Taranto, il paradigma estremo

Posted: Dicembre 21st, 2012 | Author: | Filed under: anthropos, critica dell'economia politica, Earth, epistemes & società, Révolution | 13 Comments »

di ROSELLA e SERENA

Adesso è successo di tutto e di più: il fermo dell’Ilva, il Decreto del governo, persino il tornado. E l’Italia si è dovuta accorgere di Taranto, della sua gente che respira polvere di ferro, degli operai che muoiono di cancro, delle madri che sono costrette a dare latte alla diossina ai neonati, e tutti si sono concentrati sull’Ilva per convincersi che hanno un cuore, ma anche per non vedere tutto il resto. Una città di circa 180.000 persone chiusa in una cintura di veleni, perché l’Ilva è solo una parte del problema. In quel “territorio a perdere” ci sono l’Enel, la base Nato con i suoi sottomarini atomici e chissà quali altre diavolerie; l’Arsenale della Marina Militare, la Cementir che scarica nel Mar Piccolo, due tra le discariche più grandi d’Europa e due inceneritori.

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Appunti fra comunismo, femminismo e ambientalismo

Posted: Dicembre 10th, 2012 | Author: | Filed under: anthropos, comune, critica dell'economia politica, Earth, epistemes & società, Révolution | Commenti disabilitati su Appunti fra comunismo, femminismo e ambientalismo

di RENATO DI PAULI, ANDREA FRANCHI, WILLER MONTEFUSCO, MIMMO SERSANTE

In seguito a recenti incontri, a Pordenone si è formato un gruppo di lavoro che intende interloquire con UniNomade a partire dall’intervento sul territorio sui due temi dell’ambiente e dei migranti. Il primo intervento è nato circa tre anni fa nel comune pedemontano di Fanna (PN) confinante con una zona ad alta intensità industriale e oberato da un grande cementificio che ha ottenuto l’autorizzazione regionale a bruciare combustibile da rifiuti. L’area si può considerare la Taranto della regione Friuli Venezia Giulia per i gravissimi e documentati effetti inquinanti. Il secondo intervento, che risale a parecchi anni fa, ha portato alla costituzione di un’Associazione migranti che tra alti e bassi svolge un’azione di necessaria assistenza ma anche di significativa mobilitazione in un’area in cui la presenza delle lavoratrici e dei lavoratori migranti è tra le più alte d’Italia. Le note che seguono sono una riflessione nata dentro l’intervento con il comitato di Fanna. Si tratta di un primo tentativo di pensare le lotte in una prospettiva più ampia. Sarebbe opportuno che compagne/i interessati a queste problematiche e con esperienza di lavoro sul campo intervenissero sui temi che proponiamo alla riflessione.

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Sigur Ròs

Posted: Dicembre 1st, 2012 | Author: | Filed under: anthropos | Commenti disabilitati su Sigur Ròs

“…una volontà che si fa il vuoto attorno,
e che corrisponde a quello che si chiamava
la polvere dell’eterna resurrezione…”

A. Artaud, ALCHIMIE DELLA CARNE, 18 novembre 1947


Lacan

Posted: Novembre 28th, 2012 | Author: | Filed under: anthropos, bio, epistemes & società, lacanism | 8 Comments »

di ROBERTO ESPOSITO – la Repubblica | 28 Novembre 2012

DALL’ETICA AL DESIDERIO. I PENSIERI DI UN MAESTRO. Massimo Recalcati dedica due volumi al controverso psicoanalista Il primo, appena pubblicato, è sul soggetto e i sentimenti

Noi, i soggetti. Ma chi siamo, noi? E cosa vuol dire “soggetto”? Che rapporto passa tra me e l’altro, all’interno della comunità? Ma anche tra me e ciò che, senza appartenermi, come il linguaggio che parlo, mi condiziona, mi modella, mi altera? E ancora: cosa è, per ciascuno di noi, il desiderio? A quale legge risponde? E come si articola con l’etica, l’arte, l’amore? Sono le grandi domande che si pone, e ci pone, Massimo Recalcati in Jacques Lacan. Desiderio, godimento, soggettivazione (Cortina), prima parte di un dittico, straordinario per quantità e qualità, cui seguirà un’altra sulla clinica psicoanalitica. Si tratta del suo ultimo libro, ma anche, più a fondo, del libro della sua vita. Certamente Recalcati ne scriverà ancora molti. Ma il libro della vita è un’altra cosa. È il libro cui dedichiamo la vita, ingaggiando una battaglia che non possiamo mai davvero vincere. E che poi, a un certo momento, sorprendendoci, la vita scrive attraverso di noi.

