Posted: Ottobre 27th, 2016 | Author: agaragar | Filed under: au-delà, BCE, comune, crisi sistemica, critica dell'economia politica, epistemes & società, General, Global, post-filosofia, postoperaismo | 64 Comments »
Presentiamo ai lettori e alle lettrici italiani/e un’anteprima del libro “Guerres et Capital” di Éric Alliez e Maurizio Lazzarato che uscirà in Francia per Edition Ámsterdam il prossimo 22 ottobre. Si tratta dell’introduzione al volume, intitolata Á nos ennemis, Ai nostri nemici. La traduzione italiana è a cura di Antonio Alia, Andrea Fumagalli, Davide Gallo Lassere e Cristina Morini. Il testo viene presentato in contemporanea anche sul sito Commonware.
Qui si può scaricare il [pdf] dell’Introduzione, in francese: guerres-et-capital introduction.
Posted: Ottobre 20th, 2016 | Author: agaragar | Filed under: Anarchism, Archivio, au-delà, comune, Guy Debord, Marx oltre Marx, postoperaismo, Révolution | 77 Comments »
di Wolf Woland (1982)
Eccolo, lo scritto più misconosciuto, introvabile e teoricamente rilevante sul «Maggio strisciante» italiano ed europeo. Pubblicato all’inizio degli anni ‘80 del secolo scorso,[…] resta l’unico testo apparso in Italia da quarant’anni a questa parte, che abbia realmente tentato un bilancio non politico o, peggio, «culturale», ma schiettamente teorico, del periodo 1968-’77. […] questi Appunti per il bilancio di un’epoca (come reca il sottotitolo) furono elaborati a partire dalla traiettoria singolare dell’Autore, dall’iniziale adesione alle tesi dell’ultragauche consiliare degli anni 1960 («Socialisme ou Barbarie» e l’Internazionale Situazionista, fondamentalmente), attraverso la partecipazione alle vicissitudini della «corrente radicale» del post-’68, per giungere infine a una riconsiderazione critica dell’una e delle altre, e cercare di uscire vivi dai terribili anni ’70, districandosi tra la Scilla dello sbandamento di fronte alla «perdita dei riferimenti storici» e la Cariddi di un nostalgico aggrapparsi alle «foto di famiglia».
[introduzione redazionale]
[versione pdf]
Posted: Ottobre 20th, 2016 | Author: agaragar | Filed under: anthropos, antropo-DE-centrismo, au-delà, bio | Commenti disabilitati su Faut-il encore manger de la viande ?
par Thomas Lepeltier
Pour que chaque année des milliards d’animaux ne soient plus élevés et tués dans des conditions abominables, il est nécessaire de diminuer fortement notre consommation de viande. Faut-il pour autant devenir végétarien ?
Demandez à vos amis s’ils accepteraient que l’on fasse souffrir des animaux pour leur plaisir. Très probablement, offusqués par la question, ils vous répondront « bien sûr que non ». Pourtant, s’ils mangent régulièrement de la viande pour se faire plaisir, ils savent bien qu’ils entretiennent une industrie qui inflige chaque année des souffrances effroyables à des milliards d’animaux.
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Posted: Ottobre 17th, 2016 | Author: agaragar | Filed under: Arch, bio, crisi sistemica, epistemes & società, vita quotidiana | Commenti disabilitati su Red Plenty Platform
Red Plenty Platforms
di Nick Dyer-Witheford
Introduzione
Poco dopo il grande crollo di Wall Street del 2008, un romanzo su degli eventi storici oscuri e remoti ha fornito un inatteso spunto di discussione sulla crisi in corso. Red Plenty (“Abbondanza rossa”) di Francis Spufford (2010) ha offerto un resoconto romanzato del fallito tentativo da parte dei cibernetici sovietici degli anni ’60 di istituire un sistema completamente computerizzato di programmazione economica. Mescolando personaggi storici – Leonid Kantorovich, inventore delle equazioni della programmazione lineare; Sergei Alexeievich Lebedev, progettista pioniere dei computer sovietici; Nikita Krusciov, Primo Segretario del Partito Comunista – con altri immaginari e mostrandoli in azione tra i corridoi del Cremlino, le comuni rurali, le fabbriche e la città siberiana della scienza di Akademgorodok, Red Plenty riesce nell’improbabile missione di rendere un romanzo sulla pianificazione cibernetica una storia mozzafiato.
