Posted: Agosto 11th, 2011 | Author: agaragar | Filed under: riots | 9 Comments »
«Questa è la ribellione degli esclusi dal denaro»
di Tonino Bucci
su Liberazione del 10/08/2011
La rivolta in Gran Bretagna. Intevista ad Umberto Galimberti, filosofo e docente universitario
In rete rimbalzano foto della rivolta nelle città inglesi che mostrano episodi di saccheggio. Il premier inglese Cameron, ieri, ha etichettato la protesta «pura criminalità». Una lettura che prelude a quella che sarà l’unica risposta tangibile del governo inglese: sedicimila agenti schierati per le strade di Londra, città epicentro degli scontri. Eppure, proprio i saccheggi, esibiti come prova incontrovertibile del carattere violento dei rivoltosi, sono il sintomo di un corto circuito nell’immaginario simbolico. Una generazione cresciuta in una società il cui unico messaggio era “consumate e siate felici”, tenta di rientrare in un mondo dal quale è stata esclusa. L’ideale consumistico è diventato irrealizzabile per una parte della popolazione. Chi non produce e non consuma non esiste. Ne parliamo con Umberto Galimberti, filosofo e docente universitario.
L’immaginario consumista è entrato in conflitto con una realtà sociale che non garantisce più a tutti l’accesso al paradiso delle merci e comincia a creare sacche di emarginazione. I saccheggi sono la rivendicazione del diritto al consumo e all’esistenza. Gli oggetti più desiderati sono quelli ad alto valore tecnologico, computer e smartphone. Non è un sintomo?
Vero. In questi anni il denaro è stato l’unico regolatore di tutti i valori simbolici. La società ci prevede tutti come produttori e come consumatori. Ognuno di noi non è altro che un transito di denaro, che prendiamo a fine mese con la busta paga e restituiamo alla fine del mese successivo. I giovani, quei giovani inglesi, che non si trovano in condizione di poter produrre e poter consumare, traggono un ragionamento semplice: se questa è la cultura, allora andiamo nei negozi e prendiamocele queste cose. I prodotti elettronici sno i più desiderati perché è la loro cultura, il loro spazio, il loro mondo e modo di comunicare. E per quanto concerne la violenza, è chiaro che tutti siamo contrari. Ma facciamoci carico di quanto avviene. Non è che la violenza un bel giorno esplode perché tira il vento. La violenza è il sintomo che di speranza non ne hanno più. Anche l’adolescente che sbatte la porta e se ne va, comunica che non ha più speranza in quella casa e in quella famiglia. Lo stesso avviene nella società. E’ chiaro che la violenza è sgradevole, distruttiva e che può colpire gli innocenti, però le condizioni che la provocano sono così evidenti che solo l’incuria può far sfuggire.
Come è possibile che, non in un paese periferico, ma nel cuore dell’occidente avanzato, sia esploso un fenomeno senza che nessuno avesse il sentore di quel che covava in profondità?
Le nostre società hanno trascurato i giovani. Sono stati ritenuti insignificanti, socialmente inutili. Ora il fenomeno è esploso. Non hanno nulla davanti, non hanno lavoro, non hanno prospettive di pensioni, non hanno possibilità né di farsi una famiglia né di comprarsi una casa. La politica è stata rigorosamente distratta. L’attenzione è stata rivolta esclusivamente verso quello che considero il male radicale della cultura occidentale. La nostra cultura ha assunto come unico valore di relazione e organizzazione sociale il denaro. Quando il denaro diventa l’unico generatore simbolico di tutti i valori, tutti coloro che non sono funzionali alla produzione di denaro o di profitto non vengono neppure considerati dei soggetti sociali. I giovani per primi. Gli stessi immigrati ottengono il diritto alla cittadinanza alla sola condizione che diventino produttori di profitto. Lo stato dei migranti non è dissimile, oggi, dalla situazione di tutti i giovani. Vanno a scuola, alcuni si laureano, ma non hanno la possibilità di realizzare ciò per cui hanno studiato. Sono costretti a vivere alle spalle della famiglia che è diventata l’unico ammortizzatore sociale rispetto a un welfare in continua riduzione. La condizione giovanile diventa drammatica e non ce ne siamo accorti.
