Sassen

Posted: Agosto 18th, 2011 | Author: | Filed under: crisi sistemica, riots | 1 Comment »

Saskia Sassen: «Con i riots la storia volta pagina»

Data di pubblicazione: 17.08.2011

di Benedetto Vecchi

Il nuovo ruolo dei conflitti di strada e di piazza nel processo di trasferimento della ricchezza dai poveri ai ricchi, peculiare della fase attuale del capitalismo. Il manifesto, 17 agosto 2011

Causati anche dall’esproprio di ricchezza verso banche e enti sovranazionali, i riots inglesi segnano il limite delle democrazie liberali, qualcosa di simile al passaggio storico dal Medioevo alla modernità: che cosa resterà in piedi?

Non si sottrae alle domande. Precisa più volte il suo pensiero. Anche se vive divisa tra New York e Londra, legge attentamente i giornali per capire cosa sta accadendo nella vecchia Europa, dove ha avuto la sua educazione sentimentale alle scienze sociali, prima di spostarsi in America Latina e successivamente negli Stati Uniti. Saskia Sassen è nota per il suo libro sulle Città globali (Utet), anche se i suoi ultimi libri su Territori, autorità, diritti (Bruno Mondatori) e Sociologia della globalizzazione (Einaudi) ne hanno fatto una delle più acute studiose su come stia cambiando i rapporti tra potere esecutivo, legislativo e giuridico sotto l’incalzare di una globalizzazione economica che sta mettendo in discussione anche la sovranità nazionale. Per Saskia Sassen, il capitalismo non può che essere globale. E per questo ha bisogno di istituzioni politiche e organismi internazionali che garantiscono la libera circolazione dei capitali e le condizioni del suo regime di accumulazione della ricchezza. Per questo ha sempre guardato con sospetto le posizioni di chi considerava finito lo stato-nazione. Come ha più volte sottolineato, lo stato-nazione non scompare, ma cambia le sue forme istituzionali affinché la globalizzazione prosegua, industriata, il suo corso. E allo stesso tempo ha sempre sottolineato come le disuguaglianze sociali siano immanenti al capitalismo contemporaneo. Ma l’intervista prende avvio dalle rivolte inglesi, a cui ha dedicato un articolo, scritto con Richard Sennet, e apparso sul New York Times. Articolo nel quale, fatto abbastanza inusuale per gli Stati Uniti, i due studiosi pongono la centralità della «questione sociale» per comprendere cosa stia accadendo nel Regno Unito, ma anche negli Stati Uniti e nel resto d’Europa.

La rivolta come reazione violenta alla disoccupazione; oppure come effetto del perverso fascino che esercitano le merci. Sono le due spiegazioni dominanti sulle sommosse che hanno investito Londra e altre città inglese. Qual è, invece, il suo punto di vista?

In ogni sommossa c’è uno specifico insieme di elementi che consentono allo scontento generale di convergere e prendere forma nelle azioni di strada. In Gran Bretagna ci sono tre grandi componenti che hanno provocato la rivolta a Londra, Birmingham, Liverpool, Manchester e altra città del Regno unito.

La prima componente è la strada, cioè lo spazio privilegiato da chi non ha accesso ai consolidati e codificati strumenti politici per la propria azione politica. Nelle rivolte inglesi è emersa una forte ostilità verso la polizia, incendi, distruzione della proprietà privata. Ad essere colpiti sono stati negozi o edifici gestiti, abitati da persone che vivono la stessa condizione sociale dei rivoltosi.

Il secondo elemento che ha funzionato come detonatore è la situazione economica, che vede la perdita del lavoro, di reddito, la riduzione dei servizi sociali per una parte rilevante della popolazione. Per me questo aspetto ha influito molto di più nello scatenare la rivolta più che l’uccisione di un giovane uomo di colore da parte della polizia. La disoccupazione giovanile è, nel Regno Unito, al 19 per cento. Una percentuale che raddoppia in alcune aree urbane, come quella del quartiere dove viveva il giovane ucciso.

