Aaron Swartz

Posted: Gennaio 12th, 2014 | Author: | Filed under: digital conflict, epistemes & società | Commenti disabilitati su Aaron Swartz

(1986-2013)

una vita per la cultura libera e la giustizia sociale

questo spazio è dedicato all’ebook italiano di tributo ad Aaron Swartz pubblicato nel primo anniversario della sua morte (11 gennaio 2013)

curato da bernardo parrella e andrea zanni, l’ebook include la traduzione di alcuni suoi post, riflessioni e interventi, più diversi articoli e scritti di amici e attivisti, oltre a materiali su open access/free culture e un’ampia sezione di link e risorse di approfondimento

l’ebook è disponibile in pdf (1,2MB), e presto anche in epub, con licenza creative commons by-nc-sa

feedback e coinvolgimenti sempre benvenuti – e please condividiamo 🙂


Smisurata preghiera

Posted: Gennaio 11th, 2014 | Author: | Filed under: fabrizio | 1 Comment »

smisurata

“…ricorda Signore quei servi disobbedienti
alle leggi del branco
non dimenticare il loro volto
che dopo tanto sbandare
è appena giusto che la fortuna li aiuti
come una svista
come un’anomalia
come una distrazione
come un dovere…”

Smisurata preghiera


Transversal House: Deleuze and Guattari in Japan*

Posted: Gennaio 11th, 2014 | Author: | Filed under: anthropos, Arch, arts, au-delà, bio, epistemes & società | Commenti disabilitati su Transversal House: Deleuze and Guattari in Japan*

di Gary Genosko

Felix1

L’interesse di Félix Guattari per l’architettura e la cultura giapponese non è particolarmente ben conosciuto.

Forse anche meno conosciute sono le applicazioni critiche dell’importante concetto di trasversalità di Guattari da parte degli architetti e dei critici di architettura in Giappone. I soggetti convergenti di trasversalità/architettura/Giappone sono un approfondimento del mio lavoro sugli usi a cui la trasversalità è stata collocata (Genosko 2000); In questa occasione la questione è indagata in relazione ad una particolare casa. Mentre una totale piena indagine dell’importante e complessa connessione non può essere sviluppata in questo ambito, una descrizione assai concisa sarà sufficiente per dare un indirizzo a un ulteriore lavoro che si occupi di altre case ed edifici, specialmente Ark Dental Clinic of Shin Takamatsu su cui Guattari ha scritto (Guattari 1994).

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Il diagramma La Borde e il paradigma-buto

Posted: Gennaio 11th, 2014 | Author: | Filed under: anthropos, arts, au-delà, epistemes & società, kunst, psichè, vita quotidiana | Commenti disabilitati su Il diagramma La Borde e il paradigma-buto

di ALESSANDRO TAGARIELLO

butoh6

“Trattare le persone senza cure ospedaliere è un’impostura” – tuona il dott. Jean Oury.

Secondo conflitto mondiale. Francia. I vetri infranti alla “Mecca della psicoterapia istituzionale” di Saint-Alban, irrompono da un luogo di internamento e annunciano, in qualche modo, un cambiamento; lo stesso luogo dove avevano trovato comunque riparo artisti e filosofi come Paul Eduard, Tristan Tzara, Canguilhem e profughi della guerra civile spagnola come il medico Francois Tousquelles. Quelle finestre rotte da un gruppo di psichiatri, i loro infiniti dialoghi con i rifugiati, rappresentano i segni della svolta che ci porta dritti a La Borde.

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La crisi delle identità politiche: reinventarsi o morire

Posted: Gennaio 9th, 2014 | Author: | Filed under: 99%, comune, epistemes & società, Marx oltre Marx, postcapitalismo cognitivo, postoperaismo | Commenti disabilitati su La crisi delle identità politiche: reinventarsi o morire

di GIGI ROGGERO

Malli

“Oggi è il 10 gennaio 1610. L’umanità scrive nel suo diario: abolito il cielo.”

