Gli economisti sul libro paga della finanza

Posted: Aprile 17th, 2012 | Author: | Filed under: crisi sistemica, critica dell'economia politica | Commenti disabilitati su Gli economisti sul libro paga della finanza

Editoriali, trasmissioni mattutine alla radio, palcoscenici televisivi: in piena campagna per le presidenziali, un pugno di economisti si spartisce l’intero spazio della comunicazione e delimita il terreno delle possibilità in campo. Presentati come accademici, incarnano il rigore tecnico nel mezzo della mischia ideologica. Ma se di questi “esperti” fossero note anche le altre attività, le loro analisi risulterebbero altrettanto credibili?

di Renaud Lambert

Si chiama «effetto Dracula»: allo stesso modo del celebre vampiro dei Carpazi, gli accordi illegittimi non possono resistere all’esposizione alla luce. Così, nel 1998, la scoperta del Multilateral agreement on investment (Mai), negoziato di nascosto allo scopo di accentuare la liberalizzazione dell’economia, ha determinato la sua disintegrazione. Questa volta, la controversia riguarda invece la collusione tra economisti e istituzioni finanziarie.

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Scacco (matto?)

Posted: Aprile 14th, 2012 | Author: | Filed under: crisi sistemica, postcapitalismo cognitivo, Révolution | Commenti disabilitati su Scacco (matto?)

di Franco Berardi Bifo

Il pensiero politico contemporaneo manca del senso del tragico, e si sforza di interpretare la realtà in base a categorie discorsive che non riescono ad agire sugli automatismi tecnici, linguistici, finanziari, e psichici che sempre più spesso conducono al suicidio: il suicidio collettivo della devastazione ambientale, e il suicidio individuale che inghiotte un numero crescente di vite umane. Occorre invece comprendere la tragedia e parlare il suo linguaggio, se si vuole entrare in sintonia con la mutazione profonda che sta attraversando la società. E se si vuole cercare, ammesso che esista, una via d’uscita dall’abisso cui il capitalismo ha destinato la storia dell’umanità.

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The neoliberal crisis

Posted: Aprile 14th, 2012 | Author: | Filed under: crisi sistemica | Commenti disabilitati su The neoliberal crisis

Viaggio in Europa/Londra

La crisi vista dal muro della City

Perché la Grande Recessione non ha prodotto il rigetto dell’ideologia e delle pratiche che l’hanno causata? Le riflessioni nell’e-book “The neoliberal crisis”, di Stuard Hall, Michael Rustin, John Clarke e Doreen Massey

What is this crisis? è la questione posta dall’ebook The Neoliberal Crisis nel quale Stuard Hall, Michael Rustin, John Clarke e Doreen Massey, collaboratori della rivista Soundings, indagano il ruolo materiale e culturale svolto dalla neoliberal revolution nella trasformazione della società inglese e ricercano le cause dell’attuale crisi e le prospettive politiche che ne possono derivare. Per quanto l’attenzione sia rivolta alla realtà britannica, le loro riflessioni hanno un interesse più generale, tenuto conto dell’importanza che ha avuto il thatcherismo e il suo prolungamento nel blairismo e nell’attuale cameronismo nel pensiero e nell’azione politica dell’ultimo trentennio.

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Lezioni di default dalla crisi greca

Posted: Marzo 22nd, 2012 | Author: | Filed under: comune, crisi sistemica, Révolution | 8 Comments »

di ANDREA FUMAGALLI

A più di una settimana dalla conclusione della ristrutturazione del debito greco, può essere utile, a mente più serena, ripercorrere e valutare le tappe che hanno portato ad un vero e proprio default controllato.

Il 9 marzo scorso si è chiuso l’operazione di scambio (swap) di titoli di Stato greci che ha coinvolto i creditori privati. Da un punto di vista tecnico, la maggior parte degli investitori istituzionali e privati, che hanno dato la propria adesione, hanno accettato di cambiare i propri titoli con nuovi titoli di minor valore: in particolare, i vecchi titoli di stato sono stati scambiati con:

a. nuove obbligazioni con scadenze comprese fra il 2023 e il 2042 dal valore nominale complessivo pari al 31,5% dei titoli originariamente in possesso (quindi una svalorizzazione del 68,5%);
b. un warrant (titolo finanziario particolare) emesso dalla repubblica ellenica con importo nominale pari al 31,5% (quindi una svalutazione ancora del 68,5%) e scadenza nel 2042 che darà diritto al pagamento di interessi annuali nel caso in cui la Grecia dovesse osservare il previsto percorso di crescita del Pil.
c. nuovi titoli zero coupon emessi dall’Efsf (Fondo europeo di stabilità finanziaria) con scadenze a 12 e 24 mesi aventi un valore nominale pari al 15% (perdita dell’85%).

In conclusione si è trattata di una riduzione del valore dei titoli di stato greci mediamente pari al 73% del valore nominale. Il risultato è stato un taglio netto del debito greco privato da 206 a 107 miliardi di euro, pari a più di un terzo del debito complessivo.