Il terzo fattore sono i social media, che possono diventare uno strumento davvero efficace per far crescere una mobilitazione. E in Inghilterra c’è stata una successione davvero interessante nell’uso dei social media. Inizialmente Twitter e Facebook sono stati usati per informare su ciò che stava accadendo e per invitare la popolazione a scendere nelle strade. Ma la seconda notte, la parte del leone l’hanno fatta gli smartphone Blackberry, perché usano un servizio di messaggistica che non può essere intercettato dalle forze di polizia. La grande capacità dei social media di funzionare come strumento di coordinamento della rivolta è data dal fatto che la successione degli scontri appare come scandita da un preciso piano. I focolai della rivolta sono stati più di trenta, quasi che tutto sia stato pianificato e coordinato, appunto, con i social media.

Uno solo di questi fattori non spiegherebbe quattro notti di scontri, incendi, saccheggi. Presi insieme, ogni fattore ha alimentato l’altro. Inoltre, sono convinta che se usciamo da una espressione asettica come disagio sociale il disagio sociale ci troviamo di fronte a storie dove il dolore, la collera delle proprio condizioni di vita non cancellano la speranza per un futuro diverso. Queste sommosse rendono evidente una questione sociale che non può essere affrontata, come ha fatto David Cameron, come un fatto criminale.

Londra è una delle città globali da lei studiata. Una metropoli che vede una stratificazione sociale molto articolata. Città globale vuol dire povertà, precarietà nei rapporti di lavoro. Inoltre la crisi economica sta provando un impoverimento che non risparmia nessuno dei gruppi e classi sociali della popolazione, eccetto solo per quei top professional che non sanno bene cosa significa la parola crisi. Non potremmo dire che le rivolte inglese sono figlie del neoliberismo?

In tutte le città globali la povertà è una costante. Inoltre, ho spesso scritto che le dinamiche economiche, sociali e politiche insite nella globalizzazione hanno come esito una crescita di lavori sottopagati e dei cosiddetti working poors, i lavoratori poveri. Ci troviamo di fronte a una situazione dove il passaggio dalla disoccupazione a lavori sottopagati e dequalificati è continuo. Uno degli aspetti, invece, meno indagati delle global cities, e su cui sto lavorando all’interno del progetto di ricerca The Global Street, Beyond the Piazza, è il ruolo sempre più rilevante assunto dalla cosiddetta cultura di strada nel condizionare le forme di azione politica tanto a Nord che a Sud del pianeta.

I conflitti di strada sono parte integrante della storia moderna, ma erano sempre complementari alle forme politiche consolidate. Recentemente, invece, hanno assunto un ruolo più rilevante, perché l’occupazione dello spazio è espressione del potere dei movimenti sociali. Le sollevazioni dei popoli arabi, le proteste nella maggiori città cinesi, le manifestazioni in America Latina, le mobilitazioni dei poveri in altri paesi, le lotte urbane negli Stati Uniti contro la gentrification o le rivolte americane contro la brutalità della polizia sono tutti esempi di come la strada sia il veicolo del cambiamento sociale e politico.. Ma se questo appartiene al recente passato, possiamo citare anche le recenti mobilitazioni a Tel Aviv. In Europa parlate degli indignados, riferendovi alla Spagna. Ma tanto a Madrid che Tel Aviv abbiamo assistito a vere e proprie occupazioni delle piazze che sono durate giorni, settimane, sperimentando forme di organizzazioni e di decisione politica distanti da quelle dominanti nelle società. Quello che voglio sottolineare è che ci troviamo di fronte a forme di protesta che coinvolgono una composizione sociale eterogenea, dove ci sono disoccupati, ma anche lavoratori manuali di imprese che hanno conosciuto processi di downsizing e delocalizzazione, colletti bianchi, ceto medio impoverito. E sono forme di protesta che nascono e si consolidano al di fuori degli attori politici tradizionali (partiti, sindacati). Gli indignados di Madrid chiedono certo lavoro, servizi sociali, ma anche una profonda trasformazione del rapporto tra governo e governati. La piazza, la strada non sono dunque solo il luogo dove si avanzano rivendicazioni, ma anche lo spazio per rendere manifesto il potere dei movimenti sociali.

La crisi del neoliberismo ha caratteristiche drammatiche. Alcuni paesi hanno dichiarato bancarotta, altri sono arrivati sul punto di fallire (la Grecia); altri sono diventati sorvegliati speciali della Banca centrale europea che di fatto ha sospeso la loro sovranità nazionale. E le proposte per uscire alla crisi è un insieme di misure di politica economica e sociale che potremmo definire di liberismo radicale. Lei che ne pensa?