“Galileo: Quelli che vedono il pane solo quand’è sulla tavola, non vogliono sapere come è stato cotto. Quelle canaglie preferiscono ringraziar Dio piuttosto che il fornaio! Ma quelli che, il pane, lo fanno, quelli sapranno capire che non si muove niente che non venga messo in movimento.

Ludovico: Rimarrete in eterno schiavo delle vostre passioni.”

B. Brecht, VITA DI GALILEO

Chi sono i populisti? Protagonisti di una nobile tradizione rivoluzionaria che nella seconda metà dell’Ottocento ha cercato di rovesciare lo zarismo (facendo anche fuori l’odiato Alessandro II), erano intellettuali radicali che andavano al popolo, di cui esaltavano forme di vita in via di sparizione o profonda mutazione (innanzitutto la piccola comunità contadina, l’obščina). Mitizzato, il popolo finiva così spesso per divenire astratto e disincarnato: l’unico soggetto concreto del populismo era così lo stesso intellettuale rivoluzionario. In questa sede, tuttavia, non ci interessa una ricostruzione storiografica o etimologica del termine, quanto invece un punto politico pregno di attualità: ci sono categorie (populismo è una di queste, non certo l’unica) di cui si continua a fare ampio uso per una sorta di coazione a ripetere, di pigrizia concettuale, di paura di perdere le proprie sicurezze. Sarebbe ora di superare questi tic nervosi e di mandare definitivamente in pensione il dottor Stranamore che alberga dentro di noi. Sarebbe ora, cioè, di rendersi conto che se non servono più a interpretare e soprattutto a trasformare la realtà, queste categorie vanno buttate via o reinventate completamente. Questo è per noi il principio fondamentale di un realismo materialista, che nulla ha a che vedere con la realpolitik sempre in odore di opportunismo.

Se abbiamo cominciato dal populismo, un motivo evidentemente c’è: negli ultimi vent’anni l’etichetta è una sorta di inappellabile sentenza di condanna che ha colpito in modo trasversale, il cui uso – subalterno all’ordine del discorso dominante – si è impennato con lo sviluppo della crisi. Se poi ai soggetti astratti esaltati dai populisti russi dessimo un nome diverso, scegliendolo nell’ampio repertorio concettuale utilizzato negli ultimi anni per identificare gli auspicati soggetti o gli spazi delle lotte contemporanee, il campo definitorio si rovescerebbe in modo sorprendente. Qui il problema, però, è che non serve a nulla bollare di populismo chi oggi tenta di comprendere condizioni di vita e comportamenti soggettivi delle figure del lavoro vivo contemporaneo, a costo di immergersi nelle sue espressioni bastarde, di navigare su ambigue frontiere, di provare a orientarsi e agire dentro movimenti impuri e perfino cosparsi di melma. La semplice domanda che poniamo è: esiste un’alternativa al rischio di insozzarsi? Se l’alternativa è il rifugio nel cielo di dubbie certezze identitarie e di lessici del già noto, quelli che scaldano i nostri cuori e consegnano alla marginalità politica, preferiamo il pericolo – duramente terreno – della sporcizia ideologica.

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terioanthropos

Posted: Gennaio 6th, 2014 | Author: | Filed under: anthropos, au-delà, bio, epistemes & società | Commenti disabilitati su terioanthropos

terio

“Riconoscere l’animalità nell’uomo, non solo, ma affermare nell’animalità l’essenza dell’uomo: questo è il pensiero pesante, decisivo, foriero di tempesta, il pensiero di fronte al quale tutto il resto della filosofia moderna viene abbassato a ipocrisia. Schopenhauer l’ha enunciato, e Nietzsche ne è stato l’unico esegeta autentico, verificandolo nel campo degli accadimenti umani… Nel cristianesimo egli combatté la falsa religione, la religione razionalistica, antropocentrica, che ha dato all’uomo una posizione isolata nel mondo, e per far questo ha rinnegato l’animalità nell’uomo… Per questo Nietzsche, che ha usato ogni mezzo perché gli uomini ascoltassero da lui tale verità, si presenta di fronte a noi come un «liberatore», per usare un epiteto con cui i Greci designavano Dioniso”

