Nella teoria economica dominante, il concetto d’impresa è sinonimo di libera iniziativa privata, è l’esprit del capitalismo. Il termine stesso deriva da “intrapresa”, ovvero l’iniziativa del fare, legato all’attività individuale.
Nella Teoria dell’Equilibrio Economico Generale (Walras, 1974), l’attività d’impresa non a caso coincide con l’attività individuale. Il processo economico viene descritto come un’unica attività di scambio tra agenti economici (individui) che si scambiano le merci che possiedono, o perché proprie dotazioni iniziali, o perché accumulate nel passato al fine di ottenerne un guadagno (utile). Non esistono classi (aggregati) sociali né organizzazioni. Il sistema economico è così definito da un numero finito di agenti economici, il cui comportamento è caratterizzato da razionalità strumentale, “path-independency”, preferenze diverse e struttura informativa più o meno completa e perfetta. Ogni agente economico è in grado di individuare una funzione obiettivo, che si diversifica sulla base non solo delle preferenze ma anche delle dotazioni di partenza, retaggio del tempo passato. Preferenze e dotazioni, tuttavia, non costituiscono un vincolo alle potenzialità individuali. La storia passata non conta più di tanto e tutto il problema economico è racchiuso nel presente oppure, meglio, nell’attualizzazione delle attese future. Nella diversità, dunque, gli individui hanno pari opportunità e potenzialità, seguono cioè la stessa legge di comportamento senza alcuna discriminazione: sono individui liberi e potenzialmente uguali.
Posted: Marzo 29th, 2012 | Author:agaragar | Filed under:comune | Commenti disabilitati su benecomunismo
Manifesto per un soggetto politico nuovo
per un’altra politica nelle forme e nelle passioni
Non c’è più tempo
Oggi in Italia meno del 4% degli elettori si dichiarano soddisfatti dei partiti politici come si sono configurati nel loro paese. Questo profondo disincanto non è solo italiano. In tutto il mondo della democrazia rappresentativa i partiti politici sono guardati con crescente sfiducia, disprezzo, perfino rabbia. Al cuore della nostra democrazia si è aperto un buco nero, una sfera separata, abitata da professionisti in gran parte maschi, organizzata dalle élite di partito, protetta dal linguaggio tecnico e dalla prassi burocratica degli amministratori e, in vastissima misura, impermeabile alla generalità del pubblico. È crescente l’ impressione che i nostri rappresentanti rappresentino solo se stessi, i loro interessi, i loro amici e parenti. Quasi fossimo tornati al Settecento inglese, quando il sistema politico si è guadagnato l’epiteto di ‘Old Corruption’.
In reazione a tutto questo è maturata da tempo, anche troppo, la necessità di una politica radicalmente diversa. Bisogna riscrivere le regole della democrazia, aprirne le porte, abolire la concentrazione del potere ed i privilegi dei rappresentanti, cambiarne le istituzioni. E allo stesso tempo bisogna inventare un soggetto nuovo che sia in grado di esprimersi con forza nella sfera pubblica e di raccogliere questo bisogno di una nuova partenza. I due livelli – la democratizzazione della vita pubblica del paese e la fondazione, anche a livello europeo, di un soggetto collettivo nuovo, si intersecano e ci accompagnano in tutto il manifesto. Le nostre sono grandi ambizioni ma siamo stanchi delle clientele che imperversano, dell’appiattimento della politica su un modello unico, delle partenze che non partono. E poi, con la destra estrema che alza la testa in tutta l’Europa, si fa sempre più pressante lo stimolo ad agire, a non lasciare una massa di persone in balia alle menzogne populiste.
Written: in the first half of 1844;
First published: in full in Marx/Engels, Gesamtausgabe, Erste Abteilung, Band 3, Berlin, 1932;
First English Translation: by Clemens Dutt for the Collected Works.
Marx used a translation of Mill’s book, by J. T. Parisot, Paris, 1823.
Marx kept a wide variety of notebooks throughout his life. He often used them to aid in his study of other authors. A common practice was to transcribe long sections from a particular book, and then comment on those sections at some length.
