intellettuali

Posted: Dicembre 21st, 2011 | Author: | Filed under: epistemes & società, post-filosofia | 8 Comments »

Schiudere spazi di libertà

Pubblichiamo qui la versione integrale della conversazione con Ida Dominijanni a cura di Enrico Donaggio e Daniela Steila

Anche a te chiediamo, come ai nostri precedenti interlocutori, se, a tuo avviso, in una situazione di grande emergenza civile come quella italiana, esiste un compito dell’intellettuale.

Il compito dell’intellettuale è sempre lo stesso: interpretare il presente, demistificare il potere, aprire spazi di libertà praticando, e non solo predicando, libertà. Michel Foucault ne ha dato una raffigurazione perfetta nei suoi commenti al testo kantiano Che cos’è l’Illuminismo? Naturalmente è lo stesso Foucault ad averci messo in guardia una volta per tutte da una certa concezione idealistica dell’intellettuale che lo vorrebbe estraneo al potere, ricordandoci che se il potere è sempre armato di sapere, il sapere a sua volta ha sempre a che fare con il potere: perché lo esercita e perché non c’è intellettuale, fosse pure il più critico, che non sia situato all’interno dello stesso regime di verità e dello stesso ordine del discorso della sua epoca che il potere garantisce e presiede. Mi sembra un punto rilevante per la situazione italiana di oggi.

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rizoma

Posted: Dicembre 21st, 2011 | Author: | Filed under: bio, Marx oltre Marx, post-filosofia | Commenti disabilitati su rizoma

di Edoardo Acotto

Presentato per la prima volta in un testo omonimo pubblicato dalle Éditions de Minuit nel 1976 e poi ripubblicato come primo capitolo (Introduzione) di Millepiani quello di rizoma è un concetto cardinale della coppia filosofica formata dai francesi Gilles Deleuze (filosofo) e da Félix Guattari (antipsichiatra).

“Il rizoma (da rizo-, radice, con il suffisso -oma, rigonfiamento) è una modificazione del fusto con principale funzione di riserva. È ingrossato, sotterraneo con decorso generalmente orizzontale” (da Wikipedia). Tuttavia nel repertorio concettuale di Deleuze & Guattari il rizoma indica tutt’altro che radicamento, verticalità e gerarchia (si pensi alla metaforica heideggeriana legata al Grund): il rizoma cresce infatti orizzontalmente e ha struttura diffusiva, reticolare, anziché arborescente. Il rizoma è un anti-albero, un’anti-radice, un’anti-struttura.

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lo sradicamento del desiderio

Posted: Dicembre 20th, 2011 | Author: | Filed under: anthropos, bio | 6 Comments »

Una lettura dell’angoscia a partire da Kierkegaard, Freud e Lacan

di Antonella Famiani

1. Tra filosofia e psicanalisi

La categoria dell’angoscia è la messa in discussione radicale del soggetto moderno. Il suo sapere segna la definitiva espropriazione delle certezze razionali del cogito imperanti nella scena filosofica fino ad Hegel. Dopo l’angoscia nulla è come prima. Lo specchio nel quale la coscienza moderna si è per secoli riflessa è infranto al grido di un soggetto che chiede di essere ripensato attraverso la presa d’atto della sua frammentarietà strutturale.

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Causa ecologica e causa antropologica

Posted: Dicembre 18th, 2011 | Author: | Filed under: critica dell'economia politica | Commenti disabilitati su Causa ecologica e causa antropologica

Salvare il genere umano, non solo il pianeta
di Lucien Sève

È più facile rimettere in discussione i nostri sistemi di consumo piuttosto che quelli di produzione? Se nessuno più ignora l’ampiezza della crisi ambientale che l’umanità sta affrontando, la crisi di civiltà, a cui questa si accompagna, rimane poco conosciuta. Non si può tuttavia uscire dall’impotenza se non la si diagnostica e non se ne misura l’effettiva gravità.

