Marazzi: bilancio in rosso di un continente

Posted: Maggio 23rd, 2012 | Author: | Filed under: comune, crisi sistemica, critica dell'economia politica | Commenti disabilitati su Marazzi: bilancio in rosso di un continente

di Christian Marazzi

L’economista Jacques Sapir risponde positivamente al provocatorio titolo del suo ultimo saggio «Bisogna uscire dall’euro?» e denuncia i rapporti di forza a favore dell’economia tedesca presenti nell’Unione Europea.

Le elezioni francesi e greche hanno aggiunto nuovi fattori di instabilità ad una Unione monetaria europea già economicamente e socialmente insostenibile. D’ora in poi l’alternativa si riduce a questo: o i Paesi forti dell’Europa accettano di finanziare i Paesi deboli o di garantirne i debiti, oppure la spaccatura dell’euro diventa inevitabile. In entrambi i casi è in gioco la definizione del piano della sovranità, della possibilità o meno di governare l’uscita dalla crisi con politiche di crescita declinate su scala nazionale o sovranazionale. In mezzo ci sta l’euro, la sua architettura, la sua «natura».

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Oltre il determinismo: una storicità sovversiva

Posted: Maggio 17th, 2012 | Author: | Filed under: comune, crisi sistemica, Révolution | Commenti disabilitati su Oltre il determinismo: una storicità sovversiva

di ANTONIO NEGRI

Recensione di P. Dardot e C. Laval, Marx. Prenom: Karl, Edizioni Gallimard, Parigi, 2012.

Quali sono i nodi più rilevanti di questo poderoso libro? È necessario chiederselo perché (essendo appunto troppo voluminoso – 800 pagine – da poter esser letto di un solo colpo) solo apprestando dei dispositivi di lettura, esso può essere scorso utilmente e permettere approssimazioni per una lettura centrata sui temi fondamentali e che venga, per così dire, sempre più precisandosi.

Il primo grande nodo consiste nell’espressione della necessità di rompere con la tradizione sempre parziale e settaria (quando non fosse introvabile) degli studi francesi su Marx. Qui invece Marx viene preso per intero, il filosofo l’economista il politico, ed è solo questa lettura, storicamente e filologicamente impiantata, senza “cesure” storiche né teoriche, che può permetterci di riprendere solidamente in mano l’interezza del discorso marxiano e di avanzare ipotesi nuove che si confrontino con quelle marxiane, attorno ad un progetto di emancipazione per l’attualità. Questa distanza critica dalla continuità della tradizione francese (ed in particolare dall’althusserismo), questo sentirsi in un’altra epoca dal XIX e XX secolo, non impedisce che gli autori si impegnino attorno a talune difficoltà ereditate dal passato. Solo per fare un paio di esempi, Dardot-Laval puntano criticamente molto in alto quando, ad esempio, in una polemica che sembra solo terminologica ma non lo è, traducono il concetto marxiano di Mehrwert, con plus-de-value. Non si tratta semplicemente di un’elegante reminiscenza lacaniana ma di una forte polemica, non solo contro un uso consolidato ma (ci sembra) anche contro le concezioni quasi metafisiche del plusvalore che tanto hanno afflitto i comunismi religiosi (cosa che non può lasciare indifferente un “operaista” e rende senz’altro felice chi nell’oggi, nell’epoca del capitalismo cognitivo, considera il Mehrwert senz’altro come una “eccedenza”). Non meno decisiva sembra la presa di distanza, solo per fare un altro esempio, dalla discussione di un tema, indubbiamente centrale per i marxisti, qui preso nel rinnovamento della discussione fra Séve e Fischbach, sulla maggiore o minore rilevanza delle determinazioni oggettive o di quelle soggettive nella costruzione del progetto marxiano di comunismo. È evidente che su questa critica si dovrà ritornare più tardi al termine nella nostra riflessione.

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Intervista a Maurizio Lazzarato

Posted: Maggio 16th, 2012 | Author: | Filed under: comune, crisi sistemica, critica dell'economia politica, postcapitalismo cognitivo | Commenti disabilitati su Intervista a Maurizio Lazzarato

Sovvertire la macchina del debito infinito
Intervista a Maurizio Lazzarato*

Dopo aver pubblicato la prefazione all’edizione italiana ritorniamo su La fabbrica dell’uomo indebitato di Maurizio Lazzarato con un’intervista all’autore su alcuni nodi del suo importante pamphlet.

