Posted: Ottobre 25th, 2011 | Author:agaragar | Filed under:comune | Commenti disabilitati su Alternativa comune
Pensare il presente,costruire il futuro
Ci sono momenti in cui sembra che la storia si sia rimessa in moto,in cui la realtà corre velocissima e sembra procedere a salti. Se guardiamo al mondo contemporaneo,al mondo della crisi sistemica globale,non possiamo che constatarlo:colossi finanziari che crollano nel giro di poche settimane,il tramonto dell’egemonia del dollaro,la crescita vertiginosa delle economia cinese,indiana e brasiliana,il carattere inarrestabile della devastazione ambientale ad opera di corporation transazionali,con il riapparire,tra i fumi della catastrofe “naturale”,dell’incubo nucleare.
Posted: Ottobre 23rd, 2011 | Author:agaragar | Filed under:Impero di Mezzo | Commenti disabilitati su IL DOMINIO DELL’ARMONIA
di Beppe Caccia
Una combinazione di filosofia confuciana, ideologia nazionalista e liberismo e che si propone come modello produttivo, sociale e politico per una economia mondiale in crisi. Ma nella vorticosa transizione cinese si sono manifestate forme diffuse di resistenza e insubordinazione sociale. Da oggi a Venezia un seminario internazionale dedicato ai «Paradossi cinesi».
Yongshun Cai, a partire da una dettagliata analisi quantitativa e dai dati raccolti sul campo nell’arco dell’ultimo decennio, offre un’immagine inedita del rapporto tra «economia di transizione» e capillare diffusione dei conflitti sociali nella Cina contemporanea. Solo per restare alle nude cifre, quelle che il sociologo di Hong Kong classifica come «azioni collettive» di protesta sono passate dalle undicimila del 1995 alle oltre ottantasettemila nel solo anno 2005. Le cause sono note: velocità, intensità e costi sociali particolarmente elevati dello sviluppo produttivo, vaste dimensioni della forzata urbanizzazione di una quota crescente della forza lavoro, profondità sradicante del processo di ristrutturazione urbana nelle aree metropolitane. E, aggiunge Cai, la fragilità dei meccanismi formalizzati di risoluzione dei conflitti, a partire dall’inaffidabilità del sistema legale e giudiziario.
Qualche indicazione bibliografica sulle letture che fanno da sfondo alla discussione seminariale sui «paradossi cinesi»: «Adam Smith a Pechino. Genealogie del ventunesimo secolo» di Giovanni Arrighi (Feltrinelli); «Il nuovo ordine cinese» di Wang Hui (Manifestolibri 2006); dello stesso autore «The End of the Revolution. China and the Limits of Modernity» (Verso); «Collective Resistance in China. Why Popular Protests Succeed or Fail» di Yongshun Cai (Stanford University Press); « The Rise of China and the Demise of the Capitalist World Economy» di Minqi Li (Monthly Review Press); «Made in China: Women Factory Workers in a Global Workplace» di Pun Ngai (Duke and Hong Kong University Press); «Asian Biotech: Ethics and Communities of Fate» di Nancy N. Chen e Aihwa Ong, (Duke UP); «La testa del drago. Lavoro cognitivo ed economia della conoscenza in Cina, con saggio di Andrew Ross, Yu Zhou, Aihwa Ong, Xiang Biao, Ching Kwan Lee (a cura di Gigi Roggero, Ombre corte); « Il tallone del drago. Lavoro cognitivo, capitale globalizzato e conflitti in Cina» di Paolo Do (DeriveApprodi).
Posted: Ottobre 22nd, 2011 | Author:agaragar | Filed under:comune, postcapitalismo cognitivo | Commenti disabilitati su Distruggere la paura, affermare il comune
di COLLETTIVO UNINOMADE
0. Nella sera romana illuminata dai fuochi di Piazza San Giovanni, abbiamo cominciato a interrogarci sulla giornata del 15 ottobre, su ciò che ha rivelato nelle molteplici scale geografiche che si sono incrociate a produrne la dimensione globale, sulla forza e sulle potenzialità che ha fatto emergere, sui problemi che consegna alla nostra riflessione e alle nostre pratiche. Lo abbiamo fatto e continuiamo a farlo da materialisti, convinti – per citare uno che la sapeva lunga – che le azioni umane non vadano derise, compiante o detestate, ma prima di tutto comprese. Proviamo a farlo con queste note, segnalando alcuni dei punti che ci sembrano più rilevanti.