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Posted: Ottobre 16th, 2016 | Author: agaragar | Filed under: General, philosophia | 84 Comments »
Friedrich Wilhelm Nietzsche
Gli anarchici e Nietzsche (di Spencer Sunshine)
La proposta di coniugare Nietzsche e l’anarchismo deve suonare audace a molte persone. Anche se non si tiene premuta l’antica credenza che la “classe operaia” (qualunque essa sia ai giorni nostri) sia l’unica che possa fare un cambiamento rivoluzionario, non è stato Nietzsche a influenzare i fascisti, e ad affermare da individualista che il più forte governi sui deboli? E non è Nietzsche a definire gli anarchici come dei cani, oltre ad accusarli di risentimento? Questo è stato spesso denunciato dal movimento anarchico del suo tempo.
Senza consultare le opere stesse di Nietzsche -nel tentativo di “provare” o “smentire” questa compatibilità o meno con l’anarchismo-, credo che un modo più proficuo per affrontare questa proposta sia quella di esaminare la documentazione storica di come gli anarchici si siano avvicinati a Nietzsche. La risposta sorprendente è che a molti di loro piaceva molto, compresi gli autori “classici” anarchici; infatti, alcuni di loro avevano anche usato le sue idee per giustificare le convinzioni anarchiche sulla lotta di classe.
L’elenco non è limitato solo a quegli anarchici come Emma Goldman, che ha letto dozzine di opere di Nietzsche e lo “battezzò” come anarchico onorario. Di anarchici pro-nicciani si trovavano anche tra i membri della CNT-FAI nel 1930 come Salvador Seguí, l’anarco-femminista Federica Montseny o l’anarco-sindacalista Rudolf Rocker; e anche il giovane Murray Bookchin, che ha citato la concezione di Nietzsche della “trasvalutazione di valori” come valido sostegno del progetto anarchico spagnolo.
C’erano molte cose che ha attirato gli anarchici a Nietzsche: il suo odio verslo Stato, il suo disgusto per il comportamento insensato dei “branchi” sociali, il suo (quasi patologico) anti-cristianesimo, la sua diffidenza verso l’effetto sia del mercato e dello Stato sulla produzione culturale, il suo desiderio di un “oltreuomo” -che è un essere umano nuovo che non doveva essere né padrone né schiavo-, la lode e l’estasi di sé stesso, come l’artista con il suo prototipo, che potrebbe dire: “Sì” per l’auto-creazione di un mondo nuovo, sulla base del nulla, e il suo invio della “trasvalutazione dei valori” come fonte di cambiamento, al contrario di una concezione marxista della lotta di classe e della dialettica di una storia lineare.
Naturalmente, in questo modo, gli anarchici -convenientemente- dimenticarono la sua misoginia, il suo elitarismo e il suo disprezzo per coloro che hanno lavorato per la giustizia sociale -così come il suo stesso odio per loro!
I fascisti, invece, dimenticarono l’odio di Nietzsche del nazionalismo tedesco, la sua ammirazione per gli ebrei, il suo supporto per i matrimoni misti tra diverse razze, il suo disgusto per il risentimento (di cui Hitler è la personificazione per eccellenza), e il suo disprezzo dello Stato, del mercato e della mentalità gregaria: tutte operazioni da cui il sistema fascista dipendeva.
