benecomunismo

Posted: Marzo 29th, 2012 | Author: | Filed under: comune | Commenti disabilitati su benecomunismo

Manifesto per un soggetto politico nuovo
per un’altra politica nelle forme e nelle passioni
Non c’è più tempo

Oggi in Italia meno del 4% degli elettori si dichiarano soddisfatti dei partiti politici come si sono configurati nel loro paese. Questo profondo disincanto non è solo italiano. In tutto il mondo della democrazia rappresentativa i partiti politici sono guardati con crescente sfiducia, disprezzo, perfino rabbia. Al cuore della nostra democrazia si è aperto un buco nero, una sfera separata, abitata da professionisti in gran parte maschi, organizzata dalle élite di partito, protetta dal linguaggio tecnico e dalla prassi burocratica degli amministratori e, in vastissima misura, impermeabile alla generalità del pubblico. È crescente l’ impressione che i nostri rappresentanti rappresentino solo se stessi, i loro interessi, i loro amici e parenti. Quasi fossimo tornati al Settecento inglese, quando il sistema politico si è guadagnato l’epiteto di ‘Old Corruption’.

In reazione a tutto questo è maturata da tempo, anche troppo, la necessità di una politica radicalmente diversa. Bisogna riscrivere le regole della democrazia, aprirne le porte, abolire la concentrazione del potere ed i privilegi dei rappresentanti, cambiarne le istituzioni. E allo stesso tempo bisogna inventare un soggetto nuovo che sia in grado di esprimersi con forza nella sfera pubblica e di raccogliere questo bisogno di una nuova partenza. I due livelli – la democratizzazione della vita pubblica del paese e la fondazione, anche a livello europeo, di un soggetto collettivo nuovo, si intersecano e ci accompagnano in tutto il manifesto. Le nostre sono grandi ambizioni ma siamo stanchi delle clientele che imperversano, dell’appiattimento della politica su un modello unico, delle partenze che non partono. E poi, con la destra estrema che alza la testa in tutta l’Europa, si fa sempre più pressante lo stimolo ad agire, a non lasciare una massa di persone in balia alle menzogne populiste.

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Riformismo e anticapitalismo nel movimento no-debito

Posted: Marzo 24th, 2012 | Author: | Filed under: comune, critica dell'economia politica, Marx oltre Marx | Commenti disabilitati su Riformismo e anticapitalismo nel movimento no-debito

di Giulio Palermo (compagno, ricercatore di economia politica)
palermo@eco.unibs.it – eco.unibs.it/~palermo

su kaosenlared.net il documento di Giulio Palermo in Castigliano
(traducido por Zeistar – zeistar17@gmail.com)

La crisi del debito pubblico in Europa impone dure misure restrittive che si abbattono su una situazione economica già critica. Secondo le istituzioni internazionali e i governi nazionali non c’è altra via d’uscita: pagare il debito è l’unica cosa da fare.
La gente protesterà, ma non si può vivere perennemente al di sopra dei propri mezzi.

Lo stato deve ora onorare i suoi debiti, anche a costo di adottare misure impopolari.Niente mostra meglio la distanza che esiste tra stato e popolo della rabbia sociale espressa fuori del Parlamento greco, mentre all’interno gli onorevoli onoravano i loro impegni con la comunità internazionale, approvando i provvedimenti indicati dalla Banca centrale europea, l’Unione europea e il Fondo monetario internazionale, in difesa del potere bancario. Senza più alcuna mistificazione, lo stato schiaccia il proprio popolo, come misura necessaria a salvare il capitale internazionale.

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Lezioni di default dalla crisi greca

Posted: Marzo 22nd, 2012 | Author: | Filed under: comune, crisi sistemica, Révolution | 8 Comments »

di ANDREA FUMAGALLI

A più di una settimana dalla conclusione della ristrutturazione del debito greco, può essere utile, a mente più serena, ripercorrere e valutare le tappe che hanno portato ad un vero e proprio default controllato.