Si potrebbe dire che questo, a conti fatti, è quanto ci ha insegnato Lacan. La sua è un’opera “difficile” – non perché lontana dalla nostra esperienza, ma perché, al contrario, tanto prossima ad essa che quasi non riusciamo a metterla a fuoco e oggettivarla. La forza e il fascino del libro di Recalcati stanno appunto in questa consapevolezza. Nel sapere, e nel dirci, che le tesi di Lacan non possono essere descritte dall’esterno, come una qualsiasi teoria, ma vanno riconosciute dentro di noi – nei nostri gesti e nelle nostre parole, nei nostri impulsi e nei nostri smarrimenti. In questo senso va intesa quella “sovversione del soggetto” cui, fin dai primi seminari, Lacan dedica la propria opera – e dunque, come si diceva, la propria vita. Contro l’idea di una padronanza del soggetto su se stesso egli ci insegna che diveniamo ciò che siamo soltanto attraverso la mediazione simbolica dell’Altro – di un terzo che s’interpone nella relazione narcisistica tra noi e la nostra immagine, complicandola ma anche vivificandola, dando senso a ciò che sembra non averne.

Recalcati ricostruisce in tutte le sue pieghe lo sviluppo, tutt’altro che lineare, di un pensiero, come quello di Lacan, costituito nel punto di confluenza e di tensione tra esistenzialismo e strutturalismo, capace di assorbire, traducendoli in un impasto originalissimo, gli influssi di Hegel e Heidegger, di Sartre e Kojève, di Saussurre e Jakobson – per non parlare di Freud, restato fino all’ultimo il suo interlocutore privilegiato. In questo quadro complesso e in continua evoluzione, quale è il suo punto di partenza – il nucleo rovente da cui si può dire nasca la necessità del suo pensiero? Si tratta del fatto che, nel rifiuto narcisistico dell’altro, nel tentativo inane di ricucire la propria faglia originaria, il soggetto mostra di odiare innanzitutto se stesso. In questo modo – nel nodo mortifero che lega Narciso a Caino – si può rinvenire la radice dei totalitarismi e della guerra, a ridosso dei quali Lacan comincia a lavorare.

Quello che, nella stretta distruttiva tra Immaginario e Reale, risulta escluso è il piano del Simbolico, della relazione con l’altro, intesa come domanda di riconoscimento reciproco, come legge della parola e del dono. Quando la tendenza all’immunità – alla chiusura identitaria – prevale sulla passione per la comunità, l’Io batte contro il proprio limite rimbalzando sull’altro, secondo una pulsione di morte che finisce per risucchiarli entrambi nel proprio vortice. I grandi temi dell’inconscio come linguaggio, del nome del padre, della dialettica tra desiderio e godimento, sono tutti modi per proporre, da parte di Lacan, la medesima esigenza. Che è quella, per un soggetto esposto alla propria alterità, di non identificarsi con se stesso, ma senza perdersi nell’altro. Di sfuggire alla ricerca compulsiva di un godimento senza limiti, ma anche alla legge di un desiderio senza realizzazione.

L’originalità di Lacan – nell’interpretazione di Recalcati – sta nella capacità di tenersi lontano da entrambi questi estremi. Di non contrapporre il godimento al desiderio, ma di cercare di articolarli in una forma che fa di uno il contenuto dell’altro. Il processo di soggettivazione – vale a dire di elaborazione, da parte dell’io, dell’alterità da cui proviene – è il luogo di questa alleanza, la zona mobile in cui le acque del desiderio confluiscono in quelle del godimento, pur senza mischiarsi. Godere nel desiderio, attraverso il desiderio – vale a dire non di una pienezza irraggiungibile, ma della differenza che ci attraversa e ci costituisce: ecco la sfida, il luogo impervio della nostra responsabilità etica verso l’altro, che né la dissipazione libertina di Sade né la morale sacrificale di Kant potevano mai attingere. È il tema su cui sono tornati con efficacia anche Bruno Moroncini e Rosanna Petrillo in L’etica del desiderio. Un commentario del seminario sull’etica di Lacan (Cronopio). Quali sono i segni di questa possibile giuntura tra godimento e desiderio, pulsione e legge, uno e altro? Lacan li rintraccia intanto in un’etica del reale – non dei valori trascendenti – che, pur consapevole della necessità che ci governa, la apre alla contingenza dell’incontro inatteso, come quella che, nell’interpretazione sartriana, fa di Flaubert non un idiota, ma un genio.