During his time in Paris, Marx kept nine notebooks – largely dedicated to his growing interest in economics. They date from the end of 1843 to January 1845.
The “Paris Notebooks” deal with books by J. B. Say, Adam Smith, David Ricardo, McCulloch, James Mill, Destott de Tracy, Sismondi, Jeremy Bentham, Boisguillebert, Lauderdale, Schütz, List, Skarbek and Buret. Most of Marx’s accompanying commentary on these authors is very fragmentary; and, ideas are often restated far more clearly in the Economic and Philosophic Manuscripts (1844).
‘A spontaneous loss of enthusiasm’: workplace feminism and the transformation of women’s service jobs in the 1970s – Dorothy Sue Cobble
An analysis of the gendered dynamics in the class struggle in the 1970s US service sector.
In 1972, a group of tired stewardesses tried to explain their concerns to the incredulous male transit union officials who led their union. No, the primary issues were not wages and benefits, they insisted, but the particular cut of their uniforms and the sexual insinuations made about their occupation in the new airline advertisements. Their words fell on deaf ears. Despite their commonalities as transportation workers, the gender gap separating the two groups was simply too wide to cross. Indeed, male subway drivers could not understand why the stewardesses would object to their glamorous sex-object image. Deeply held gendered notions of unionism and politics also stood in the way of communication.
di Giulio Palermo (compagno, ricercatore di economia politica)
palermo@eco.unibs.it – eco.unibs.it/~palermo
su kaosenlared.net il documento di Giulio Palermo in Castigliano
(traducido por Zeistar – zeistar17@gmail.com)
La crisi del debito pubblico in Europa impone dure misure restrittive che si abbattono su una situazione economica già critica. Secondo le istituzioni internazionali e i governi nazionali non c’è altra via d’uscita: pagare il debito è l’unica cosa da fare.
La gente protesterà, ma non si può vivere perennemente al di sopra dei propri mezzi.
Lo stato deve ora onorare i suoi debiti, anche a costo di adottare misure impopolari.Niente mostra meglio la distanza che esiste tra stato e popolo della rabbia sociale espressa fuori del Parlamento greco, mentre all’interno gli onorevoli onoravano i loro impegni con la comunità internazionale, approvando i provvedimenti indicati dalla Banca centrale europea, l’Unione europea e il Fondo monetario internazionale, in difesa del potere bancario. Senza più alcuna mistificazione, lo stato schiaccia il proprio popolo, come misura necessaria a salvare il capitale internazionale.
1) L’immagine surrealista e il cinema
a cura di Renzo Principe
Il cinema “critico-espressivo” e l’immagine surreale *
Il rapporto tra cinema e surrealismo richiederebbe una analisi strutturale dettagliata dei film che sono classificati sotto il titolo di cinema surrealista [1] . Esso comprende un arco di tempo breve che va dal 1927 al 1932, anno in cui è stato prodotto Las Hurdes di Buñuel e Pierre Unik e che chiude il periodo storico del surrealismo cinematografico. Tuttavia, mi sono limitato a riportare solo ciò che era indispensabile per capire quali elementi teorici uniscono il cinema alla “poetica surrealista”. Per un ulteriore approfondimento rinvio alla bibliografia dell’analisi strutturale di questi film che è sconfinata come lo è del resto quella sul surrealismo in generale.
Come prima approssimazione, potremmo dire che in ogni misticismo c’è l’esperienza della perdita, cioè un sentimento positivo della mancanza che porta al bisogno di superare tale condizione alienante, attraverso una illuminazione immediata.
Nonostante B. Russel sia un esponente del Positivismo logico, per il nostro discorso è emblematico il modo in cui egli mette a fuoco il rapporto tra atteggiamento mistico e logica. Dal loro confronto egli ricava non una condanna del pensiero intuitivo, ma una alta considerazione dell’immediatezza, anello di congiunzione tra teoria e prassi, tra ragione e sensibilità. Secondo Russel, proprio nell’esperienza dell’illuminazione immediata risiede la credenza in una Realtà superiore[1].