Tale riduzione ha prevalentemente interessato le grandi banche europee. L’adesione degli istituti di credito all’offerta di concambio è stata, comunque, massiccia. Le 450 aziende rappresentate dalla Institute for International Finance hanno accettato tale taglio su un patrimonio complessivo vicino ai 110 miliardi di euro. Come dire che dalla sera alla mattina hanno cancellato 80 miliardi dall’esposizione di Atene In realtà quasi tutti gli istituti avevano già svalutato in bilancio tra il 50 e il 70% il valore dei loro bond ellenici e di conseguenza lo swap greco ha ridotto ulteriormente il valore patrimoniale dei titoli in questione solo del 10-20%. Tra gli italiani le Generali hanno perso 328 milioni, Intesa Sanpaolo 593 e Unicredit 316 (dati: http://www.iif.com).

Se ci si limitasse a queste brevi osservazioni (come hanno fatto alcuni organi di stampa) potrebbe sembrare che l’onere della ristrutturazione del debito greco tramite il default controllato ricada quasi completamente sulle spalle dei mercati finanziari. Le cose in realtà non stanno affatto così. Vediamo perché.

In primo luogo, occorre notare che il sacrificio vale la candela. Un default disordinato avrebbe non solo azzerato (in sostanza) il valore dei bond greci, ma soprattutto falcidiato quello dei titoli di stato degli altri paesi a rischio come Italia, Spagna e Portogallo. Un’ipotesi da incubo visto che solo le prime 20 banche continentali, per dare un’idea, a dicembre scorso, avevano in portafoglio 381 miliardi di titoli dei cosiddetti Piigs.

In secondo luogo, contemporaneamente alla ristrutturazione del debito greco, le banche europee hanno ottenuto prestiti dalla Banca Centrale Europea per un valore di circa 530 miliardi di euro ad un tasso d’interese minimo, intorno all’1% (con un tasso d’inflazione che si aggira intorno al 2,5-2,8%, per un valore rale negativo): una somma di liquidità che si aggiunge ai circa 480 miliardi già stanziati nello scorso mese di novembre. Di fatto, le banche europee e i principali investitori istituzonali possono contare su nuova liquidità superiore a 1000 miliari di euro!

Tale somma di denaro solo in minima parte è stata utlizzata per finanziare attività di investimento. L’ultimo Bollettino della Banca Centrale d’Italia ha evidenziato come le condizioni di credito per le imprese, soprattutto quelle di piccole dimensioni, si siano fatte critiche, incrementando forme di restrizione crditizia (credit crunch), nonostante che le principali banche italiano abbiamo usufruito prestiti dalla Bce per un valore pari a 220 miliari di euro (cfr. Bollettino Economico della BdI, Numero 67, Gennaio 2012). Risulta allora evidente come questa liquidità sia stata riinvestita nei mercati speculativi, in particolare nell’acquisto di titoli di stato italiani, spagnoli, irlandesi ecc., oggi acquistabili a prezzi molto ridotti. Non stupisce a fronte di questa situazione il fatto che i differenziali tra i tassi d’interesse (spread) si siano ridotti e gli indici azionari abbiano ripreso a salire.

In terzo luogo, occorre ricordare che il Fondo Europeo Salva Stati e il FMI come contropartita delle politiche di austerity hanno concesso un nuovo prestito di circa 130 miliardi di euro alla Grecia, esclusivamente finalizzato a garantire (dietro commissariamento europeo del bilanco pubblico greco) il pagamento degli interessi promessi sui nuovi titoli di Stato allo stesso sistema bancario.

Sulla base di queste considerazioni, si può facilmente comprendere come lo swap greco, apparantemente sfavorevole alle banche europee, sia stato in realtà una grande affare. Tutto bene, dunque? Niente affatto. Non ci si può infatti dimenticare che nel corso del 2011 e nell’ultima manovra finanziaria di gennaio 2012 (http://uninomade.org/politiche-dausterity-e-ristrutturazione-del-debito-in-grecia/), il popolo greco ha visto un tracollo delle proprie condizioni di vita: taglio di un terzo degli stipendi e un’età pensionabile che sale di dieci anni, disoccupazione giovanile record, che supera il 50%, svendita del patrimonio pubblico, aumento dell’Iva al 23%, taglio dei sussidi sociali, ecc., ecc. Questo il prezzo che i cittadini greci hanno pagato per la crisi che ha investito il paese. Un prezzo che è stato, quindi, imposto per una triplice finalità: garantire il pagamento degli interessi ai creditori che accettano la svalutazione dei titoli di Stato in loro possesso; consentire il nuovo finanziamento da parte del FMI e del Fondo Europeo Salva Stati; infine il commissariamento da parte del FMI dei conti pubblici statali, in altre parole la perdita della sovranità fiscale nazionale.

Il default controllato della Grecia ci insegna due cose: che un debito pubblico può essere ristrutturato se è organizzato dall’alto. E che ora si apre la battaglia perché il defaut possa essere agito dal basso. Al riguardo, lo strumento dell’audit diventa imprescindibile come strumento di agitazione del conflitto.

uninomade.org


unsetting knowledges

Posted: Marzo 16th, 2012 | Author: | Filed under: comune, crisi sistemica, postcapitalismo cognitivo | 10 Comments »

unsettling knowledges
transversal web journal

The crises within cognitive capitalism and cognitive labor are mirrored in the reproduction and exacerbation of global divisions of labor and the emergence of new forms of exploitation as part of a regime of flexible capital accumulation. While drastic austerity measures and heightened control mechanisms lead to a radical transformation of the welfare state on the one hand, new networks of communication, struggle and alternative forms of knowledge emerge on the other.

