Il 15 febbraio del 2003 centomilioni di persone sfilarono nelle strade
del mondo per chiedere la pace, per chiedere che la guerra contro l’Iraq
non devastasse definitivamente la faccia del mondo. Il giorno dopo il
presidente Bush disse che nulla gli importava di tutta quella gente (I
don’t need a focus group) e la guerra cominciò. Con quali esiti sappiamo.
Dopo quella data il movimento si dissolse, perché era un movimento
etico, il movimento delle persone per bene che nel mondo rifiutavano la
violenza della globalizzazione capitalistica e la violenza della guerra.
Il 15 Ottobre in larga parte del mondo è sceso in piazza un movimento
similmente ampio. Coloro che dirigono gli organismi che stanno affamando
le popolazioni (come la BCE) sorridono nervosamente e dicono che sono
d’accordo con chi è arrabbiato con la crisi purché lo dica educatamente.
Hanno paura, perché sanno che questo movimento non smobiliterà, per la
semplice ragione che la sollevazione non ha soltanto motivazioni etiche
o ideologiche, ma si fonda sulla materialità di una condizione di
precarietà, di sfruttamento, di immiserimento crescente. E di rabbia.
La rabbia talvolta alimenta l’intelligenza, talaltra si manifesta in
forma psicopatica. Ma non serve a nulla far la predica agli arrabbiati,
perché loro si arrabbiano di più. E non stanno comunque ad ascoltare le
ragioni della ragionevolezza, dato che la violenza finanziaria produce
anche rabbia psicopatica.
Il giorno prima della manifestazione del 16 in un’intervista pubblicata
da un giornaletto che si chiama La Stampa io dichiaravo che a mio parere
era opportuno che alla manifestazione di Roma non ci fossero scontri,
per rendere possibile una continuità della dimostrazione in forma di
acampada. Le cose sono andate diversamente, ma non penso affatto che la
mobilitazione sia stata un fallimento solo perché non è andata come io
auspicavo.
Un numero incalcolabile di persone hanno manifestato contro il
capitalismo finanziario che tenta di scaricare la sua crisi sulla
società. Fino a un mese fa la gente considerava la miseria e la
devastazione prodotte dalle politiche del neoliberismo alla stregua di
un fenomeno naturale: inevitabile come le piogge d’autunno. Nel breve
volgere di qualche settimana il rifiuto del liberismo e del finazismo è
dilagato nella consapevolezza di una parte decisiva della popolazione.
Un numero crescente di persone manifesterà in mille maniere diverse la
sua rabbia, talvolta in maniera autolesionista, dato che per molti il
suicidio è meglio che l’umiliazione e la miseria.
Leggo che alcuni si lamentano perché gli arrabbiati hanno impedito al
movimento di raggiungere piazza San Giovanni con i suoi carri colorati.
Ma il movimento non è una rappresentazione teatrale in cui si deve
seguire la sceneggiatura. La sceneggiatura cambia continuamente, e il
movimento non è un prete né un giudice. Il movimento è un medico. Il
medico non giudica la malattia, la cura.
Chi è disposto a scendere in strada solo se le cose sono ordinate e non
c’è pericolo di marciare insieme a dei violenti, nei prossimi dieci anni
farà meglio a restarsene a casa. Ma non speri di stare meglio, rimanendo
a casa, perché lo verranno a prendere. Non i poliziotti né i fascisti.
Ma la miseria, la disoccupazione e la depressione. E magari anche gli
ufficiali giudiziari.
Dunque è meglio prepararsi all’imprevedibile. E’ meglio sapere che la
violenza infinita del capitalismo finanziario nella sua fase agonica
produce psicopatia, e anche razzismo, fascismo, autolesionismo e
suicidio. Non vi piace lo spettacolo? Peccato, perché non si può
cambiare canale.
Il presidente della Repubblica dice che è inammissibile che qualcuno
spacchi le vetrine delle banche e bruci una camionetta lanciata a tutta
velocità in un carosello assassino. Ma il presidente della Repubblica
giudica ammissibile che sia Ministro un uomo che i giudici vogliono
processare per mafia, tanto è vero che gli firma la nomina, sia pure con
aria imbronciata. Il Presidente della Repubblica giudica ammissibile che
un Parlamento comprato coi soldi di un mascalzone continui a legiferare
sulla pelle della società italiana tanto è vero che non scioglie le
Camere della corruzione. Il Presidente della Repubblica giudica
ammissibile che passino leggi che distruggono la contrattazione
collettiva, tanto è vero che le firma. Di conseguenza a me non importa
nulla di ciò che il Presidente giudica inammissibile.
Io vado tra i violenti e gli psicopatici per la semplice ragione che là
è più acuta la malattia di cui soffriamo tutti. Vado tra loro e gli
chiedo, senza tante storie: voi pensate che bruciando le banche si
abbatterà la dittatura della finanza? La dittatura della finanza non sta
nelle banche ma nel ciberspazio, negli algoritmi e nei software.
La dittatura della finanza sta nella mente di tutti coloro che non sanno
immaginare una forma di vita libera dal consumismo e dalla televisione.