Nel tuo saggio, riprendendo la seconda dissertazione de La Genealogia della morale di Nietzsche e L’Anti-Edipo di Deleuze e Guattari, fornisci una ricostruzione del neoliberalismo secondo la quale attorno al debito si produce un dispositivo di potere che informa interamente l’infrastruttura biopolitica. Parafrasando Marx potremmo dire che il debito non è una cosa ma un rapporto sociale. Quale nesso intercorre tra la relazione creditore-debitore e la proprietà?

Il rapporto creditore-debitore è un rapporto organizzato attorno alla proprietà, è un rapporto tra chi ha disponibilità di denaro e chi non ce l’ha. La proprietà piuttosto che essere dei mezzi di produzione come diceva Marx, ruota attorno ai titoli di proprietà del capitale, quindi c’è un rapporto di potere che si è modificato rispetto alla tradizione marxiana, è deterrittorializzato per dirla con Deleuze e Guattari – è a un livello di astrazione superiore, ma è comunque organizzato attorno a una proprietà: tra chi ha accesso al denaro e chi non ce l’ha.

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Perchè gli artisti ? MACAO è la risposta

Posted: Maggio 16th, 2012 | Author: | Filed under: arts, comune, kunst, Révolution | Commenti disabilitati su Perchè gli artisti ? MACAO è la risposta

Written by Franco Berardi Bifo, 15.05.2012

“perché i poeti nel tempo della povertà?” chiede Holderlin nel suo poema “Pane e vino”.
E commentando questo verso, Heidegger dice: “Forse siamo nel momento in cui il mondo va verso la sua mezzanotte”.

In nome del vuoto

Il 5 maggio un gruppo di artisti, architetti, insegnanti e studenti e lavoratori precari della scuola e della comunicazione hanno occupato un edificio chiamato Torre Galfa e l’hanno rinominato Macao. L’edificio è un grattacielo di trentacinque piani, abbandonato da quindici anni.

Dieci giorni dopo l’occupazione, mentre il corpo gigantesco del precariato cognitivo milanese cominciava a stiracchiare le sue membra e a sintonizzarsi con la torre, sono entrati in azione gli esecutori del piano di sterminio finanziario. Il proprietario, noto alle cronache giudiziarie come corrotto e corruttore, ha deciso che quel posto è suo e deve rimanere com’è: vuoto. Tutto deve essere vuoto nella città, perché il capitalismo finanziario ha bisogno di distruggere ogni segno di vita. Le risorse materiali e intellettuali vengono progressivamente inghiottite, annullate, perché i predatori possano espandere la loro insensata ricchezza.

Per la prima volta, occupando la Torre, il movimento è uscito dalla sfera dell’underground e si è proiettato verso l’alto. Non è un movimento di talpe, ma di sperimentatori. Le talpe ora debbono venire fuori, debbono occupare ogni spazio, e contenderlo all’organizzazione di morte che si chiama Banca Centrale Europea.

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Intervista a Jason Read

Posted: Maggio 4th, 2012 | Author: | Filed under: comune, postcapitalismo cognitivo, Révolution | Commenti disabilitati su Intervista a Jason Read

Un’intervista al filosofo autore di un fortunato saggio su
«Micro-Politics of Capital». La solitudine di una generazione dopo che
l’esplosione della bolla speculativa delle lauree ha radicalizzato la
competizione per accedere al mercato del lavoro.

Nel profondo Maine, ora governato da un aggressivo rappresentate del Tea
Party, ci sono almeno una ventina di inziative che hanno assunto il nome di
Occupy. Tra queste, l’occupazione della University of Southern Maine, in cui
insegna ed è politicamente attivo Jason Read. Il suo importante libro The
Micropolitics of Capital (Suny Press, 2003, ora disponibile anche in formato
ebook), che ha al proprio centro la questione della produzione di
soggettività, cerca di far dialogare il marxismo «postoperaista» con
l’apparato concettuale althusseriano, pur nei diversi e spesso contradditori
rivoli in cui si sono dispersi gli allievi del maestro francese.

