Posted: Ottobre 19th, 2013 | Author: agaragar | Filed under: bio, Japan, kunst, vita quotidiana | Commenti disabilitati su Per una genealogia dell’immaginario tentacolare. “Tentacle erotica. Orrore, seduzione, immaginari pornografici” di Marco Benoît Carbone
di Elisa Fiorucci e Antonello Festa
Benoît Carbone, Tentacle Erotica. Orrore, seduzione, immaginari pornografici, Mimesis, Milano-Udine, 2013 ISBN:978-88-5751-673-8. Prefazione di Massimo Fusillo
Partiamo da un tentativo di definizione. Benché il Tentacle Erotica – o Tentacle Rape, oppure ancora Tentacle Porn – non rappresenti un corpus unico e unidirezionale, esso fa riferimento ad uno strano tropo visuale che fa leva sul potenziale metaforico del polpo. E che, a partire dall’ultimo decennio, si intreccia ad una particolare declinazione dell’immaginario sessuale in cui entità dotate di tentacoli – che hanno nel polpo la matrice comune – intrecciano rapporti sessuali con personaggi umani, per lo più figure femminili di cui non sempre è certa la consensualità.[1]
Attraverso questa “cartografia dei movimenti dell’immaginario” legati alla figura retorica del polpo, Marco Benoît Carbone rende conto dell’ evoluzione del porno tentacolare in un’ottica transnazionale, fino alla sua configurazione nel panorama transmediale contemporaneo. La sua ricerca, dettagliata, meticolosa, complessa, restituisce al lettore la varietà di forme espressive attraverso cui si irradia il tentacle erotica, seguendo il continuum antropologico-estetico che dai primi shunga del Giappone del primo Ottocento, giunge fino alla ricomposizione di una matassa variegata di riferimenti, resa possibile da Internet, a cui si assegna finalmente un nome – comprovato dall’apparizione della sua definizione in strumenti come wikipedia.
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Posted: Ottobre 18th, 2013 | Author: agaragar | Filed under: anthropos, arts, au-delà, bio, critica dell'economia politica, digital conflict, epistemes & società, kunst, post-filosofia | Commenti disabilitati su Dall’ecografia alla farmacologia: Bernard Stiegler e Ars Industrialis
di PAOLO VIGNOLA
Quando Derrida e Stiegler pubblicarono Ecografie della televisione era la metà degli anni Novanta, periodo in cui molti filosofi decisero di dedicare le proprie riflessioni al tubo catodico, e in quel libro i due autori, in linea con l’orientamento generale, ragionavano sulle trasformazioni sociali e politiche prodotte dal progresso «teletecnologico». I cambiamenti conseguenti a questa inedita esplosione mediatica, che comprendeva anche la prima dimensione autenticamente pubblica di Internet, riguardavano innanzitutto il processo di democratizzazione su scala globale[1] nonché, parallelamente ad esso, il fenomeno di omogeneizzazione culturale causato in primo luogo dall’egemonia del mercato nello sviluppo della globalizzazione.
L’obiettivo etico politico principale di Ecografie della televisione, condiviso dai due autori, era quello di promuovere al tempo stesso l’interattività mediatica e le armi critiche, necessarie agli individui per non soccombere di fronte alla potenza tecnologica. Per fare ciò, Derrida e Stiegler ritenevano necessario partire da un processo di alfabetizzazione riguardante la tecnica delle immagini televisive, dei software e dei dispositivi digitali, al fine di costruire una rete di vigilanza o di opposizione nei confronti dell’omologazione culturale indotta dalla globalizzazione.
