Posted: Ottobre 20th, 2016 | Author: agaragar | Filed under: Anarchism, Archivio, au-delà, comune, Guy Debord, Marx oltre Marx, postoperaismo, Révolution | 77 Comments »
di Wolf Woland (1982)
Eccolo, lo scritto più misconosciuto, introvabile e teoricamente rilevante sul «Maggio strisciante» italiano ed europeo. Pubblicato all’inizio degli anni ‘80 del secolo scorso,[…] resta l’unico testo apparso in Italia da quarant’anni a questa parte, che abbia realmente tentato un bilancio non politico o, peggio, «culturale», ma schiettamente teorico, del periodo 1968-’77. […] questi Appunti per il bilancio di un’epoca (come reca il sottotitolo) furono elaborati a partire dalla traiettoria singolare dell’Autore, dall’iniziale adesione alle tesi dell’ultragauche consiliare degli anni 1960 («Socialisme ou Barbarie» e l’Internazionale Situazionista, fondamentalmente), attraverso la partecipazione alle vicissitudini della «corrente radicale» del post-’68, per giungere infine a una riconsiderazione critica dell’una e delle altre, e cercare di uscire vivi dai terribili anni ’70, districandosi tra la Scilla dello sbandamento di fronte alla «perdita dei riferimenti storici» e la Cariddi di un nostalgico aggrapparsi alle «foto di famiglia».
[introduzione redazionale]
[versione pdf]
Posted: Settembre 17th, 2015 | Author: agaragar | Filed under: Archivio, comunismo, epistemes & società, Marx oltre Marx | Commenti disabilitati su Egemonia: Gramsci, Togliatti, Laclau
di TONI NEGRI
(la conferenza che pubblichiamo è stata tenuta alla Maison de l’Amerique Latine, a Parigi, il 27 maggio 2015)
Il discorso di Laclau rappresenta per me una variante neo-kantiana di quello che si potrebbe definire socialismo post-sovietico. Già ai tempi della Seconda Internazionale il neo-kantismo funzionò come approccio critico nei confronti del marxismo: il marxismo non fu considerato come il nemico, ma quell’approccio critico aveva tentato di assoggettarlo e, in certo modo, di neutralizzarlo. L’attacco fu portato contro il realismo politico e l’ontologia della lotta di classe. La mediazione epistemologica consistette, allora, a questo uso e a questo abuso del trascendentalismo kantiano. Mutatis mutandis, tale mi sembra anche, se ci si pone in epoca post-sovietica, la linea di pensiero di Laclau, considerata nel suo movimento. Sia chiaro – qui non si discute di revisionismo in generale, talora utile, talora indigesto. Si discute dello sforzo teorico e politico di Laclau in età post-sovietica a confronto con la contemporaneità.
[–>]
Posted: Aprile 10th, 2015 | Author: agaragar | Filed under: Archivio, comunismo, postoperaismo, Révolution | Commenti disabilitati su In ricordo di Mauro Gobbini
Mauro Gobbini ci ha lasciati per sempre. Pare che sia morto con lo stesso stile con cui ha vissuto, con la stessa discrezione: a casa, ha chiuso gli occhi e se n’è andato. È stato il più dolce, il più lieve dei nostri compagni, il più allegro nella sua insuperabile ironia. Per ricordarlo non abbiamo trovato di meglio che le sue stesse parole, l’intervista che rilasciò per il volume “Futuro anteriore”, a cura di Borio, Pozzi e Roggero (realizzata a Roma, 11 dicembre 2000). Dal punto di vista storico è la più precisa e lucida ricostruzione del lavoro fatto dal manipolo di “Classe Operaia” a Milano negli anni che hanno preceduto il ’68.