La conversazione con Read è partita dai motivi che sono alla base della sua
ricerca. «Sono arrivato all’operaismo dall’anarchismo diffuso nei college
americani e soprattutto attraverso la pubblicazione del testo sull’autonomia
operaia di Semiotext(e): capii che dovevo leggere Marx. Credo che sia
possibile comprendere il capitalismo, teoricamente e politicamente, solo
afferrando la produzione di soggettività nel duplice significato del
genitivo: il pensiero althusseriano permette di elaborare un discorso su
come i soggetti sono costituiti, l’operaismo ha invece colto l’altra parte,
cioè la formazione del soggetto autonomo. É necessario mettere in relazione
e in tensione queste due letture, per porre a critica l’idea dominante
secondo cui tutto è strutturato dal capitale».

Come questo duplice concetto di produzione di soggettività può spiegare da
un lato le politiche neoliberali e la loro crisi, dall’altro le lotte e il
movimento Occupy?

La cosa più semplice che si può dire del neoliberalismo è che produce una
soggettività completamente individualizzata, presunte figure
autoimprenditoriali private di ogni identificazione collettiva. Se il
capitale fisso si soggettivizza, il capitale deve gestirlo e governarlo,
rendere le soggettività isolate, competitive e incapaci di articolare le
proprie relazioni sociali. Credo che il movimento Occupy stia creando un
significato della dimensione collettiva, producendo una soggettività
politica ma in assenza di un linguaggio che articola questa soggettività. È
necessario comprendere le nuove forme in cui la ricchezza è estratta e
permea l’intera vita, dal debito alla privatizzazione dei servizi. Lo
sfruttamento non è limitato al lavoro: dobbiamo allora approfondire questi
processi per capire le soggettività e le differenti forme di resistenza allo
sfruttamento.

Qual è lo spazio per questi temi nel dibattito teorico e politico
statunitense, dentro e fuori l’università?

Questi temi non si trovano necessariamente nei contesti in cui ce li
aspetteremmo. Prendiamo l’esempio del lavoro affettivo, che connette la
teoria degli affetti a partire dala filosodia di Spinoza, il contributo del
femminismo e le trasformazioni del lavoro. Questi differenti lati sono
limitati dai confini disciplinari e mai completamente articolati. Vi è poi,
politicamente, una discussione sul lavoro affettivo rispetto al lavoro di
cura, ma uno dei maggiori problemi è, almeno negli Stati Uniti, il reciproco
isolamento di politica e teoria: solo la loro interazione è in grado di
produrre una reale trasformazione. Chi è interessato a questi temi dal punto
di vista teorico li considera questioni accademiche, sconnesse
dall’attualità politica.

Tuttavia, esistono le possibilità di superare questo reciproco isolamento.
Molta della produzione teorica del movimento Occupy, ad esempio, ha preso
corpo innanzitutto attraverso i video, i blog, i siti: è avvenuto tutto
troppo velocemente per essere compreso o catturato dal meccanismo
dell’accademia. È però necessario creare degli spazi all’interno di Occupy
per la riflessione teorica: finora sono stati riempiti dai discorsi delle
«celebrità», come Slavoj Zizek o Judith Butler. Penso invece che già stiano
prendendo corpo i luoghi della discussione e dell’autoformazione, ma devono
crescere e determinare una prassi teorica che abbia continuità.
Il reciproco isolamento di pratica teorica e pratica politica rischia di
consegnare la prima all’accademia e la seconda a un attivismo che fa
difficoltà a costruire prospettiva.

Quali sono i tentativi di costruire quella che hai chiamato un’articolazione tra produzione di sapere e organizzazione politica?

Ci sono varie esperienze in questa direzione. La sfida è andare oltre
all’evento spettacolare: Occupy ha bisogno non di domande, perché ciò
presuppone qualcuno che vi risponda e le legittimi. Diciamo allora che ha
bisogno di articolare le proprie prospettive. C’è una resistenza da questo
punto di vista, che è parte della pluralità delle lotte. Ma a un certo punto
bisogna scegliere tra la completa trasformazione della struttura economica e
sociale, oppure la semplice limitazione legale dell’azione delle banche: se
non si costruisce un confronto critico tra queste differenti prospettive, la
semplice pluralità rischia di bloccare l’azione politica.