This issue of transversal attempts to review some of the general assumptions of a theory of cognitive capitalism and to unsettle the very notions of knowledge and its production, discussing the conditions of its capture, its “re-invention” and its capacity for creating worlds. The individual essays follow the lines of a (post-)colonial historicity and a feminist and geopolitical critique of capitalist valorization, thereby questioning the materiality of knowledge and its production in relation to resources and bodies, as well as how art and knowledge production are interwoven with political struggles.

http://eipcp.net/transversal/0112

Contents
Lina Dokuzović: The Resource Crisis and the Global Repercussions of Knowledge Economies
Silvia Federici: African Roots of US University Struggles. From the Occupy Movement to the Anti-Student-Debt Campaign
Encarnación Gutiérrez Rodríguez: AFFECTIVE Value. On Coloniality, Feminization and Migration
Therese Kaufmann: Materiality of Knowledge
Christian Kravagna: The Trees of Knowledge: Anthropology, Art, and Politics. Melville J. Herskovits and Zora Neale Hurston – Harlem ca. 1930
Brigitta Kuster: The Imperceptibility of Memory
Sandro Mezzadra: How Many Histories of Labor? Towards a Theory of Postcolonial Capitalism
Walter Mignolo: Geopolitics of Sensing and Knowing. On (De)Coloniality, Border Thinking, and Epistemic Disobedience
Raimund Minichbauer: Fragmented Collectives. On the Politics of “Collective Intelligence” in Electronic Networks


Creating Worlds
eipcp

eipcp – european institute for progressive cultural policies
a-1060 vienna, gumpendorfer strasse 63b
a-4040 linz, harruckerstrasse 7
contact@eipcp.net
http://www.eipcp.net


Christoph Türcke

Posted: Marzo 15th, 2012 | Author: | Filed under: crisi sistemica, postcapitalismo cognitivo | Commenti disabilitati su Christoph Türcke

1) I banali traumi dello status quo

di Benedetto Vecchi

Pubblicato il saggio del filosofo tedesco Christoph Türcke. Gli shock
emotivi non producono la crisi, ma le condizioni per la difesa dell’ordine
costituito. Un’importante analisi del capitalismo che ne fotografa però solo
l’ambivalenza. Ci sono dei libri che difficilmente cadono nel dimenticatoio.
Possono anche non avere successo di pubblico, né di critica, ma le tesi che
esprimono reggono all’usura determinata dall’imperante just in time
dell’industria culturale. La società eccitata di Christoph Türcke è uno di
questi libri (Bollati Boringhieri, pp. 352, euro 43). Uscito nel 2002 in
Germania, ha dovuto attendere dieci anni prima che fosse pubblicato da
Bollati Boringhieri, che ha ritardato la sua uscita per la difficoltà del
testo, al punto che il suo traduttore, Tommaso Cavallo, ha voluto spiegare
le scelte fatte per termini del tedesco antico, del latino medievale. I
problemi non nascono solo dai raffinati e talvolta arcaici lemmi scelti da
Türcke, ma perché La società eccitata non nasconde mai l’ambizione di volere
essere un’analisi puntale del capitalismo contemporaneo e, al tempo stesso,
una resa dei conti con il marxismo tedesco occidentale del secondo
dopoguerra, così fortemente condizionato dalla Scuola di Francoforte, dal
principio speranza di Ernst Bloch o dalla messianica ricezione tedesca di
Walter Benjamin.

Obiettivi dunque complementari, ma distinti, che provocano non pochi
problemi nella lettura, che si presenta sin da subito impegnativa. Ma per un
libro, la fatica della lettura, come la concentrazione per destrutturare le
cattive astrazioni che popolano l’universo informativo sono fattori
indispensabili per riprendere contatto con la realtà che la seconda natura
della tecnologia tende a occultare. La concentrazione e la fatica aumentano
dunque il valore analitico di questo saggio. Ha dunque fatto bene l’editore
a perseguirne la pubblicazione, nonostante le difficoltà di traduzione e il
fatto di essere un libro che non comparirà mai nelle classifiche dei libri
di più venduti della settimana.

L’inganno dell’opinione pubblica

La tesi presentata da La società eccitata può essere così sintetizzata. Il
capitalismo è una organizzazione sociale incardinata su due elementi tra
loro contraddittori. Da una parte usa l’industria culturale e
l’intrattenimento per costruire un consenso passivo dei singoli allo status
quo; allo stesso tempo, deve garantire la sua riproduzione allargata
attraverso la produzione di reiterati shock emotivi che svelano sì la
violenza del sistema di sfruttamento vigente, ma lo «naturalizzano». Nel
primo caso, produce, attraverso i mass media e l’industria culturale,
un’opinione pubblica che non mette mai metterne in discussione la
legittimità del potere costituito.