Il 9 marzo scorso si è chiuso l’operazione di scambio (swap) di titoli di Stato greci che ha coinvolto i creditori privati. Da un punto di vista tecnico, la maggior parte degli investitori istituzionali e privati, che hanno dato la propria adesione, hanno accettato di cambiare i propri titoli con nuovi titoli di minor valore: in particolare, i vecchi titoli di stato sono stati scambiati con:

a. nuove obbligazioni con scadenze comprese fra il 2023 e il 2042 dal valore nominale complessivo pari al 31,5% dei titoli originariamente in possesso (quindi una svalorizzazione del 68,5%);
b. un warrant (titolo finanziario particolare) emesso dalla repubblica ellenica con importo nominale pari al 31,5% (quindi una svalutazione ancora del 68,5%) e scadenza nel 2042 che darà diritto al pagamento di interessi annuali nel caso in cui la Grecia dovesse osservare il previsto percorso di crescita del Pil.
c. nuovi titoli zero coupon emessi dall’Efsf (Fondo europeo di stabilità finanziaria) con scadenze a 12 e 24 mesi aventi un valore nominale pari al 15% (perdita dell’85%).

In conclusione si è trattata di una riduzione del valore dei titoli di stato greci mediamente pari al 73% del valore nominale. Il risultato è stato un taglio netto del debito greco privato da 206 a 107 miliardi di euro, pari a più di un terzo del debito complessivo.

Tale riduzione ha prevalentemente interessato le grandi banche europee. L’adesione degli istituti di credito all’offerta di concambio è stata, comunque, massiccia. Le 450 aziende rappresentate dalla Institute for International Finance hanno accettato tale taglio su un patrimonio complessivo vicino ai 110 miliardi di euro. Come dire che dalla sera alla mattina hanno cancellato 80 miliardi dall’esposizione di Atene In realtà quasi tutti gli istituti avevano già svalutato in bilancio tra il 50 e il 70% il valore dei loro bond ellenici e di conseguenza lo swap greco ha ridotto ulteriormente il valore patrimoniale dei titoli in questione solo del 10-20%. Tra gli italiani le Generali hanno perso 328 milioni, Intesa Sanpaolo 593 e Unicredit 316 (dati: http://www.iif.com).

Se ci si limitasse a queste brevi osservazioni (come hanno fatto alcuni organi di stampa) potrebbe sembrare che l’onere della ristrutturazione del debito greco tramite il default controllato ricada quasi completamente sulle spalle dei mercati finanziari. Le cose in realtà non stanno affatto così. Vediamo perché.

In primo luogo, occorre notare che il sacrificio vale la candela. Un default disordinato avrebbe non solo azzerato (in sostanza) il valore dei bond greci, ma soprattutto falcidiato quello dei titoli di stato degli altri paesi a rischio come Italia, Spagna e Portogallo. Un’ipotesi da incubo visto che solo le prime 20 banche continentali, per dare un’idea, a dicembre scorso, avevano in portafoglio 381 miliardi di titoli dei cosiddetti Piigs.

In secondo luogo, contemporaneamente alla ristrutturazione del debito greco, le banche europee hanno ottenuto prestiti dalla Banca Centrale Europea per un valore di circa 530 miliardi di euro ad un tasso d’interese minimo, intorno all’1% (con un tasso d’inflazione che si aggira intorno al 2,5-2,8%, per un valore rale negativo): una somma di liquidità che si aggiunge ai circa 480 miliardi già stanziati nello scorso mese di novembre. Di fatto, le banche europee e i principali investitori istituzonali possono contare su nuova liquidità superiore a 1000 miliari di euro!

Tale somma di denaro solo in minima parte è stata utlizzata per finanziare attività di investimento. L’ultimo Bollettino della Banca Centrale d’Italia ha evidenziato come le condizioni di credito per le imprese, soprattutto quelle di piccole dimensioni, si siano fatte critiche, incrementando forme di restrizione crditizia (credit crunch), nonostante che le principali banche italiano abbiamo usufruito prestiti dalla Bce per un valore pari a 220 miliari di euro (cfr. Bollettino Economico della BdI, Numero 67, Gennaio 2012). Risulta allora evidente come questa liquidità sia stata riinvestita nei mercati speculativi, in particolare nell’acquisto di titoli di stato italiani, spagnoli, irlandesi ecc., oggi acquistabili a prezzi molto ridotti. Non stupisce a fronte di questa situazione il fatto che i differenziali tra i tassi d’interesse (spread) si siano ridotti e gli indici azionari abbiano ripreso a salire.

In terzo luogo, occorre ricordare che il Fondo Europeo Salva Stati e il FMI come contropartita delle politiche di austerity hanno concesso un nuovo prestito di circa 130 miliardi di euro alla Grecia, esclusivamente finalizzato a garantire (dietro commissariamento europeo del bilanco pubblico greco) il pagamento degli interessi promessi sui nuovi titoli di Stato allo stesso sistema bancario.

