Posted: Ottobre 7th, 2011 | Author:agaragar | Filed under:anthropos, racisme | Commenti disabilitati su Frantz Fanon
Cancellati nella tela del potere
di Miguel Mellino
Una riflessione sull’opera del teorico militante a partire dalla pubblicazione degli scritti psichiatrici. Testi fondamentali per le successive elaborazioni contenute nei «Dannati della Terra», nei quali il disagio mentale dei colonizzati può essere affrontato dal punto di vista clinico, ma svelando anche le condizioni di illibertà imposte dal colonialismo.
A cinquanta anni dalla morte di Frantz Fanon escono in Italia alcuni dei suoi più importanti scritti psichiatrici. È la casa editrice ombre corte a proporci questa suggestiva raccolta: Decolonizzare la follia, a cura di Roberto Beneduce – direttore del Centro Frantz Fanon di Torino – e corredata da un suo ampio e interessante saggio introduttivo. Si tratta di un testo che mancava, dal momento che ci consente di conoscere meglio uno dei lati paradossalmente meno approfonditi della vita e del pensiero di Fanon: quello legato alla sua attività di psichiatra. Come ci ricordano David Macey e Alice Cherki, autori delle migliori biografie di Fanon in circolazione, è difficile capire il suo percorso teorico-politico – la genesi del suo umanesimo anticoloniale e militante – senza collocare sullo sfondo della sua opera anche l’esperienza di psichiatra, sia nella Francia metropolitana che nell’Algeria e Tunisia coloniali.
Dichiarazione dell’Occupazione di New York
30 Settembre 2011
Questo documento e stato approvato dall’Assemblea Generale il 29 Settembre, 2011
Nel riunirci unitariamente, in solidarietà, per esprimere un senso di grande ingiustizia, non possiamo perdere di vista quello che ci ha portato a riunirci qui insieme. Scriviamo questo documento in modo che tutti coloro che si sentono oppressi dalla forza del mondo corporativo possano sapere che noi siamo i loro alleati.
Come popolo compatto e unito, riconosciamo le seguenti realtà: che il futuro della razza umana ha bisogno della cooperazione dei suoi membri; che il nostro sistema deve proteggere i nostri diritti, ed in caso di corruzione del sistema, diventa un dovere degli individui, proteggere i propri diritti, e quelli dei loro vicini; che un governo democratico deriva il suo potere dal popolo, ma le grandi società capitalistiche non cercano consenso prima di estrarre ricchezze dalla Terra e dai popoli; e che nessuna vera democrazia è possibile quando il processo si basa sul potere economico. Lanciamo quest’appello in un momento in cui le grandi società, che mettono il guadagno prima delle persone, i loro interessi prima della giustizia, e l’oppressione prima dell’uguaglianza, controllono i nostri governi. Ci siamo uniti in modo pacifico, come il nostro diritto, per dare una voce a questi fatti.
In the last months there have been, time and again, mass demonstrations on the street, in the square, and though these are very often motivated by different political purposes, something similar happens: bodies congregate, they move and speak together, and they lay claim to a certain space as public space. Now, it would be easier to say that these demonstrations or, indeed, these movements, are characterized by bodies that come together to make a claim in public space, but that formulation presumes that public space is given, that it is already public, and recognized as such. We miss something of the point of public demonstrations, if we fail to see that the very public character of the space is being disputed and even fought over when these crowds gather. So though these movements have depended on the prior existence of pavement, street, and square, and have often enough gathered in squares, like Tahrir, whose political history is potent, it is equally true that the collective actions collect the space itself, gather the pavement, and animate and organize the architecture. As much as we must insist on there being material conditions for public assembly and public speech, we have also to ask how it is that assembly and speech reconfigure the materiality of public space, and produce, or reproduce, the public character of that material environment. And when crowds move outside the square, to the side street or the back alley, to the neighborhoods where streets are not yet paved, then something more happens.
Posted: Ottobre 3rd, 2011 | Author:agaragar | Filed under:BCE, crisi sistemica | Commenti disabilitati su Zapatero ha chinato la testa
A cosa servono le sinistre europee?
di Franco Berardi “Bifo”
Il 20 Novembre si terranno le elezioni in Spagna, dopo che il governo a guida socialista ha deciso di rinunciare a condurre a termine la legislatura per le difficoltà di gestione della situazione economica, non prima però di avere avviato una politica di austerità aggressiva, che è già costata riduzioni di stipendio per i lavoratori pubblici, tagli alle diponibilità delle amministrazioni regionali, riduzione del finanziamento per i servizi sanitari, e soprattutto non prima di aver accettato la devastante logica antisociale imposta dalle autorità centrali europee.
Posted: Ottobre 2nd, 2011 | Author:agaragar | Filed under:au-delà | Commenti disabilitati su Le Grand Jeu
Avant-Propos
Le Grand Jeu est irrémédiable; il ne se joue qu’une fois. Nous voulons le jouer à tous les instants de notre vie. C’est encore à « qui perd gagne ». Car il s’agit de se perdre. Nous voulons gagner. Or, le Grand Jeu est un jeu de hasard, c’est-à-dire d’adresse, ou mieux de « grâce » : la grâce de Dieu, et la grâce des gestes.