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Posted: Ottobre 18th, 2013 | Author: agaragar | Filed under: au-delà, philosophia, post-filosofia | Commenti disabilitati su L’istante della mia morte
di M. Blanchot. Segue commento di J. Derrida
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Posted: Ottobre 13th, 2013 | Author: agaragar | Filed under: 99%, anthropos, au-delà, bio, kunst, Marx oltre Marx, post-filosofia, Révolution, situationism | 73 Comments »
[gf 29.11.2012]
1. Il destino delle comunità politiche, ovvero delle forme comunitarie dell’esistenza politica, per come esso ci è stato consegnato dal XX secolo, è un destino segnato, e come tale senza alcuna speranza. Le ultime forme della lunga storia delle politiche “di comunità” attengono sostanzialmente, nelle loro diverse declinazioni, a quelle che l’antropologo Ernesto De Martino non avrebbe avuto difficoltà ad inserire tra le “comunità del lutto”. Una comprensione adeguata di tale “agire in comunità”, secondo l’espressione di Weber, implica però la genealogia della stessa forma comunitaria dell’esistenza politica: in questo senso, possiamo dire che che la “modernità”, o quantomeno quella modernità politica che attraversa le esplosioni rivoluzionarie dell’800 e del ‘900, si caratterizza per l’esistenza di certe forme di comunità politica. Da questo punto di vista ciò che è moderno può essere distinto da ciò che moderno non è – ed è quindi precedente o successivo – anche in base alle rappresentazioni sceniche e alle posture soggettive e del politico, ovvero, proseguendo lungo questo asse, attraverso certe forme specifiche di “agire in comunità”. Diversamente detto: se è possibile riconoscere la “modernità”, come Foucault ha intuito nei suoi ultimi anni di lavoro, per l’esistenza di alcune e non di altre forme di “condotte”, ovvero di “stili di vita”, occorre anche intravedere in che termini queste condotte abbiano prodotto valori e spazi simbolici per la scena della politica: come Rancière ha chiarito a proposito del “disaccordo” intrinseco al politico, di cui Machiavelli parlava citando alla sua maniera la diatriba tra patrizi e plebei nell’antica Roma e l’indisponibilità dei nobili a comprendere nel campo politico chi “non poteva” avere voce politica, nelle Istorie fiorentine, il problema cruciale della fondazione politica è, per la modernità, quella dello “spazio scenico” e conseguentemente della tracciabilità tra un “noi” e un “loro”. Ed è proprio questa divisione del sociale che verrebbe neutralizzata nelle mitologie, e nelle pratiche, dell’agire in comunità. La politica è dov’è la comunità: oltre è terra di nessuno. Una vera decostruzione di questa terminologia della “comunità politica” è possibile solo nei termini di una decostruzione delle pratiche su cui essa si è fondata e che l’hanno a loro volta perpetuata. In questo senso, occorre tornare a pensare le forme di comunità politica che hanno storicamente costituito la modernità occidentale e che hanno collaborato per definire la scena pubblica della sua “politica” innanzitutto come degli orizzonti simbolici in cui determinate forme di agire individuale – pensiamo alle forme cooperative di metà Ottocento o ai club giacobini – si sono riconosciute e, nel riconoscersi, hanno dato vita e senso ai destini biografici di milioni di individui.
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Posted: Ottobre 11th, 2013 | Author: agaragar | Filed under: 99%, comune, comunismo, crisi sistemica, critica dell'economia politica, Marx oltre Marx, postcapitalismo cognitivo, postoperaismo | Commenti disabilitati su Marazzi: la moneta corrente del liberismo
di Christian Marazzi
«Banche e crisi» di Sergio Bologna per DeriveApprodi
Le basi materiali del dominio finanziario sono nei nuovi modelli produttivi, nell’«innovazione» permanente della logistica, della circolazione delle merci e del mercato del lavoro
C’è sempre un po’ d’azzardo editoriale nella pubblicazione di testi apparsi ormai nel corso di alcuni decenni, a maggior ragione quando si passa dal Marx che studia, come corrispondente del New York Daily Tribune, la prima crisi monetaria e finanziaria «moderna» (1856-1857), alla storia del rapporto tra petrolio e mercato mondiale, alla funzione della logistica e dei porti come «integratori di sistema» e come riedizione della logica della crisi dei subprime, esempio dell’intreccio tra processi produttivi e di circolazione delle merci e finanziarizzazione, con saggi pubblicati tra il 2012 e il 2013. Per chi questi scritti li ha letti man mano che uscivano, si tratta di una bella occasione per rivivere alcuni passaggi fondamentali della storia del pensiero critico di un «operaista indipendente» quale è sempre stato Sergio Bologna, ma per un giovane di vent’anni che, immerso anima e corpo nella crisi odierna che ha una gran voglia di agire e di costruire collettivamente nuovi strumenti di analisi e interpretazione del capitalismo finanziario (fatiscente? ipermaturo?), la fruizione de Banche e crisi. Dal petrolio al container (DeriveApprodi, pp. 200, euro 17), non è immediatamente evidente. Oltretutto in un periodo in cui la letteratura sulla crisi finanziaria è ormai sterminata e la lettura quotidiana del Sole 24 Ore o del Financial Times per capire dove va lo spread, i rendimenti sui titoli del debito sovrano, il tasso di cambio tra Euro e dollaro, le decisioni della Federal Reserve sui tassi d’interesse direttori e altre cosucce del genere, lascia poco tempo allo studio delle contraddizioni strutturali del sistema economico capitalistico.