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Il suicidio ai tempi della crisi

Posted: Dicembre 17th, 2011 | Author: | Filed under: au-delà, bio | Commenti disabilitati su Il suicidio ai tempi della crisi

By Valerio Monteventi

“Ammazzarsi di lavoro”, mai metafora è diventata una realtà così tragica così come quella che ha legato la morte alla attività lavorativa.

Pur di fronte a un aumento della disoccupazione e della cassa integrazione, in Italia, il bilancio delle vittime è già superiore a quello del 2010: alla fine di ottobre i morti sul lavoro erano 460 contro i 441 dello stesso periodo dell’anno scorso.

Ma la morte arriva sempre più frequente, causata anche dalla crisi e dalla perdita del lavoro. Si tratta delle cosiddette “morti lente”, morti per suicidio provocate dalla disoccupazione e dalla precarietà, lente perché non avvengono improvvisamente, seguono un travaglio che accompagna il soggetto per giorni e per mesi prima di arrivare alla tragica scelta.

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Della colpa e del debito

Posted: Dicembre 17th, 2011 | Author: | Filed under: comune, crisi sistemica, General | Commenti disabilitati su Della colpa e del debito

di Paolo B. Vernaglione

Come alcuni economisti critici hanno scritto, il paradigma biopolitico con cui interpretare la crisi del debito sovrano sancisce l’intreccio inestricabile della valorizzazione delle facoltà umane individuali con una certa configurazione morale, che dà luogo alla costruzione di un’etica pubblica.

Ciò che si manifesta nella crisi finanziaria prodotta da un capitalismo che da almeno tre decenni non esita a mettere in produzione le facoltà umane di linguaggio e cooperazione, è l’esito combinato di un mutamento decisivo dei rapporti tra saperi, poteri e soggetti, in primo luogo di un sapere sociale ed economico che entra a far parte della natura umana, nell’economia domestica, nel lavoro di cura e nell’estensione della condizione precaria d’esistenza.

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Stato del debito ed etica della colpa

Posted: Dicembre 17th, 2011 | Author: | Filed under: comune, crisi sistemica | Commenti disabilitati su Stato del debito ed etica della colpa

Intervista a CHRISTIAN MARAZZI

di IDA DOMINIJANNI

La missione impossibile del salvataggio dell’euro, la frana della de-europeizzazione, il cataclisma geopolitico che ne può derivare. Ma con l’austerità non si esce dalla crisi, si produce recessione e depressione. Intervista a Christian Marazzi sulla penitenza dopo l’abbuffata neoliberale e sull’antidoto del comune.
Economista, docente alla Scuola universitaria della Svizzera italiana e, in passato, a Padova, New York e Ginevra, militante e intellettuale di riferimento dei movimenti della sinistra radicale, Christian Marazzi è uno degli analisti più lucidi della crisi economico-finanziaria in corso. Fra i primi a diagnosticarne il carattere storico e l’impatto globale, già nel 2009, quando la crisi impazzava negli Usa, aveva previsto l’inevitabile coinvolgimento dell’eurozona. Fine analista della finanziarizzazione come modus operandi del biocapitalismo postfordista, non crede nella possibilità di uscire dalla crisi o di contenerne le contraddizioni attraverso le politiche del rigore. Partiamo dal salvataggio dell’euro per ragionare di quello che ci attende.
L’andamento della crisi ha dato ragione alle tue analisi. Nel giro di due anni l’epicentro si è spostato dagli Stati uniti all’Europa, e nel giro di poche settimane siamo passati dal rischio di default di alcuni paesi, Italia compresa, al rischio del crollo dell’intera eurozona, che equivale al crollo dell’Unione per come è stata fin qui (malamente) realizzata. Secondo te come può evolvere la situazione?
Gli indizi della cronaca sono eloquenti. In Europa cresce l’astio nei confronti della Germania e della rigidità di Angela Merkel, che non dà segni di cedimento sulle due proposte che ormai tutti considerano indispensabili per evitare il cataclisma di Eurolandia: la monetizzazione dei debiti sovrani da parte della Bce, e l’emissione di eurobond per ridurre il peso dei tassi d’interesse sui buoni del tesoro dei paesi più esposti alla speculazione dei mercati finanziari.