L’opinione pubblica è giustamente interpretata come l’antitesi dell’agire
politico, cioè di quella azione collettiva tesa a trasformare l’ordine
sociale esistente. In questo, l’analisi di Türcke è fortemente debitrice nei
confronti della dialettica dell’illuminismo di Adorno e Horkheimer e allo
stesso tempo critica nei confronti di Jürgen Habermas, il filosofo tedesco
che ha invece individuato nell’opinione pubblica lo sfondo in cui collocare
una politica della trasformazione.

Per quanto riguarda gli shock emotivi, il riferimento ovviamente è alla
diffusione e alla centralità delle immagini tesi a provocare spaesamento,
insicurezza, sentimenti dai quali sfuggire o cercare zone franche che
offrano riparo e sicurezza, attraverso una eccitazione dei corpi. La società
eccitata è dunque il trionfo dello spettacolo, operando così una messa
all’angolo della parola scritta. Aspetti certo non nuovi, ma che l’autore ha
il grande pregio di contestualizzate all’interno della densa e pur sempre
breve storia della modernità, intesa come un progressivo divenire del
visuale il fattore centrale dell’industria del divertimento. Anche qui,
Turcke non nasconde i suoi debiti teorici. C’è ovviamente Guy Debord, ma
anche il Walter Benjamin della riproducibilità dell’opera d’arte e dei
passages parigini. L’aspetto interessante della sua riflessione non è però
nel suo ricollegarsi a un filo rosso del pensiero critico da tempo lasciato
cadere, bensì nel fatto che lo shock emotivo permanente del capitalismo
contemporaneo è solo apparentemente un fattore destabilizzante dei fattori
regolatori del legame sociale, bensì il fatto che lo shock è sempre stato un
elemento teso a produrre un ordine sociale che si riproduce appunto
attraverso traumi, shock, senza i quali è destinato a inaridirsi e a
implodere.

Eccitati e precari

Per fare questo Türcke ricostruisce la genealogia del concetto di
sensazione, che ha da quando gli umani hanno assunto la posizione ha sempre
avuto una importanza cruciale nel regolare le relazioni sociali. La
sensazione troduce un trauma attraverso il quale i singoli scoprono la loro
vulnerabilità e i problemi che li angosciano.

Ma proprio questa «scoperta» – togliendo a questo termine ogni connotazione
positiva – consente il superamento della loro precaria condizione. Lo shock,
tuttavia, anche se viene esperito individualmente è sempre un fatto sociale.
Da qui, la affermazione di Türcke che la sensazione è un sentimento che
nasce dal vivere in società. La religione, come i riti di iniziazione, ma
anche la scrittura, la pittura, la fotografia e il cinema sono tutte
«istituzioni» che producono gli shock emotivi necessari all’«individuo
sociale» per superare una condizione di minorità. La modernità ha dunque
elevato alla massima potenza la produzione di shock emotivi per rendere
accettabile la violenza del sistema di sfruttamento capitalistica.

Violenza del lavoro salariato

Questa ultima affermazione non tragga d’inganno. Turcke non è un
apocalittico, né un nostalgico di una immaginaria età dell’oro. Semmai è
interessato a comprendere il perché di questa produzione massificata di
shock emotivi. Ed è per questo motivo che si inoltra in quel continente
rimosso dalle mappe del sapere che è la critica dell’economia politica. Il
confronto che stabilisce con l’opera marxiana parte dalla consapevolezza che
l’autore del capitale si è misurato in gioventù con la religione, l’oppio
del popolo che consente di gestire la fragilità della natura umana,
producendo anche qui traumi e shock emotivi. Ma ciò che interessa in questo
libro è la riflessione che l’autore fa sulla gestione che la «società
borghese» degli shock emotivi, che vengono prodotti affinchè la violenza del
lavoro salariato sia resa accettabile. Affascinanti sono a questo proposito
le pagine che Türcke dedica alla fotografia, al cinema. Alla Rete. La
crescita esponenziale delle immagini e delle informazioni è funzionale a
rendere accettabile ciò che il corpo – senza distinzioni tra mente e carne –
tenederebbe a rifiutare.

E qui si colloca l’interesse del libro. In un movimento forse poco
dialettico, Türcke sostiene che il capitalismo contemporaneo rende manifesti
temi, nodi teorici attinenti alla natura umana. L’uomo, e le donne, va da
sé, hanno necessità degli shock emotivi per sopravvivere in un mondo ostile
e nemico. L’industria culturale e quella dell’intrattenimento hanno dunque
questa ambivalenza. Producono shock funzionali alla riproduzione dell’ordine
esistente, ma nel fare queste aprono il campo alla trasformazione.
Christopher Türcke non nega che questo sia il nodo politico che finora non è
stato sciolto. Quello che non sempre convince del suo procedere analitico è
il movimento circolare che propone.