Giorgio Collii, DOPO NIETZSCHE


Rompere l’incanto neoliberale: Europa, terreno di lotta

Posted: Gennaio 1st, 2014 | Author: | Filed under: 99%, BCE, bio, comune, comunismo, crisi sistemica, epistemes & società, Marx oltre Marx, postoperaismo, Révolution | Commenti disabilitati su Rompere l’incanto neoliberale: Europa, terreno di lotta

di SANDRO MEZZADRA e TONI NEGRI.

Persson

Chi come noi non ha interessi elettorali è nella migliore posizione per riconoscere la grande importanza che avranno, nel 2014, le elezioni per il parlamento europeo. E’ facile prevedere, nella maggior parte dei Paesi interessati, un elevato astensionismo e una significativa affermazione di forze “euroscettiche”, unite dalla retorica del ritorno alla “sovranità nazionale”, dall’ostilità all’euro e ai “tecnocrati di Bruxelles”. Non sono buone cose, per noi. Siamo da tempo convinti che l’Europa ci sia, che tanto sotto il profilo normativo quanto sotto quello dell’azione governamentale e capitalistica l’integrazione abbia ormai varcato la soglia dell’irreversibilità. Nella crisi, un generale riallineamento dei poteri – attorno alla centralità della BCE e a quel che viene definito “federalismo esecutivo” – ha certo modificato la direzione del processo di integrazione, ma non ne ha posto in discussione la continuità. La stessa moneta unica appare oggi consolidata dalla prospettiva dell’Unione bancaria: contestare la violenza con cui essa esprime il comando capitalistico è necessario, immaginare un ritorno alle monete nazionali significa non capire qual è oggi il terreno su cui si gioca lo scontro di classe. Certo, l’Europa oggi è un’“Europa tedesca”, la sua geografia economica e politica si va riorganizzando attorno a precisi rapporti di forza e di dipendenza che si riflettono anche a livello monetario. Ma solo l’incanto neoliberale induce a scambiare l’irreversibilità del processo di integrazione con l’impossibilità di modificarne i contenuti e le direzioni, di far agire dentro lo spazio europeo la forza e la ricchezza di una nuova ipotesi costituente. Rompere questo incanto, che in Italia è come moltiplicato dalla vera e propria dittatura costituzionale sotto cui stiamo vivendo, significa oggi riscoprire lo spazio europeo come spazio di lotta, di sperimentazione e di invenzione politica. Come terreno sul quale la nuova composizione sociale dei lavoratori e dei poveri aprirà, eventualmente, una prospettiva di organizzazione politica. Certo, lottando sul terreno europeo, essa avrà la possibilità di colpire direttamente la nuova accumulazione capitalistica. E’ ormai solo sul terreno europeo che possono porsi la questione del salario come quella del reddito, la definizione dei diritti come quella delle dimensioni del welfare, il tema delle trasformazioni costituzionali interne ai singoli paesi come la questione costituente europea. Oggi, fuori da questo terreno, non si dà realismo politico.

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Rivolte del pensiero, dopo Foucault per riaprire il tempo

Posted: Dicembre 30th, 2013 | Author: | Filed under: Archivio, au-delà, bio, epistemes & società, Foucault, Marx oltre Marx, post-filosofia | 7 Comments »

Alias – di Beatrice Andreose, 13.9.2013

Michel1

Festival della filosofia. Mario Galzigna nel suo libro lancia la provocazione di unire l’empirico e il concettuale. Al pensiero in rivolta affida il compito di contrapporre “i futuri possibili”