Ma li ritrova anche nella dinamica dell’amore – come ciò che riscatta l’impossibilità degli amanti di ottenere un godimento reciproco. Mentre il maschio non può godere che di se stesso e in se stesso, la domanda della donna è senza limiti e dunque mai soddisfatta. Vero amore è quello che, anziché rimuoverla, riconosce questa distanza, rinunciando al godimento assoluto. Non l’abolizione della mancanza, ma la sua condivisione nell’abbandono e nel rischio che ne deriva. L’arte, in una diversa esperienza di sublimazione, riproduce tale condizione. Anche in essa la pulsione si afferma circoscrivendo un vuoto – elevando il proprio oggetto alla dignità della Cosa. Come provano i quadri di Cézanne, ma anche la scatola di fiammiferi di Prévert, in una pratica artistica intesa come organizzazione del vuoto, presenza e assenza si sovrappongono in una forma che fa dell’una l’espressione rovesciata dell’altra, così come, in tutta l’arte contemporanea, la figura si rivolge all’infigurabile.

Ancora una volta il soggetto si riconosce assoggettato a qualcosa che lo domina, su cui egli non può avere controllo. E tuttavia, ciò non ne determina né la dissoluzione né la soggezione a una potenza straniera. C’è sempre, in ogni esistenza, una sporgenza rispetto al proprio destino, un punto di resistenza alla ripetizione che coincide con la singolarità della vita. È proprio l’assenza di governo di sé, l’esposizione all’Altro, che riapre il cerchio della necessità alla dimensione del possibile. Forse, si potrebbe aggiungere, l’unico terreno sul quale questa possibilità appare più appannata, nell’opera di Lacan, è quello della politica. Non a caso il libro di Recalcati percorre i territori della filosofia, dell’etica, dell’estetica, ma non quello della politica. Forse perché alla politica non basta la soggettivazione in quanto tale, e neanche l’incrocio dell’uno con l’altro. Occorre anche una linea conflittuale che, all’interno della società, aggreghi gli uni contro, o almeno di fronte, agli altri. Ecco è la questione ultima, lasciata aperta da Lacan, con cui la ricerca di Recalcati è chiamata a confrontarsi.


Shameless Disaster Capitalism

Posted: Novembre 12th, 2012 | Author: | Filed under: anthropos, crisi sistemica, vita quotidiana | 6 Comments »

By Naomi Klein, The Nation

12 November 12

Yes that’s right: this catastrophe very likely created by climate change-a crisis born of the colossal regulatory failure to prevent corporations from treating the atmosphere as their open sewer-is just one more opportunity for more deregulation.

he following article first appeared in the Nation. For more great content from the Nation, sign up for their email newsletters here.

Less than three days after Sandy made landfall on the East Coast of the United States, Iain Murray of the Competitive Enterprise Institute blamed New Yorkers’ resistance to big-box stores for the misery they were about to endure. Writing on Forbes.com, he explained that the city’s refusal to embrace Walmart will likely make the recovery much harder: “Mom-and-pop stores simply can’t do what big stores can in these circumstances,” he wrote.

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CORPI. Teorie pratiche e arti dei corpi nel Novecento

Posted: Novembre 11th, 2012 | Author: | Filed under: anthropos, kunst, post-filosofia | Commenti disabilitati su CORPI. Teorie pratiche e arti dei corpi nel Novecento

a cura di Vincenzo Cuomo e Aldo Meccariello

Prefazione

Il Novecento filosofico e culturale, oltre ad essere stato il secolo delle
grandi fratture e delle svolte radicali, è stato anche un’epoca di ripresa
e di veloci e intense ricapitolazioni di temi affrontati in tutta la storia
del pensiero, non solo in quello moderno. Per tale ragione è ancora un
secolo in parte da esplorare e sottoporre ad esplorazioni cartografiche,
a carotaggi stratigrafici, ad un lavorio interpretativo che ne chiarifichi
la posizione di cerniera tra il passato “moderno” e l’epoca post- transmoderna
che viviamo.
Per tale scopo la rivista Kainos promuove da sette anni un seminario
annuale di riflessione tematica sulla cultura e la filosofia novecentesche.
Il problema affrontato nella settima edizione del seminario, denominato
“Le parole del Novecento”, è quello dei “corpi”, tema/titolo
in cui il plurale non sta ad indicare solamente la pluralità delle
prospettive ermeneutiche di approccio alla questione, ma anche,
soprattutto, il fatto ontologico che i corpi sono sempre plurali, o
singolari-plurali, per utilizzare la nota e profonda espressione di Jean-
Luc Nancy.