Il Nietzsche-positivo simil-anarchico, è chiaramente rappresentato da Emma Goldman. Ella ha gestito il giornale Mother Earth per 12 anni, fino a quando il governo degli Stati Uniti l’arrestò per via dei progetti antimilitaristi e contro la grande guerra (1914-1918) e condannata a due anni di carcere. Mother Earth era un terreno comune per gli anarco-comunisti, gli individualisti, i mutualisti, i sindacalisti e tanti artisti d’avanguardia che hanno visto l’anarchismo come estensione del loro credo politico (più o meno avvenne anche dopo la seconda guerra mondiale). La rivista, e la Goldman, promosse fortemente Nietzsche; non solo avevano fatto stampare gli articoli divulgativi e discutevano le sue idee, ma si potevano anche ordinare le opere complete di Nietzsche.
Nella sua autobiografia, Living My Life, la Goldman scrisse il suo primo incontro con le opere di Nietzsche nel 1890.
“La magia del suo linguaggio, la bellezza della sua visione, mi ha portato a delle altezze inimmaginabili. Avrei voluto divorare ogni riga dei suoi scritti …” Lei ha anche scritto che” Nietzsche non era un teorico sociale, ma un poeta, un ribelle e innovatore. La sua aristocrazia non era né di nascita né di borsa, era dello spirito. A questo proposito, Nietzsche era un anarchico, e tutti gli anarchici erano aristocratici.”
Come si legge nel mio libro “I Am Not a Man, I Am Dynamite! Friedrich Nietzsche and the Anarchist Tradition”, la Goldman rese popolare le idee di Nietzsche nelle conferenze e utilizzava molte delle sue concezioni sulla moralità e sullo Stato nei suoi scritti. Tuttavia, ha sempre unito la difesa dell’individuo con una sorta di anarco-comunismo kropotkiano.
La Goldman non era l’unica anarchica a coniugare le idee di Nietzsche con quelle di Kropotkin. I documenti di Alan Antliff indicano come la critica d’arte indiana e anti-imperialista Ananda Coomaraswamy combinasse l’individualismo di Nietzsche e il suo senso di rinnovamento spirituale con l’economia di Kropotkin e il pensiero idealista religioso asiatico. Questa combinazione è stata offerta come base per l’opposizione alla colonizzazione britannica e all’industrializzazione.
Kropotkin stesso, tuttavia, non era un grande appassionato di Nietzsche. Pubblicò poche menzioni su di lui, in quanto non vedeva con congruenza il suo punto di vista (stessa cosa anche per quello di Stirner). Ma Kropotkin morì prima di finire il suo ultimo capitolo sull’Etica, in cui avrebbe dovuto trattare il pensiero di Stirner, Nietzsche, Tolstoj e tanti altri.
Gli anarchici spagnoli e altri politici che gravitavano attorno alla repubblica erano ispirati al pensiero nicciano. Murray Bookchin, in Gli anarchici spagnoli, descrive il prominente membto della CNT-FAI Salvador Seguí come “un ammiratore dell’individualismo nietzscheano, del superuomo a cui “tutto è permesso”.” Bookchin, nella sua Introduzione al libro di Sam Dolgoff, “The Anarchist Collective Workers’Self-management in the Spanish Revolution 1936-1939” (1) del 1973, descrive la ricostruzione della società da parte dei lavoratori come un progetto nicciano