Sulla base di queste considerazioni, si può facilmente comprendere come lo swap greco, apparantemente sfavorevole alle banche europee, sia stato in realtà una grande affare. Tutto bene, dunque? Niente affatto. Non ci si può infatti dimenticare che nel corso del 2011 e nell’ultima manovra finanziaria di gennaio 2012 (http://uninomade.org/politiche-dausterity-e-ristrutturazione-del-debito-in-grecia/), il popolo greco ha visto un tracollo delle proprie condizioni di vita: taglio di un terzo degli stipendi e un’età pensionabile che sale di dieci anni, disoccupazione giovanile record, che supera il 50%, svendita del patrimonio pubblico, aumento dell’Iva al 23%, taglio dei sussidi sociali, ecc., ecc. Questo il prezzo che i cittadini greci hanno pagato per la crisi che ha investito il paese. Un prezzo che è stato, quindi, imposto per una triplice finalità: garantire il pagamento degli interessi ai creditori che accettano la svalutazione dei titoli di Stato in loro possesso; consentire il nuovo finanziamento da parte del FMI e del Fondo Europeo Salva Stati; infine il commissariamento da parte del FMI dei conti pubblici statali, in altre parole la perdita della sovranità fiscale nazionale.

Il default controllato della Grecia ci insegna due cose: che un debito pubblico può essere ristrutturato se è organizzato dall’alto. E che ora si apre la battaglia perché il defaut possa essere agito dal basso. Al riguardo, lo strumento dell’audit diventa imprescindibile come strumento di agitazione del conflitto.

uninomade.org


basic income

Posted: Marzo 18th, 2012 | Author: | Filed under: comune, critica dell'economia politica, postcapitalismo cognitivo | Commenti disabilitati su basic income

Secondo la ministra del lavoro, in Italia “con un reddito base la gente si adagerebbe, si siederebbe e mangerebbe pasta al pomodoro”. Per risponderle, ecco un’intervista a Philippe Van Parijs, fondatore del Basic Income Earth Network, tratta da Per un’altra globalizzazione (Edizioni dell’Asino 2010).
di Giuliano Battiston

Prima di capire le ragioni per cui dovremmo fare nostra l’idea di “versare a tutti i cittadini, incondizionatamente, un reddito di base cumulabile con ogni altro reddito”, valutiamo le obiezioni più comuni, tra cui quella – già avanzata da Marshall in un diverso contesto – che i diritti di cittadinanza debbano accompagnarsi a delle contropartite, a dei doveri; che ci debba essere un legame tra reddito e lavoro; che la concessione del reddito vada condizionata a un contributo produttivo, o alla volontà di darlo. Come lei ricorda ne Il reddito minimo universale, soprattutto nell’Europa continentale è forte il modello “bismarckiano” “conservator-corporativista” della protezione sociale, l’idea che la previdenza sociale sia legata al lavoro e allo statuto di salariato del cittadino. Mentre nel saggio Il basic income e i due dilemmi del Welfare State riconosce che la parziale “disconnessione tra il lavoro e il reddito richiederebbe un radicale ripensamento” culturale, anche in quei pochi partiti di sinistra che ancora oggi riconoscono nel lavoro un tema centrale della loro agenda politica. Come favorire questo ripensamento? E come risponde alle obiezioni menzionate?