Sergio Bologna
[–>]
Posted: Giugno 11th, 2014 | Author: agaragar | Filed under: Archivio, comunismo, Marx oltre Marx, postoperaismo, Révolution | Commenti disabilitati su decennio rosso
di Maurizio «Gibo» Gibertini e Roberto Rosso
Cosa è stato davvero il «decennio rosso»? Quali sono stati i fatti salienti e i protagonisti reali di quegli anni ’70 sui quali continuano a uscire libri a raffica, ma quasi sempre centrati su armi e armati, oppure, ma in misura già infinitamente minore, sulle peraltro gloriose organizzazioni extraparlamentari? Chi, da quel quadro del passato spesso bugiardo e adoperato ad arte per condizionare il presente, è stato espunto, rimosso e cancellato? Almeno quest’ultima risposta è semplice: a essere stati cancellati dalla memoria sono stati gli operai, veri «personaggi principali» del decennio più denso di conflitti nella storia italiana, le loro lotte durissime, la loro rabbia, il potere che erano riusciti a conquistare nelle fabbriche.
Un gruppo di protagonisti di quella storia prova ora a colmare un vuoto di memoria che minaccia di trasformarsi in definitivo stravolgimento della storia. Tra questi Maurizio «Gibo» Gibertini, ex militante dell’Autonomia milanese, e Roberto Rosso, prima dirigente di Lotta continua a Milano, poi tra i fondatori di Prima Linea.
[–>]
Posted: Marzo 11th, 2014 | Author: agaragar | Filed under: 99%, anthropos, Archivio, arts, au-delà, bio, comune, comunismo, digital conflict, epistemes & società, Révolution | 54 Comments »
di Danilo Mariscalco
Qui la Premessa
Qui il primo capitolo
Una recensione: La luce del futuro che viene dal passato
di GIORGIO MARTINICO
Protagonista è il Settantasette. Ad indagare quel movimento, non i suoi protagonisti, non il racconto «ufficiale» o il «discorso sugli anni di piombo» è il volume Dai laboratori alle masse. Pratiche artistiche e comunicative nel movimento del ’77 (Ombre Corte, pp. 159), scritto da Danilo Mariscalco, dottore di ricerca presso l’Università di Palermo. Un libro che, come suggerisce il titolo, ha l’ambizione di arricchire il dibattito politico e storiografico su alcuni aspetti (le pratiche artistico-comunicative) relative a quella straordinaria stagione di conflitto e, anche, di frenetica produzione «culturale»; allo stesso tempo il volume è il tentativo di «arricchire la cassetta degli attrezzi utilizzata dai soggetti impegnati nella trasformazione, dal carattere teorico-pratico inscindibile, del reale».
[–>]
Posted: Dicembre 30th, 2013 | Author: agaragar | Filed under: Archivio, au-delà, bio, epistemes & società, Foucault, Marx oltre Marx, post-filosofia | 7 Comments »
Alias – di Beatrice Andreose, 13.9.2013
Festival della filosofia. Mario Galzigna nel suo libro lancia la provocazione di unire l’empirico e il concettuale. Al pensiero in rivolta affida il compito di contrapporre “i futuri possibili”
Dal pensiero in rivolta alle trame di futuro attraverso una sovversione diffusa. Talvolta, le rivolte del pensiero, intersecano il “movimento reale”, talvolta sono disseminate,disperse, molecolari. Costituiscono sempre una prospettiva libertaria, lontana da discipline e potere, che Mario Galzigna ‚docente di Etnopsichiatria e Storia della cultura scientifica a Ca’ Foscari, ritrova in numerosi artisti ed in insospettabili opere. In Costruzione di un edificio del pittore fiorentino Pietro Cosimo, ad esempio. Un quadro “intrigante ed enigmatico” scelto come immagine di copertina del suo ultimo libro “Rivolte del pensiero. Dopo Foucault, per riaprire il tempo” Bollati Boringhieri. Nel quadro, sottolinea Galzigna, il concetto di edificio e l’ideale rinascimentale di costruzione convivono. Scelte tematiche e formali dell’artista che ignora i riferimenti mitologici e religiosi della sua epoca per lasciar spazio ad un progetto“ che dischiude il tempo della civilizzazione a un futuro possibile”. Apre il presente “ su scenari futuribili,dove progettazione e utopia diventano contenuti dinamici della temporalità”. Libro densissimo, prosa elegante, in prefazione Mario Galzigna risponde alla provocazione di Foucault( di cui è stato tra i più fedeli allievi italiani assieme ad Alessandro Fontana), avviando una approfondita riflessione sul pensiero che rompe le gabbie della testualità, irrompe col vissuto nella scena del mondo, intacca “alle radici la sovranità e l’autosufficienza del concetto”. Si tratta di un pensiero in cui le categorie astratte trovano nell’esperienza la loro fonte di legittimazione “ Così si unisce ciò che la filosofia ha sempre tenuto distinto: la vita ed il pensiero, l’empirico ed il concettuale”scrive.