Un altro membro della CNT-FAI influenzato dal pensiero di Nietzsche era Federica Montseny, editore de La Revista Blanca, e che in seguito avrebbe raggiunto l’infamia insieme ad altri quattro anarchici che avevano accettato posizioni di gabinetto del governo spagnolo del Fronte Popolare. Nietzsche e Stirner -così come il drammaturgo Ibsen e l’anarchico-geografo Elisee Reclus- erano i suoi scrittori preferiti, secondo il libro di Richard Kern “Red Years / Black Years: A Political History of Spanish Anarchism, 1911–1937. Kern dice che ella aveva dichiarato che “l’emancipazione delle donne porterebbe ad una realizzazione più rapida della rivoluzione sociale” e che “la rivoluzione contro il sessismo sarebbe dovuto venire da donne intellettuali e militanti”. Secondo questo concetto nicciano di Federica Monteseny, le donne potevano realizzare questa emancipazione attraverso l’arte e la letteratura in modo da rivedere i propri ruoli. ”
Rudolf Rocker era un altro anarchico ammiratore di Nietzsche. Rocker, anarchico di origine tedesca, si era trasferito in Inghilterra nel 1895 ed era diventato un noto sindacalista tra i lavoratori ebrei di lingua yiddish lì. Fu un sostenitore dell’anarco-sindacalismo, e nel 1922 contribuì a formare la AIT (Associazione Internazionale dei lavoratori), l’organismo di coordinamento dei sindacati degli anarco-sindacalisti. Rocker invoca ripetutamente Nietzsche nel libro “Nazionalismo e Cultura”: l’anarchico tedesco lo cita per portare a sostegno le sue affermazioni che il nazionalismo e il potere dello Stato hanno una influenza distruttiva sulla cultura, dal momento che “la cultura è sempre creativa”, ma “il potere non è mai creativo.” Rocker finisce anche il suo libro con una citazione di Nietzsche.
Infine, l’influenza di Nietzsche sull’ambiente Situazionista. I situazionisti sono spesso scambiati per gli anarchici, ma erano in realtà una combinazione di varie avanguardie (tra cui Dada, il Surrealismo e il Lettrismo) con l’influenza hegeliana “occidentale” del marxismo di Georg Lukács, Henri Lefebvre e altri. (Vedere la tesi 91-94 de La Società dello Spettacolo di Guy Debord sull’anarchismo). Secondo Jonathan Purkis, John Moore ha affermato che l’influenza situazionista segna “una seconda ondata del pensiero anarchico”, il primo importante cambiamento teorico dall’anarchismo “classico”.
Uno dei cambiamenti più importanti in questo è stato un interruttore ontologico: mentre Marx aveva visto la natura umana come essere essenzialmente definita dal lavoro (egli pone questo esplicitamente nei suoi manoscritti del 1844), i situazionisti vedevano l’umanità come essenzialmente estetica e creativa. Essi, come Nietzsche, hanno preso l’artista, e non il lavoratore, come modello per il nuovo soggetto rivoluzionario. Coloro che hanno seguito la tradizione Situazionista, come Hakim Bey, vedevano una “parentela” con Nietzsche su questa base. E Fredy Perlman avrebbe apprezzato il consiglio del filosofo autore di “Così parlò Zarathustra” nell’evitare tutte le “persone senza condizioni” e che “guardano con amarezza la vita”, perchè “hanno i piedi pesanti e i cuori pesanti: essi non sanno come ballare.”
Uno, a quanto pare, non ha bisogno di coniugare Nietzsche e l’anarchismo: si sono già uniti, e abbiamo già ereditato il frutto della loro unione.