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L’incalcolabile astrazione vivente

Posted: Novembre 8th, 2012 | Author: | Filed under: anthropos, au-delà, post-filosofia | Commenti disabilitati su L’incalcolabile astrazione vivente

di Fabrizio Denunzio


Un volume di Gilles Deleuze su «Lavoro, merce, desiderio».

Una leggenda vuole che Gilles Deleuze prima di morire stesse scrivendo un libro dal titolo altisonante Grandezza di Marx.

Le leggende, come del resto ogni finzione narrativa, spesso rappresentano i punti di partenza più sicuri per affrontare l’analisi dei fenomeni culturali. Immaginando come reale questa possibilità tutta immaginaria di una monografia deleuziana su Marx, sicuramente si potrebbe credere che uno dei suoi momenti più significativi sarebbe rappresentato dal confronto con il concetto di lavoro.

I materiali «grezzi» per questo tipo di elaborazione Deleuze li aveva già preparati nel corso di una serie di lezioni tenute a Vincennes il 15 febbraio e il 18 aprile del 1972. I testi in italiano di queste lezioni sono stati ricavati dal paziente lavoro di emendazione e traduzione svolto da Gianvito Brindisi sull’originale parlato di Deleuze, e si possono leggere oggi nel volume collettaneo Lavoro, merce, desiderio pubblicato dall’editore Mimesis (pp. 218, euro 16).

Del lavoro, al filosofo interessa innanzitutto lo statuto culturale piuttosto che quello empirico eseguito nei luoghi e nei processi produttivi. Combinando in modo molto originale l’Introduzione a Per la critica dell’economia politica di Marx e alcune parti de Le parole e le cose di Michel Foucault, Deleuze ci riporta al momento in cui nasce l’economia politica, a quando Smith e Ricardo smisero di cercare l’essenza della ricchezza dal lato dello Stato e della terra, come fino a quel momento avevano rispettivamente fatto i mercantilisti e i fisiocrati, e iniziarono a riportarla al lato del soggetto che produce, agisce e lavora. Con la nascita dell’economia politica si passa dall’oggettività dei macroinsiemi (Stato e terra), alla soggettività dell’individuo produttore (lavoratore).

Questa sorta di rottura, una vera e propria rivoluzione nel pensiero economico, non si ferma qui. I padri dell’economia politica quando scoprono l’essenza della ricchezza nell’attività produttiva, non privilegiano nessun tipo di lavoro in particolare (sia esso manifatturiero, commerciale o agricolo), piuttosto si riferiscono al produrre in generale. Il nome che assegnano a questa universalità è: lavoro astratto. Sarebbe a dire, nessuna forma determinata di lavoro, ma la forma in genere del lavorare.

Questa rivoluzione, però, segna una fondamentale battuta d’arresto nel punto in cui Smith e Ricardo alienano la loro scoperta del lavoro astratto nella proprietà privata. Cosa vuol dire: se da un lato i padri dell’economia politica hanno sottratto la produzione della ricchezza allo Stato e alla terra, l’hanno cioè disalienata da uno stato oggettivo mistificato per restituirla al lavoro astratto, dall’altro lato, però, producono una nuova forma di mistificazione e di alienazione quando, facendo della proprietà privata l’unico metro con cui misurarlo, chiudono il lavoro astratto in una rappresentazione soggettiva, in un teatro familiare che ne svuota l’universalità.

I risultati ottenuti da Deleuze nel corso di queste lezioni mi sembrano importanti soprattutto per quanto riguarda l’approfondimento di quello che fino ad allora era stato il suo rapporto con Marx.

La rilettura del filosofo di Trevi effettuata all’inizio degli anni Settanta del Novecento a partire dal punto di vista del lavoro astratto produce in Deleuze una conseguenza significativa: la revoca della fiducia nei confronti dell’economico a cui, sulla scia di Louis Althusser e dei suoi allievi, veniva assegnata la centralità in Differenza e ripetizione.