Anche tu le consideri indispensabili?
Sono due misure condivisibili, ma purtroppo fuori tempo massimo: la crisi ha subito nelle ultime settimane una tale accelerazione da renderle inapplicabili. La trasformazione della Bce in una vera banca centrale sul tipo della Federal Reserve – che possa fungere da prestatore di ultima istanza per acquistare i buoni del tesoro dei paesi-membri indebitati, strappando ai mercati il potere di decidere come e quando intervenire – è un’idea sacrosanta, ma ormai irrealizzabile a fronte della fuga di capitali dall’eurozona che è già in corso, come dimostrano l’andamento dell’ultima asta di bond tedeschi e le 1500 tonnellate di oro che pare siano entrate in Svizzera ultimamente. Arrivati a questo punto, la monetizzazione dei debiti da parte della Bce non farebbe che alimentare questa fuga e accelerare il collasso dell’euro: non a caso, almeno fino a oggi, anche Draghi si oppone a questa soluzione. Lo stesso vale per l’istituzione degli eurobond, obbligazioni emesse e garantite dall’insieme dei paesi-membri per “mutualizzare” o socializzare i vari debiti sovrani: anche questa è una misura sensata, ma non ha alcuna possibilità di essere attuata, perché i paesi forti, come la Francia, l’Olanda, la Finlandia, l’Austria e la Germania si vedrebbero aumentare i tassi d’interesse in un periodo in cui le imprese stanno già subendo aumenti proibitivi del costo del denaro per il rarefarsi della liquidità in circolazione. In ogni caso, anche se al vertice di giovedì a Bruxelles si trovasse un accordo parziale, i vincoli d’austerità imposti ai paesi indebitati sarebbero tali da vanificare qualsiasi salvataggio dell’euro. E’ solo questione di tempo.

Dunque in prospettiva tu vedi un tracollo?
Il fatto è che la crisi della moneta unica costruita secondo i precetti monetaristi e neo-liberali è arrivata alla stretta finale. E a me pare del tutto verosimile che la rigidità di Merkel sia una mossa tattica per rendere inevitabile l’uscita della Germania dall’euro e il ritorno al marco. Circola già la data, fra Natale e l’Epifania, mentre tutti saremo in altre faccende affaccendati; come l’inconvertibilità del dollaro, che fu decisa a Ferragosto. E circolano già, qua in Svizzera, leggende metropolitane su due stamperie che starebbero sfornando marchi.

Se davvero andasse così, che tipo di scenario si aprirebbe?
Nascerebbe una zona monetaria forte, con dentro la Germania, l’Olanda, la Finlandia, l’Austria, con agganciati il franco svizzero e la corona svedese. L’euro, fortemente svalutato e con l’effetto inflazionistico conseguente, resterebbe la moneta dei paesi deboli, che in compenso avrebbero la possibilità di ridurre il loro debito. L’incognita di questa ipotesi è la Francia. Per i paesi più tartassati dai mercati, sul piano economico non sarebbe un cataclisma. Ma il vero cataclisma sarebbe geopolitico. Di fatto, questa spaccatura monetaria darebbe il via a un processo di de-europeizzazione, con un asse fra la Germania, la Cina, la Russia e il Brasile, e un altro fra la Francia e gli Stati uniti. Non è uno scenario fantascientifico, le grandi agenzie finanziarie internazionali ci stanno già lavorando. Quello che nessuno dice però è che può essere l’inizio di una nuova guerra fredda, con la Cina, la Russia e la Turchia coordinate per schermare l’Iran dalle minacce israeliane. E’ inquietante che di questo non si parli: il rischio Iran è esplosivo. Ed è inquietante pure che ormai si parli solo della crisi europea, rimuovendo la situazione degli Stati uniti, dove nel frattempo la crisi dei subprime continua, i poveri sono diventati 46 milioni, la disoccupazione è al 15%, Obama non riesce a battere chiodo e per la sua rielezione può sperare solo nella litigiosità dei Repubblicani.