“Disperanza” è il neologismo che Galzigna conia per indicare, la sottrazione di futuro che affligge il nostro tempo schiacciato “sul deserto di un eterno presente”. Al pensiero in rivolta-e ai movimenti di rivolta– affida il compito di contrapporre” i futuri possibili”. Si tratta di “ un compito politico. Un compito filosofico. Un nuovo orizzonte di senso per il pensiero. Più modestamente, without vanity, una nuova prospettiva del nostro impegno intellettuale e della nostra ricerca”.
Poiché, per dirla con Foucault, il carattere specifico del potere è di essere repressivo e di reprimere con una particolare attenzione le energie inutili, le intensità dei piaceri ed i comportamenti irregolari, il pensiero insorgente e spaesante pur essendo risultato spesso minoritario nella storia del pensiero occidentale, è tuttavia egualmente fecondo e potente. Galzigna ritesse e incrocia tra loro invenzioni concettuali e forme estetiche di insorti d’eccezione, alcuni border line, altri psicotici, tutti geniali: da Ronald Laing, uno dei grandi padri dell’antipsichiatria europea, al pittore Renè Magritte, dall’antropologo brasiliano Darcy Ribeiro al libertino Diderot. Ma prima di addentrarci nel volume, una premessa sulla scrittura. L’autore utilizza un suggestivo registro narrativo che rompe le divisioni tra saggio e racconto, rispondendo così ad una esigenza interiore di afferrare l’evento in modo pregnante “restituendogli la sua irriducibile specificità”. Al saggio alterna il racconto. Con quest’ultima forma scrive delle sue esperienze all’interno di due Servizi di Salute Mentale in contesti psichiatrici, e di quella vissuta in Brasile tra gli indios Guaranì a proposito dei quali riutilizza i concetti di sintesi disgiuntiva e disgiunzione creativa.
In quanto alla psichiatria , lo spunto è dunque un caso concreto. Galzigna cita Roland Laing, psichiatra non istituzionale,e parla di una seduta dove ad elaborare risposte non è stato un singolo ma un collettivo, un gruppo che pensa, che produce pensiero. “ Un pensiero in rivolta esce da se stesso. Contraddice se stesso. Si rivolge al mondo, corrode i dispositivi a cui appartiene: rompe abitudini consolidate, destabilizza scenari rassicuranti ed immobili, smascherando lucidamente l’arbitrio e la violenza delle relazioni di potere che lo includono. Abitato dal fervore dell’istante, dalla temibile urgenza del divenire, dall’inquietudine del molteplice, un pensiero in rivolta contrasta l’egemonia dell’uno e la tirannia dell’identico”. A proposito di follia Galzigna parte da Foucault e parla di Esquirol che per la prima volta pschiatrizza le passioni e l’erotismo. In un passaggio di grande effetto dialettico richiama la necessità di legare assieme i saperi, i comportamenti, i modi di vita. “Per farlo occorre descrivere, classificare, mettere a fuoco la trama delle connessioni,il ventaglio delle differenze, lo spettro delle analogie, il gioco delle somiglianze”.