È qualcosa che sta avvenendo oppure è un’indicazione da costruire?

Ogni movimento sociale deve produrre il proprio sapere. Occupy ha portato a
galla ciò che già esisteva – come la privatizzazione e la militarizzazione
degli spazi urbani, o la criminalizzazione degli homeless – ma che era
passato senza che quasi nessuno se ne accorgesse. Molte delle leggi usate
contro Occupy sono, ad esempio, quelle contro i senza casa o chi dorme in un
parco. Penso che l’autoformazione del movimento debba muoversi verso la
critica dell’economia politica. Uno dei limiti di Occupy è il modo di
pensare la produzione e la circolazione della ricchezza. È quindi di
strategica importanza la questione del debito. Essendo un dispositivo di
moralizzazione e individualizzazione, cioè è rappresentato come una forma di
dipendenza da nascondere, è difficile costruire azione collettiva.
Il debito da consumo riguarda l’uso della carta di credito, ma anche
l’esternalizzazione dei costi dei servizi sociali e le forme di produzione
della propria esistenza: viene così mistificato il passaggio dal pubblico al
privato. Per Occupy significa svillupare un punto di vista generale sui
commons, che finora negli Stati Uniti è stato innanzitutto incentrato sulla
gestione dello spazio e sul fatto che la politica debba riguardare le
persone e non le imprese. Il passaggio è comprendere il comune come ciò che
viene prodotto collettivamente. Perciò la produzione di ricchezza è una
questione teorica centrale per andare oltre il dispositivo di moralizzazione
e individualizzazione del debito.

Il debito studentesco è anche una forma di canalizzazione delle scelte di
studio e di vita, in un certo senso è un regime di controllo dei
comportamenti futuri. Il debito è dunque un dispositivo di produzione di
soggettività…

Questo è il punto: il debito forza continuamente lo studente a sacrificare
il presente per il futuro. Gli studenti che si indebitano per andare
all’università non si chiedono a cosa sono interessati o quali sono i loro
desideri, ma semplicemente qual è lo spazio per un futuro nel mercato del
lavoro. È terribilmente vincolante ed agisce dall’alto e dal basso.
Dall’alto c’è uno spostamento dei costi dell’università dal pubblico al
privato. Nelle università pubbliche americane due terzi dei costi della
formazione erano pagati dallo Stato e un terzo dagli studenti: ora il
rapporto è rovesciato, e i costi a carico dello studente stanno
ulteriormente crescendo. C’è una trasformazione dell’università pubblica in
università del debito. Dal basso, produce un soggetto costretto a essere
interessato solo ai programmi e ai saperi che offrono la possibilità di
ripianare il debito, come medicina, giurisprudenza, business e così via.
Diminuiscono invece le domande per filosofia, sociologia, arte, le
humanities in generale. Ai docenti di queste discipline non viene detto che
non possono insegnare, ma che non ci sono domande; così filosofia viene
trasformata in etica medica. Dunque, la ristrutturazione sembra venire dal
basso, dai supposti bisogni della sovranità dei consumatori, però si tratta
di consumatori indebitati, le cui domande sono prodotte dall’università
stessa.

Tutto ciò mentre l’università cessa di essere un ascensore per la mobilità
sociale e il valore delle lauree è una bolla ormai esplosa…

Da tempo, negli Stati uniti c’è una discussione proprio sulla bolla delle
lauree dequalificate: il debito, ad esempio, ha prodotto molti più avvocati
di quanti riuscissero a trovare un lavoro. C’è dunque un’inflazione di ciò
che si immagina essere spendibile sul mercato del lavoro; molte figure
altamente specializzate non riescono a trovare un’occupazione nel campo per
cui si sono indebitate. Per tanti anni in questo paese si è detto che le
scienze di programmazione informatica avevano un alto valore, nessuno
pensava che il lavoro potesse essere esternalizzato in India a una forza
lavoro meno costosa.
La logica mercantile che sottostà alla specializzazione crea problemi di
sovrapproduzione e vede una massa di studenti che non possono ripianare il
debito e quindi devono cercare lavori che non hanno nulla a che fare con
quello che hanno studiato.
Poi c’è la retorica secondo cui quello che viene richiesto ai lavoratori
sono competenze generiche e non specializzate, la capacità di pensare
criticamente, l’intelletto in generale e non le sue specifiche forme.
Nessuno più ci crede. La specializzazione è quindi esclusivamente una forma
di disciplinamento dei lavoratori, che ti rende pronto ad accettare tutto.
Inoltre, se le lauree diventano sempre più iperspecialistiche è perché vi è
una stretta parternship tra gli interessi economici locali e le università:
se il settore assicurativo o quello finanziario o l’ospedale hanno un ruolo
importante in una città, i programmi universitari saranno costruiti di
conseguenza. Così, ti devi indebitare per la tua specializzazione, per il
tirocinio, per aggiornare le tue competenze che diventano rapidamente
obsolete.