Un giornalista chiamato Marx
«Per leggere Marx occorre avere una forte tensione politica presente», scrive Bologna; Marx «ti prende semplicemente per il braccio e ti dice…guarda da questo angolo visuale». Sotto questo profilo, per così dire metodologico, la Postfazione di Gian Enzo Duci, Crisi e intelligenza della merce, è davvero molto utile, oltre che luicida e riassuntiva di alcuni dei contributi più significativi dell’opera di Bologna che, anche lui, ti prende per il braccio e «cerca di far vedere, non per forza credere, qualcosa di più» su quanto sta accadendo nel mondo «marxiano» della merce. Ad esempio, la inarrestabile crescita dell’offerta navale e il parallelo sviluppo delle infrastrutture portuali, il crescente intervento della finanza nel mondo dello shipping, il rapporto tra produzione di mezzi di traporto e domanda, guardando però anche alle merci trasportate all’interno del mercato mondiale, la crisi da sovraproduzione sempre in agguato, così simile a quella dei subprime o di qualsiasi altra merce che i mercati finanziari da una trentina d’anni a questa parte selezionano e trasformano da valore d’uso in asset finanziario, eleggendo di volta in volta queste merci regine a «convenzioni collettive», come Keynes scriveva nella sua Teoria generale del 1936, e che oggi chiamiamo bolle finanziarie, processi alimentati dal credito bancario, modalità razionali attraverso cui il capitale realizza profitti a breve termine, per poi esplodere puntualmente, lasciando dietro di sé macerie, svalutazione della ricchezza sociale, povertà e disperazione umana.
Gli scritti di Bologna sullo shipping, il too big to fail delle corporations del mare, le infrastrutture portuali, sono di tale attualità che, nell’editoriale del febbraio del 2013, la più autorevole rivista mondiale sul traffico marino «Containerisation International», invitava i suoi lettori (non proprio gli stessi de il manifesto) a leggere uno dei suoi saggi «se volevano chiarirsi le idee». E, per tornare a noi, Marx, oltretutto il Marx giornalista che si occupa dell’attualità della crisi pensando al futuro Das Kapital, come entra nel lavoro teorico e analitico di Sergio Bologna? Quel saggio del 1973, riletto oggi, è straordinariamente attuale. Per tanti motivi: apparse a due anni dalla decisione statunitense di rendere il dollaro inconvertibile, vera e propria «rivoluzione dall’alto» che ha dato avvio all’uscita non solo dal sistema monetario di Bretton Woods, ma anche, verso la fine degli anni Settanta, dal modello fordista, traghettando il capitale mondiale nell’epoca attuale, quella appunto del capitalismo finanziarizzato.
Diede avvio, quel saggio, a un programma di lavoro all’interno della rivista Primo Maggio, e da allora molti di coloro che vi parteciparono non hanno smesso di studiare la moneta e le crisi finanziarie. Un bell’esempio, anch’esso particolarmente attuale, di metodo di lavoro legato al presente ma con lo sguardo rivolto al futuro, ai gangli sociali e soggettivi della rivoluzione capitalistica, alla crisi-trasformazione della composizione sociale, insomma alla lotta di classe.