Vado fra coloro cui la rabbia toglie ragionevolezza, e gli dico: credete
che il movimento possa vincere la sua battaglia entrando nella trappola
della violenza? Ci sono armate professionali pronte ad uccidere, e la
gara della violenza la vinceranno i professionisti della guerra.
Ma mentre dico queste parole so benissimo che non avranno un effetto
superiore a quello che produce ogni predica ai passeri.
Lo so, ma le dico lo stesso. Le dico e le ripeto, perché so che nei
prossimi anni vedremo ben altro che un paio di banche spaccate e
camionette bruciate. La violenza è destinata a dilagare dovunque. E ci
sarà anche la violenza senza capo né coda di chi perde il lavoro, di chi
non può mandare a scuola i propri figli, e anche la violenza di chi non
ha più niente da mangiare.
Perché dovrebbero starmi ad ascoltare, coloro che odiano un sistema così
odioso che è soprattutto odioso non abbatterlo subito?
Il mio dovere non è isolare i violenti, il mio dovere di intellettuale,
di attivista e di proletario della conoscenza è quello di trovare una
via d’uscita. Ma per cercare la via d’uscita occorre essere laddove la
sofferenza è massima, laddove massima è la violenza subita, tanto da
manifestarsi come rifiuto di ascoltare, come psicopatia e come
autolesionismo. Occorre accompagnare la follia nei suoi corridoi
suicidari mantenendo lo spirito limpido e la visione chiara del fatto
che qui non c’è nessun colpevole se non il sistema della rapina sistematica.
Il nostro dovere è inventare una forma più efficace della violenza, e
inventarla subito, prima del prossimo G20 quando a Nizza si riuniranno
gli affamatori. In quella occasione non dovremo inseguirli, non dovremo
andare a Nizza a esprimere per l’ennesima volta la nostra rabbia
impotente. Andremo in mille posti d’Europa, nelle stazioni, nelle piazze
nelle scuole nei grandi magazzini e nelle banche e là attiveremo dei
megafoni umani. Una ragazza o un vecchio pensionato urleranno le ragioni
dell’umanità defraudata, e cento intorno ripeteranno le sue parole, così
che altri le ripeteranno in un mantra collettivo, in un’onda di
consapevolezza e di solidarietà che a cerchi concentrici isolerà gli
affamatori e toglierà loro il potere sulle nostre vite.
Un mantra di milioni di persone fa crollare le mura di Gerico assai più
efficacemente che un piccone o una molotov.
Abstract: Gilbert Simondon once noticed that industrial machines were already an information relay, as they were bifurcating for the first time the source of energy (nature) from the source of information (the worker). In 1963, in order to describe the new condition of industrial labour, Romano Alquati introduced the notion of valorising information as a link between the Marxist concept of value and the cybernetic definition of information. In 1972, Deleuze and Guattari initiated their machinic ontology as soon as cybernetics started to exit the factory and expand to the whole society.
In this text I focus again on the Turing machine as the most empirical model available to study the guts of cognitive capitalism. Consistent with the Marxian definition of machinery as a device for the “augmentation of surplus value”, the algorithm of the Turing machine is proposed as engine of the new forms of valorisation, measure of network surplus value and new ‘crystal’ of social conflict. Information machines are not just ‘linguistic machines’ but indeed a relay between information and metadata: in this way they open to a further technological bifurcation and also to new forms of biopolitical control: a society of metadata is outlined as the current evolution of that ‘society of control’ pictured by Deleuze in 1990.
Proposta dall’interno delle acampadas spagnole, la giornata del 15 ottobre si sta configurando come un importante appuntamento di lotta a livello europeo e globale. Ci prepariamo a viverlo mentre l’onda di indignazione sollevata dalla crisi economica è arrivata a investire Wall Street e dopo mesi di mobilitazioni che, per quel che ci riguarda più da vicino, hanno segnato in profondità l’area euro-mediterranea. Sia chiaro: al 15 ottobre è bene guardare con occhi scevri da ogni mitologia riguardo alla sua possibile natura di «evento decisivo». Proprio la dinamica delle lotte degli ultimi mesi ha mostrato spesso una sconnessione tra i movimenti reali e la convocazione di scadenze che si volevano «ricompositive», come ad esempio gli scioperi generali in Italia e in Grecia. Mentre altrettanto spesso veri e propri «eventi» si sono prodotti in modi imprevedibili, che si tratta di indagare e comprendere. Il 15 ottobre, colto nella sua dinamica transnazionale, costituisce anche un’occasione per approfondire la discussione su questi problemi, che sono stati al centro dei recenti meeting di Rio de Janeiro (24-26 agosto), di Barcellona (15-18 settembre) e in Tunisia (29 settembre-2 ottobre).
Occupy Wall Street: The Most Important Thing in the World Now
By Naomi Klein – October 6th, 2011
Published in The Nation.
I was honored to be invited to speak at Occupy Wall Street on Thursday night. Since amplification is (disgracefully) banned, and everything I said had to be repeated by hundreds of people so others could hear (a.k.a. “the human microphone”), what I actually said at Liberty Plaza had to be very short. With that in mind, here is the longer, uncut version of the speech.