Il debito, in particolare quello studentesco, sta diventando una questione
importante nel movimento Occupy, soprattutto con la campagna Occupy Student
Debt. Quali prospettive vedi?

Sul sito di Occupy Wall Street le persone descrivono la propria condizione
economica, i debiti contratti e quanti lavori fanno, mostrando il gap
incolmabile tra debito e salario. Quando dentro Occupy si parla di debito
c’è la preoccupazione che si possano creare divisioni: altre generazioni
sono andate a scuola dentro differenti regimi finanziari, dunque c’è il
problema di articolare la solidarietà tra queste diverse esperienze di
debito studentesco. Credo che ciò sia possibile solo comprendendo come il
debito abbia permesso la diminuzione dei salari reali. Il debito ha
consentito agli americani di percepirsi ancora come classe media, è stato un
enorme strumento di pacificazione. Puoi avere la casa, la macchina, mandare
i figli al college e finché dura, pur nella stagnazione salariale, ti senti
rappresentato e soddisfatto della società in cui vivi. Adesso che tutto ciò
è collassato, il problema è come produrre una soggettività politica del
debitore, in grado di andare oltre i processi di individualizzazione.

Quali sono, in generale, le prospettive del movimento Occupy a partire dalla
May Day?

Una grande sfida nei prossimi mesi sarò di rimanere separati dalla scadenza
elettorale, soprattutto perché il Partito democratico sta cercando di
ringiovanirsi attraverso Occupy. Il movimento si è identificato nella
tattica dell’occupazione, centrale e necessaria, capace di comporre e
mobilitare figure e spazi che vivono in una condizione di frammentazione e
precarietà. Allo stesso tempo bisogna creare altre tattiche, come hanno
fatto ad Oakland bloccando il porto. Come organizzare uno sciopero di massa
dei debitori? Come agire senza creare una centralizzazione della decisione
politica? Un movimento deve essere capace di auto-sostenersi, per tirare
fuori le persone che sono state arrestate durante gli sgomberi, creare reti
di solidarietà che consentano di avere cibo e supportare chi sciopera.
Bisogna pensare a forme di redistribuzione e riappropriazione, creare
davvero un’istituzione del comune: non una semplice protesta, ma un processo
costituente.

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SCAFFALE

Dall’etica di Spinoza alla scuola di Althusser
Laureato nel 1994, Jason Read ha conseguito il dottarato alla «State
University of New York» con una tesi su «The Production of Subjectivity:
Marx and Contemporary Continental Thought». Autore di un saggio su
«Micro-Politics of Capital» (Suny Press), Read ha pubblicato molti saggi
attorno alla filosofia di Baruch Spinoza ed è considerato uno delle figure
emergenti del pensiero critico radicale Usa. Molto attivo nel movimento
Occupy, ha scritto molti interventi e saggi su come è cambiato il sistema
universitario statunitense a partire dall’equivalente Usa del «debito
d’onore».

il manifesto


Animal Spirit – A Bestiary of the Commons

Posted: Aprile 29th, 2012 | Author: | Filed under: au-delà, comune, Marx oltre Marx, Révolution | Commenti disabilitati su Animal Spirit – A Bestiary of the Commons

di Matteo Pasquinelli

Introduction

What constitutes the common? While I was exploring the dark sides
of digital commons and culture industry, the awakening of the animal
spirits of the financial crisis during 2008 became in fact the horizon of
the political debate. The idea of investigating the animal spirits of the
commons was actually conceived a few years earlier, when the global
mediascape following stock indexes were fed by the pornography of
war terrorism. Yet the irrational fears and forces struggling behind
media
networks were never illuminated by critical thinkers and political
activists or, more specifically, considered as a productive component
of economic flows. John Maynard Keynes once defined ‘animal spirits’
as precisely those unpredictable human drives that influence stock
markets and push economic cycles.1 Similarly, in his recent work, Paolo
Virno has underlined how all institutions (from the nation-state to contemporary
digital networks) represent an extension of the aggressive
instincts of humankind.2 In this reading, language and culture form the
basis of the common (networking), but also new fields of antagonism and
chaos (notworking).3