Nel mio lavoro di ricercatrice ho difficoltà ad usare il concetto di crisi per spiegare cosa sta accadendo in molti paesi, dagli Stati Uniti all’Europa. Ci troviamo in una situazione inedita, sotto molto aspetti. Ci sono certo paesi in forte difficoltà economica; altri però hanno tassi di crescita e di sviluppo impressionanti. Detto più semplicemente, stiamo assistendo a un imponente spostamento della ricchezza da una parte della società verso un’altra. E questo coinvolge le risorse finanziarie dello stato, del piccolo risparmio, delle piccole attività imprenditoriali. Una sorta di concentrazione della ricchezza nelle mani di una esigua e tuttavia ricchissima minoranza. E tutto ciò senza che tale concentrazione della ricchezza possa essere recuperata attraverso il sistema della tassazione. È questo il dramma che stanno vivendo alcuni paesi.

Non ci troviamo cioè di fronte a una realtà oscura, difficile da comprendere o al risultato di una cospirazione o di un fenomeno che per interpretare serve la cabala. La tragedia che ci troviamo a fronteggiare è che questa situazione è l’esito non di un evento naturale, ma di un processo politico dove il potere esecutivo, anche quando composto da persone oneste e integerrime, ha favorito, con leggi e decisioni, la concentrazione e l’espropriazione della ricchezza da parte di una minoranza. La Citibank negli Stati Uniti è stata salvata dal fallimento dal governo con 7 miliardi di dollari. Soldi provenienti dal prelievo fiscale, che negli Usa è molto generoso verso i ricchi. Dunque è stata salvato con i soldi della working class e del ceto medio. Se ci spostiamo in Europa, la premier tedesca Angela Merkel ha deciso di spostare una parte delle finanza statale per salvare alcune banche. In altri termini è lo stato, o alcuni organismi sopranazionali, che hanno favorito questo spostamento della ricchezza nelle mani di banche, imprese finanziarie. L’Unione europea è sì intervenuta per salvare la Grecia, ma solo perché il suo fallimento avrebbe messo in ginocchio banche e imprese finanziarie, che hanno fatto profitti attraverso il meccanismo del cosiddetto «debito sovrano». Non so se per queste imprese sia corretto parlare di crisi. Godono, tutto sommato, buona salute, visto che il potere esecutivo corre sempre in loro soccorso. Il risultato è l’impoverimento di buona parte della popolazione, che vede tagliati i servizi sociali e le pensioni.

Tutto ciò mostra i profondi limiti delle democrazie liberali. Siamo cioè di fronte a un profondo cambiamento nei rapporti tra potere esecutivo, legislativo e giudiziario. E tra questi e l’economia. Qualcosa di simile, nella sua profondità, è accaduto nel passaggio dal Medioevo alla modernità, quando si formarono gli stati nazionali e furono gettate le basi dello stato moderno. Quello che serve è una adeguata prospettiva storica per analizzare la realtà contemporanea. Nel libro Territori, autorità, diritti sottolineo le analogie tra quel passaggio d’epoca e la situazione attuale. Oggi, come allora, è la forma stato che viene investita da un terremoto. Capire cosa resterà in piedi, e cosa diverrà macerie serve anche a intervenire politicamente affinché tale espropriazione di ricchezza possa essere fermata.

SASKIA SASSEN
Quando le città divennero globali
I rapporti tra potere ed economia

Nata in Olanda, Saskia Sassen ha vissuto la sua adolescenza in Argentina. Gli studi, però, li ha svolti tra la Francia, l’Italia, gli Stati Uniti. Tra le sue pubblicazioni vanno ricordati: “Fuori controllo” (Il Saggiatore), “Le città globali” (Utet), “Migranti, coloni, rifugiati. Dall’emigrazione di massa alla fortezza Europa” (Feltrinelli) , “Le città nell’economia globale” (Il Mulino), “Globalizzati e scontenti” (Il Saggiatore), Territorio, autorità, diritti” (Bruno Mondatori) e “Una sociologia della globalizzazione” (Einaudi). Attualmente è docente alla Columbia University di New York.