La forma del valore
La vera attualità nella lettura che Bologna fa di Marx nel bel mezzo di un dibattito marxista tanto entusiasmante quanto, già allora, decisamente in declino, è l’analisi del rapporto inscindibile, circolare, tra merce e moneta. Non era e non è ancora evidente in ambito marxista, dato che molto spesso si guarda a merce e moneta in modo schizofrenico, privilegiando una volta la prima, un’altra la seconda. La moneta del Marx letto da Bologna è forma del valore delle merci, espressione del lavoro all’interno dell’intero circuito del capitale, dalla compra-vendita della forza-lavoro alla realizzazione monetaria dei profitti, e che in questo periplo circolatorio assume funzioni diverse. Forma del valore, non equivalente generale-universale (che della forma-valore è una funzione tra le altre), come praticamente tutta la tradizione marxista ha sempre teorizzato, anche quando il sistema monetario internazionale aveva tagliato il cordone ombelicale tra denaro oro come «merce Regina», passando a un regime monetario in cui la creazione di liquidità ex nihilo la fa decisamente da padrone. È questa lettura del denaro in Marx che permetterà di seguire le trasformazioni future tenendo ben fermo lo sguardo sulla produzione e la riproduzione del capitale come rapporto sociale, e non come mero rapporto tra quantità di lavoro astratto contenuto nelle merci.
L’emergenza dei nuovi soggetti «dentro e contro» la transizione al postfordismo, il problema immanente di come comandare monetariamente il lavoro vivo ormai disperso nella società, la vita dell’uomo flessibile, non è possibile senza questo sguardo «disciplinare» unitario. Ne va della comprensione di tutto quanto sta accadendo nella sfera non solo della circolazione delle merci, ma, quel che a tutti noi interessa politicamente, della riproduzione della merce forza-lavoro, della sua vita messa al lavoro. Una riproduzione priva di equivalenti generali di riferimento, orfana dell’«ultima istanza», se non quel nostro essere singolarità fluttuanti, corpi, alla ricerca di un nuovo punto di vista collettivo, di nuove parole per lottare assieme. Di nuove forme di vita.
Posted: Ottobre 9th, 2013 | Author: agaragar | Filed under: anthropos, bio, epistemes & società, racisme | Commenti disabilitati su Decolonizzare la cultura. Razza, sapere e potere: genealogie e resistenze
Intervista a L. Franceschini autore del volume “Decolonizzare la cultura. Razza, sapere e potere: genealogie e resistenze” a cura di F. Della Sala.
F. Della Sala: Ci troviamo qui con Leonardo Franceschini per presentare il suo libro dal titolo “Decolonizzare la cultura. Razza, sapere e potere: genealogie e resistenze“. Come da titolo, il saggio propone di analizzare il concetto e le forme del razzismo attraverso un dettagliato percorso storico e filosofico. Prima di affrontare i temi trattati nello scritto, è bene comprendere le motivazioni che hanno portato alla sua stesura. Oggi il problema del razzismo viene trattato con urgenza dai media, dalla politica ma anche gli stessi intellettuali, filosofi e letterati che hanno denunciato a più riprese il fenomeno. E’ però interessante notare come, malgrado ciò, sembra che il Suo lavoro metta in discussione queste posizioni, in quanto solo apparentemente critiche. Anzi, nella conferenza da Lei tenuta a Barcellona dichiara apertamente che le campagne antirazziste dei media e della politica sono in realtà limitanti, in quanto solo “una delocalizzazione epistemica” può realmente produrre risultati concreti nella lotta contro il fenomeno del razzismo. Per riassumere, la sua posizione è dunque apertamente critica nei confronti del razzismo, ma anche profondamente scettica verso l’atteggiamento antirazzista sino ad oggi proposto. Partendo da simili premesse, quali sono state le motivazioni che hanno portato alla stesura di questo libro che, in tal senso, pretende di far maggior luce sul fenomeno razzista anche in quelle zone d’ombra spesso dimenticate da giornalisti, politici ed intellettuali?