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Manifesto Urban Cannibalism


Tra Foucault e Tommaso (Müntzer): una replica ad Asor Rosa

Posted: Aprile 28th, 2012 | Author: | Filed under: comune, Marx oltre Marx, Révolution | Commenti disabilitati su Tra Foucault e Tommaso (Müntzer): una replica ad Asor Rosa

di MARCO ASSENNATO

Alberto Asor Rosa ha dedicato un lungo articolo – sul Il manifesto del 27 aprile – di critica al “Manifesto per un soggetto politico nuovo”, che già aveva suscitato un’accesa discussione sulle pagine dello stesso quotidiano. Franchezza per franchezza: non è tanto sulla valutazione da darsi dell’ipotesi di fondare un nuovo partito – sulla scorta del manifestino dei beni comuni – che trovo interessante porre questioni. Non saprei dire, infatti, se mi preoccupa di più il contenuto di quella proposta politica o il contenuto delle repliche polemiche che ha suscitato. Mi interessa invece, e m’interroga, l’arco di argomentazioni che Asor pone per giustificare la sua critica, poiché mi pare coincidere con altre e sempre più diffuse “pose” argomentative sulla sinistra italiana. La passione dello storico chiama Asor Rosa a rammentarci per intero la raccomandazione di Gramsci sull’ottimismo della volontà e il pessimismo della ragione: un modo per dire che non s’ha bisogno, per trasformare il mondo, di “ridicoli fantasticatori” pronti ad esaltarsi ad ogni sciocchezza o deprimersi di fronte all’orrore, quanto piuttosto “d’uomini sobri, pazienti” capaci d’una analisi realistica dei contesti e d’una azione all’altezza del tempo dato. Ecco. Sempre più spesso (e me ne sfugge la ragione) in Italia si ragiona iniziando così, quando s’affronta il nodo politica istituzionale – movimenti. Penso ad esempio a molti e differenti articoli apparsi su Alfabeta2, insomma all’impostazione complessiva di quel dibattito, come ad alcuni accenti della discussione sul manifesto. Sempre così inizia il ragionamento: vi sarebbe da una parte la nebulosa degli “esaltati”, “sognatori” – a volte definiti persino “saturnini” – e dall’altra quella degli “uomini sobri”, “realistici”, “pragmatici”. D’un lato lo svolazzo ideologico, dall’altro la paziente ricostruzione di fatti e situazioni concrete. Poi, questi due tipi, vengono pian piano lasciati scivolare sino a sovrapporsi da una parte sui “movimentisti” che tutto criticano ma nulla cambiano e d’altro canto su chi si pone – certo realisticamente! – il problema del partito, della rappresentanza e delle elezioni. In modo più o meno esplicito – qui Asor Rosa ha il merito di non nascondersi dietro a un dito e nominare oltre al peccato, anche il peccatore – l’ideologo dei primi sarebbe Toni Negri (insieme a Michael Hardt) e l’ideologia in questione starebbe dentro alla parola “comune”, alla quale viene appiccicata una presunta matrice tomistica o teologico-cristiana. Adesso: su pragmatici e sognatori vorrei muovere qualche perplessità; e sulla coincidenza tra “beni comuni” e “comune” qualche altra, come del resto sulla presenza e sul ruolo effettivi di Toni Negri e Michael Hardt (che potranno certo smentire) alla regia della proposta di costituzione di un nuovo partito politico mossa da Ugo Mattei, Marco Revelli e altri.