Da pensiero insorgente ad altro pensiero insorgente: intrigante il capitolo dedicato all’amato Antonin Artaud ed il suo teatro della crudeltà. Artaud cancella la scena desiderando “l’impossibilità del teatro” e decretando così la fine di una duplice tirannia: quella del testo e quella dell’autore-creatore. Lo scrittore fugge dalla psicoanalisi, da cui si sente violentato, nonostante si sottoponga nel 1927 a dieci sedute col dottor Renè Allendy che aveva già seguito Anais Nin. Nel suo teatro la parola rompe col mondo della rappresentazione classica e con i valori della cultura occidentale che essa esprime. Diventa così la Parola che sta prima delle parole”: un linguaggio sonoro, scrittura vocale che precede la nascita del senso, che deve essere detta e recitata, più che riprodotta e trasmessa. Che rappresenta la potenza sonora del linguaggio, la sua forza espansiva, la sua prossimità al grido”. In una lettera a Gide, Artaud scrive “I gesti equivarranno a dei segni, i segni varranno delle parole”. Nel suo attraversamento disperato della follia, documentata dalla tremila pagine dei Cahiers de Rodez, Artaud cancella la cesura radicale tra anima e corpo, parola e esistenza, testo e carne e scorpora la parola dall’insieme a cui appartiene originariamente. Così come nella sua pittura che diventa pittogramma.
Nel capitolo dedicato ai libertini Galzigna descrive due visioni antagoniste dell’erotismo fiorite entrambe nel ‘700. Da una parte l’erotismo di Sade che separa il piacere dagli affetti. Dall’altro quello giocoso e affettivo del grande Diderot passando per Restif “ Una problematica di grande attualità che andrebbe ancora oggi ripensata” spiega. Infine il mistero nella pittura di Renè Magritte che nel suo L’impero delle luci reinventa il concetto di sintesi disgiuntiva e creativa. “Un chiaro di luna a mezzogiorno” o “ sogno a mezzogiorno”, come lo definisce lo stesso pittore in una lettera scritta a Scutenaire nel novembre del 1959. Una violazione dei luoghi comuni, del nostro immaginario collettivo, ovvero un paesaggio notturno e un cielo in pieno giorno che mette assieme in una stessa composizione, pur mantenendole distinte, due dimensioni antagoniste:luce e buio, giorno e notte. Ed a proposito di sintesi disgiuntive ecco l’affondo letterario dedicato agli amati Guaranì, un popolo oggetto di genocidio, che Galzigna incontra nell’ottobre 2012, durante un suo soggiorno in Brasile “terra dei contrasti”. Conquistato dalla lingua del cacique , vero e proprio capo spirituale, Galzigna spiega la loro politica anticolonialista vista come una politica di decolonizzazione del pensiero. Perché, come scrive poco prima di morire un altro grande rivoltoso molto caro a Galzigna, l’antropologo brasiliano Darcy Ribeiro, “è meglio sbagliare ed esplodere che prepararsi per il nulla”.