La modernità nella sua riflessione non esaurisce la storia umana, ma le
contraddizioni che apre costringono a fare i conti con la natura umana, cioè
con quell’individuo sociale preesitente al capitalismo e che sopravviverà
anche alla sua fine. I grandi temi della filosofia tornano ad abitarte la
pagine de La società eccitata. Il capitalismo è una parentesi, al termine
della quale non è dato sapere come saranno affrontati e risolti alcuni
fattori riguardanti il vivere in società. Il rapporto con l’altro,
ovviamente, ma anche il pensare di costruire una società di liberi ed
eguali. Christopher Türcke conosce bene le discussioni su quel cielo diviso
sotto il quale più generazioni hanno visssuto. E sa che tanto ad Ovest che a
Est, il fallimento è una parola che illustra bene i problemi del presente.
La proposta che enuncia non rassicura. L’autore propone certo di assumere la
critica dell’economia politica come bussola. È però consapevole che indica
la direzione ma nulla dice su come vivere nei territori che si attraversano.
Propone di usare la «sensazione» e lo shock emotivo come uno strumento di
sovversione del reale se «depurato» dell’elemento rassicurante. Ma così
facendo, come in un gioco dell’oca, si torna al punto di partenza, cioè a
come attivare quel movimento che abolisce lo stato di cose presenti.
Un libro dunque da leggere, meditare. Lasciando alla critica roditrice dei
topi le illusioni su un semplice e innocente nuovo inizio di quel movimento,
come se nulla sia accaduto nel lungo Novecento alle nostre spalle.

2)
“Nei media d’oggi una magia nera che nevrotizza e uccide lo
spirito”

di Marco Dotti

L’elevata e continua pressione delle notizie sulla vita ha trasformato la
percezione del sensazionale, fino a elevare il caso-limite a norma

Quando Reginald Aubrey Fessenden si mise dinanzi a un microfono, nella
stazione radio di Brand Rock, nel Massachusetts, e, violino alla mano, si
abbandonò alle note di O, Holy Night, pochi si resero conto di quanto stava
accadendo. Era la sera di Natale del 1906, e quella trasmessa da Fessenden
fu la prima emissione radiofonica della storia. Al violino, l’intraprendente
inventore, figlio di un pastore protestante, alternò la lettura di alcuni
passi dal Vangelo di Luca (2,14). Quel «gloria a Dio nel più alto dei cieli
e pace in terra agli uomini di buona volontà» inaugurò un nuovo corso nella
storia della comunicazione umana. Sarebbe persino banale ricordare, come
provocatoriamente fa nella prima parte del suo lavoro Christoph Türcke, che
evanghélion significa «notizia» se non fosse per ribadire che la scelta di
Fessenden non era priva di coerenza interna in ciò che Türcke chiama assioma
della logica delle notizie, la cui analisi occupa i primi capitoli de La
società eccitata. Una coerenza involontaria, o meglio inconsapevole, quella
di Fessenden (fare notizia leggendo «la» notizia, il Vangelo) che rinveniamo
anche nel termine inglese per notizia, «news», Ed è su questa coerenza che
insiste – tra le altre cose – Türcke. Gli eredi di Fessenden, quelli che
Türcke chiama i moderni «divulgatori di notizie» sono spesso costretti a
decidere nello spazio di pochi istanti su ciò che conta o non conta e sulle
notizie che intendono diffondere, senza badare troppo ai criteri – spesso
totalmente autoreferenziali – della loro scelta.

Non hanno pertanto «molte occasioni per preoccuparsi del sostrato teologico
del loro agire». A dispetto, o forse proprio in ragione di questa
dimenticanza, l’esito di ogni impresa giornalistica, di ogni riunione di
redazione, di ogni lavoro editoriale sembra convergere su un punto: la
notizia deve imporsi. E per imporsi deve essere nuova. Se da sempre, fin dai
tempi della Bibbia – che potremmo leggere come una colossale impresa
giornalistica – e dell’Epopea di Gilgames, le notizie sono state
«fabbricate», per esse valeva entro certi termini ciò che Adorno, tra le
pagine della sua Negative Dialektik, poteva ancora chiamare «il primato
dell’oggetto». Primario era l’evento ritenuto degno di essere comunicato,
non il comunicare stesso. Oggi la mediazione precede l’evento, lo crea e i
modernissimi «divulgatori di notizie» sembrano angeli vuoti, portatori di un
messaggio zero che per essere percepito come rilevante deve essere
sottoposto a un processo di eccitazione infinita e di estetizzazione
spettacolare potenzialmente senza limiti.

La società della sensazione è capace di inflazionare l’istante su cui è
ripiegata, proprio grazie a modelli che catturino e attraggano su di sé,
quasi magneticamente, la percezione. Per continuare a sopravvivere, per non
cadere nel baratro di un fallimento al cui rischio è per sua natura esposto,
un’impresa la cui materia prima sia costituita da notizie da lavorare
mensilmente, settimanalmente, quotidianamente e, oggi, persino istante dopo
istante deve continuamente sperare che news degne di essere comunicate non
manchino. L’inversione tra mezzo e fine, tra mediazione e evento, ha origine
da questo paradosso, purtroppo vitale per l’impresa giornalistica:
comunicare eventi rilevanti, ma in mancanza di meglio rendere rilevanti gli
eventi. Siamo allora dinanzi, scrive Türcke, all’inversione di un assioma e
la logica della notizia, «nuova e rilevante», genera il suo contrario: dal
«comunicare, perché una cosa è importante», al «è importante, perché è
comunicato».