In tempi eccezionali fenomeni normalmente considerati marginali diventano essenziali e delineano il comune di un’epoca. Stiamo vivendo uno di quei tempi.
Partire dal mezzo
Si era pensato che parole come insurrezione, rivoluzione, anarchia e comunismo fossero state per sempre rinchiuse in esangui ambienti «antisistema« e che non restasse, al meglio, che ripetere a ogni autunno il rituale movimentista. Ma oggi, in presenza di movimenti insurrezionali diffusi, sono proprio i movimentisti a ritrovarsi minoritari. Alcuni sono in affannosa ricerca di una nuova rappresentanza, se non di una narrazione di governo che si aggrappa alla capacità di resistere di un non meglio specificato «ceto medio», mentre i circoli del radicalismo si trovano espropriati della loro identità costruita proprio sull’assenza dell’insurrezione.
Il 15 febbraio del 2003 centomilioni di persone sfilarono nelle strade
del mondo per chiedere la pace, per chiedere che la guerra contro l’Iraq
non devastasse definitivamente la faccia del mondo. Il giorno dopo il
presidente Bush disse che nulla gli importava di tutta quella gente (I
don’t need a focus group) e la guerra cominciò. Con quali esiti sappiamo.
Dopo quella data il movimento si dissolse, perché era un movimento
etico, il movimento delle persone per bene che nel mondo rifiutavano la
violenza della globalizzazione capitalistica e la violenza della guerra.
Il 15 Ottobre in larga parte del mondo è sceso in piazza un movimento
similmente ampio. Coloro che dirigono gli organismi che stanno affamando
le popolazioni (come la BCE) sorridono nervosamente e dicono che sono
d’accordo con chi è arrabbiato con la crisi purché lo dica educatamente.
Hanno paura, perché sanno che questo movimento non smobiliterà, per la
semplice ragione che la sollevazione non ha soltanto motivazioni etiche
o ideologiche, ma si fonda sulla materialità di una condizione di
precarietà, di sfruttamento, di immiserimento crescente. E di rabbia.
La rabbia talvolta alimenta l’intelligenza, talaltra si manifesta in
forma psicopatica. Ma non serve a nulla far la predica agli arrabbiati,
perché loro si arrabbiano di più. E non stanno comunque ad ascoltare le
ragioni della ragionevolezza, dato che la violenza finanziaria produce
anche rabbia psicopatica.
Il giorno prima della manifestazione del 16 in un’intervista pubblicata
da un giornaletto che si chiama La Stampa io dichiaravo che a mio parere
era opportuno che alla manifestazione di Roma non ci fossero scontri,
per rendere possibile una continuità della dimostrazione in forma di
acampada. Le cose sono andate diversamente, ma non penso affatto che la
mobilitazione sia stata un fallimento solo perché non è andata come io
auspicavo.
Un numero incalcolabile di persone hanno manifestato contro il
capitalismo finanziario che tenta di scaricare la sua crisi sulla
società. Fino a un mese fa la gente considerava la miseria e la
devastazione prodotte dalle politiche del neoliberismo alla stregua di
un fenomeno naturale: inevitabile come le piogge d’autunno. Nel breve
volgere di qualche settimana il rifiuto del liberismo e del finazismo è
dilagato nella consapevolezza di una parte decisiva della popolazione.
Un numero crescente di persone manifesterà in mille maniere diverse la
sua rabbia, talvolta in maniera autolesionista, dato che per molti il
suicidio è meglio che l’umiliazione e la miseria.
Leggo che alcuni si lamentano perché gli arrabbiati hanno impedito al
movimento di raggiungere piazza San Giovanni con i suoi carri colorati.
