Posted: Febbraio 10th, 2013 | Author: agaragar | Filed under: anthropos, arts, au-delà, comune, epistemes & società, Révolution, situationism | Commenti disabilitati su URBAN 5
Urban 5
MILLEPIANI/URBAN 5
CARTOGRAFIE DEL DESIDERIO
Per la creazione di una nuova polis
Testi di: Tiziana Villani, Thierry Paquot, Giairo Daghini, Anselm Jappe, Lucien Kroll, Ubaldo Fadini, Paul D. Miller, VOINA, Camilla Pin, Enzo Scandurra, Claudia Mattogno, Giovanni Attili, Carlo Cellamare
Testi di: Tiziana Villani, Thierry Paquot, Giairo Daghini, Anselm Jappe, Lucien Kroll, Ubaldo Fadini, Paul D. Miller, VOINA, Camilla Pin, Enzo Scandurra, Claudia Mattogno, Giovanni Attili, Carlo Cellamare
In che modo è possibile ripensare i modi dell’abitare contemporaneo?
La prima considerazione che intendiamo proporre in questo volume riguarda l’esistente, ciò che conosciamo e che attraversiamo tutti i giorni, il consueto che distrattamente ci accompagna nei diversi momenti in cui si declinano le nostre esistenze.
Lo spazio dell’urbano contemporaneo disegna in modo decisivo la trasformazione dei processi sociali in corso, e per quanto le sue forme possano apparire differenziate, tutte testimoniano una sorta di onda d’urto che si frantuma in direzioni diverse senza potersi poi ricomporre.
I rapporti di lavoro, di vicinanza, di periferizzazione, di riorientamento verde di alcuni spazi, appaiono molto fragili se confrontati con i processi speculativi e di cementificazione.
È possibile immaginare delle nuove agora nel tempo della “gentrificazione” e della marginalizzazione degli spazi urbani?
Lo spazio della condivisione in cui il potere viene sospeso è uno spazio materiale, oltre che simbolico, che nell’oggi deve farsi carico della transitorietà che caratterizza l’abitare umano. Strumento dunque tanto più necessario perché dovrà assumere caratteri rizomatici e indispensabili al fine di restituire luoghi e pensieri alla creazione di nuove situazioni e di nuove istituzioni che ripensino i lavori, i saperi, la cura, le relazioni, le forme della comunicazione.
Gli interventi qui raccolti non si limitano a descrivere, ma si spingono ad interpretare queste domande urgenti spesso partendo da esperienze o territori profondamente diversi.
Il problema del “naturale”, del “verde”, della resilienza, della sostenibilità è assunto in questo numero, nella domanda di nuova articolazione tra il biologico e il tecnologicamente avanzato, che solo nel reciproco intrecciarsi potranno indicare condizioni più soddisfacenti di esistenza. Questi spazi sono “porosi”, ossia territori di interscambio e contaminazione continua, ma non per questo si tratta di spazi dell’abbandono e del degrado; occorre modificare lo sguardo e l’approccio considerando le potenzialità che ogni luogo offre. L’abitare, i movimenti di territorializzazione e di deterritorializzazione chiamano in causa quella specifica attenzione che Gilles Deleuze e Félix Guattari sottolineavano quando affermavano che la prima delle arti è l’architettura, poiché l’uomo nasce con essa, considerazione da coniugare con le Immagini di città di Walter Benjamin, in cui è quasi una compromissione corporea quella che coinvolge il viaggiatore con le città che attraversa. Inoltre, impossibile in proposito non tener presente la lucida analisi di Jean-Pierre Vernant, che intende ripensare l’istituzione delle agora, luogo essenziale della polis: “Lo spazio urbano non gravita più intorno a una cittadella reale che lo domina, ma è incentrato sull’agora che, più che il mercato dove si scambiano i prodotti, è il luogo per eccellenza in cui si discute liberamente tra uguali. Il miracolo greco (che tale non è) è questo: un gruppo umano si propone di spersonalizzare il potere sovrano, di metterlo in una situazione tale che nessuno possa più esercitarlo da solo, a modo suo. E affinché sia impossibile appropriarsene, lo si ‘deposita al centro’ […] Depositare il kratos, il potere di dominio, in questo luogo pensato come centrale, equidistante da ogni membro della città, non significa soltanto spersonalizzarlo, ma anche neutralizzarlo…”. (J.P. Vernant, Senza frontiere. Memoria, mito e politica, Milano, R. Cortina, 2005, p. 128).