A più di una settimana dalla conclusione della ristrutturazione del debito greco, può essere utile, a mente più serena, ripercorrere e valutare le tappe che hanno portato ad un vero e proprio default controllato.
Il 9 marzo scorso si è chiuso l’operazione di scambio (swap) di titoli di Stato greci che ha coinvolto i creditori privati. Da un punto di vista tecnico, la maggior parte degli investitori istituzionali e privati, che hanno dato la propria adesione, hanno accettato di cambiare i propri titoli con nuovi titoli di minor valore: in particolare, i vecchi titoli di stato sono stati scambiati con:
a. nuove obbligazioni con scadenze comprese fra il 2023 e il 2042 dal valore nominale complessivo pari al 31,5% dei titoli originariamente in possesso (quindi una svalorizzazione del 68,5%);
b. un warrant (titolo finanziario particolare) emesso dalla repubblica ellenica con importo nominale pari al 31,5% (quindi una svalutazione ancora del 68,5%) e scadenza nel 2042 che darà diritto al pagamento di interessi annuali nel caso in cui la Grecia dovesse osservare il previsto percorso di crescita del Pil.
c. nuovi titoli zero coupon emessi dall’Efsf (Fondo europeo di stabilità finanziaria) con scadenze a 12 e 24 mesi aventi un valore nominale pari al 15% (perdita dell’85%).
In conclusione si è trattata di una riduzione del valore dei titoli di stato greci mediamente pari al 73% del valore nominale. Il risultato è stato un taglio netto del debito greco privato da 206 a 107 miliardi di euro, pari a più di un terzo del debito complessivo.
Tale riduzione ha prevalentemente interessato le grandi banche europee. L’adesione degli istituti di credito all’offerta di concambio è stata, comunque, massiccia. Le 450 aziende rappresentate dalla Institute for International Finance hanno accettato tale taglio su un patrimonio complessivo vicino ai 110 miliardi di euro. Come dire che dalla sera alla mattina hanno cancellato 80 miliardi dall’esposizione di Atene In realtà quasi tutti gli istituti avevano già svalutato in bilancio tra il 50 e il 70% il valore dei loro bond ellenici e di conseguenza lo swap greco ha ridotto ulteriormente il valore patrimoniale dei titoli in questione solo del 10-20%. Tra gli italiani le Generali hanno perso 328 milioni, Intesa Sanpaolo 593 e Unicredit 316 (dati: http://www.iif.com).
Se ci si limitasse a queste brevi osservazioni (come hanno fatto alcuni organi di stampa) potrebbe sembrare che l’onere della ristrutturazione del debito greco tramite il default controllato ricada quasi completamente sulle spalle dei mercati finanziari. Le cose in realtà non stanno affatto così. Vediamo perché.
In primo luogo, occorre notare che il sacrificio vale la candela. Un default disordinato avrebbe non solo azzerato (in sostanza) il valore dei bond greci, ma soprattutto falcidiato quello dei titoli di stato degli altri paesi a rischio come Italia, Spagna e Portogallo. Un’ipotesi da incubo visto che solo le prime 20 banche continentali, per dare un’idea, a dicembre scorso, avevano in portafoglio 381 miliardi di titoli dei cosiddetti Piigs.
In secondo luogo, contemporaneamente alla ristrutturazione del debito greco, le banche europee hanno ottenuto prestiti dalla Banca Centrale Europea per un valore di circa 530 miliardi di euro ad un tasso d’interese minimo, intorno all’1% (con un tasso d’inflazione che si aggira intorno al 2,5-2,8%, per un valore rale negativo): una somma di liquidità che si aggiunge ai circa 480 miliardi già stanziati nello scorso mese di novembre. Di fatto, le banche europee e i principali investitori istituzonali possono contare su nuova liquidità superiore a 1000 miliari di euro!