L’idea che il diritto a un reddito debba essere legato al lavoro o alla disponibilità a lavorare, che dunque ci sia un’associazione, che deriva da considerazioni di tipo etico, non economico, tra lavoro e reddito, non si limita ai Paesi dal modello “bismarckiano”, ma investe anche il mondo anglosassone, e direi anzi che sia presente in tutte le società del mondo. A questo proposito, è interessante notare una singolare analogia, perché quest’idea si avvicina molto alla relazione etica che per lungo tempo diverse società hanno istituito tra sesso, gratificazione sessuale e riproduzione. In tutte quelle società nelle quali, in ragione di una forte mortalità infantile, era essenziale ottenere un elevato livello procreativo, divenne infatti eticamente obbligatorio legare la gratificazione sessuale almeno al “rischio” della procreazione, così da contribuire eventualmente alla sopravvivenza della comunità. Per lungo tempo, e per ragioni analoghe, si è radicata l’idea che si potesse avere accesso alla gratificazione del consumo, dunque al reddito, solo a condizione di essere disposti a contribuire alla produzione (l’equivalente della riproduzione nel caso della gratificazione sessuale). La connessione tra i due aspetti è evidente. Oggi però ci troviamo a vivere in condizioni tecnologiche ed economiche molto diverse, grazie alle quali non è più necessario che tutte le attività sessuali siano legate alla possibilità della procreazione, e allo stesso modo non è necessario fare del contributo alla produttività, dunque del lavoro, una condizione di accesso al reddito. Intendo dire che è possibile dare vita a un’organizzazione della società che non sia basata su questo tipo di etica del lavoro. Mi rendo conto tuttavia che questo discorso dimostra solo la possibilità di una diversa organizzazione, ma non che sia giusto o preferibile introdurla. Per questo occorre ancora lavorare molto, superando i tanti ostacoli culturali, sia a destra che a sinistra. Mi sembra comunque curioso che in tutti questi anni l’obiezione etica abbia sempre prevalso rispetto all’obiezione tecnica, relativa alla plausibilità di finanziare un meccanismo del genere, e agli interrogativi sulla realizzabilità politica di quest’idea.

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unsetting knowledges

Posted: Marzo 16th, 2012 | Author: | Filed under: comune, crisi sistemica, postcapitalismo cognitivo | 10 Comments »

unsettling knowledges
transversal web journal

The crises within cognitive capitalism and cognitive labor are mirrored in the reproduction and exacerbation of global divisions of labor and the emergence of new forms of exploitation as part of a regime of flexible capital accumulation. While drastic austerity measures and heightened control mechanisms lead to a radical transformation of the welfare state on the one hand, new networks of communication, struggle and alternative forms of knowledge emerge on the other.

This issue of transversal attempts to review some of the general assumptions of a theory of cognitive capitalism and to unsettle the very notions of knowledge and its production, discussing the conditions of its capture, its “re-invention” and its capacity for creating worlds. The individual essays follow the lines of a (post-)colonial historicity and a feminist and geopolitical critique of capitalist valorization, thereby questioning the materiality of knowledge and its production in relation to resources and bodies, as well as how art and knowledge production are interwoven with political struggles.

http://eipcp.net/transversal/0112

Contents
Lina Dokuzović: The Resource Crisis and the Global Repercussions of Knowledge Economies
Silvia Federici: African Roots of US University Struggles. From the Occupy Movement to the Anti-Student-Debt Campaign
Encarnación Gutiérrez Rodríguez: AFFECTIVE Value. On Coloniality, Feminization and Migration
Therese Kaufmann: Materiality of Knowledge
Christian Kravagna: The Trees of Knowledge: Anthropology, Art, and Politics. Melville J. Herskovits and Zora Neale Hurston – Harlem ca. 1930
Brigitta Kuster: The Imperceptibility of Memory
Sandro Mezzadra: How Many Histories of Labor? Towards a Theory of Postcolonial Capitalism
Walter Mignolo: Geopolitics of Sensing and Knowing. On (De)Coloniality, Border Thinking, and Epistemic Disobedience
Raimund Minichbauer: Fragmented Collectives. On the Politics of “Collective Intelligence” in Electronic Networks


Creating Worlds
eipcp

eipcp – european institute for progressive cultural policies
a-1060 vienna, gumpendorfer strasse 63b
a-4040 linz, harruckerstrasse 7
contact@eipcp.net
http://www.eipcp.net


da gentiluomini a mercenari

Posted: Marzo 10th, 2012 | Author: | Filed under: comune, postcapitalismo cognitivo | 9 Comments »

DA GENTILUOMINI A MERCENARI
di Dario Banfi e Sergio Bologna*

Alle origini del lavoro indipendente, delle professioni e del precariato. Un racconto su quello è diventato, oggi, il lavoro e, domani, di cosa sarà. Una lettura irrinunciabile per capire di cosa parliamo quando parliamo di “riforma del lavoro”, “riforme delle professioni” o lavoro subordinato e autonomo.

L’ideologia del professionalismo e la sua crisi

Non è proprio un libriccino il testo che l’International Labour Office ha dedicato alla figura che l’immaginario collettivo associa di più al professionista di successo: il consulente di direzione. Pubblicato alla metà degli Anni Settanta e più volte aggiornato nei decenni successivi, è un’opera collettiva alla quale hanno dato il loro contributo personaggi che in seguito sarebbero diventati delle star, come Roland Berger e altri. Ad un certo momento nel testo spunta la domanda: “la consulenza è una professione?”