Agora di transito dunque, luoghi per una discussione tra eguali, capaci di mettere insieme creazione e saperi, atti alla soddisfazione della prima tra le dimensioni “in comune”: quella dell’abitare.
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Posted: Febbraio 5th, 2013 | Author: agaragar | Filed under: anthropos, epistemes & società, kunst, post-filosofia | Commenti disabilitati su Agalma 24
DA NIETZSCHE A BREIVIK
di Mario Perniola
Anche questo numero è monografico, come il n. 5 (Magnificenza e mondo antico di Sarah F. Maclaren), il n. 18 (Strategie del bello. Quarant’anni di estetica italiana 1968-2008) e il n. 20-21 (La società dei simulacri) entrambi scritti interamente dal sottoscritto. Del testo che qui viene proposto furono pubblicate solo cinquecento copie nel 1986. E’ stata l’edizione brasiliana Ligação Direta – Estética e Política, Florianopolis, Editora UFSC, 2011, a rivelarne l’attualità. Segno che esso tratta di processi storici di durata relativamente lunga, il cui inizio è da individuarsi negli anni Sessanta del Novecento. Fu allora che avvenne una profonda cesura storica che si manifestò in tutti gli ambiti della cultura e della vita privata e collettiva. Nacque in Occidente una nuova civiltà che fu chiamata in vari modi: “società dello spettacolo”, “società dei consumi”, “società della comunicazione”, “società dei simulacri”, e così via. Tutto quello che avverrà dopo, era già in germe allora. L’estetica e la politica hanno rappresentato luoghi di osservazione privilegiati, perché essi sono stati i primi ad essere destabilizzati e destrutturati. Volendo individuare due episodi emblematici di questo profondo cambiamento, indicherei il successo mondiale della Pop Art dal 1960 in poi, e la soluzione della crisi dei missili di Cuba nell’ottobre 1962. Col primo apparve chiaro che qualsiasi cosa poteva diventare arte, col secondo che la cosiddetta Guerra Fredda tra l’USA e l’URSS non sarebbe mai diventata calda. In altre parole, non valeva la pena morire né per l’arte, né per la politica. Pochissimi si resero conto che questi due fatti avevano aperto orizzonti post-artistici e post-politici che furono poi ampiamente percorsi in moltissime direzioni nei decenni successivi fino ad oggi. Il sociologo tedesco Arnold Gehlen proprio allora aveva previsto l’avvento di un fenomeno di cristallizzazione delle società occidentali: questa è una condizione che interviene allorquando le possibilità contenute in un certo contesto sono tutte sviluppate nel loro patrimonio fondamentale. La società diventa tanto uniforme e omogenea che non ci sono più differenze culturali e personali. Secondo tale impostazione, nulla di veramente importante o di decisivo può più accadere: tutte le attività sono coinvolte in questo processo generale di restringimento e di raggrinzimento, una specie di “esonero” (Entlastung) da quell’ambizione di rapporto con l’essenziale e il decisivo, su cui si fondava la possibilità dell’azione. Si entra in una fase che è stata definita col termine di post-historia.
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Posted: Febbraio 5th, 2013 | Author: agaragar | Filed under: anthropos, crisi sistemica, epistemes & società | 15 Comments »
di Alessandro Simoncini
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Posted: Febbraio 3rd, 2013 | Author: agaragar | Filed under: anthropos, epistemes & società, post-filosofia | Commenti disabilitati su Foucault
Foucault: pensare la storia della verità con Nietzsche
di Giuseppe Zuccarino
Il 2 dicembre 1970, Michel Foucault tiene la lezione inaugurale della nuova cattedra di Storia dei sistemi di pensiero, istituita per lui al Collège de France. Il testo, che è di carattere programmatico, sarà pubblicato poco tempo dopo, nella forma di un volumetto dal titolo L’ordre du discours(1). In questo scritto, fin quasi dall’esordio, il filosofo espone la sua tesi di fondo, secondo cui «in ogni società la produzione del discorso è insieme controllata, selezionata, organizzata e ridistribuita tramite un certo numero di procedure che hanno la funzione di scongiurarne i poteri e i pericoli, di padroneggiarne l’evento aleatorio, di schivarne la pesante, temibile materialità»(2).