I love you.
And I didn’t just say that so that hundreds of you would shout “I love you” back, though that is obviously a bonus feature of the human microphone. Say unto others what you would have them say unto you, only way louder.
Dichiarazione dell’Occupazione di New York
30 Settembre 2011
Questo documento e stato approvato dall’Assemblea Generale il 29 Settembre, 2011
Nel riunirci unitariamente, in solidarietà, per esprimere un senso di grande ingiustizia, non possiamo perdere di vista quello che ci ha portato a riunirci qui insieme. Scriviamo questo documento in modo che tutti coloro che si sentono oppressi dalla forza del mondo corporativo possano sapere che noi siamo i loro alleati.
Come popolo compatto e unito, riconosciamo le seguenti realtà: che il futuro della razza umana ha bisogno della cooperazione dei suoi membri; che il nostro sistema deve proteggere i nostri diritti, ed in caso di corruzione del sistema, diventa un dovere degli individui, proteggere i propri diritti, e quelli dei loro vicini; che un governo democratico deriva il suo potere dal popolo, ma le grandi società capitalistiche non cercano consenso prima di estrarre ricchezze dalla Terra e dai popoli; e che nessuna vera democrazia è possibile quando il processo si basa sul potere economico. Lanciamo quest’appello in un momento in cui le grandi società, che mettono il guadagno prima delle persone, i loro interessi prima della giustizia, e l’oppressione prima dell’uguaglianza, controllono i nostri governi. Ci siamo uniti in modo pacifico, come il nostro diritto, per dare una voce a questi fatti.
In the last months there have been, time and again, mass demonstrations on the street, in the square, and though these are very often motivated by different political purposes, something similar happens: bodies congregate, they move and speak together, and they lay claim to a certain space as public space. Now, it would be easier to say that these demonstrations or, indeed, these movements, are characterized by bodies that come together to make a claim in public space, but that formulation presumes that public space is given, that it is already public, and recognized as such. We miss something of the point of public demonstrations, if we fail to see that the very public character of the space is being disputed and even fought over when these crowds gather. So though these movements have depended on the prior existence of pavement, street, and square, and have often enough gathered in squares, like Tahrir, whose political history is potent, it is equally true that the collective actions collect the space itself, gather the pavement, and animate and organize the architecture. As much as we must insist on there being material conditions for public assembly and public speech, we have also to ask how it is that assembly and speech reconfigure the materiality of public space, and produce, or reproduce, the public character of that material environment. And when crowds move outside the square, to the side street or the back alley, to the neighborhoods where streets are not yet paved, then something more happens.
Our intellectual and political task is not to provoke the European insurrection: the insurrection is already provoked by the European Central Bank and by the cowardice and dogmatism of the ruling class of the European countries.
In the unavoidable insurrection that will mark the next decade, we have to introduce a form of organization that supports the potency of collective intelligence; we have to connect this potency with the desire of sociality. General intellect is searching for the erotic and social body that has been lost in the process of virtualization and precarization. Simultaneously, precarious life is looking for collective intelligence that has become fragmented and dispersed.
Connecting knowledge and the social body is the task of SCEPSI (European School for Social Imagination) during the insurrection that is now underway. [read more] [conference program]
In difesa di Silvio Berlusconi (e tutta la sua banda di ruffiani predatori e tagliagole)
Written by Franco Berardi Bifo, 22.09.2011
Introduzione
Una banda di criminali sapientemente organizzati si è impadronita del potere mediatico, finanziario e politico, e lo detiene con coraggioso sprezzo del pericolo da quasi un ventennio. Un altro ventennio italiano.
La banda si difende assai bene, da ogni punto di vista. Dispone di enormi capitali coi quali è possibile comprare non solo ville, televisioni, giornali, giudici e favori sessuali, ma anche quel che più conta alla distanza: il voto di una parte consistente del Parlamento e il voto di milioni di elettori. Dispone di avvocati ben pagati, preparati, pronti a tutto. La linea di difesa, in generale è la seguente: non intendo rispondere, non me ne importa niente delle accuse che mi rivolgete, delle rivelazioni giornalistiche e di quel che si pensa di me.
E’ da più di un anno che in Italia cresce un movimento di lotta diffuso. Dagli operai di Pomigliano e Mirafiori agli studenti, ai precari della conoscenza, a coloro che lottano per la casa, alla mobilitazione delle donne, al popolo dell’acqua bene comune, ai movimenti civili e democratici contro la corruzione e il berlusconismo, una vasta e convinta mobilitazione ha cominciato a cambiare le cose. E’ andato in crisi totalmente il blocco sociale e politico e l’egemonia culturale che ha sostenuto i governi di destra e di Berlusconi. La schiacciante vittoria del sì ai referendum è stata la sanzione di questo processo e ha mostrato che la domanda di cambiamento sociale, democrazia e di un nuovo modello di sviluppo economico, ha raggiunto la maggioranza del Paese.