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Toni Negri

Posted: Marzo 9th, 2012 | Author: | Filed under: comune, critica dell'economia politica, Marx oltre Marx, postcapitalismo cognitivo | Commenti disabilitati su Toni Negri

http://uninomade.org/marx-operaismo-4-video/


sovranità giuridiche

Posted: Febbraio 17th, 2012 | Author: | Filed under: comune, crisi sistemica | Commenti disabilitati su sovranità giuridiche

LA SOVRANA LEGGE DELLA DISEGUAGLIANZA

di Ugo Mattei

Sia in Europa che negli Stati Uniti il principio della «legge uguale per tutti» viene messo in discussione attraverso l’istituzione di norme e assetti legislativi che istituiscono stati d’eccezione per le imprese e il mondo degli affari. Un percorso di lettura sulle tradizioni della civil law e della common law.

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I luoghi della lotta di classe

Posted: Febbraio 14th, 2012 | Author: | Filed under: comune, postcapitalismo cognitivo, postoperaismo | Commenti disabilitati su I luoghi della lotta di classe

di COLLETTIVO UNINOMADE

1) In un recente intervento su “il manifesto” Mario Tronti riconosceva all’esecutivo Monti il “merito” di “riaprire la questione sociale”. A differenza del precedente, questo governo “pratica l’obiettivo” in una cristallina logica di classe, guadagnando il plauso di stakeholder per niente occulti e di chi, accecato dai fin troppo esibiti curricula di ministre e ministri, tralascia di valutare il segno delle riforme adottate e in cantiere. Se il lascito della lunga fase di destrutturazione del “capitalismo organizzato”, apertasi negli anni ’70 del secolo scorso, è l’immane redistribuzione di ricchezza e potere dai subalterni alle classi dominanti, la continuità del governo Monti con le dottrine e le pratiche neoliberali degli ultimi trent’anni sono alla luce del sole. Il salto di qualità nell’attacco sferrato al salario differito (pensioni) e a quello socializzato nel welfare e nei servizi collettivi (bersaglio dell’austerity istituzionalizzata nella stabilità finanziaria delle amministrazioni), si salda senza soluzione di continuità con la “modernizzazione” del mercato del lavoro. Che a scanso di equivoci, c’informano, vale duecento punti di spread, assunto esplicativo delle sinergie tra finanza e mitologica “economia reale” (il cambiamento delle regole su licenziamenti e contrattazione collettiva, prima che prescrizione dei mercati, è un claim di Confindustria). Alla ristrutturazione e aggiustamento delle norme regolanti i rapporti di produzione occorrerà dedicare analisi meno episodiche, in grado di esplicitarne disegno ed effetti materiali. Basti qui evidenziare che, lungi dal distinguersi per innovazione, l’esecutivo interpreta alla lettera prescrizioni da tempo diffuse dai think tank neoliberali e filoaziendali.

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Il “nudo” e il “sacro”

Posted: Febbraio 13th, 2012 | Author: | Filed under: bio, comune, Marx oltre Marx, post-filosofia | Commenti disabilitati su Il “nudo” e il “sacro”

La biopolitica di Giorgio Agamben

di Fabio Milazzo

“La storia della ratio governamentale,
la storia della ragione governamentale
e la storia delle contro condotte che le si sono opposte non possono essere dissociate l’una dall’ altra.”
Michel Foucault, Sicurezza, territorio e popolazione. Corso al Collège de France (1977-1978), p.365).

Nel 1979 Michel Foucault rese celebre il concetto di “biopolitica” dedicandogli un intero corso al Collège de France[1].
Durante il ciclo di lezioni Foucault cercò di dimostrare la correlazione tra il liberalismo, l’economia e il governo. L’economia, con il liberalismo, diventa il paradigma orientante le pratiche di governo.
“ Mi sembra che l’analisi della biopolitica non si possa fare senza aver compreso il regime generale di questa ragione governamentale di cui vi sto parlando, regime generale che si può chiamare questione di verità, in primo luogo della verità all’interno della ragione governamentale, e di conseguenza se non si comprende bene di che cosa si tratta in questo regime che è il liberalismo, (…) e una volta che avremo saputo che cos’è questo regime governamentale chiamato liberalismo potremo sapere cos’è la biopolitica”[2].

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