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Posted: Gennaio 31st, 2013 | Author: agaragar | Filed under: anthropos, arts, au-delà, bio | Commenti disabilitati su Antonio Caronia
Contemplare o partecipare, comunque fingere
di Antonio Caronia
[Pubblicato in: Filosofie di Avatar. Immaginari, soggettività, biopolitiche, a cura di A.C. e Antonio Tursi,Mimesis, Milano 2010.]
Come sempre, più di quello che che si vede, in Avatar (il film) è importante ciò che non si vede.Ciò di cui il film si è nutrito per nascere, e ciò di cui si nutre dopo che è nato per crescere esvilupparsi nell’immaginario.I siti internet, per esempio. Il sito ufficiale del film (http://james-camerons-avatar.wikia.com/wiki/Pandora), e la Pandorapedia (www.pandorapedia.com), che è il sito dedicato alla storia, la geologia e la biologia del pianeta, alla cultura dei Na’vi, e alla storia della RDA, gli invasori terrestri. Sul primo nucleo del manuale di 350 pagine preparato dagli esperti riuniti da Cameron durante la preparazione del film, il sito sta rapidamente aggregando una community, sul modello di Wikipedia, per estendere e raffinare le nostre conoscenze su un mondo che non esiste. La fonetica Na’vi, per esempio, è già sufficientemente nota, ma sulla sintassi di quel linguaggio c’è ancora molto lavoro da fare. Niente di nuovo, certo. Da quando c’è internet, buona parte dell’attività “di culto” legata ai film si svolge lì. E tutto il mondo dei videogiochi, dei MMO e dei MMORPG funziona su una logica di questo tipo.
Costruire un mondo di finzione come se fosse reale. Il modello a cui tutto ciò si ispira è naturalmente il lavoro maniacale e futilmente sublime che oltresettant’anni fa fece John Ronald Reuel Tolkien per dare consistenza ontologica e spessore storico alla sua Middle Earth, la Terra di mezzo.
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Posted: Gennaio 19th, 2013 | Author: agaragar | Filed under: anthropos, bio, post-filosofia | Commenti disabilitati su Axel Honneth
di Emmanuel Renault
Il filosofo Axel Honneth ha da sempre sottolineato la sfida morale fra le motivazioni e giustificazioni dell’azione rivoluzionaria. Esistono molte altre letture, fino all’idea degli individui «maschere economiche» che giocano ruoli teatrali. Oggi a Roma un incontro.
La riflessione honnethiana sulle motivazioni dei conflitti sociali ha condotto ad affrontare la questione del riconoscimento in Marx in una prospettiva diversa da quella dell’opposizione habermasiana tra lavoro e interazione, contribuendo ad aprire nuovi dibattiti. In Lotta per il riconoscimento, Honneth ha proposto di distinguere, tra le motivazioni dei conflitti, delle motivazioni utilitaristiche da altre che rinviano al riconoscimento, e ha sostenuto che il giovane Marx ha tentato «di interpretare i conflitti sociali della sua epoca come una lotta morale che i lavoratori oppressi conducono per ristabilire le condizioni sociali di un pieno riconoscimento». Tra i marxisti, però, sono pochissimi a pensare che la questione del riconoscimento potrebbe chiarire l’immagine che Marx si faceva delle lotte del proletariato, o il modo in cui bisogna comprendere le lotte popolari attuali.