Intervista a Toni Negri

Posted: Agosto 15th, 2011 | Author: | Filed under: comune, critica dell'economia politica, Marx oltre Marx | Commenti disabilitati su Intervista a Toni Negri

Una discussione intorno al comune

Intervista a TONI NEGRI – di FILIPPO DEL LUCCHESE e JASON E. SMITH

Da alcuni anni ormai le tue opere più importanti sono scritte a quattro mani con Michael Hardt, e il suo contributo appare sempre più evidente, specialmente in quest’ultimo libro. L’evoluzione appare ancora più palese a chi conosca le tue opere precedenti, in cui affiora uno stile di ragionamento, di pensiero e di scrittura estremamente originale, singolare, con un percorso ben definito e riconoscibile attraverso le tue esperienze politiche e culturali.
Qual è il vostro metodo di lavoro a due, e quali sono gli elementi più importanti che derivano da questo ‘incontro’?

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il comune in rivolta

Posted: Agosto 14th, 2011 | Author: | Filed under: riots | 9 Comments »

di JUDITH REVEL e TONI NEGRI

Non ci voleva molta immaginazione per « strologare » rivolte urbane nella forma delle jacqueries, una volta che l’analisi della crisi economica attuale fosse stata ricondotta alle sue cause ed ai suoi effetti sociali. In Commonwealth, fin dal 2009, era stato infatti previsto. Quello che non ci saremmo mai attesi, all’incontrario, è che in Italia, nel movimento, questa previsione fosse rifiutata. Sembrava infatti, ci fu detto, antica; si disse invece: ora è il momento di ricostruire fronti larghi contro la crisi, di stabilire nei movimenti forme di organizzazione-comunicazione-riconoscimento che tocchino la rappresentanza politica.

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Guattari – Negri

Posted: Agosto 12th, 2011 | Author: | Filed under: critica dell'economia politica, Marx oltre Marx, postcapitalismo cognitivo | 1 Comment »

New Lines of Alliance, New Spaces of Liberty
Félix Guattari and Antonio Negri

“The project: to rescue ‘communism’ from its own disrepute. Once invoked as the liberation of work through mankind’s collective creation, communism has instead stifled humanity. We who see in communism the liberation of both collective and individual possibilities must reverse that regimentation of thought and desire which terminates the individual….”

Thus begins the extraordinary collaboration between Félix Guattari and Antonio Negri, written at dawn of the 1980s, in the wake of the crushing of the autonomous movements of the previous decade. Setting out Guattari and Negri diagnose with incisive prescience transformations of the global economy and theorize new forms of alliance and organization: mutant machines of subjectivation and social movement.

Prefiguring his collaboration with Michael Hardt, Negri and Guattari enact a singular hybridization of political and philosophical traditions, brining together psychiatry, political analysis, semiotics, aesthetics, and philosophy. Against the workings of an increasingly integrated world capitalism, they raise the banners of singularity, autonomy, and freedom to search out new routes for subversion.

This newly expanded edition includes previously untranslated materials and a new introduction by Matteo Mandarini.

“After the highpoint of the subversive decade 1968-1977, Italian autonomist Marxism and French theory of desire meet at the intersection of two different methodologies of subjectivation. Social recomposition of the working class and molecular proliferation of desire merge, and together open a new space for theory and for social action. While the ideologies of the twentieth century are falling, Toni Negri and Félix Guattari trace the lines of a new vision of autonomy.” – Franco ‘Bifo’ Berardi

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Critique of Creativity

Posted: Agosto 12th, 2011 | Author: | Filed under: postcapitalismo cognitivo | 14 Comments »

Critique of Creativity:
Precarity, Subjectivity and Resistance in the ‘Creative Industries’
Gerald Raunig, Gene Ray and Ulf Wuggenig (eds)

Creativity is astir: reborn, re-conjured, re-branded, resurgent. The old myths of creation and creators – the hallowed labors and privileged agencies of demiurges and prime movers, of Biblical world-makers and self-fashioning artist-geniuses – are back underway, producing effects, circulating appeals. Much as the Catholic Church dresses the old creationism in the new gowns of ‘intelligent design’, the Creative Industries sound the clarion call to the Cultural Entrepreneurs. In the hype of the ‘creative class’ and the high flights of the digital bohemians, the renaissance of ‘the creatives’ is visibly enacted. The essays collected in this book analyze this complex resurgence of creation myths and formulate a contemporary critique of creativity.