I movimenti giovanili del ‘900 erano, come si dice, politicizzati. Il 68, per esempio, aveva politicizzato la vita quotidiana. Le rivolte giovanili di questi anni seguono un’altra logica, assomigliano di più alle insurrezioni ottocentesche, sono una reazione all’emarginazione, un’affermazione immediata, qui e ora, della propria esistenza. O no?
Nel ’68 si voleva cambiare il mondo della vita in nome dell’antiautoritarismo, della rivoluzione sessuale, della liberazione. Ma non c’era disagio sociale nel movimento universitario. Era composto anche da borghesi e cattolici. Oggi, invece, non si tratta di libertà, ma dell’impossibilità di proseguire oltre nel modello di sviluppo occidentale della produzione e del consumo illimitato. Finora è stato possibile perché a pagare il conto era il resto del mondo. Adesso bisogna cambiare strada, dobbiamo decrescere. Il che significa che dobbiamo adottare un altro modello di sviluppo, che non sia fondato esclusivamente sul Pil e sul valore economico. I giovani inglesi assaltano le vetrine delle banche perché sono un simbolo del denaro. Il mondo dell’economia collassa. Non se ne può più di avere come unica espressione di vita il valore economico – da cui i giovani sono esclusi. Io credo che la scala di valori stia cambiando. Le giovani generazioni non hanno l’ossessione del guadagnare sempre più, ma desiderano un lavoro che lasci spazi di vita e tempo libero. Siccome però i giovani di oggi non possono né produrre denaro né avere spazi di vita – la loro è una vita tutta a disposizione per non poter fare assolutamente nulla – ecco che la situazione esplode. Al di là delle differenze tra i paesi, la rivolta inglese e le rivolte nel mondo arabo hanno in comune che si tratta di fenomeni giovanili di insostenibilità del modello di vita. E’ accaduto anche nelle banlieues parigine. Non ci sono istanze di partito, come in passato, quindi si aggregano in base a istanze ribellistiche ed esprimono un’insoddisfazione radicale. Nel ‘900 le forze in campo erano dstinguibili, c’era una destra e una sinistra. Oggi, invece, è una marmellata.
Il nemico di queste rivolte è sempre lo stesso, la polizia, il volto più immediato del potere…
La polizia è il fronteggiarsi corpo a corpo. Lo Stato non ha più un corpo e la politica abita ormai solo nello spazio televisivo.
Posted: Agosto 10th, 2011 | Author: agaragar | Filed under: Marx oltre Marx | Commenti disabilitati su Marx
Marx et les marges du monde
par Alain Gresh
Le but de ce blog et de mon compte Twitter est d’essayer faire passer une autre information sur l’Orient. Il ne s’agit pas seulement de tenter de donner des nouvelles différentes, ni d’analyser ce qui s’y passe, mais aussi de changer la grille de lecture à travers laquelle nous regardons l’Orient. Il faut arriver à se défaire de cette vision eurocentriste et occidentalo-centriste qui caractérise souvent les médias et les intellectuels, y compris de gauche.
C’est pour cette raison que j’évoque ici ce livre qui pourrait apparaître bien loin des sujets habituels, celui de Kevin B. Anderson, Marx at the Margins. On Nationalism, Ethnicity, and Non-Western Societies (The University of Chicago, 2010).