La cartella contiene:
– Tutte le opere di Nietzsche edite da Adelphi
– La mia vita. Scritti autobiografici 1856-1869
– Lettere a Ewin Rohde
– (a cura di) Pietro Ciaravolo, Nietzsche-Stirner
– Georges Bataille, Su Nietzsche
– Gilles Deleuze, Nietzsche
– Irvin D. Yalom, Le lacrime di Nietzsche
– John Moore e Spencer Sunshine, Non sono un uomo, sono dinamite! Friedrich Nietzsche e la tradizione anarchica
TUTTE LE OPERE
Posted: Ottobre 15th, 2016 | Author: agaragar | Filed under: bio, comunismo, crisi sistemica, General, Révolution | Commenti disabilitati su Serge Quadruppani – LA POLITICA DELLA PAURA
LA POLITICA DELLA PAURA
Posted: Settembre 19th, 2016 | Author: agaragar | Filed under: General | Commenti disabilitati su ALTERITA’ NON UMANE
Roberto Marchesini
1) L’argomento principe della discussione postumanista riguarda senza dubbio il termine “alterità non umana”, potremmo persino dire che in esso tale filosofia cerca una sua coordinata di riferimento e lo fa allargando il profilo del concetto più generale di alterità. La parola “alterità”, gravitante intorno al significato di prossimo relazionale (individuo o altra cultura), è riconosciuta nel doppio valore denotativo di: 1) entità altra, ossia separata, estranea, straniera, divergente, termine di confronto, sfondo da cui emergere; 2) referente, ovvero capace di azione referenziale, vale a dire polarità dialogica in grado di fornire un contributo-orientamento nell’espressione e nella costruzione identitaria. Qui si nasconde il doppio contributo identitario dell’alterità: a) in quanto entità altra essa consente la riflessione, vale a dire un’autoricognizione in grado di definire il profilo identitario; b) in quanto portatrice di referenze, vale a dire di contributi esterni di orientamento e sostegno allo sviluppo, essa consente all’identità un percorso evolutivo. L’alterità pertanto è al tempo stesso esterna e interna all’identità, quindi è parimenti dialettica e integrata: questo è sicuramente il punto di svolta tra un approccio umanistico all’identità umana, epurativo delle alterità non-umane, e un approccio postumanistico, integrativo delle stesse.
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Posted: Maggio 11th, 2016 | Author: agaragar | Filed under: 99%, anthropos, au-delà, bio, crisi sistemica, Deleuze, epistemes & società, post-filosofia, postcapitalismo cognitivo, posthumanism, psichè, Révolution, vita quotidiana | 103 Comments »
di Federico Chicchi
Il libro di Franco Berardi (Bifo), L’anima al lavoro. Alienazione, estraneità, autonomia (DeriveApprodi, 2016), ha il ritmo e l’appeal di una danza orientale. Non solo perché seduce e accompagna il lettore passo a passo, in virtù della sua cadenza sinuosa, ma soprattutto perché, in modo cristallino, disvela e mette a nudo, la pervasività della metamacchina capitalistica e la sua azione tossica sull’anima.
Il libro chiarisce fin da subito che per reagire alla catastrofe psichica e sociale del capitalismo contemporaneo è necessario avere ben presenti le ragioni del salto di paradigma che ha caratterizzato e quindi trasfigurato, a partire dalla prima metà dei Settanta, l’economia e la società occidentale.
«Lo sfruttamento industriale concerne i corpi, i muscoli, le braccia. (…) Ma se dalla sfera della produzione industriale ci spostiamo alla sfera della produzione digitale, scopriamo che lo sfruttamento si esercita essenzialmente sul flusso semiotico che il tempo di lavoro umano è in grado di emanare» (p. 8). Ecco allora il sedimentarsi di un capitalismo del cognitivo e dell’immateriale, ma anche del seduttivo e degli affetti. Un capitalismo in cui produzione e riproduzione sociale si riflettono vicendevolmente e incessantemente allo specchio, creando uno spazio di coincidenza che non presenta soluzioni di continuità. Occorre quindi aver chiaro che il paradigma dialettico (e quindi anche il Marx troppo fedele a quest’ultimo) è oggi divenuto insufficiente a dare conto e quindi a sviluppare una critica efficace del nuovo discorso capitalista: «abbiamo capito bene che la storia moderna non procede dialetticamente verso un esito positivo, e che non si vede al suo orizzonte alcun superamento dialettico. Essa appare piuttosto come un dispositivo patogeno, come un doppio legame» (p.61).