Dal pen­siero in rivolta alle trame di futuro attra­verso una sov­ver­sione dif­fusa. Tal­volta, le rivolte del pen­siero, inter­se­cano il “movi­mento reale”, tal­volta sono disseminate,disperse, mole­co­lari. Costi­tui­scono sem­pre una pro­spet­tiva liber­ta­ria, lon­tana da disci­pline e potere, che Mario Gal­zi­gna ‚docente di Etno­psi­chia­tria e Sto­ria della cul­tura scien­ti­fica a Ca’ Foscari, ritrova in nume­rosi arti­sti ed in inso­spet­ta­bili opere. In Costru­zione di un edi­fi­cio del pit­tore fio­ren­tino Pie­tro Cosimo, ad esem­pio. Un qua­dro “intri­gante ed enig­ma­tico” scelto come imma­gine di coper­tina del suo ultimo libro “Rivolte del pen­siero. Dopo Fou­cault, per ria­prire il tempo” Bol­lati Borin­ghieri. Nel qua­dro, sot­to­li­nea Gal­zi­gna, il con­cetto di edi­fi­cio e l’ideale rina­sci­men­tale di costru­zione con­vi­vono. Scelte tema­ti­che e for­mali dell’artista che ignora i rife­ri­menti mito­lo­gici e reli­giosi della sua epoca per lasciar spa­zio ad un pro­getto“ che dischiude il tempo della civi­liz­za­zione a un futuro pos­si­bile”. Apre il pre­sente “ su sce­nari futuribili,dove pro­get­ta­zione e uto­pia diven­tano con­te­nuti dina­mici della tem­po­ra­lità”. Libro den­sis­simo, prosa ele­gante, in pre­fa­zione Mario Gal­zi­gna risponde alla pro­vo­ca­zione di Fou­cault( di cui è stato tra i più fedeli allievi ita­liani assieme ad Ales­san­dro Fon­tana), avviando una appro­fon­dita rifles­sione sul pen­siero che rompe le gab­bie della testua­lità, irrompe col vis­suto nella scena del mondo, intacca “alle radici la sovra­nità e l’autosufficienza del con­cetto”. Si tratta di un pen­siero in cui le cate­go­rie astratte tro­vano nell’esperienza la loro fonte di legit­ti­ma­zione “ Così si uni­sce ciò che la filo­so­fia ha sem­pre tenuto distinto: la vita ed il pen­siero, l’empirico ed il concettuale”scrive.

“Dispe­ranza” è il neo­lo­gi­smo che Gal­zi­gna conia per indi­care, la sot­tra­zione di futuro che affligge il nostro tempo schiac­ciato “sul deserto di un eterno pre­sente”. Al pen­siero in rivolta-e ai movi­menti di rivolta– affida il com­pito di con­trap­porre” i futuri pos­si­bili”. Si tratta di “ un com­pito poli­tico. Un com­pito filo­so­fico. Un nuovo oriz­zonte di senso per il pen­siero. Più mode­sta­mente, without vanity, una nuova pro­spet­tiva del nostro impe­gno intel­let­tuale e della nostra ricerca”.

Poi­ché, per dirla con Fou­cault, il carat­tere spe­ci­fico del potere è di essere repres­sivo e di repri­mere con una par­ti­co­lare atten­zione le ener­gie inu­tili, le inten­sità dei pia­ceri ed i com­por­ta­menti irre­go­lari, il pen­siero insor­gente e spae­sante pur essendo risul­tato spesso mino­ri­ta­rio nella sto­ria del pen­siero occi­den­tale, è tut­ta­via egual­mente fecondo e potente. Gal­zi­gna ritesse e incro­cia tra loro inven­zioni con­cet­tuali e forme este­ti­che di insorti d’eccezione, alcuni bor­der line, altri psi­co­tici, tutti geniali: da Ronald Laing, uno dei grandi padri dell’antipsichiatria euro­pea, al pit­tore Renè Magritte, dall’antropologo bra­si­liano Darcy Ribeiro al liber­tino Dide­rot. Ma prima di adden­trarci nel volume, una pre­messa sulla scrit­tura. L’autore uti­lizza un sug­ge­stivo regi­stro nar­ra­tivo che rompe le divi­sioni tra sag­gio e rac­conto, rispon­dendo così ad una esi­genza inte­riore di affer­rare l’evento in modo pre­gnante “resti­tuen­do­gli la sua irri­du­ci­bile spe­ci­fi­cità”. Al sag­gio alterna il rac­conto. Con quest’ultima forma scrive delle sue espe­rienze all’interno di due Ser­vizi di Salute Men­tale in con­te­sti psi­chia­trici, e di quella vis­suta in Bra­sile tra gli indios Gua­ranì a pro­po­sito dei quali riu­ti­lizza i con­cetti di sin­tesi disgiun­tiva e disgiun­zione creativa.