[…]
Posted: Agosto 9th, 2011 | Author: agaragar | Filed under: riots | 1 Comment »
Londra sta chiamando. L’economia morale dei riot britannici
Martedì 09 Agosto 2011 17:39
A causa di un significativo processo di connessione globale dei contenuti mainstream, le notizie e i commenti sulle rivolte inglesi differiscono di poco se si tratta di media britannici, italiani o francesi. Si tratta dello stesso processo di connessione globale dei contenuti, degli automatismi linguistici e dei concetti di analisi, che stiamo vedendo anche nei commenti sulla crisi finanziaria e che ha una lunga storia dietro le spalle. A partire dall’unificazione mondiale dei format televisivi di notizie che è maturata significativamente durante gli anni ’80, ben prima di Internet. Per il gold standard liberista delle notizie globali la crisi finanziaria produce quindi la necessità di “rassicurare i mercati” mentre, dove si manifesta profondamente la crisi della coesione sociale ,il circuito mondiale delle notizie si concentra sulla condanna al “crimine” e sulla questione dell’efficacia delle misure di polizia. Certo, con qualche significativo approfondimento nelle tattiche di propaganda nel paese colpito dagli incidenti, il Daily Mail parla di “cinismo e immoralità di coloro che legano la rivolta ai tagli della spesa pubblica” (per prevenire sul nascere la legittimità di ogni richiesta di giustizia sociale), ed uno sguardo leggermente più libero da parte di media dei paesi che, a turno, osservano i riot in corso.
riots
Posted: Agosto 9th, 2011 | Author: agaragar | Filed under: BCE | 11 Comments »
2/08/2011
“È altamente plausibile che, rimanendo al di fuori dell’area monetaria europea, il deterioramento sociale sarebbe stato ancora più rapido e incontrollato per il realizzarsi di uno scenario di inflazione-svalutazione esacerbata dalla pressione finanziaria internazionale”
“… il carattere mondiale dell’attuale rivoluzione liberale (…) costituisce infatti un’ulteriore prova che è in atto un processo fondamentale che detta un comune modello evolutivo per tutte le società umane, qualcosa come una storia universale che si muove in direzione della democrazia liberale (corsivo mio)”, così Fukuyama, plaudendo ai risultati sociali e politici del friedmanismo aggressivo, prospettava la fine della storia e le magnifiche condizioni dell’“ultimo uomo”.
[…]
Posted: Agosto 6th, 2011 | Author: agaragar | Filed under: crisi sistemica | 2 Comments »
pubblicata da Franco Berardi il giorno sabato 6 agosto 2011 alle ore 18.46
La decima estate del nuovo millennio ci porta due novità.
Prima: la guerra infinita dichiarata dall’Occidente contro il resto del mondo è persa in ogni suo scenario. Perfino la guerra afghana, quella che non si poteva perdere, è persa. E la guerra nordafricana iniziata da poco è già una catastrofe. Ma per quanto persa la guerra non può finire perché per l’appunto è infinita. Nessuno ha il coraggio di dirlo: al Qaida ha vinto una guerra impensabile, grazie al fatto che l’Occidente non è stato in grado di pensarla e si è lasciato trascinare in un abisso di demenza.
Seconda novità: il collasso finanziario ingovernabile si trasforma in progressivo smantellamento delle strutture civili della società.
La borghesia, dominante nell’epoca moderna, era una classe territorializzata: il suo potere si fondava sull’espansione della prosperità di un territorio e di una parte maggioritaria della popolazione. La sua prosperità dipendeva dall’espansione produttiva e dal benessere sociale.
La classe che ha conquistato il potere negli anni della globalizzazione è una classe deterritorializzata e virtuale. A rigore non possiamo neppure parlarne come di una classe. E’ piuttosto un pulviscolo di interessi che si aggregano e si disgregano continuamente: il mercato finanziario è luogo mobile e immateriale nel quale si condensano e si disperdono movimenti a carattere sempre più spesso puramente distruttivo.
Il mercato azionario un tempo era indicatore di spostamenti della ricchezza reale. Grazie agli effetti della globalizzazione digitale e alla polverizzazione degli scambi, ora il gioco si è completamente rovesciato. Non la creazione di ricchezza, ma la sua dissipazione è la tecnica con cui si arricchisce la classe trasversale della finanza.