La comunicazione paradossale e continuamente fluttuante che attraversa il mediascape del semiocapitalismo è più che una ragione assoluta e monolitica, piuttosto si configura come un insieme di prescrizioni normative e di stimolazioni all’azione che, inquadrate in una plastica assiomatica di sfondo, non sembrano affatto procedere nella stessa direzione. Le stesse rendono poi praticamente impossibile stabilizzare, in seno a una comune pratica sociale, una visione conflittuale collettiva. «Ne risulta così un sistema di fraintendimenti, ingiunzioni contraddittorie, sovrapposizioni perverse» (p. 61) che rende il potere apparentemente incontrastabile e senza volto.
L’anima al lavoro ripercorre una buona parte della stratificazione concettuale che ha caratterizzato fin dai suoi esordi il pensiero critico e anticapitalistico, e nel ripercorrerlo con scaltrezza Bifo rivela i passaggi (anche quelli più improbabili e funambolici) e le cesure che si sono situati tra le sue categorie fondative e che hanno costituito le basi del pensiero postoperaista (che si preferisce qui chiamare composizionista) cui lo stesso Bifo sente di appartenere. E come in un noto racconto di Alphonse Allais, non ci si accontenta qui di spogliare la danzatrice dai suoi veli ma la stessa è invitata a disfarsi anche della sua pelle. Perché è dell’osso del pensiero critico qui depositato che Franco Berardi va mirabilmente alla caccia. Non però per spiluccarselo ma per poterlo conficcare nuovamente in seno al presente.
Il campo di battaglia si è dunque spostato ancora di più sul piano dell’immaginario, oltre l’ideologia e le egemonie culturali, proprio al centro dell’anima (nell’inconscio e nei suoi fantasmi, aggiungo io) della soggettività in formazione. Il dominio dell’immaginario crea le premesse per il dispiegarsi di un panorama
Insomma un libro che va affrontato, senza frenare il piacere della lettura, con attenzione perché solo così ci lascerà la netta e tangibile sensazione di poter comprendere più a fondo l’anima precaria e digitalizzata della caosmotica soggettività contemporanea. Riassumiamo. L’anima al lavoro è dunque un saggio utilissimo per due urgenze principali. La prima riguarda la possibilità di meglio inquadrare – seguendo il filo genealogico delle categorie critiche che dalla alienazione portano fino alla metamacchina digitale – la contemporaneità e le nuove modalità con cui il semiocapitalismo comanda e governa le condotte sociali; la seconda perché permette di pungolare, criticare e quindi rinnovare quello che Bifo chiama il pensiero composizionista, ovvero quello che altri in modo più arrischiato hanno qualificato come Italian theory.
Quest’ultimo, secondo l’autore, ha avuto il grande merito di porre il desiderio come campo centrale della Storia. Abbandonare cioè l’idea della realizzazione di una totalità che di fatto nega l’alterità, nella quale l’alterità è tolta. Questo è davvero uno snodo fondamentale del volume. «L’incontro tra pensiero autonomo italiano e pensiero desiderante francese non è stato un caso fortuito dovuto a eventi politici e biografici. A un certo punto, nel vivo della lotta sociale, per il movimento autonomo è diventato necessario utilizzare categorie di tipo schizoanalitico per analizzare il processo di formazione dell’immaginario sociale» (p. 161).
Il metodo composizionista è l’incontro di queste istanze che assumono il campo del desiderio come campo di lotta e di rizomatica geometria dei differenti flussi sociali. La sfida è però stata raccolta anche dal capitale (e in gran parte vinta) attraverso quelle che Berardi chiama le immageenering corporations. Il campo di battaglia si è dunque spostato ancora di più sul piano dell’immaginario, oltre l’ideologia e le egemonie culturali, proprio al centro dell’anima (nell’inconscio e nei suoi fantasmi, aggiungo io) della soggettività in formazione. Il dominio dell’immaginario crea le premesse per il dispiegarsi di un panorama terribile in cui la precarietà viene generalizzata come condizione generale cui si è irrimediabilmente e socialmente esposti e attraverso cui prende forma «un regime di violenza pura, illimitata, disumana». Un campo che con l’impiego delle tecnologie digitali e della microelettronica il capitale sa fare suo senza troppa fatica. Non c’è affatto da stare allegri, insomma.