In questo dibattito, nel quale si intrecciano molteplici questioni, la problematica honnethiana ha consentito di prestare attenzione al fatto che i sentimenti di vergogna, disprezzo e umiliazione giocano un ruolo importante in Marx, che li riconduce alla loro origine sociale e li presenta nella loro dimensione di protesta. Nella Questione ebraica, si sostiene che la società dominata dal denaro fa del «disprezzo dell’uomo un fine in sé». Le Note su James Mill sottolineano che nella società alienata il lavoratore non soffre soltanto di povertà, ma anche di umiliazione: «chi non ha nessun credito non è giudicato semplicemente come un povero, ma anche, moralmente, come qualcuno che non merita fiducia né riconoscimento, come un paria, un uomo malvagio; oltre alle privazioni, il povero subisce l’umiliazione di abbassarsi a mendicare il credito del ricco».
[relazione]
Il testo presentato qui è a firma del giovane direttore di «Actuel Marx», la rivista francese che da tempo lavora a una riflessione spregiuticata e tuttavia rigorosa non tanto sull’opera marxiana, bensì sulla sua ricezione. In «Acutel Marx» hanno scritto e scrivono Jacques Bidet, Etienne Balibar e Michael Löwy. In anni passati si è contraddistinta nell’analisi critica del cosiddetto «marxismo analitico» di provenienza anglosassone e della filosofia di Axel Honneth sulla «teoria del riconoscimento», rappresentando una delle riviste più attente alla «renaissance» marxiana. Oggi a Roma, presso il Dipartimento di filosofia dell’Universitò La Sapienza di Roma (Villa Mirafiori, Via Carlo Fea 2, aula XII) ci sarà un seminario su «Dinamiche del riconoscimento». L’incontro, che inizierà alle ore 15, prevede una relazione introduttiva di Stefano Petrucciani a cui seguiranno gli interventi di Dephine Kolesnik, Francesco Toto, Pierre Girard e Roberto Finelli. Sabato, invece, i lavori prevedono le relazioni di Emmanuel Renault, Lucio Cortella e Eleonora Piromalli.
Posted: Gennaio 3rd, 2013 | Author: agaragar | Filed under: anthropos, epistemes & società, philosophia | 8 Comments »
di Eleonora de Conciliis
1. Le riflessioni che seguono non vogliono essere squisitamente filosofiche, né vagamente sociologiche, e neppure provocatoriamente politiche, ma, in senso foucaultiano, genealogiche. È stato infatti Michel Foucault ad aver fornito, in Sorvegliare e punire (1975), la più acuta ricerca genealogica sull’origine della prigione moderna, ed è nella sua produzione degli anni settanta che possiamo trovare ancor oggi spunti fecondi per analizzare le forme di vita criminali, le ‘vite degli uomini infami’ che proliferano nell’epoca contemporanea1. Tuttavia, per ragioni non solo espositive2, mi servirò inizialmente di una nozione proveniente dalla sociologia di Pierre Bourdieu, applicandola con una certa disinvoltura metodologica al mondo della criminalità organizzata: la nozione di campo.3
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Posted: Gennaio 2nd, 2013 | Author: agaragar | Filed under: 99%, anthropos, crisi sistemica, Révolution | Commenti disabilitati su Marcuse strikes back!
Genealogia di una democrazia in regime di libertà vigilata
di Paolo Vernaglione
Riproposta dall’editore Mimesis la «Critica della tolleranza» di Herbert Marcuse.
Scritto dal filosofo tedesco negli anni Sessanta, rivela l’attualità nel fornire una chiave di lettura critica del sistema politico Un breve, ma denso scritto che svela il legame pericoloso tra verità e giustizia nel «tardocapitalismo» «Ad ognuno di noi la teoria e la pratica oggi prevalenti della tolleranza si sono rivelate dopo attento esame essere nient’altro che maschere ipocrite per coprire realtà politiche spaventose». Questo scrivevano Wolff, Marcuse, Moore jr in Critica della tolleranza, pubblicato nel 1968 nella imprescindibile collana del Nuovo Politecnico Einaudi.