Sebbene anche in quest’opera l’autore parta dal lavoro astratto, la conseguenza a cui perviene è quella di intendere i lavoratori come «atomi portatori di forza-lavoro o rappresentanti la proprietà». Viene confermata l’idea althusseriana di un soggetto come epifenomeno di una struttura molto complessa e differenziata sì, ma i cui problemi sociali sono essenzialmente economici, anche lì dove ne vengono avanzate soluzioni di natura non economica (giuridica, politica o ideologica).

In questa serie di lezioni sul lavoro astratto Deleuze supera la visione atomistica del lavoratore come punto qualsiasi in cui si incarna una forma specifica di lavoro. Quel suo insistere sull’universalità dell’attività produttiva prima che Smith e Ricardo la recintino nella sfera privata della proprietà, rinvia sì ad un soggetto, ma ad un soggetto che per gioco forza deve essere collettivo.

A ben vedere, allora, quello che sembra essere un momento molto interno al dispositivo di pensiero deleuziano (il rapporto con Marx), ha in realtà una ricaduta esterna immediata perché nel lavoro astratto di un soggetto collettivo produttivo, sembra delinearsi il genere universale di una nuova classe operaia non più qualificata dal solo lavoro di fabbrica, ma anche da quello comunicativo e simbolico degli operai dell’immateriale.


Recalcati e il desiderio del padre. Una doppia recensione

Posted: Novembre 6th, 2012 | Author: | Filed under: anthropos, au-delà, epistemes & società, lacanism | 1 Comment »

di Eleonora de Conciliis

1. In un fortunato volume di qualche anno fa (L’uomo senza inconscio. Figure della nuova clinica psicoanalitica, Cortina 2010, anch’esso da me recensito sul portale di Kainos) Massimo Recalcati ha chiamato ‘uomo senza inconscio’ il tipo psichico emergente dal tardo capitalismo, caratterizzato da una nuova incapacità di accesso al simbolico, che si traduce in una nuova incapacità di capire il senso della Legge, di qualsiasi legge, e anche di qualsiasi alterità (in primis quella paterna, incapace dunque di soggettivarsi attraverso l’interdizione simbolica, simbolicamente castrante, del Nome-del-Padre): un individuo cinico e narcisista, ma anche molto conformista, che tende a sostituire il desiderio con un godimento schiacciato sul consumo di oggetti, in quello che Recalcati definisce totalitarismo dell’oggetto.

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ORIZZONTI MERIDIANI

Posted: Novembre 5th, 2012 | Author: | Filed under: anthropos, comune, Révolution, sud | Commenti disabilitati su ORIZZONTI MERIDIANI

Presentazione materiali “Orizzonti meridiani”

I materiali che qui di seguito presentiamo sono saggi, articoli, riflessioni prodotti in occasione o a margine del primo incontro di Orizzonti meridiani, tenutosi a Pozzacchio del Matese, in provincia di Caserta, l’1 e il 2 settembre 2012. É la prima raccolta con la quale inauguriamo il dossier, dove confluiranno contributi relativamente ai campi di lavoro dischiusi da Orizzonti meridiani.

Orizzonti meridiani è un percorso di autoformazione, inchiesta e conricerca che muove le sue analisi a partire dalle processualità di lotta e di movimento presenti nel Mezzogiorno. Promosso da una costellazione di collettivi, centri sociali e singolarità meridionali, esso è anche un progetto politico e culturale.

Senza concedere attenuanti a pratiche identitarie per rievocare tradizioni inventate, tale progetto interroga, nel tentativo di sovvertirlo, l’ordine del discorso liberale e neoliberale che, dal tardo Settecento e stratificato nella contemporaneità in paradigmi analoghi, legge il Sud, con pronunciamenti progressivi e storicisti, all’interno di griglie dicotomiche in cui convivono sviluppo e sottosviluppo, modernità e arretratezza. Dialettica utile solo al “meridionalismo sviluppista” in grado di registrare ritardi e “mancati traguardi” del Sud in quattro secoli rispetto al Nord d’Italia, in base a indici economicisti talmente astratti per cui si dimostrano da soli e avvalorano la stessa cultura sviluppista.