In quanto alla psi­chia­tria , lo spunto è dun­que un caso con­creto. Gal­zi­gna cita Roland Laing, psi­chia­tra non istituzionale,e parla di una seduta dove ad ela­bo­rare rispo­ste non è stato un sin­golo ma un col­let­tivo, un gruppo che pensa, che pro­duce pen­siero. “ Un pen­siero in rivolta esce da se stesso. Con­trad­dice se stesso. Si rivolge al mondo, cor­rode i dispo­si­tivi a cui appar­tiene: rompe abi­tu­dini con­so­li­date, desta­bi­lizza sce­nari ras­si­cu­ranti ed immo­bili, sma­sche­rando luci­da­mente l’arbitrio e la vio­lenza delle rela­zioni di potere che lo inclu­dono. Abi­tato dal fer­vore dell’istante, dalla temi­bile urgenza del dive­nire, dall’inquietudine del mol­te­plice, un pen­siero in rivolta con­tra­sta l’egemonia dell’uno e la tiran­nia dell’identico”. A pro­po­sito di fol­lia Gal­zi­gna parte da Fou­cault e parla di Esqui­rol che per la prima volta pschia­trizza le pas­sioni e l’erotismo. In un pas­sag­gio di grande effetto dia­let­tico richiama la neces­sità di legare assieme i saperi, i com­por­ta­menti, i modi di vita. “Per farlo occorre descri­vere, clas­si­fi­care, met­tere a fuoco la trama delle connessioni,il ven­ta­glio delle dif­fe­renze, lo spet­tro delle ana­lo­gie, il gioco delle somiglianze”.

Da pen­siero insor­gente ad altro pen­siero insor­gente: intri­gante il capi­tolo dedi­cato all’amato Anto­nin Artaud ed il suo tea­tro della cru­deltà. Artaud can­cella la scena desi­de­rando “l’impossibilità del tea­tro” e decre­tando così la fine di una duplice tiran­nia: quella del testo e quella dell’autore-creatore. Lo scrit­tore fugge dalla psi­coa­na­lisi, da cui si sente vio­len­tato, nono­stante si sot­to­ponga nel 1927 a dieci sedute col dot­tor Renè Allendy che aveva già seguito Anais Nin. Nel suo tea­tro la parola rompe col mondo della rap­pre­sen­ta­zione clas­sica e con i valori della cul­tura occi­den­tale che essa esprime. Diventa così la Parola che sta prima delle parole”: un lin­guag­gio sonoro, scrit­tura vocale che pre­cede la nascita del senso, che deve essere detta e reci­tata, più che ripro­dotta e tra­smessa. Che rap­pre­senta la potenza sonora del lin­guag­gio, la sua forza espan­siva, la sua pros­si­mità al grido”. In una let­tera a Gide, Artaud scrive “I gesti equi­var­ranno a dei segni, i segni var­ranno delle parole”. Nel suo attra­ver­sa­mento dispe­rato della fol­lia, docu­men­tata dalla tre­mila pagine dei Cahiers de Rodez, Artaud can­cella la cesura radi­cale tra anima e corpo, parola e esi­stenza, testo e carne e scor­pora la parola dall’insieme a cui appar­tiene ori­gi­na­ria­mente. Così come nella sua pit­tura che diventa pittogramma.