Gonfiare le banalità, rendere isterici gli eventi, nevrotizzare i lettori,
produrre continui corto-circuiti emotivi e cognitivi, ma soprattutto
«semplificare realtà complesse, deviare l’attenzione pubblica da una
determinata vicenda a un’altra: tutto questo inerisce alla stampa come la
sudorazione alla pelle». Si può limitare la sudorazione, ci si può detergere
o lavare di continuo, ma non la si può evitare. Per questa semplice ragione,
prosegue l’autore, non appena ci si imbatta nell’assioma della logica
dell’informazione, ci si imbatte anche nel suo contrario. Di più: «solo
grazie al suo contrario, l’assioma si è conservato, rivestendosene come di
una seconda pelle e confondendo l’una con l’altra al punto da renderle
indistinguibili».

Questo processo, certo ma in nuce sino a che la stampa (intesa in senso
lato) era in procinto di diventare quel mezzo onnipervarsivo che oggi
conosciamo, si rivela adesso nella sua assoluta, nevrotizzante potenza
magica. Non è un caso che proprio il Karl Kraus a più riprese evocato nelle
pagine di questo libro, scrivesse – era il 1921 – che la fine del mondo,
quando avverrà, avverrà a opera di una ««schwarze Magie», una magia nera in
grado di eccitare gli spiriti, uccidendoli. Magia nera che nel linguaggio di
Kraus altro non era se non la stampa. Avendo sotto gli occhi il disastro
della Prima Guerra Mondiale, Kraus si chiedeva: «La stampa è un messaggero?
No, è l’evento. Un discorso? No, la vita. Abbiamo messo l’uomo a cui spetta
di annunciare l’incendio, al di sopra dell’incendio stesso, al di sopra del
fatto, al di sopra della nostra stessa fantasia». Oggi, commenta Türcke,
l’elevata pressione delle notizie sulla vita stessa ha trasformato la
percezione del sensazionale, nella percezione in assoluto, fino a
trasformare il caso limite nella norma di una società perennemente eccitata
passata dalla Totale Mobil- machung, la mobilitazione generale tenuta a
battesimo dalla stampa nelle settimane precedenti il primo conflitto
mondiale, alla mobilitazione infinita iniziata con la Prima guerra del Golfo
e un giornalismo che non ha nemmeno più bisogno di sapersi embedded, per
muoversi al palo, come un cane timoroso, anche quando è senza catene.


NO TAV!

Posted: Marzo 5th, 2012 | Author: | Filed under: crisi sistemica | Commenti disabilitati su NO TAV!

Tav, l’accelerazione della democrazia che può far deragliare Mario Monti

per Senza Soste, nique la police

1. Treno e accelerazione dell’esperienza.

Qualche giorno fa su La provincia di Varese un lettore scriveva alla redazione per esprimere il proprio parere sulla Tav. Scriveva che i manifestanti notav gli sembravano quegli abitanti delle zone rurali inglesi che si opponevano alla realizzazione della prima ferrovia inglese che partiva da Manchester. Ricordava il lettore che nonostante le proteste, anzi le rivolte, degli abitanti di un territorio allora notoriamente ribelle il progresso alla fine fece il suo corso. Certo, bisognerebbe far notare al nostro lettore come, nella zona di Manchester, il progresso avesse una certa dimestichezza con l’uso dei fucili di Sua maestà britannica. Pochi anni prima infatti in quelle zone era avvenuto il massacro di Peterloo, 15 manifestanti uccisi dall’esercito inglese ad un raduno di 60.000 persone, durante una manifestazione che chiedeva una reale rappresentanza democratica in parlamento. L’opposizione alla ferrovia di Manchester dell’epoca godeva quindi di una fresca memoria popolare sull’efficacia della repressione. E sono fattori che contano quando il progresso si impone.
Ma c’è un elemento decisivo nell’imporsi di una rete ferroviaria matura prima in Inghilterra poi, quasi contemporaneamente, nel resto del continente. Nonostante le rivolte nelle campagne, che in Inghilterra si nutrivano della memoria viva delle storiche sommosse per il pane e contro le enclosures, la ferrovia offriva un’accelerazione positiva dei rapporti sociali non solo l’imposizione di quelli economici. Che questa accelerazione dell’esperienza, economica come relazionale, fosse poi considerata un bene comune da tutelare lo vediamo, a parte gli Usa, dalla sostanziale nazionalizzazione delle ferrovie che subirono infine tutti i paesi capitalistici.

[…]


Zizek

Posted: Marzo 3rd, 2012 | Author: | Filed under: crisi sistemica, postcapitalismo cognitivo, Révolution | Commenti disabilitati su Zizek

L’epoca delle rivolte borghesi

di Slavoj Zizek

Come ha fatto Bill Gates a diventare l’uomo più ricco d’America? La sua ricchezza non ha nulla a che fare con la produzione di software di qualità a prezzi inferiori a quelli della concorrenza o con uno “sfruttamento” più efficace dei suoi dipendenti (la Microsoft paga uno stipendio relativamente alto ai lavoratori intellettuali).

Il software della Microsoft continua a essere comprato da milioni di persone perché è riuscito a imporsi come uno standard quasi universale, monopolizzando in pratica il settore, quasi una personificazione di quello che Marx chiamava “intelletto generale”, riferendosi al sapere collettivo in tutte le sue forme, dalla scienza al know how pratico. Bill Gates ha di fatto privatizzato parte dell’intelletto generale ed è diventato ricco intascando i profitti.