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La riforma del mercato del lavoro

Posted: Aprile 10th, 2012 | Author: | Filed under: comune, critica dell'economia politica, Marx oltre Marx | 8 Comments »

(sullo sfondo, The family e un poker di donne)

di Cristina Morini

Mentre le vicende di The family annichiliscono il Paese con beffarda e insieme crudele evidenza fisiognomica, è stata presentata la riforma del mercato del lavoro. Riforma storica eppure derubricata dai media a notizia collaterale, con la metà delle redazioni d’Italia a pedinare l’uomo di Gemonio.
La misera telenovelas padana non ci ha distratti e non ci sfugge la portata della transizione, giocata tra favolose coincidenze, ponti pasquali e ruoli di donne. Elsa Fornero, sempre più compresa nella parte dell’allieva modello (nel nome del padre) del professor Monti, da lui rimproverata o sorretta a seconda dei casi. Susanna Camusso che, grazie all’incredibile fair play dell’“altra parte sociale”, Emma Marcegaglia, si trova servita la possibilità di sfuggire a quello che parrebbe, al semplice buonsenso, l’obbligo di respingere il contropacco dicendo finalmente qualcosa di sinistra. La presidente di Confindustria, che calca esageratamente i toni, disponibile a tradursi in caricatura quando in un’intervista rilasciata al Financial Times si spinge addirittura a sostenere che il testo del duetto è pessimo e che tanto valeva non fare alcunché. Ecco allora che Camusso difende il Ddl, sperando possa funzionare l’equivoco argomento “se non piace ai padroni allora abbiamo vinto noi” (“Si tratta di un importante risultato della Cgil e della mobilitazione unitaria dei lavoratori”). Sulle prime pagine, intanto, le leghiste Rosy Mauro e Manuela Marrone rubano la scena a tutte loro con “scuole bosine” (sic) finanziate con soldi pubblici e lauree acquistate (pare) in Svizzera. Son queste le quote rosa che ci confondono, siamo sincere.
Istantanee da un’Italia stordita dalla crisi, con progressivo aumento del numero dei suicidi, dei casi di rapina finiti male per pochi euro, dove i giovani sono sempre più disoccupati perché i vecchi sono costretti a restare al lavoro fino all’ultimo respiro – e sul tema la retorica si spreca ma mai nessuno che dica la verità.

[…]


L’attività di produzione: l’evoluzione delle forme di organizzazione dell’impresa capitalistica

Posted: Marzo 30th, 2012 | Author: | Filed under: comune, critica dell'economia politica, postcapitalismo cognitivo | Commenti disabilitati su L’attività di produzione: l’evoluzione delle forme di organizzazione dell’impresa capitalistica

di ANDREA FUMAGALLI*

1. Introduzione

Nella teoria economica dominante, il concetto d’impresa è sinonimo di libera iniziativa privata, è l’esprit del capitalismo. Il termine stesso deriva da “intrapresa”, ovvero l’iniziativa del fare, legato all’attività individuale.

Nella Teoria dell’Equilibrio Economico Generale (Walras, 1974), l’attività d’impresa non a caso coincide con l’attività individuale. Il processo economico viene descritto come un’unica attività di scambio tra agenti economici (individui) che si scambiano le merci che possiedono, o perché proprie dotazioni iniziali, o perché accumulate nel passato al fine di ottenerne un guadagno (utile). Non esistono classi (aggregati) sociali né organizzazioni. Il sistema economico è così definito da un numero finito di agenti economici, il cui comportamento è caratterizzato da razionalità strumentale, “path-independency”, preferenze diverse e struttura informativa più o meno completa e perfetta. Ogni agente economico è in grado di individuare una funzione obiettivo, che si diversifica sulla base non solo delle preferenze ma anche delle dotazioni di partenza, retaggio del tempo passato. Preferenze e dotazioni, tuttavia, non costituiscono un vincolo alle potenzialità individuali. La storia passata non conta più di tanto e tutto il problema economico è racchiuso nel presente oppure, meglio, nell’attualizzazione delle attese future. Nella diversità, dunque, gli individui hanno pari opportunità e potenzialità, seguono cioè la stessa legge di comportamento senza alcuna discriminazione: sono individui liberi e potenzialmente uguali.

[…]


Da Marx all’operaismo: Marazzi

Posted: Marzo 29th, 2012 | Author: | Filed under: comune, critica dell'economia politica | Commenti disabilitati su Da Marx all’operaismo: Marazzi

http://uninomade.org/marx-operaismo-5-video/