Nel capi­tolo dedi­cato ai liber­tini Gal­zi­gna descrive due visioni anta­go­ni­ste dell’erotismo fio­rite entrambe nel ‘700. Da una parte l’erotismo di Sade che separa il pia­cere dagli affetti. Dall’altro quello gio­coso e affet­tivo del grande Dide­rot pas­sando per Restif “ Una pro­ble­ma­tica di grande attua­lità che andrebbe ancora oggi ripen­sata” spiega. Infine il mistero nella pit­tura di Renè Magritte che nel suo L’impero delle luci rein­venta il con­cetto di sin­tesi disgiun­tiva e crea­tiva. “Un chiaro di luna a mez­zo­giorno” o “ sogno a mez­zo­giorno”, come lo defi­ni­sce lo stesso pit­tore in una let­tera scritta a Scu­te­naire nel novem­bre del 1959. Una vio­la­zione dei luo­ghi comuni, del nostro imma­gi­na­rio col­let­tivo, ovvero un pae­sag­gio not­turno e un cielo in pieno giorno che mette assieme in una stessa com­po­si­zione, pur man­te­nen­dole distinte, due dimen­sioni antagoniste:luce e buio, giorno e notte. Ed a pro­po­sito di sin­tesi disgiun­tive ecco l’affondo let­te­ra­rio dedi­cato agli amati Gua­ranì, un popolo oggetto di geno­ci­dio, che Gal­zi­gna incon­tra nell’ottobre 2012, durante un suo sog­giorno in Bra­sile “terra dei con­tra­sti”. Con­qui­stato dalla lin­gua del caci­que , vero e pro­prio capo spi­ri­tuale, Gal­zi­gna spiega la loro poli­tica anti­co­lo­nia­li­sta vista come una poli­tica di deco­lo­niz­za­zione del pen­siero. Per­ché, come scrive poco prima di morire un altro grande rivol­toso molto caro a Gal­zi­gna, l’antropologo bra­si­liano Darcy Ribeiro, “è meglio sba­gliare ed esplo­dere che pre­pa­rarsi per il nulla”.


Derive post-operaiste e cattura cognitiva

Posted: Dicembre 28th, 2013 | Author: | Filed under: bio, comune, comunismo, critica dell'economia politica, epistemes & società, philosophia, postoperaismo | Commenti disabilitati su Derive post-operaiste e cattura cognitiva

di Carlo Formenti

Dino Valls

Analizzando la svolta liberista delle socialdemocrazie europee, Luciano Gallino1 parla di “cattura cognitiva”, riferendosi alla doppia capitolazione delle organizzazioni tradizionali del movimento operaio di fronte alla controrivoluzione neoliberista: mancata opposizione agli attacchi del nemico di classe e sostanziale accettazione dei suoi paradigmi teorici (Gramsci avrebbe parlato di egemonia e di rivoluzione passiva). In un testo recente2, ho tentato di dimostrare come il processo di cattura cognitiva sia andato ben oltre i confini della socialdemocrazia, coinvolgendo anche la cultura dei movimenti e delle sinistre radicali. La breccia che ha consentito lo “sfondamento” del fronte ideologico anticapitalista è stata la rinuncia a descrivere il conflitto sociale in termini di lotta di classe. Nel testo citato nella nota precedente, ho messo al centro della mia analisi critica: 1) i “nuovi movimenti” che, dall’inizio degli anni Ottanta, hanno progressivamente spostato l’asse dei conflitti sociali verso le contraddizioni di genere, le tematiche ambientali e la lotta per l’estensione dei diritti individuali nel quadro della “democrazia reale” (con estrema approssimazione, si potrebbe parlare di uno slittamento dalla lotta per l‘uguaglianza socioeconomica alla lotta per il riconoscimento delle differenze culturali); 2) la lunga deriva del pensiero post-operaista, a sua volta in progressivo allontanamento dal concetto di classe. In questa sede mi occuperò esclusivamente di questo secondo bersaglio polemico, concentrando l’attenzione su un testo di Maurizio Lazzarato (3) che ho potuto leggere solo successivamente alla pubblicazione del mio ultimo libro.