Ci sono differenze, e quali, fra l’andamento della crisi negli Usa e in Europa?
Sul piano economico nessuna: l’Europa dei debiti sovrani è l’equivalente del mercato statunitense dei subprime, solo che al posto dei singoli individui indebitati ci sono gli stati indebitati. Ma una differenza c’è, a tutto svantaggio dell’Europa, ed è politica, anzi istituzionale e costituzionale: in Europa non c’è Costituzione, e non c’è una banca centrale. C’è la Bce che delega la monetizzazione dei debiti ai mercati, emettendo liquidità su richiesta di quelle stesse banche che hanno contribuito a creare debito pubblico e ora ci speculano sopra.

In questo quadro macroregionale e globale, che ruolo e che senso hanno le politiche nazionali del rigore? In Italia sono state create molte aspettative sul passaggio del governo da Berlusconi a Monti e alla sua squadra di “tecnici”, come se ne dipendesse non solo un recupero di credibilità, ma anche un effettivo potere di intervento sulle dinamiche dei mercati. Ma quanta efficacia possono avere i cosiddetti sacrifici sulla crisi del debito sovrano, e relative speculazioni?
Non è così che si esce dalla crisi, e infatti non ne usciremo: l’orizzonte dei prossimi anni è la recessione. Le politiche di austerità hanno un effetto deflazionistico di compressione della domanda interna, né a questo si può sperare di supplire con le esportazioni. Ma le politiche di austerità sono le uniche contemplate dalla dottrina neo-liberale, che in Europa e in tutto l’Occidente è tutt’ora imperante ed è dura a morire. Dunque restano e resteranno in piedi all’insegna dell’emergenza, o, per usare il termine di Naomi Klein, della shock economy, perché consentono di fare quello che in una situazione normale non si può fare: compressione dei salari, riduzione dell’impiego pubblico, depotenziamento dei sindacati; la famosa macelleria sociale. E’ la logica della governance della crisi: una regolazione tecnica e tecnocratica dei rapporti sociali nello stato d’emergenza. Ha detto bene il vicepremier cinese in un’intervista al Financial Times: quello che ci aspetta è un nuovo Medio Evo finanziario e sociale.

Con quali caratteristiche politiche, e antropologico-politiche?Tu non parli mai solo di economia…
Alcuni processi sono ormai evidenti. Il primo è la precarizzazione della Costituzione. Il secondo – l’hai scritto pure tu a proposito del ”passaggio Monti” – è l’azzeramento dell’autonomia del politico sotto lo stato d’eccezione. Il terzo è il passaggio dal Welfare State al Debtfare State: uno Stato in cui il sociale si rappresenta, e viene rappresentato, nella forma del debito, e si disciplina, e viene disciplinato, nel segno del debito. Anzi, del debito e della colpa, secondo il doppio significato della parola tedesca schuld: tema nietzschiano, che oggi torna al centro del bel libro di Maurizio Lazzarato, La fabrique de l’homme endetté. Il debito come dispositivo antropologico di autodisciplinamento dell’uomo neo-liberale.

E’ chiarissimo da quello che sta accadendo in Italia, dove in un attimo siamo passati dall’etica del godimento del ventennio berlusconiano all’etica penitenziale del governo Monti. Ma quanto pensi che possa reggere, questo dispositivo? Il soggetto neo-liberale descritto da Foucault, l’imprenditore di se stesso che si nutriva di consumo indebitandosi, ora può nutrirsi del senso di colpa per i debiti contratti? Si tratta di uno sviluppo o di una crisi dell’etica neo-liberale?
Per ora, io ci vedo un inveramento: il neo-liberalismo si invera nella sua essenza di fabbrica dell’uomo indebitato. L’imprenditore di se stesso produce il suo debito che ora lo disciplina attraverso un dispositivo di colpevolizzazione. Del resto, qui c’è anche un inveramento, o uno svelamento, dell’essenza del denaro: il denaro è debito, la finanziarizzazione del capitale ci ha trasformati tutti in soggetti debitori, e il valore viene prodotto in negativo, da una macchina depressiva.