Posted: Novembre 10th, 2013 | Author: agaragar | Filed under: 99%, anthropos, Archivio, bio, comune, critica dell'economia politica, epistemes & società, Marx oltre Marx, postoperaismo, Révolution | Commenti disabilitati su NEL CERVELLO DELLA CRISI
Nel cervello della crisi. La «storia militante» di Sergio Bologna tra passato e presente
di Damiano Palano
Proprio quarant’anni fa, mentre esplodeva la prima crisi dell’economia post-bellica, a Milano veniva dato alle stampe il primo numero di «Primo maggio», una delle riviste più importanti nella storia dell’«operaismo italiano». Quella rivista aveva il proprio punto di riferimento in Sergio Bologna, attorno al quale si erano raccolti alcuni giovani storici provenienti da differenti esperienze politiche della sinistra extra-parlamentare, ma vicini all’istanza di quella che veniva definita come una «storia militante». Da qualche anno il ricchissimo Dvd che accompagna un volume curato da Cesare Bermani su quell’esperienza (La rivista «Primo maggio» (1973-1989), Derive Approdi, Roma, 2010) ha rimesso in circolazione tutti i ventinove numeri della rivista, insieme ad alcuni rari documenti complementari. D’altronde, nel lavoro di riscoperta dei classici dell’operaismo italiano promosso in questi ultimi anni da editori come Derive Approdi e Ombre corte, «Primo maggio» non poteva davvero essere dimenticata. Non solo perché, a causa di tormentate vicende editoriali, i fascicoli della rivista erano diventati ben presto introvabili, scomparendo così (quasi totalmente) anche dallo sguardo delle nuove generazioni e da ciò che rimaneva della ricerca critica sulle trasformazioni sociali. Ma soprattutto perché quella rivista – capace di resistere per un quindicennio, oltrepassando anche la soglia fatale del 1980 – seppe proporre al dibattito teorico e politico degli anni Settanta intuizioni preziose, in grado di sfuggire anche alle inevitabili semplificazioni e scorciatoie di una discussione segnata costantemente dall’urgenza. In effetti, scorrendo oggi le pagine dei ventinove numeri di «Primo maggio», ciò che emerge – insieme a qualche scontato segno del tempo, marcato soprattutto a livello lessicale (perché il lessico politico-teorico di allora era abissalmente distante da quello di oggi, tanto da risultare talvolta persino indecifrabile a un lettore contemporaneo) – è il quadro di un’esperienza capace di proporre ipotesi originali e di individuare con lungimiranza i sentieri che la ristrutturazione produttiva avrebbe imboccato negli anni seguenti.
[–>]
Posted: Novembre 6th, 2013 | Author: agaragar | Filed under: Archivio, comunismo, epistemes & società, Révolution | 15 Comments »
di Erri De Luca
Euridice alla lettera significa trovare giustizia. Orfeo va oltre il confine dei vivi per riportarla in terra. Ho conosciuto e fatto parte di una generazione politica appassionata di giustizia, perciò innamorata di lei al punto di imbracciare le armi per ottenerla. Intorno bolliva il 1900, secolo che spostava i rapporti di forza tra oppressori e oppressi con le rivoluzioni. Orfeo scende impugnando il suo strumento e il suo canto solista. La mia generazione e scesa in coro dentro la rivolta di piazza. Non dichiaro qui le sue ragioni: per gli sconfitti nelle aule dei tribunali speciali quelle ragioni erano delle circostanze aggravanti, usate contro di loro.
C’è nella formazione di un carattere rivoluzionario il lievito delle commozioni. Il loro accumulo forma una valanga. Rivoluzionario non è un ribelle, che sfoga un suo temperamento, è invece un’alleanza stretta con uguali con lo scopo di ottenere giustizia, liberare Euridice.
Innamorati di lei, accettammo l’urto frontale con i poteri costituiti. Nel parlamento italiano che allora ospitava il più forte partito comunista di occidente, nessuno di loro era con noi. Fummo liberi da ipoteche, tutori, padri adottivi. Andammo da soli, però in massa, sulle piste di Euridice. Conoscemmo le prigioni e le condanne sommarie costruite sopra reati associativi che non avevano bisogno di accertare responsabilità individuali. Ognuno era colpevole di tutto. Il nostro Orfeo collettivo e stato il più imprigionato per motivi
politici di tutta la storia d’Italia, molto di più della generazione passata nelle carceri fasciste.
Il nostro Orfeo ha scontato i sotterranei, per molti un viaggio di sola andata. La nostra variante al mito: la nostra Euridice usciva alla luce dentro qualche vittoria presa di forza all’aria aperta e pubblica, ma Orfeo finiva ostaggio.