Ma il movimento non è una rappresentazione teatrale in cui si deve
seguire la sceneggiatura. La sceneggiatura cambia continuamente, e il
movimento non è un prete né un giudice. Il movimento è un medico. Il
medico non giudica la malattia, la cura.
Chi è disposto a scendere in strada solo se le cose sono ordinate e non
c’è pericolo di marciare insieme a dei violenti, nei prossimi dieci anni
farà meglio a restarsene a casa. Ma non speri di stare meglio, rimanendo
a casa, perché lo verranno a prendere. Non i poliziotti né i fascisti.
Ma la miseria, la disoccupazione e la depressione. E magari anche gli
ufficiali giudiziari.
Dunque è meglio prepararsi all’imprevedibile. E’ meglio sapere che la
violenza infinita del capitalismo finanziario nella sua fase agonica
produce psicopatia, e anche razzismo, fascismo, autolesionismo e
suicidio. Non vi piace lo spettacolo? Peccato, perché non si può
cambiare canale.
Il presidente della Repubblica dice che è inammissibile che qualcuno
spacchi le vetrine delle banche e bruci una camionetta lanciata a tutta
velocità in un carosello assassino. Ma il presidente della Repubblica
giudica ammissibile che sia Ministro un uomo che i giudici vogliono
processare per mafia, tanto è vero che gli firma la nomina, sia pure con
aria imbronciata. Il Presidente della Repubblica giudica ammissibile che
un Parlamento comprato coi soldi di un mascalzone continui a legiferare
sulla pelle della società italiana tanto è vero che non scioglie le
Camere della corruzione. Il Presidente della Repubblica giudica
ammissibile che passino leggi che distruggono la contrattazione
collettiva, tanto è vero che le firma. Di conseguenza a me non importa
nulla di ciò che il Presidente giudica inammissibile.
Io vado tra i violenti e gli psicopatici per la semplice ragione che là
è più acuta la malattia di cui soffriamo tutti. Vado tra loro e gli
chiedo, senza tante storie: voi pensate che bruciando le banche si
abbatterà la dittatura della finanza? La dittatura della finanza non sta
nelle banche ma nel ciberspazio, negli algoritmi e nei software.
La dittatura della finanza sta nella mente di tutti coloro che non sanno
immaginare una forma di vita libera dal consumismo e dalla televisione.
Vado fra coloro cui la rabbia toglie ragionevolezza, e gli dico: credete
che il movimento possa vincere la sua battaglia entrando nella trappola
della violenza? Ci sono armate professionali pronte ad uccidere, e la
gara della violenza la vinceranno i professionisti della guerra.
Ma mentre dico queste parole so benissimo che non avranno un effetto
superiore a quello che produce ogni predica ai passeri.
Lo so, ma le dico lo stesso. Le dico e le ripeto, perché so che nei
prossimi anni vedremo ben altro che un paio di banche spaccate e
camionette bruciate. La violenza è destinata a dilagare dovunque. E ci
sarà anche la violenza senza capo né coda di chi perde il lavoro, di chi
non può mandare a scuola i propri figli, e anche la violenza di chi non
ha più niente da mangiare.
Perché dovrebbero starmi ad ascoltare, coloro che odiano un sistema così
odioso che è soprattutto odioso non abbatterlo subito?
Il mio dovere non è isolare i violenti, il mio dovere di intellettuale,
di attivista e di proletario della conoscenza è quello di trovare una
via d’uscita. Ma per cercare la via d’uscita occorre essere laddove la
sofferenza è massima, laddove massima è la violenza subita, tanto da
manifestarsi come rifiuto di ascoltare, come psicopatia e come
autolesionismo. Occorre accompagnare la follia nei suoi corridoi
suicidari mantenendo lo spirito limpido e la visione chiara del fatto
che qui non c’è nessun colpevole se non il sistema della rapina sistematica.