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Stagnazione secolare

Posted: Dicembre 24th, 2013 | Author: | Filed under: BCE, crisi sistemica, epistemes & società, General | Commenti disabilitati su Stagnazione secolare

di Christian Marazzi

balletto

Secondo alcuni istituti di ricerca, l’anno prossimo l’economia svizzera dovrebbe cavarsela abbastanza bene, certamente se si guarda alle prospettive poco rosee dei paesi dell’eurozona.

Aumento delle espostazioni, grazie al nostro rapporto privilegiato con l’economia tedesca fortemente orientata alla crescita delle esportazioni; aumento, secondo alcuni istituti, addirittura della massa salariale, anche se in questo caso non si specifica a che livello della scala dei redditi.

Tanto meglio, vien da dire, se il nostro PIL è destinato a crescere attorno al 2%, anche se va detto che la crescita in sé non è garanzia di maggiore equità distributiva. Da anni i frutti della crescita non sgocciolano verso il basso, tanto che le disuguaglianze sono aumentate fortemente da noi come ovunque. E questo è “il” problema, certamente sociale, ma anche economico.

Non a caso alcuni economisti che guardano con disincanto al futuro delle economie occidentali parlano di “stagnazione secolare”, un periodo, che rischia di essere lungo, di domanda cronicamente debole e di crescita anemica, nella migliore delle ipotesi. Il rischio deflazione incombe sul mondo, in particolare in Europa, e se non sarà la grande depressione degli anni Trenta è solo grazie alla presenza della rete della sicurezza sociale, che comunque non pochi politici persistono nel voler ridurre. Ma, avvertono i più, il margine sostenibile di intervento dei governi è molto più risicato per il peso elevato della spesa pubblica. Tutto questo dopo cinque anni dall’esplosione della crisi durante i quali gli interventi delle autorità monetarie sono stati davvero straordinari, rivelandosi però più un sostegno ai mercati finanziari che non all’economia reale.

E quindi, che fare? Le ipotesi sono più o meno queste.Una ulteriore riduzione dei tassi reali d’interesse, nella speranza di rilanciare l’inflazione. Benché politicamente accettabile, non sembra proprio che i prezzi possano invertire la tendenza al ribasso con ulteriori iniezioni di liquidità.

L’altra ipotesi è quella di uscire dalla “bonus culture”, la cultura delle alte remunerazioni dei manager che da due decenni ormai ha visto le grandi imprese privilegiare i prezzi dei titoli azionari rispetto agli investimenti produttivi. Su questo fronte è più probabile assistere ad una riduzione degli stipendi del personale a fronte di un aumento dei dividendi distribuiti agli azionisti, sia per fidelizzarli che per attrarne di nuovi, soprattutto nel settore bancario, confrontato con i bisogni di ricapitalizzazione.

La terza ipotesi, quella che sembra la più ragionevole, è di sfruttare l’eccedenza di risparmio in circolazione per finanziare l’aumento degli investimenti pubblici, con particolare attenzione all’economia ecologicamente sostenibile. E’ quanto auspica ad esempio l’OCSE nel suo Rapporto annuale sull’allocazione dei fondi pensione.

Mediamente, solo lo 0,9% dei fondi pensione analizzati su scala europea è investito in infrastrutture pubbliche, il che è assurdo, dato che i rendimenti dei fondi e delle infrastrutture dovrebbero convergere nel medio-lungo periodo, e questo nell’interesse della collettività.

Certo è che se non si affronta con determinazione il rischio della “stagnazione secolare”, tentando nuove vie e senza paura di commettere possibili errori, nessun ottimismo di fine anno riuscirà a tranquillizzarci.