You can read the book online below, download it for free (and donate a suggested £1 if you like), or purchase a paperback copy at our Amazon.co.uk store.


commun

Posted: Agosto 12th, 2011 | Author: | Filed under: comune, critica dell'economia politica, Marx oltre Marx, postcapitalismo cognitivo | Commenti disabilitati su commun

Construire le commun : une ontologie

par Judith Revel

La question de la forme que peut prendre une subjectivité, qu’elle soit singulière ou collective, est politique avant même qu’on s’interroge sur la nature des subjectivités politiques en tant que telles. Politique, elle l’est à double titre : parce qu’elle implique qu’on interroge son propre temps et qu’on exige de celui-ci, à la fois par différenciation d’avec un passé qui n’est plus et par diagnostic d’un présent auquel nous participons, des catégories à la hauteur de ce qu’il nous donne à penser ; et qu’elle sous-entend que si des formes – de représentation, d’organisation, d’agencement, d’identification, d’objectivation… – sont toujours historiquement localisées, c’est-à-dire déterminées, et qu’elles possèdent en vertu de cette historicité une date d’émergence, alors, elles doivent aussi posséder, en un horizon hypothétique, une date de disparition.

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Lazzarato

Posted: Agosto 12th, 2011 | Author: | Filed under: critica dell'economia politica, postcapitalismo cognitivo | Commenti disabilitati su Lazzarato

La dynamique de l’événement politique
Processus de subjectivation et micropolitique

par Maurizio Lazzarato

Les soulèvements appartiennent à l’histoire.
Mais, d’une certaine façon, ils lui échappent.
Michel Foucault

La péremption des formes classiques de là « politique révolutionnaire »

Dans ce qui suit, nous allons nous interroger sur ce que sont devenus la « politique révolutionnaire » et le « sujet révolutionnaire » à la lumière de la micropolitique de Gilles Deleuze et Félix Guattari, ainsi que de la microphysique du pouvoir de Foucault, et tirer quelques enseignements de la lutte des intermittents, à la fois très lointaine et très proche de ces questionnements théoriques.

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Alla ricerca del Commonwealth

Posted: Agosto 12th, 2011 | Author: | Filed under: comune, critica dell'economia politica, Marx oltre Marx, postcapitalismo cognitivo | Commenti disabilitati su Alla ricerca del Commonwealth

di Antonio Negri

Dopo Empire e Multitude, molti problemi restavano aperti: inutile qui ridefinirli, così com’era stato inutile tentare di chiuderli. In effetti si trattava piuttosto di ripartire sulla base dei concetti che erano stati fissati, per approfondire la questione: che cos’è il politico oggi? Che cos’è la politica sovversiva, quale partage del sociale essa prevede? Come si puo’ combattere il capitale oggi? Solo andando avanti, di questo siamo convinti, i problemi irrisolti sarebbero stati affrontati con nuova forza. Avevamo tuttavia una convinzione, alla fine dei dieci anni di lavoro su Empire e Multitude – una percezione ormai matura – e cioè che la contemporaneità si fosse ridefinita, che fosse terminato il tempo nel quale la determinazione del presente potesse darsi sotto la sigla del post-. Avevamo senz’altro vissuto una transizione; ora, quali erano i sintomi della sua fine?

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Anonymous:”Operation Facebook – 05/11/2011″

Posted: Agosto 11th, 2011 | Author: | Filed under: riots | Commenti disabilitati su Anonymous:”Operation Facebook – 05/11/2011″

Attention citizens of the world,

We wish to get your attention, hoping you heed the warnings as follows:
Your medium of communication you all so dearly adore will be destroyed. If you are a willing hacktivist or a guy who just wants to protect the freedom of information then join the cause and kill facebook for the sake of your own privacy.

Facebook has been selling information to government agencies and giving clandestine access to information security firms so that they can spy on people from all around the world. Some of these so-called whitehat infosec firms are working for authoritarian governments, such as those of Egypt and Syria.

Everything you do on Facebook stays on Facebook regardless of your “privacy” settings, and deleting your account is impossible, even if you “delete” your account, all your personal info stays on Facebook and can be recovered at any time. Changing the privacy settings to make your Facebook account more “private” is also a delusion. Facebook knows more about you than your family. http://www.physorg.com/news170614271.html http://itgrunts.com/2010/10/07/facebook-steals-numbers-and-data-from-your-iph….

You cannot hide from the reality in which you, the people of the internet, live in. Facebook is the opposite of the Antisec cause. You are not safe from them nor from any government. One day you will look back on this and realise what we have done here is right, you will thank the rulers of the internet, we are not harming you but saving you.