La tecnica predatoria consiste nell’aggredire un territorio (un’impresa, una struttura sociale, una popolazione, una nazione), dissolverne la consistenza produttiva, privatizzarne i guadagni e socializzarne le perdite, per poi abbandonare quel territorio non appena, sempre più rapidamente, l’addensamento predatorio lo ha spolpato.
La politica, i governi, le sinistre esistono ormai soltanto per convincere le popolazioni terrorizzate ad accettare di lavorare sempre più in fretta per salari sempre più scarsi allo scopo di ricostituire un capitale che la classe finanziaria si appresta a predare domattina. Se crediamo nella leggenda della crescita siamo in trappola. No lavoriamo e i governi – di destra o di sinistra non fa nessuna differenza – consegnano il malloppo fresco fresco fresco ai “mercati” che lo dissolvono per trasformarlo in capitale finanziario.
Non credo ci siano molte possibilità di uscirne vivi. Fukushima è un dito puntato verso l’orizzonte del futuro planetario. La sola speranza è abbandonare il campo, farsi da parte mentre tutto sprofonda, e ricostituire le strutture della vita sociale in uno spazio che non interagisca in alcun modo con la follia predatoria del capitalismo nella sua fase agonica, che forse durerà mille anni.
Esiste questo luogo? Non esiste. Il compito politico del tempo che viene è crearlo.
Posted: Agosto 4th, 2011 | Author: agaragar | Filed under: critica dell'economia politica | 9 Comments »
di ANDREA FUMAGALLI
L’emergenza ha sempre caratterizzato le decisioni salienti della politica italiana, soprattutto quando si tratta di tematiche socio-economiche. La politica dell’emergenza – si sa – è diventata lo strumento principale dell’arte del comando. Certo, da sola, rischia di non essere sufficiente, se non è accompagnata anche da una “predisposizione istituzionale” che accomuna maggioranza e opposizione, sotto l’egida del presidente della repubblica.
parte prima
parte seconda
Posted: Agosto 4th, 2011 | Author: agaragar | Filed under: postcapitalismo cognitivo | Commenti disabilitati su Nell’anno III d.c.
di COLLETTIVO UNINOMADE
I think we have to keep all the options on the table.
We don’t know where the economy is going to go
(Ben Bernanke, audizione alla Commissione servizi finanziari
della Camera dei rappresentanti, 13 luglio 2011)
But for the present state of the old world
that is running up like parchment in the fire
(Gerrard Winstanley, The True Levellers Standard Advanced, 26 aprile 1649)
[…]
Posted: Agosto 4th, 2011 | Author: agaragar | Filed under: fabrizio | 1 Comment »
Mille anni al mondo mille ancora
che bell’inganno sei anima mia
e che bello il mio tempo
che bella compagnia
sono giorni di finestre adornate
canti di stagione
anime salve in terra e in mare
sono state giornate furibonde
senza atti d’amore
senza calma di vento
solo passaggi e passaggi,
passaggi di tempo
ore infinite come costellazioni e onde
spietate come gli occhi della memoria
altra memoria e NON basta ancora
cose svanite facce e poi il futuro
i futuri incontri di belle amanti scellerate
saranno scontri saranno cacce coi cani e coi cinghiali
saranno rincorse morsi e affanni per mille anni
mille anni al mondo mille ancora
che bell’inganno sei anima mia
e che grande il mio tempo che bella compagnia
mi sono spiato illudermi e fallire
abortire i figli come i sogni
mi sono guardato piangere in uno specchio di neve
mi sono visto che ridevo
mi sono visto di spalle che partivo
ti saluto dai paesi di domani
che sono visioni di anime contadine
in volo per il mondo
mille anni al mondo mille ancora
che bell’inganno sei anima mia
e che grande questo tempo che solitudine
che bella compagnia
anime salve