Per questo se potessimo azzardare e indicare uno dei protagonisti del volume in questione, questo sarebbe senz’altro il tema della seduzione. L’anima al lavoro è, in altre parole, la descrizione di come il lavoro deve farsi oggi necessariamente seduttivo, altrimenti non ottiene legittimità nella distribuzione del salario sociale, altrimenti paradossalmente non si collega più al suo valore d’uso sociale. A questo importante ruolo di primo piano si arriva attraverso un autore tanto straordinario quanto per certi versi negletto, che per una serie di motivi (cui Franco Berardi accenna soltanto) è stato per troppo tempo tenuto al di fuori o ai margini del pensiero composizionista: Jean Baudrillard.
Bifo lo riprende, con cautela e originalità, calandolo all’interno del contesto semiocapitalistico attraverso due piste fondamentali; due piste che devono a mio avviso assolutamente rientrare nello spazio critico del presente. La prima è, come si capirà presto, piuttosto scabrosa: non saremmo affatto secondo Baudrillard in un regime di repressione del sesso, ma al contrario, saremmo completamente affondati nella «ingiunzione di dirlo, di dichiararlo (…), costrizione di produzione del sesso. La repressione non è che una trappola e un alibi per nascondere la consacrazione di tutta una cultura dell’imperativo sessuale» (Baudrillard, Dimenticare Foucault, p. 71).
La seconda riguarda l’affermarsi di quella che potremmo chiamare il regno della simulazione di prospettiva, inteso come il formarsi di una sorta di «inconsistenza ontologica» in cui il rapporto tra segno e realtà risulta completamente saltato. «Simulazione, nel senso che tutti i segni si scambiano ormai tra di loro senza scambiarsi più con qualcosa di reale». Detto in altro modo e più specificatamente: la peculiare capacità del capitale, rompendo ogni referenza stabile tra concetto e realtà, è quella di mostrare le contraddizioni del sistema là dove in realtà nulla più accade e può accadere (facendo così girare per lo più a vuoto la pratica critica e conflittuale).
«Alla nozione di desiderio egli [Baudrillard] – scrive Bifo – oppone quella di disparition, extermination, o piuttosto la catena simulazione – disparizione – implosione» (p. 198). La simulazione come fantasmagorie senza prototipo. I segni non rimandano a fatticità reali ma semplicemente a fantasmi senza corpo. La società viene invasa da una bulimica offerta di segni e l’energia libidinale è parassitata dai simulacri del capitale. Il fantasma della merce diviene l’unico sostrato immaginario dove la soggettività può riparare ed esprimere la sua sessualità, instaurare una cinica contabilità del godimento fine a se stessa.
Anche lo psicoanalista francese Jacques Lacan aveva, d’altra parte, intuito qualche anno prima, il costituirsi di qualcosa di nuovo: «qualcosa è cambiato nel discorso del padrone da un certo momento della storia […] il punto importante è che, a partire da un certo giorno, il più-di-godere viene contato, contabilizzato totalizzato. Comincia allora quel che è chiamato accumulazione del capitale (…). La società dei consumi ha senso in quanto, all’elemento cosiddetto umano tra virgolette, viene dato come equivalente omogeneo un qualsiasi più-di-godere prodotto dalla nostra industria – un più-di-godere, in realtà, fasullo» (Lacan, Il rovescio della psicoanalisi, 1969-1970, pp. 223-224).