Tale somma di denaro solo in minima parte è stata utlizzata per finanziare attività di investimento. L’ultimo Bollettino della Banca Centrale d’Italia ha evidenziato come le condizioni di credito per le imprese, soprattutto quelle di piccole dimensioni, si siano fatte critiche, incrementando forme di restrizione crditizia (credit crunch), nonostante che le principali banche italiano abbiamo usufruito prestiti dalla Bce per un valore pari a 220 miliari di euro (cfr. Bollettino Economico della BdI, Numero 67, Gennaio 2012). Risulta allora evidente come questa liquidità sia stata riinvestita nei mercati speculativi, in particolare nell’acquisto di titoli di stato italiani, spagnoli, irlandesi ecc., oggi acquistabili a prezzi molto ridotti. Non stupisce a fronte di questa situazione il fatto che i differenziali tra i tassi d’interesse (spread) si siano ridotti e gli indici azionari abbiano ripreso a salire.
In terzo luogo, occorre ricordare che il Fondo Europeo Salva Stati e il FMI come contropartita delle politiche di austerity hanno concesso un nuovo prestito di circa 130 miliardi di euro alla Grecia, esclusivamente finalizzato a garantire (dietro commissariamento europeo del bilanco pubblico greco) il pagamento degli interessi promessi sui nuovi titoli di Stato allo stesso sistema bancario.
Sulla base di queste considerazioni, si può facilmente comprendere come lo swap greco, apparantemente sfavorevole alle banche europee, sia stato in realtà una grande affare. Tutto bene, dunque? Niente affatto. Non ci si può infatti dimenticare che nel corso del 2011 e nell’ultima manovra finanziaria di gennaio 2012 (http://uninomade.org/politiche-dausterity-e-ristrutturazione-del-debito-in-grecia/), il popolo greco ha visto un tracollo delle proprie condizioni di vita: taglio di un terzo degli stipendi e un’età pensionabile che sale di dieci anni, disoccupazione giovanile record, che supera il 50%, svendita del patrimonio pubblico, aumento dell’Iva al 23%, taglio dei sussidi sociali, ecc., ecc. Questo il prezzo che i cittadini greci hanno pagato per la crisi che ha investito il paese. Un prezzo che è stato, quindi, imposto per una triplice finalità: garantire il pagamento degli interessi ai creditori che accettano la svalutazione dei titoli di Stato in loro possesso; consentire il nuovo finanziamento da parte del FMI e del Fondo Europeo Salva Stati; infine il commissariamento da parte del FMI dei conti pubblici statali, in altre parole la perdita della sovranità fiscale nazionale.
Il default controllato della Grecia ci insegna due cose: che un debito pubblico può essere ristrutturato se è organizzato dall’alto. E che ora si apre la battaglia perché il defaut possa essere agito dal basso. Al riguardo, lo strumento dell’audit diventa imprescindibile come strumento di agitazione del conflitto.
A leggere oggi Essere e tempo[1], in particolare alcune sue pagine (penso al cap. V della prima parte dedicato alla situazione emotiva che l’uomo si trova a vivere), la sensazione è quella di essere gettati senza troppi complimenti dentro una realtà che conosciamo bene. Nella vita inautentica e deietta analizzata in quelle pagine ritroviamo la nostra forma di vita oggi, dopo che tutti gli sforzi collettivi per cercare di cambiarla sembrano falliti.
Da parte sua Heidegger non aveva dubbi in proposito: la deiezione (Verfallen), scriveva, è una determinazione esistenziale di cui non possiamo liberarci perché qualifica il nostro rapporto quotidiano con il mondo. Heidegger, come sappiamo, sceglie accuratamente le sue parole chiave nel vocabolario greco e latino. Questo sostantivo deriva dal tardo latino deiectionem che noi oggi traduciamo tranquillamente con defecazione, feci, escrementi. Il verbo d’origine è deicere, che in latino significa gettare giù, gettare fuori. Per Heidegger (§38) la deiezione è una sorta di moto vorticoso in cui precipitiamo per scendere al livello delle cose. Così la nostra espressione vita di merda acquista un sapore particolare se ripensata in quest’ottica heideggeriana. Solo che per Heidegger questa vita di merda riguarda un po’ tutti perché per l’Esserci l’effettività dell’esistenza è per l’appunto il suo essere gettato nel mondo a contatto con gli altri e con le cose che Heidegger chiama gli strumenti utilizzabili.