[…]


I benefici del deficit e del debito

Posted: Febbraio 24th, 2012 | Author: | Filed under: crisi sistemica, critica dell'economia politica, Marx oltre Marx, postcapitalismo cognitivo | Commenti disabilitati su I benefici del deficit e del debito

di CHRISTIAN MARAZZI

C’è qualcosa che rende simile l’economia alla religione, e cioè che, anche per l’economia, il suo meglio è che essa susciti eretici. Che nella scienza economica ci sia bisogno di eresia ce lo spiegano gli americani che da tempo guardano con inquietudine a quanto sta accadendo in Europa, in particolare a quella famigerata dottrina secondo cui occorre fare tutto il possibile per raggiungere il pareggio di bilancio.

[…]


Un appello agli intellettuali europei

Posted: Febbraio 22nd, 2012 | Author: | Filed under: crisi sistemica, Révolution | 10 Comments »

di VICKY SKOUMBI, DIMITRIS VERGETIS, MICHEL SURYA*

Nel momento in cui un giovane greco su due è disoccupato, 25.000 persone
senza tetto vagano per le strade di Atene, il 30 per cento della popolazione
è ormai sotto la soglia della povertà, migliaia di famiglie sono costrette a
dare in affidamento i bambini perché non crepino di fame e di freddo e i
nuovi poveri e i rifugiati si contendono l’immondizia nelle discariche
pubbliche, i “salvatori” della Grecia, col pretesto che i Greci “non fanno
abbastanza sforzi”, impongono un nuovo piano di aiuti che raddoppia la dose
letale già somministrata. Un piano che abolisce il diritto del lavoro e
riduce i poveri alla miseria estrema, facendo contemporaneamente scomparire
dal quadro le classi medie.

L’obiettivo non è il “salvataggio”della Grecia: su questo punto tutti gli
economisti degni di questo nome concordano. Si tratta di guadagnare tempo
per salvare i creditori, portando nel frattempo il Paese a un fallimento
differito.Si tratta soprattutto di fare della Grecia il laboratorio di un
cambiamento sociale che in un secondo momento verrà generalizzato a tutta
l’Europa. Il modello sperimentato sulla pelle dei Greci è quello di una
società senza servizi pubblici, in cui le scuole, gli ospedali e i
dispensari cadono in rovina, la salute diventa privilegio dei ricchi e la
parte più vulnerabile della popolazione è destinata a un’eliminazione
programmata, mentre coloro che ancora lavorano sono condannati a forme
estreme di impoverimento e di precarizzazione.

Ma perché questa offensiva neoliberista possa andare a segno, bisogna
instaurare un regime che metta fra parentesi i diritti democratici più
elementari. Su ingiunzione dei salvatori, vediamo quindi insediarsi in
Europa dei governi di tecnocrati in spregio della sovranità popolare. Si
tratta di una svolta nei regimi parlamentari, dove si vedono i
“rappresentanti del popolo” dare carta bianca agli esperti e ai banchieri,
abdicando dal loro supposto potere decisionale. Una sorta di colpo di stato
parlamentare, che fa anche ricorso a un arsenale repressivo amplificato di
fronte alle proteste popolari. Così, dal momento che i parlamentari avranno
ratificato la Convenzione imposta dalla Troika (Ue, Bce, Fmi),
diametralmente opposta al mandato che avevano ricevuto, un potere privo di
legittimità democratica avrà ipotecato l’avvenire del Paese per 30 o 40
anni.

Parallelamente, l’Unione europea si appresta a istituire un conto bloccato
dove verrà direttamente versato l’aiuto alla Grecia, perché venga impiegato
unicamente al servizio del debito. Le entrate del Paese dovranno essere “in
priorità assoluta” devolute al rimborso dei creditori e, se necessario,
versate direttamente su questo conto gestito dalla Ue. La Convenzione
stipula che ogni nuova obbligazione emessa in questo quadro sarà regolata
dal diritto anglosassone, che implica garanzie materiali, mentre le vertenze
verranno giudicate dai tribunali del Lussemburgo, avendo la Grecia
rinunciato anticipatamente a qualsiasi diritto di ricorso contro sequestri e
pignoramenti decisi dai creditori. Per completare il quadro, le
privatizzazioni vengono affidate a una cassa gestita dalla Troika, dove
saranno depositati i titoli di proprietà dei beni pubblici. In altri
termini, si tratta di un saccheggio generalizzato, caratteristica propria
del capitalismo finanziario che si dà qui una bella consacrazione
istituzionale.