Cos’altro ha di meglio da fare una gioventù, se non scendere a liberare dai ceppi la sua Euridice? Chi della mia generazione si astenne, disertò. Gli altri fecero corpo con i poteri forti e costituiti e oggi sono la classe dirigente politica italiana. Cambiammo allora i connotati del nostro paese, nelle fabbriche, nelle prigioni, nei ranghi dell’esercito, nella aule scolastiche e delle università. Perfino allo stadio i tifosi imitavano gli slogan, i ritmi scanditi dentro le nostre manifestazioni. L’Orfeo che siamo stati fu contagioso, riempì di sé il decennio settanta. Chi lo nomina sotto la voce “sessantotto” vuole abrogare una dozzina di anni dal calendario. Si consumò una guerra civile di bassa intensità ma con migliaia di detenuti politici. Una parte di noi si specializzò in agguati e in clandestinità. Ci furono azioni micidiali e clamorose ma senza futuro. Quella parte di Orfeo credette di essere seguito da Euridice, ma quando si voltò nel buio
delle celle dell’isolamento, lei non c’era.
Ho conosciuto questa versione di quei due e del loro rapporto, li ho incontrati all’aperto nelle strade. Povera è una generazione nuova che non s’innamora di Euridice e non la va a cercare anche all’inferno.
Posted: Ottobre 31st, 2013 | Author: agaragar | Filed under: 99%, anthropos, Archivio, bio, comune, epistemes & società, Foucault, post-filosofia | Commenti disabilitati su La scrittura è la morte degli altri
di Michel Foucault
[Tra l’estate e l’autunno del 1968 Michel Foucault e il critico letterario Claude Bonnefoy registrarono una serie d’incontri con l’idea di pubblicare, presso le edizioni Belfond, un volume di conversazioni in cui Foucault avrebbe parlato del proprio rapporto con la scrittura. Il progetto fu poi abbandonato. La trascrizione di questi colloqui è stata resa pubblica nel 2004 e Cronopio ne ha da poco pubblicato la versione italiana: Il bel rischio. Conversazione con Claude Bonnefoy, a cura di Antonella Moscati. Presentiamo alcuni brani del libro. I titoli dei paragrafi sono redazionali].
[–>]
Posted: Maggio 11th, 2013 | Author: agaragar | Filed under: Archivio, au-delà, Révolution, situationism, surrealism | Commenti disabilitati su Bruciare Debord? A partire da un libro di Anselm Jappe
di Alessandro Simoncini
Persistenze dello spettacolo nel nuovo ordine penitenziale. Una premessa
«Bisogna bruciare Debord?«. Si apre con questa domanda il Guy Debord di Anselm Jappe (Roma, Manifestolibri 2013 → QUI), assai opportunamente ristampato per i tipi della Manifestolibri e pubblicato in prima edizione italiana nel 1992 dalle Edizioni Tracce. Iniziava allora la litania della fine della storia: ogni alternativa alla società del capitale, della merce, del valore e del lavoro comandato doveva cessare di essere concepibile e, nelle intenzioni dei teorici del nuovo ordine, perfino desiderabile. Oltre venti anni dopo, la fine della storia non riesce ancora a finire. Anzi, nella temperie di una crisi acutissima ed ormai permanente – una crisi economica globale che si svolge nel contesto di una transizione geo-politica segnata dalla fine del “secolo americano” -, nuove sfibrate versioni della vecchia litania danno forma ad un discorso-zombie sulla “giustizia dei mercati” che si affatica a fornire una sempre più instabile parvenza di verità alla variante finanziarizzata e neoliberale dell’accumulazione capitalista. Fin dalla sua nascita e per tutti gli anni ’80, ’90 e ‘00, l’espansione finanziaria è stata supportata e riprodotta dalle forme di quell’ordine “spettacolare integrato”che Debord aveva posto al centro della sua radicale indagine nei Commentari sulla società dello spettacolo (1988).
[–>]