Però c’è chi si indigna, non ci sta, si ribella. Per fortuna. Che pensi degli Indignados e di OWS?
Per restare nella scia di Foucault, lui degli Indignados avrebbe detto che si tratta di un movimento parresiastico: un movimento di persone che dicono la verità. Denunciare l’ipocrisia dei mercati, svelare che i debiti sono tutti “odiosi”, illegittimi, frutto di rendita e di espropri, e dichiarare che questa crisi l’hanno prodotta le banche e non possiamo pagarla noi, significa affermare la verità del punto di vista del popolo su quella dei mercati. E poi, il movimento di Madrid ha funzionato come uno spazio di democrazia assoluta, come una grande assemblea costituente del comune basata sullo stare insieme nello spazio pubblico: una sorta di ribaltamento dell’etica della paura hobbesiana, in cui mi pare molto visibile l’impronta femminile delle pratica delle relazioni e di un’economia della cura che diventa ecologia politica. La crescita del movimento su scala europea è l’unico antidoto al processo di de-europeizzazione che dicevamo all’inizio. Ma la spinta costituente deve darsi anche delle forme di autodeterminazione locale concreta. Per spezzare il dispositivo cardinale del post-fordismo, lo sfruttamento di saperi, conoscenza e relazioni, non c’è altro modo che ribaltarlo in produzione del comune, tanto più ora che le politiche di austerità comporteranno la privatizzazione ulteriore, la vendita e la svendita dei beni comuni, dall’acqua al patrimonio culturale; ma produrre il comune significa organizzarsi a livello locale, attrezzarsi a gestire nei quartieri l’acqua, l’elettricità, i mezzi di trasporto, le banche stesse.

Loretta Napoleoni, che incontri oggi alla Libreria delle donne di Milano, in un libro di due anni fa sosteneva che la funzione sociale delle banche vive ormai solo nella finanza islamica, e che è da lì che dovremmo riscoprirla: la finanza islamica non specula.
E’ vero, nel senso che dobbiamo reintrodurre la solidarietà al livello giusto, all’altezza delle contraddizioni prodotte dalla crisi. E la ri-socializzazione del debito e della funzione originaria delle banche è una strada per piegare a nostro vantaggio la finanziarizzazione del capitale, lottando sul suo terreno.

Ma la finanziarizzazione si può interrompere, o invertire? Tu ci hai spiegato molto bene che l’economia finanziaria non è più separabile dall’economia reale e si basa sul coinvolgimento attivo di comportamenti e forme di vita della gente comune: il consumatore che usa la carta di credito per fare la spesa, il salariato alle prese con i fondi pensione, i ceti medi strozzati dai mutui per la casa, i poveri che si indebitano fornendo come unica garanzia la loro ‘nuda vita’. Se è così, è possibile de-finanziarizzare, almeno in parte, il sistema, o si tratta solo di bonificarlo dai soprusi delle banche? E se produzione e consumo sono così intrecciati al debito, è possibile evitare un esito recessivo e depressivo della crisi?
La de-finanziarizzazione la sta approntando il capitalismo stesso nella forma recessiva della riduzione del debito di cui abbiamo parlato poco fa, che deprime la domanda e i consumi, e della disciplina della colpa, che deprime le esistenze. Noi dobbiamo lavorare invece per riconvertire la rendita privata in rendita sociale: per la socializzazione del debito, per il rilancio per questa via della domanda e dei consumi di beni socialmente utili, per la riappropriazione dello spazio pubblico, per la ricostruzione di socialità e di felicità collettiva. Il comune è questo e non c’è altro modo per uscire dalla spirale autolesionista della finanziarizzazione. Alcune parole d’ordine delle lotte di questi anni, dal reddito minimo garantito alla Tobin tax, vanno già in questa direzione.