The riots are underway. It is not a battle over the future of privacy and publicity. It is a battle for choice and informed consent. It’s unfolding because people are being raped, tickled, molested, and confused into doing things where they don’t understand the consequences. Facebook keeps saying that it gives users choices, but that is completely false. It gives users the illusion of and hides the details away from them “for their own good” while they then make millions off of you. When a service is “free,” it really means they’re making money off of you and your information.

Think for a while and prepare for a day that will go down in history. November 5 2011, #opfacebook . Engaged.

This is our world now. We exist without nationality, without religious bias. We have the right to not be surveilled, not be stalked, and not be used for profit. We have the right to not live as slaves.

We are anonymous
We are legion
We do not forgive
We do not forget
Expect us

“Operation Facebook”


Franco Berardi “Bifo”

Posted: Agosto 11th, 2011 | Author: | Filed under: crisi sistemica, riots | Commenti disabilitati su Franco Berardi “Bifo”

London calling

pubblicata da Franco Berardi il giorno mercoledì 10 agosto 2011 alle ore 20.30

L’ultima estate all’inferno e la prima dell’insurrezione cognitaria

Ero a Liverpool il 26 ottobre 2010, quando John Osborne Ministro dell’economia del governo conservatore inglese tenne il discorso nel quale si dichiarava l’intenzione della classe politica al servizio del capitalismo finanziario inglese di devastare la società, o meglio quel che della società è rimasto dopo trent’anni di politiche neoliberiste thatcheriane e blairiane. “Cinquecentomila dipendenti pubblici saranno licenziati entro tre anni, la spesa per la sanità pubblica saranno ridotte drasticamente, le tasse universitarie saranno moltiplicate per tre” dichiarava quel giovanotto col sorriso sulle labbra. E così via.

Ascolttandolo provai una sensazione molto netta: questi quarantenni che con la ridicola formula big society spacciano il neoliberismo agonizzante come se fosse un dogma indiscutibile, sono semplicemente degli incompetenti: dilettanti allo sbaraglio. Cresciuti come polli d’allevamento nelle loro scuole d’elite non sanno nulla del mondo e pensano che sia composto soltanto di numeri, indici e listini. Quando compaiono sulla scena degli esseri umani sanno dire soltanto che sono delinquenti e chiamano l’esercito.

Almeno la signora Thatcher aveva dovuto scontrarsi con i rabbiosi minatori di Arthur Scargill, e quando dichiarava che la società è una cosa che non esiste, la figlia del droghiere sapeva che quell’affermazione provocatoria corrispondeva a una dichiarazione di guerra. Condusse la sua guerra contro la società e la vinse. Oggi la metropoli inglese è un inferno di macerie sociali dopo una guerra, nonostante i lustrini che Blair ha cinicamente chiamato Cool Britannia. Un inferno di precariato, sfruttamento schiavistico e miseria.

Osborne non pareva chiedersi: è possibile comprimere ulteriormente la vita di milioni di giovani costretti a vivere in condizioni già insopportabili? Sembrava pensare che si trattava di prendere decisioni amministrative e aspettare che la società (che tanto non esiste) si adattasse. La sera del 26 ottobre tenni una conferenza alla Biennale di Liverpool davanti a un pubblico di artisti di strada, insegnanti sottopagati, studenti che fanno lavori precari. Dissi che a mio parere l’Europa stava morendo perché non era in grado di emanciparsi dal dogma monetarista e che entro un anno la Gran Bretagna sarebbe esplosa. E’ accaduto con qualche mese di anticipo, e so per certo che è solo l’inizio.

L’inizio dell’insurrezione europea.

Qualcuno dice che questi rivoltosi non hanno ideali e si limitano a fare la spesa senza pagare. La generazione precaria è stata espropriata di tutto, anche del suo futuro. Ora inizia facendo la spesa senza pagare. Ma è anche la generazione del lavoro cognitivo. Tra i razziatori d’agosto ci sono gli studenti che il 14 dicembre occuparono il centro della city per protestare contro la politica economica che gli toglie l’università e nei mesi di primavera occuparono le banche per tenervi lezioni di microbiologia e letteratura francese, dato che le banche hanno razziato tutto e alla scuola non sono rimasti neppure gli occhi per piangere.