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qui la seconda parte dell’intervista
Posted: Ottobre 9th, 2013 | Author: agaragar | Filed under: 99%, comune, comunismo, crisi sistemica, critica dell'economia politica, donnewomenfemmes, epistemes & società, Marx oltre Marx, postoperaismo, Révolution | Commenti disabilitati su Inchiesta operaia e lavoro di riproduzione
di ALISA DEL RE
Pubblichiamo il contributo di Alisa Del Re all’ultimo numero di Viewpoint Magazine sull’inchiesta operaia, appena pubblicato
Uso politico dell’inchiesta operaia
La proposta originaria di una “inchiesta statistica sulla situazione delle classi lavoratrici” fu formulata per la prima volta da Marx nelle Istruzioni per i delegati del consiglio centrale provvisorio dell’associazione internazionale dei lavoratori, nel 1867, poi ripresa nel 1880. L’intento era di portare alla luce quei “fatti e misfatti”, relativi all’organizzazione del lavoro e al processo di produzione e di vita, che il potere borghese deliberatamente occulta o quanto meno mistifica.
Nel 1964 Raniero Panzieri[1] interviene sul tema “Scopi politici dell’inchiesta”[2] presentandolo in questi termini: “Noi abbiamo degli scopi strumentali, evidentemente molto importanti, che sono rappresentati dal fatto che l’inchiesta è un metodo corretto, efficace e politicamente fecondo per prendere contatto con gli operai singoli e gruppi di operai. Questo è uno scopo molto importante: non solo non c’è uno scarto, un divario e una contraddizione tra l’inchiesta e questo lavoro di costruzione politica, ma l’inchiesta appare come un aspetto fondamentale di questo lavoro di costruzione politica. Inoltre il lavoro a cui l’inchiesta ci costringerà, cioè un lavoro di discussione anche teorica tra i compagni, con gli operai ecc., è un lavoro di formazione politica molto approfondita e quindi l’inchiesta è uno strumento ottimo per procedere a questo lavoro politico”.
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Posted: Ottobre 9th, 2013 | Author: agaragar | Filed under: 99%, arts, au-delà, bio, crisi sistemica, digital conflict, epistemes & società, post-filosofia, postcapitalismo cognitivo, postoperaismo, Révolution | Commenti disabilitati su DOPO IL FUTURO:DAL FUTURISMO AL CYBERPUNK.L’ESAURIMENTO DELLA MODERNITA’
di Tiziana Terranova
Bifo_futuroFranco Berardi (Bifo), Dopo il futuro: Dal Futurismo al Cyberpunk. L’esaurimento della Modernità, DeriveApprodi, Roma 2013, pp. 136, € 14.00
In una delle sue lezioni al Collège de France, Michel Foucault offre questa spiegazione del rapporto tra il sapere dell’intellettuale e la lotta. Non spetta all’intellettuale esortare il popolo alla lotta (‘battetevi contro questo in tale o talaltro modo’), piuttosto quello che il sapere dovrebbe fare è dire, rivolgendosi a coloro che vogliono lottare, ‘se volete lottare, ecco dei punti chiave, delle linee di forza, delle zone di chiusura e di blocco’1. È chiaro che nonostante il titolo del nuovo libro di Franco Berardi sia carico di parole quale ‘dopo il futuro’ e ‘esaurimento’, esso non può fare a meno o non intende dissaduere dalla lotta, dalla ricreazione del futuro, non è un libro cioè che ci dissuade da quell’atto fondamentale per qualsiasi pratica politica costituente che è credere nel mondo. E tuttavia, da schizoanalista qual è, si tratta di un libro che pone pesantemente l’accento sui blocchi del desiderio e quindi delle lotte, o nei termini del libro, esso pone la centralità della questione della sensibilità, dell’empatia e dell’etica. Si tratta di un libro che pratica l’arte schizoanalitica della diagnosi, mettendo in evidenza tutta una serie di sintomi, culturali e sociali, che mostrano l’evoluzione e l’esaurimento di quella idea di futuro che ha giocato un ruolo fondamentale nei movimenti politici del novecento, e le conseguenze oggi del suo esaurimento.
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