Poiché venditori e compratori siederanno dalla stessa parte del tavolo, non
vi è dubbio alcuno che questa impresa di privatizzazione sarà un vero
festino per chi comprerà.
Ora, tutte le misure prese fino a ora non hanno fatto che accrescere il
debito sovrano greco, che, con il soccorso dei salvatori che fanno prestiti
a tassi di usura, è letteralmente esploso sfiorando il 170% di un Pil in
caduta libera, mentre nel 2009 era ancora al 120%. C’è da scommettere che
questa coorte di piani di salvataggio – ogni volta presentati come ‘ultimi’-
non ha altro scopo che indebolire sempre di più la posizione della Grecia,
in modo che, privata di qualsiasi possibilità di proporre da parte sua i
termini di una ristrutturazione, sia costretta a cedere tutto ai creditori,
sotto il ricatto “austerità o catastrofe”. L’aggravamento artificiale e
coercitivo del problema del debito è stato utilizzato come un’arma per
prendere d’assalto una società intera. E non è un caso che usiamo qui dei
termini militare: si tratta propriamente di una guerra, condotta con i mezzi
della finanza, della politica e del diritto, una guerra di classe contro
un’intera società. E il bottino che la classe finanziaria conta di strappare
al ‘nemico’ sono le conquiste sociali e i diritti democratici, ma, alla fine
dei conti, è la stessa possibilità di una vita umana. La vita di coloro che
agli occhi delle strategie di massimizzazione del profitto non producono o
non consumano abbastanza non dev’essere più preservata.

E così la debolezza di un paese preso nella morsa fra speculazione senza
limiti e piani di salvataggio devastanti diviene la porta d’entrata
mascherata attraverso la quale fa irruzione un nuovo modello di società
conforme alle esigenze del fondamentalismo neoliberista. Un modello
destinato all’Europa intera e anche oltre. E’ questa la vera questione in
gioco. Ed è per questo che difendere il popolo greco non si riduce solo a un
gesto di solidarietà o di umanità: in gioco ci sono l’avvenire della
democrazia e le sorti del popolo europeo.

Dappertutto la “necessità imperiosa” di un’austerità dolorosa ma salutare ci
viene presentata come il mezzo per sfuggire al destino greco, mentre vi
conduce dritto. Di fronte a questo attacco in piena regola contro la
società, di fronte alla distruzione delle ultime isole di democrazia,
chiediamo ai nostri concittadini, ai nostri amici francesi e europei di
prendere posizione con voce chiara e forte. Non bisogna lasciare il
monopolio della parola agli esperti e ai politici. Il fatto che, su
richiesta dei governanti tedeschi e francesi in particolare, alla Grecia
siano ormai impedite le elezioni può lasciarci indifferenti? La
stigmatizzazione e la denigrazione sistematica di un popolo europeo non
meritano una presa di posizione? E’ possibile non alzare la voce contro
l’assassinio istituzionale del popolo greco? Possiamo rimanere in silenzio
di fronte all’instaurazione a tappe forzate di un sistema che mette fuori
legge l’idea stessa di solidarietà sociale?

Siamo a un punto di non ritorno. E’ urgente condurre la battaglia di cifre e
la guerra delle parole per contrastare la retorica ultra-liberista della
paura e della disinformazione. E’ urgente decostruire le lezioni di morale
che occultano il processo reale in atto nella società. E diviene più che
urgente demistificare l’insistenza razzista sulla “specificità greca” che
pretende di fare del supposto carattere nazionale di un popolo (parassitismo
e ostentazione a volontà) la causa prima di una crisi in realtà mondiale.

Ciò che conta oggi non sono le particolarità, reali o immaginari, ma il
comune: la sorte di un popolo che contagerà tutti gli altri.
Molte soluzioni tecniche sono state proposte per uscire dall’alternativa “o
la distruzione della società o il fallimento” (che vuol dire, lo vediamo
oggi, sia la distruzione sia il fallimento). Tutte vanno prese in
considerazione come elementi di riflessione per la costruzione di un’altra
Europa. Prima di tutto però bisogna denunciare il crimine, portare alla luce
la situazione nella quale si trova il popolo greco a causa dei “piani
d’aiuto” concepiti dagli speculatori e i creditori a proprio vantaggio.
Mentre nel mondo si tesse un movimento di sostegno e Internet ribolle di
iniziative di solidarietà, gli intellettuali saranno gli ultimi ad alzare la
loro voce per la Grecia? Senza attendere ancora, moltiplichiamo gli
articoli, gli interventi, i dibattiti, le petizioni, le manifestazioni.

Ogni
iniziativa è la benvenuta, ogni iniziativa è urgente. Da parte nostra ecco
che cosa proponiamo: andare velocemente verso la formazione di un comitato
europeo di intellettuali e di artisti per la solidarietà con il popolo greco
che resiste. Se non lo facciamo noi, chi lo farà? Se non adesso, quando?

*Rispettivamente redattrice e direttore della rivista Aletheia di Atene e
direttore della rivista Lignes, Parigi.

Prime adesioni: Daniel Alvaro, Alain Badiou, Jean-Christophe Bailly, Etienne
Balibar, Fernanda Bernardo, Barbara Cassin, Bruno Clement, Danièle
Cohen-Levinas, Yannick Courtel, Claire Denis, Georges Didi-Hubermann, Ida
Dominijanni, Roberto Esposito, Francesca Isidori, Pierre-Philippe Jandin,
Jérome Lebre, Jean-Clet Martin, Jean-Luc Nancy, Jacques Ranciere, Judith
Revel, Elisabeth Rigal, Jacob Rogozinski, Avital Ronell, Ugo Santiago, Beppe
Sebaste, Michèle Sinapi, Enzo Traverso