Chi accusa i ribelli d’agosto di essere dei violenti è in mala fede. Prima di tutto Mark Duggan è stato ucciso dai poliziotti e l’inchiesta ha dimostrato che non aveva sparato né intendeva fuggire. In secondo luogo la violenza è quella di una classe dirigente che impedisce ai giovani di studiare.

La generazione cognitiva precaria comincia la sua rivolta afferrando quel che le occorre senza chiedere permesso. Ma la rivolta non si ferma qui, perchè il lavoro precario è anche lavoro ad alto contenuto intellettuale. Ora ci solleviamo, perchè è l’unico modo per riconquistare il nostro territorio di esistenza. Poi ricostruiremo tutto secondo scienza e coscienza. perché soltanto noi, i ribelli precari e cognitivi, liberi dal dogma neoliberista, siamo in grado di farlo.

Con rapidità impressionante il castello del capitalismo finanziario sta crollando, e la civiltà sociale costruita dal lavoro e dalla scienza nei secoli passati della modernità rischia di rimanere sotto le sue macerie. Solo l’autonomia del lavoro cognitivo potrà salvare quell’eredità, e questo è il compito politico, scientifico, e poetico che siamo chiamati a svolgere.

Inizia un decennio di conflitto insurrezionale che si dispiegherà su tutto il territorio europeo.Per difendere i suoi profitti la classe finanziaria è pronta a distruggere tutto, a gettare la popolazione nella miseria, a uccidere e istaurare una dittatura militare come Cameron minaccia di fare nella metropoli inglese. Ma per la prima volta in centocinquant’anni la rivoluzione mondiale è all’ordine del giorno.

L’Europa è il luogo in cui il conflitto si manifesta nella sua forma più avanzata, anche se la recessione occidentale aprirà la strada alla rivolta di centinaia di milioni di operai dell’India e della Cina.

Paradossalmente proprio il collasso dell’Unione europea riporta l’Europa al centro del mondo. Il patrimonio che la dittatura finanziaria sta distruggendo è il patrimonio di cinque secoli di Umanesimo, Illuminismo e Socialismo. Diconoo che questa rivolta non ha ideali. Ma gli ideali sono finora serviti per fregarci.

La follia volontarista del comunismo isterico novecentesco ha lasciato alle sue spalle cinismo e paralisi del pensiero. Ora si è conclusa, come doveva, tragicamente, e i dogmatici stalinisti del ’68 si sono tramutati in dogmatici liberisti. Il fallimento del leninismo ha lasciato campo libero al dogmatismo neoliberista che sta devastando il pianeta. Ma il collasso d’Europa riporta il dramma della lotta fra le classi nel punto in cui lo vide Marx: Londra è in fiamme.

Un passaggio gigantesco della storia del mondo, più grande di quanto fu il ’17, il 68 e l’89, per gli effetti che esso produrrà nel bene o nel male nella storia umana, si sta svolgendo per così dire, senza parole. Il pensiero fa scena muta. Assorbiti dal dogmatismo servile, e nella migliore delle ipotesi ridotti alle forme miopi del giornalismo gli intellettuali non pensano, e non sanno immaginare oltre la presente apocalisse. Ma qualcuno deve assumersi questo compito.

Quel che sta accadendo in questi mesi cambia definitivamente il corso delle nostre vite, e la prospettiva storica e politica in cui ci troviamo. La storia del capitalismo borghese moderno è finita e al suo posto vediamo delinearsi una forma di dittatura finanziaria, portatrice di barbarie e di miseria. Si tratta di un mutamento che modifica le nostre prospettive esistenziali. Potremo fingere di non saperlo potremo cercare di trovare rifugio nella sfera individuale ma la barbarie ci perseguiterà dovunque, come miseria e come violenza.

Oppure potremo arruolarci nell’insurrezione che immagina forme sociali libere dal ricatto del salario e della crescita obbligatoria.

Prima che la situazione precipitasse abbiamo costruito una scuola europea per l’immaginazione sociale.

La consideriamo un nucleo dal quale irradiare progetti di conoscenza e di innovazione autonomi dalla catastrofe del capitalismo finanziario.

Nei prossimi mesi ci impegneremo nell’organizzazione di seminari sceptici capaci di accompagnare immaginativamente l’insurrezione.

SCEPSI è un nucleo di pensiero e di immaginazione, nel cuore dell’insurrezione europea.