Il godimento e con lui il desiderio viene dunque numerato, misurato, contato, tradotto in merce. La soggettività diviene in questo modo una cifra da inserire in una contabilità generale della pulsione di crescita capitalistica. Il desiderio del soggetto è dunque continuamente sollecitato affinché, non senza resistenza (non è questa che fa problema, anzi!), venga impressionato in questa metrica sociale che il mercato e il pensiero economico traduce e rende socialmente praticabile. «Il suo segreto consiste nel lampeggiare intermittente di una presenza. Non essere mai là dove la si crede, mai là dove la si desidera. […] La posta in gioco è provocare e deludere il desiderio, la cui unica verità è brillare e restare deluso» (Baudrillard, Della seduzione, p. 118).
Ecco allora che la simulazione, la produzione incessante di godimenti fasulli, come processo fondamentale del nuovo capitalismo, di cui ci parlano Baudrillard e Lacan, rende fluido e radicalmente instabile il rapporto tra soggetto e oggetto costringendo il primo a una posizione pervertita e cioè quella «di chi soggiace a una seduzione» mentre però sul piano fenomenologico (e della volontà) lo stesso soggetto continua ad apparire come colui che agisce, mentre è sedotto e allineato al discorso della merce, come il seduttore. La patologia sociale prevalente è quella dell’obbligo a esprimersi continuamente e senza pause, senza fallimenti, saper sedurre e farsi sedurre al contempo, pena la propria evanescenza dalla comunicazione sociale.
Eppure oggi come forse non si sperava quasi più, nelle piazze, nelle frontiere, nelle strade dell’Europa si alza nuovamente un ritornello comune e cioè «che il paradigma economico non può più essere la regola universale dell’attività umana» (p. 275). La scommessa è allora, come ci sembra indichi qui Franco Berardi, quella di riuscire a costruire una nuova nozione di ricchezza che non sia più istruita dal rapporto salariale e non sia più fondata sul possesso e lo sfruttamento, ma invece su di un’equa e autonoma distribuzione del godimento.
Posted: Aprile 24th, 2016 | Author: agaragar | Filed under: 99%, au-delà, bio, donnewomenfemmes | 102 Comments »
Questo saggio si colloca in una fase critica e politica che è stata definita “ottimismo di sinistra”: un nuovo stato d’animo nella sinistra che inquadra l’ottimismo quale “risorsa affettiva fondamentale per galvanizzare le lotte politiche” (Rowan, 2015: n.p.) e che respinge il disfattismo in nome di ambiziosi progetti contro-egemonici. Nel corso degli ultimi anni sono stati pubblicati diversi manifesti nei quali si ripone la speranza (contro ogni probabilità) nella nostra capacità di stringere alleanze significative e sfidare collettivamente il capitalismo neoliberista e l’oppressione strutturale.
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Posted: Febbraio 17th, 2016 | Author: agaragar | Filed under: anthropos, au-delà, bio, crisi sistemica, Deleuze, epistemes & società, postcapitalismo cognitivo, posthumanism, postoperaismo, Révolution, vita quotidiana | 56 Comments »
di DAMIANO PALANO
Il tempo della disperazione
Al termine del Disagio della civiltà, dopo aver mostrato come il processo della civilizzazione fosse il risultato del controllo progressivamente esercitato sul corredo pulsionale degli esseri umani, Freud veniva a contrapporre l’una all’altra le due forze elementari che riteneva di avere scoperto, Eros e Morte. E proprio nelle righe finale, aggiunte nel 1931, segnalava come i pericoli maggiori per il genere umano giungessero dalla pulsione di morte e dalle tendenze aggressive che ne discendevano:
«Il problema fondamentale del destino della specie umana, a me sembra sia questo: se, e fino a che punto, l’evoluzione civile degli uomini riuscirà a dominare i turbamenti della vita collettiva provocati dalla loro pulsione aggressiva e autodistruttrice. In questo aspetto proprio il tempo presente merita forse particolare interesse. Gli uomini adesso hanno esteso talmente il proprio potere sulle forze naturali, che giovandosi di esse sarebbe facile sterminarsi a vicenda, fino all’ultimo uomo. Lo sanno, donde buona parte della loro presente inquietudine, infelicità, apprensione»[1].
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