Del resto, il Sud come spazio omogeneo e liscio, unità di misura dello sviluppo capitalistico, è lo stesso Sud in cui la subalternità viene tratteggiata dallo sguardo esterno. E si costruisce, di riflesso, nei discorsi e nelle forme di vita degli stessi subalterni. Mettere a nudo l’idea di sviluppo significa, dunque, evitare che il meridione riproduca la sua subalternità all’infinito: rifugga i campi enunciativi attraverso cui nell’esprimere se stesso si va percependo come periferico, interrompendo non solo i discorsi altrui che lo vogliono tale ma, nondimeno, ogni descrizione di se stesso che accetti un discorso quale proiezione di termini come periferia, marginalità, sottosviluppo.

Orizzonti meridiani è anche un metodo di pratica politica, il cui intento è quello di decostruire gli assiomi della storia sociale ed economica del Mezzogiorno, suscitando l’“esodo da parole come crescita economica, modernizzazione, progresso” e rendendo al contempo condiviso un campo di forze in cui organizzare i movimenti e le lotte dei subalterni. D’altronde, un esercizio semantico e politico di questo tipo non può che prendere le mosse da Gramsci e dal suo avvertimento sul modo in cui vengono osservate e narrate le classi subalterne, i “senza storia” di fine Ottocento così come gli odierni precari e “poveri” del Mezzogiorno, quella composizione del lavoro vivo che, maggiormente nella cooperazione sociale presente a Sud, resta invisibile agli indici per essere ricattata, sfruttata e sottopagata. Tale modalità si costruisce nei discorsi e nelle forme di vita, nel modo di agire lo spazio/tempo del Sud a confronto con l’incalzare di concetti quali civiltà, modernità, sviluppo, a cui si aggiunge un supplemento – consapevole o meno – di stereotipi, pregiudizi, distanze, diffidenze, ossia tutte quelle tattiche che costituiscono la strategia del dispositivo dell’ “orientalismo” a Sud.

Dal Sud ai sud per ribaltare lo sguardo egemone, vuol dire anche valorizzare le molte voci, diversificando gli sguardi, poiché la cartografia del Sud d’Italia è tanto la molteplicità quanto la singolarità dei luoghi. Il che non basta. Il capitalismo agisce con modalità predatorie, di cattura, da colonizzatore. Per comprenderne gli effetti, occorre oltrepassare il limite storico-geografico. Dunque, Orizzonti meridiani è anche il tentativo di concatenare i significanti storico-politici del Sud d’Italia con gli altri sud laddove il colonialismo, prima, e il post-colonialismo, poi, intervengono tramite le forme del dominio e del comando, di gerarchizzazione e di controllo, di dispositivi di razzializzazione e dell’“emergenza perpetua”.

Metropoli e sud – di Zer081

“Un paradiso abitato da diavoli” … o da porci. Appunti su razzializzazione e lotte nel Mezzogiorno d’Italia – di Anna Curcio

Dopo il cenacolo del Matese: l’esodo dalla crescita – di Franco Piperno

Appunti su razza e meridione – di Caterina Miele


Morte mimetica

Posted: Ottobre 21st, 2012 | Author: | Filed under: anthropos | Commenti disabilitati su Morte mimetica

di Massimo Canevacci

Pigrizia

Non sono uno specialista sulla malavita né ho mai fatto ricerche su tale argomento. La mia impostazione teorica ed empirica si basa sul metodo etnografico, che è nella sua immanenza basato sulla ricerca micrologica. A causa di questa assenza, il mio svolgimento sarà di tipo filosofico. O meglio, affermerà la connessione profonda di una certa filosofia sociale che si intreccia con un’antropologia teorica cui mi sento di appartenere. Entrambe, a mio avviso, rifiutano ogni ontologia e trovano la loro parziale quanto temporanea verità nella ricerca focalizzata e nella trasformazione dell’esistente. In genere rifiuto di scrivere su cose che non conosco direttamente. In questo caso ho accettato per diversi motivi: in primo luogo perché questa rivista di filosofia e la sua scelta monografica sulla malavita mi continuano a mantenere un legame con l’Italia, da cui mi sono auto-esiliato da qualche anno. E poi per la speranza che questo infelice paese si trasformi su criminalità e corruzione e continui a lottare contro ogni realismo. Ma soprattutto perché è una sfida cui è difficile rinunciare, che – mi sembra chiaro – rifiuto esplicitamente di leggere come metafora, nei limiti secondo cui ogni scrittura è sempre metaforica. La mia riflessione svolgerà e tenterà di applicare concetti di Bateson (doppio vincolo e schismogenesi), di Adorno (mimesi e morte), di Tony Soprano (valori e turpiloquio), autori vari (cinema e melodramma).

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