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Posted: Dicembre 29th, 2012 | Author: agaragar | Filed under: anthropos, comune, epistemes & società, post-filosofia | 2 Comments »
di Giorgio Agamben
Per capire che cosa significa la parola “futuro”, bisogna prima capire che cosa significa un´altra parola, che non siamo più abituati a usare se non nella sfera religiosa: la parola “fede”. Senza fede o fiducia, non è possibile futuro, c´è futuro solo se possiamo sperare o credere in qualcosa. Già, ma che cos´è la fede? David Flüsser, un grande studioso di scienza delle religioni – esiste anche una disciplina con questo strano nome – stava appunto lavorando sulla parola pistis, che è il termine greco che Gesù e gli apostoli usavano per “fede”. Quel giorno si trovava per caso in una piazza di Atene e a un certo punto, alzando gli occhi, vide scritto a caratteri cubitali davanti a sé Trapeza tes pisteos. Stupefatto per la coincidenza, guardò meglio e dopo pochi secondi si rese conto di trovarsi semplicemente davanti a una banca: trapeza tes pisteos significa in greco “banco di credito”. Ecco qual era il senso della parola pistis, che stava cercando da mesi di capire: pistis, ” fede” è semplicemente il credito di cui godiamo presso Dio e di cui la parola di Dio gode presso di noi, dal momento che le crediamo. Per questi Paolo può dire in una famosa definizione che “la fede è sostanza di cose sperate”: essa è ciò che dà realtà a ciò che non esiste ancora, ma in cui crediamo e abbiamo fiducia, in cui abbiamo messo in gioco il nostro credito e la nostra parola. Qualcosa come un futuro esiste nella misura in cui la nostra fede riesce a dare sostanza, cioè realtà alle nostre speranze.Ma la nostra, si sa, è un´epoca di scarsa fede o, come diceva Nicola Chiaromonte, di malafede, cioè di fede mantenuta a forza e senza convinzione. Quindi un´epoca senza futuro e senza speranze – o di futuri vuoti e di false speranze.
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Posted: Dicembre 22nd, 2012 | Author: agaragar | Filed under: anthropos, bio, comune, critica dell'economia politica, Marx oltre Marx, postcapitalismo cognitivo, Révolution | Commenti disabilitati su Virno: lo stato di eccezione proclamato dal basso
Marco Scotini intervista Paolo Virno
Vorrei ripartire dal tuo testo Virtuosismo e Rivoluzione apparso nel lontano ‘93 sulla rivista «Luogo Comune» per affrontare quello strano soggetto politico che definiamo disobbedienza. Facendo seguito alla riflessione sulla «disobbedienza civile» di stampo liberale, e molto lontano da questa, proponevi allora un’idea di disobbedienza sociale (o di disobbedienza radicale) che sarebbe diventata una delle parole-chiave per identificare l’azione del movimento globale. Dopo quel tuo intervento (confluito poi nella Grammatica della moltitudine) altri contributi teorici rilevanti non mi sembra ci siano stati.
Per me il problema era quello di pensare a una forma di disobbedienza radicale, tale cioè da andare al nocciolo stesso della forma moderna di Stato. Non si trattava e non si tratta di disobbedire a una legge reputata ingiusta in nome di un’altra legge, di una legge più basilare o di una legge anteriore e più autorevole, come per esempio il dettato costituzionale. Questo naturalmente è possibile ma non è il nostro problema. Il nostro problema è corrodere quello stesso obbligo di obbedienza, ancora vuoto di contenuti, che precede le singole leggi e che sta alla base dell’istituzione dello Stato moderno. Come a dire: lo Stato si forma su un obbligo preventivo a obbedire alle leggi che verranno, quali che esse siano. È una sorta di obbligo preliminare che si tratta di mettere in questione. In sostanza la domanda fondamentale per ogni riflessione sulle istituzioni politiche è: perché bisogna obbedire? Se si risponde a questa domanda dicendo «perché lo impone la legge» ci si condanna a un regresso all’infinito, nel senso che è fin troppo facile – a quel punto – chiederci: «Perché bisogna obbedire alla legge? alla legge che impone l’obbedienza?» e così via, naturalmente… Su che cosa si può fondare l’obbedienza? Su un’altra legge ancora? Ma non c’è termine a questo pensiero, non c’è un punto d’arrivo.
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