E della parola d’ordine del diritto all’insolvenza che cosa pensi? Nei movimenti viene presentata come un diritto di resistenza alla finanziarizzazione della vita, molti economisti la ritengono una mossa demagogica, altri ci vedono una possibilità di ripristino della sovranità nazionale cancellata dalla tecnocrazia europea.
Penso che sia giusta se diventa una pratica soggettiva e contestuale, non se viene lasciata in mano agli Stati. Ti faccio un esempio: negli Stati uniti sta maturando da tempo una bolla delle borse di studio, che equivale più o meno alla metà del volume dei mutui subprime: in quel caso il diritto all’insolvenza va senz’altro esercitato dagli studenti e dalle loro famiglie per distinguere il debito illegittimo da quello legittimo. Ma non lo affiderei agli Stati, né alla loro velleità di ritrovare per questa via la sovranità nazionale perduta.


Lotte di classe nel default

Posted: Dicembre 17th, 2011 | Author: | Filed under: comune, crisi sistemica | Commenti disabilitati su Lotte di classe nel default

di ANDREA FUMAGALLI

La crisi dei debiti sovrani europei ha portato alla ribalta termini che sino a poco tempo erano conosciuti solo agli addetti ai lavori. Tra questi, default e insolvenza sono diventate parole assai comuni anche all’interno dei movimenti sociali che hanno dato vita alle grandi manifestazioni del 15 ottobre scorso. È quindi con perfetto tempismo che DeriveApprodi pubblica la traduzione del libro di François Chesnais Le dettes illégitimes (uscito in Francia nell’estate 2011) con l’accattivante titolo: Debiti illegittimi e diritto all’insolvenza (pp. 160, euro 10).

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Un orizzonte sovranazionale per rompere la trappola del debito

Posted: Dicembre 17th, 2011 | Author: | Filed under: comune, crisi sistemica | Commenti disabilitati su Un orizzonte sovranazionale per rompere la trappola del debito

di CHRISTIAN MARAZZI

Debiti illegittimi e diritto all’insolvenza di François Chesnais è un saggio sulla «geometrica potenza» dei mercati finanziari, un manuale prezioso, rigoroso e molto documentato, per i movimenti di resistenza contro gli effetti devastanti della finanziarizzazione che da trent’anni domina il pianeta, distruggendo l’esistenza di milioni di persone, l’ambiente e la democrazia. L’analisi storica del capitalismo finanziario, dalla crisi del modello fordista e del sistema monetario di Bretton Woods fino alla crisi dei debiti pubblici e della sovranità politica di oggi, ha al suo centro la divaricazione tra profitti e condizioni di vita, di reddito e di occupazione, che da tempo è all’origine della produzione di rendite finanziarie, del «divenire rendita dei profitti», quel processo che dalla crisi dei subprime del 2007 alla crisi dell’euro di oggi sta svelando la fragilità del sistema bancario mondiale e la ricerca disperata di misure politiche, istituzionali e soprattutto sociali volte a a salvare il potere dei mercati finanziari. Una crisi la cui funzione è esplicitata in un documento del Fmi del 2010: «le pressioni dei mercati potrebbero riuscire lì dove altri approcci hanno falllito», una vera e propria strategia da shock economy, come Naomi Klein ci ha ben spiegato.

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capitalismo

Posted: Dicembre 16th, 2011 | Author: | Filed under: crisi sistemica | Commenti disabilitati su capitalismo

1. Appunti sulla potenza del capitale nel tempo presente. In luogo di una introduzione
di Marco Alessandro Simoncini

“Il capitalismo è il più intelligente sistema di rapina che sia mai stato inventato”, M. Tronti, Dall’estremo possibile, 2011

Il capitalismo, si sa, non è soltanto un modo di produzione di beni, merci e servizi; non è neppure solo un mero regime di accumulazione e di valorizzazione del capitale. È piuttosto un complesso rapporto sociale sostenuto da una molteplicità di dispositivi biopolitici e disciplinari capaci di governare le popolazioni, i corpi e le menti, adattandoli alla perpetuazione del sistema nel campo di battaglia della riproduzione sociale1. Fin dalla sua nascita, quindi, la produzione della soggettività, individuale e collettiva è una delle poste in gioco fondamentali del capitalismo. Come ben sapeva Michel Foucault, infatti, non si dà accumulazione del capitale senza l’elaborazione di adeguati “metodi per gestire l’accumulazione degli uomini”2. Valorizzazione del capitale e governo dei viventi: i due processi sono inseparabili.

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