Avoir la grâce est une question d’attitude et de talisman. Rechercher l’attitude favorable et le signe qui force les mondes est notre but. Car nous croyons à tous les miracles. Attitude : il faut se mettre dans un état de réceptivité entière, pour cela être pur, avoir fait le vide en soi. De là notre tendance idéale à remettre tout en question dans tous les instants. Une certaine habitude de ce vide façonne nos esprits de jour en jour. une immense poussée d’innocence a fait craquer pour nous tous les cadres des contraintes qu’un être social a coutume d’accepter. Nous n’acceptons pas parce que nous ne comprenons plus. Pas plus les droits que les devoirs et leurs prétendues nécessités vitales. Face à ces cadavres, nous augurons peu à peu une éthique nouvelle qui se construira dans ces pages. Sur le plan de la morale des hommes qui se regardent, qui s’emboîtent le pas, qui rampent au-dessous, volent au-dessus, se devancent, se fuient, s’acclament, se huent et se regardent impassibles. Mais nous ne voulons être alors que l’action de marcher. C’est en cela que nous sommes comédiens sincères. Mauvais sont ceux qui ne se donnent pas entièrement à leur choix. Nous avons simplement le sens de l’action.
Se governa la finanza. Intervista a Giorgio Lunghini
Che cos’è che ti colpisce di più della crisi attuale dell’Europa? L’immutabilità del paradigma liberista? L’intoccabilità della finanza? L’incapacità politica?
Colpiscono tutte e tre le cose, che però vanno ridefinite. È davvero liberista la politica economica europea, una politica economica in verità imposta da un solo paese, la Germania? In che senso la finanza è intoccabile, se non nel senso che essa finanza è al governo e che dunque la politica è impotente? La finanza è al governo perché l’Unione Europea, non essendo una unione politica, è indifesa nei confronti di quello che Chomski, riprendendo Eichengreen, chiama il “senato virtuale”.
Questo senato virtuale è costituito da prestatori di fondi e da investitori internazionali che continuamente sottopongono a giudizio, anche per mezzo delle agenzie di rating, le politiche dei governi nazionali; e che se giudicano ”irrazionali” tali politiche – perché contrarie ai loro interessi – votano contro di esse con fughe di capitali, attacchi speculativi o altre misure a danno di quei paesi (e in particolare delle varie forme di stato sociale). I governi democratici hanno dunque un doppio elettorato: i loro cittadini e il senato virtuale, che normalmente prevale.
Ma ciò che colpisce di più è la straordinaria occasione storica che l’Europa ha mancato, nonostante le risorse naturali, economiche, umane e culturali di cui dispone: l’occasione di diventare una Unione democratica e giusta, ricca e indipendente.
Postoperaismo o la trasformazione di capitale e lavoro
di MICHAEL BLECHER
“Un sapere che non afferri la tua vita nella sua interezza vale poco o nulla”, Luciano Ferrari Bravo
I. Poiesi Non-Sistemica
Parlare da outsider di postoperaismo sul maggiore sito ‘postoperaista’ italiano è impresa rischiosa – al di là dei problemi che i protagonisti potrebbero avere con questa definizione.[1] Mi accingo allora subito ad applicare la solita ‘clausola liberatoria’ dichiarando che ‘tutti gli errori sono esclusivamente miei’. Comunque questa specie di re-entry si deve non ultimo al fatto che finora il postoperaismo viene ‘riconosciuto’ più all’estero che non in Italia; almeno se si considera che i libri scritti da Michael Hardt e Antonio Negri, protagonisti di quel postoperaismo, sono dei bestseller internazionali. Inoltre sta nascendo un dibattito internazionale sulle valenze dei loro concetti che si deve probabilmente alla mancanza di un’adeguata teoria e prassi critica di fronte alle ultime mosse auto-valorizzanti che il capitalismo finanziario sta lanciando sotto il profilo di una ‘crisi’ costante.
Feticismo della merce digitale e sfruttamento nascosto: i casi Amazon e Apple
La settimana scorsa The Morning Call, un quotidiano della Pennsylvania, ha pubblicato una lunga e dettagliata inchiesta – intitolata Inside Amazon’s Warehouse – sulle terribili condizioni di lavoro nei magazzini Amazon della Lehigh Valley. Il reportage, risultato di mesi di interviste e verifiche, sta facendo il giro del mondo ed è stato ripreso dal New York Times e altri media mainstream. Il quadro è cupo:
– estrema precarietà del lavoro, clima di perenne ricatto e assenza di diritti;
– ritmi inumani, con velocità raddoppiate da un giorno all’altro (da 250 a 500 “colli” al giorno, senza preavviso), con una temperatura interna che supera i 40° e in almeno un’occasione ha toccato i 45°;
– provvedimenti disciplinari ai danni di chi rallenta il ritmo o, semplicemente, sviene (in un rapporto del 2 giugno scorso si parla di 15 lavoratori svenuti per il caldo);
– licenziamenti “esemplari” su due piedi con il reprobo scortato fuori sotto gli occhi dei colleghi.
E ce n’è ancora. Leggetela tutta, l’inchiesta. Ne vale la pena. La frase-chiave la dice un ex-magazziniere: “They’re killing people mentally and phisically.“