitense di rendere il dollaro inconvertibile, vera e propria «rivoluzione dall’alto» che ha dato avvio all’uscita non solo dal sistema monetario di Bretton Woods, ma anche, verso la fine degli anni Settanta, dal modello fordista, traghettando il capitale mondiale nell’epoca attuale, quella appunto del capitalismo finanziarizzato.
Diede avvio, quel saggio, a un programma di lavoro all’interno della rivista Primo Maggio, e da allora molti di coloro che vi parteciparono non hanno smesso di studiare la moneta e le crisi finanziarie. Un bell’esempio, anch’esso particolarmente attuale, di metodo di lavoro legato al presente ma con lo sguardo rivolto al futuro, ai gangli sociali e soggettivi della rivoluzione capitalistica, alla crisi-trasformazione della composizione sociale, insomma alla lotta di classe.
La forma del valore
La vera attualità nella lettura che Bologna fa di Marx nel bel mezzo di un dibattito marxista tanto entusiasmante quanto, già allora, decisamente in declino, è l’analisi del rapporto inscindibile, circolare, tra merce e moneta. Non era e non è ancora evidente in ambito marxista, dato che molto spesso si guarda a merce e moneta in modo schizofrenico, privilegiando una volta la prima, un’altra la seconda. La moneta del Marx letto da Bologna è forma del valore delle merci, espressione del lavoro all’interno dell’intero circuito del capitale, dalla compra-vendita della forza-lavoro alla realizzazione monetaria dei profitti, e che in questo periplo circolatorio assume funzioni diverse. Forma del valore, non equivalente generale-universale (che della forma-valore è una funzione tra le altre), come praticamente tutta la tradizione marxista ha sempre teorizzato, anche quando il sistema monetario internazionale aveva tagliato il cordone ombelicale tra denaro oro come «merce Regina», passando a un regime monetario in cui la creazione di liquidità ex nihilo la fa decisamente da padrone. È questa lettura del denaro in Marx che permetterà di seguire le trasformazioni future tenendo ben fermo lo sguardo sulla produzione e la riproduzione del capitale come rapporto sociale, e non come mero rapporto tra quantità di lavoro astratto contenuto nelle merci.
L’emergenza dei nuovi soggetti «dentro e contro» la transizione al postfordismo, il problema immanente di come comandare monetariamente il lavoro vivo ormai disperso nella società, la vita dell’uomo flessibile, non è possibile senza questo sguardo «disciplinare» unitario. Ne va della comprensione di tutto quanto sta accadendo nella sfera non solo della circolazione delle merci, ma, quel che a tutti noi interessa politicamente, della riproduzione della merce forza-lavoro, della sua vita messa al lavoro. Una riproduzione priva di equivalenti generali di riferimento, orfana dell’«ultima istanza», se non quel nostro essere singolarità fluttuanti, corpi, alla ricerca di un nuovo punto di vista collettivo, di nuove parole per lottare assieme. Di nuove forme di vita.
Posted: Ottobre 9th, 2013 | Author: agaragar | Filed under: 99%, comune, comunismo, crisi sistemica, critica dell'economia politica, donnewomenfemmes, epistemes & società, Marx oltre Marx, postoperaismo, Révolution | Commenti disabilitati su Inchiesta operaia e lavoro di riproduzione
di ALISA DEL RE
Pubblichiamo il contributo di Alisa Del Re all’ultimo numero di Viewpoint Magazine sull’inchiesta operaia, appena pubblicato
Uso politico dell’inchiesta operaia
La proposta originaria di una “inchiesta statistica sulla situazione delle classi lavoratrici” fu formulata per la prima volta da Marx nelle Istruzioni per i delegati del consiglio centrale provvisorio dell’associazione internazionale dei lavoratori, nel 1867, poi ripresa nel 1880. L’intento era di portare alla luce quei “fatti e misfatti”, relativi all’organizzazione del lavoro e al processo di produzione e di vita, che il potere borghese deliberatamente occulta o quanto meno mistifica.
Nel 1964 Raniero Panzieri[1] interviene sul tema “Scopi politici dell’inchiesta”[2] presentandolo in questi termini: “Noi abbiamo degli scopi strumentali, evidentemente molto importanti, che sono rappresentati dal fatto che l’inchiesta è un metodo corretto, efficace e politicamente fecondo per prendere contatto con gli operai singoli e gruppi di operai. Questo è uno scopo molto importante: non solo non c’è uno scarto, un divario e una contraddizione tra l’inchiesta e questo lavoro di costruzione politica, ma l’inchiesta appare come un aspetto fondamentale di questo lavoro di costruzione politica. Inoltre il lavoro a cui l’inchiesta ci costringerà, cioè un lavoro di discussione anche teorica tra i compagni, con gli operai ecc., è un lavoro di formazione politica molto approfondita e quindi l’inchiesta è uno strumento ottimo per procedere a questo lavoro politico”.
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Posted: Ottobre 9th, 2013 | Author: agaragar | Filed under: 99%, arts, au-delà, bio, crisi sistemica, digital conflict, epistemes & società, post-filosofia, postcapitalismo cognitivo, postoperaismo, Révolution | Commenti disabilitati su DOPO IL FUTURO:DAL FUTURISMO AL CYBERPUNK.L’ESAURIMENTO DELLA MODERNITA’
di Tiziana Terranova
Bifo_futuroFranco Berardi (Bifo), Dopo il futuro: Dal Futurismo al Cyberpunk. L’esaurimento della Modernità, DeriveApprodi, Roma 2013, pp. 136, € 14.00
In una delle sue lezioni al Collège de France, Michel Foucault offre questa spiegazione del rapporto tra il sapere dell’intellettuale e la lotta. Non spetta all’intellettuale esortare il popolo alla lotta (‘battetevi contro questo in tale o talaltro modo’), piuttosto quello che il sapere dovrebbe fare è dire, rivolgendosi a coloro che vogliono lottare, ‘se volete lottare, ecco dei punti chiave, delle linee di forza, delle zone di chiusura e di blocco’1. È chiaro che nonostante il titolo del nuovo libro di Franco Berardi sia carico di parole quale ‘dopo il futuro’ e ‘esaurimento’, esso non può fare a meno o non intende dissaduere dalla lotta, dalla ricreazione del futuro, non è un libro cioè che ci dissuade da quell’atto fondamentale per qualsiasi pratica politica costituente che è credere nel mondo. E tuttavia, da schizoanalista qual è, si tratta di un libro che pone pesantemente l’accento sui blocchi del desiderio e quindi delle lotte, o nei termini del libro, esso pone la centralità della questione della sensibilità, dell’empatia e dell’etica. Si tratta di un libro che pratica l’arte schizoanalitica della diagnosi, mettendo in evidenza tutta una serie di sintomi, culturali e sociali, che mostrano l’evoluzione e l’esaurimento di quella idea di futuro che ha giocato un ruolo fondamentale nei movimenti politici del novecento, e le conseguenze oggi del suo esaurimento.
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