Il nostro dovere è inventare una forma più efficace della violenza, e
inventarla subito, prima del prossimo G20 quando a Nizza si riuniranno
gli affamatori. In quella occasione non dovremo inseguirli, non dovremo
andare a Nizza a esprimere per l’ennesima volta la nostra rabbia
impotente. Andremo in mille posti d’Europa, nelle stazioni, nelle piazze
nelle scuole nei grandi magazzini e nelle banche e là attiveremo dei
megafoni umani. Una ragazza o un vecchio pensionato urleranno le ragioni
dell’umanità defraudata, e cento intorno ripeteranno le sue parole, così
che altri le ripeteranno in un mantra collettivo, in un’onda di
consapevolezza e di solidarietà che a cerchi concentrici isolerà gli
affamatori e toglierà loro il potere sulle nostre vite.
Un mantra di milioni di persone fa crollare le mura di Gerico assai più
efficacemente che un piccone o una molotov.
Abstract: Gilbert Simondon once noticed that industrial machines were already an information relay, as they were bifurcating for the first time the source of energy (nature) from the source of information (the worker). In 1963, in order to describe the new condition of industrial labour, Romano Alquati introduced the notion of valorising information as a link between the Marxist concept of value and the cybernetic definition of information. In 1972, Deleuze and Guattari initiated their machinic ontology as soon as cybernetics started to exit the factory and expand to the whole society.
In this text I focus again on the Turing machine as the most empirical model available to study the guts of cognitive capitalism. Consistent with the Marxian definition of machinery as a device for the “augmentation of surplus value”, the algorithm of the Turing machine is proposed as engine of the new forms of valorisation, measure of network surplus value and new ‘crystal’ of social conflict. Information machines are not just ‘linguistic machines’ but indeed a relay between information and metadata: in this way they open to a further technological bifurcation and also to new forms of biopolitical control: a society of metadata is outlined as the current evolution of that ‘society of control’ pictured by Deleuze in 1990.
Con la separazione tra sapere e potere e il massiccio diffondersi della televisione, le democrazie odierne assomigliano sempre più a delle sondocrazie: tutto è lecito in nome del consenso, dell’“audience”, e l’unica verità che conta è quella dei sondaggi, del marketing. Tuttavia, nell’Italia berlusconiana e nell’Inghilterra di Murdoch si scorgono i primi segnali di un’inversione di rotta.
La verità è stata per la filosofia quello che il sacro Graal è stato per i cavalieri medievali e la pietra filosofale per gli alchimisti: un obiettivo sfuggente e mai raggiunto, ma capace di giustificare qualsiasi sforzo e qualsiasi sacrificio. Ogni volta, in ogni epoca e con ogni pensatore, la verità veniva raggiunta solo per essere contraddetta e superata dal pensiero successivo. Sino a che questa impossibilità di raggiungere il vero, in modo definitivo ed esaustivo, ha cominciato a far parte della teoria stessa della verità. La verità è tale solo sino a quando viene “falsificata” in senso popperiano. E ancora, la verità è qualcosa che cambia nel tempo con l’avvicendarsi di epistemi diverse. Pensiamo al concetto di rottura epistemologica in Gaston Bachelard. E pensiamo al concetto di regime di verità teorizzato da Michel Foucault.
Posted: Ottobre 11th, 2011 | Author:agaragar | Filed under:crisi sistemica | Commenti disabilitati su DIETRO E OLTRE LA CRISI
di Guglielmo Carchedi
La crisi finanziaria del 2007-2010 ha riacceso la discussione sulla crisi, sulla sua origine e sui suoi possibili rimedi. Oggigiorno, la tesi più influente nella sinistra identifica le cause della crisi in una prospettiva sottoconsumista e raccomanda come soluzioni politiche redistributive e di investimento keynesiane. Carchedi sostiene che la giusta prospettiva per capire la crisi dovrebbe essere la Legge della caduta tendenziale del saggio medio di profitto di Marx, la cui caratteristica è che il progresso tecnologico diminuisce il saggio medio di profitto piuttosto che aumentarlo, come si pensa comunemente.
Proposta dall’interno delle acampadas spagnole, la giornata del 15 ottobre si sta configurando come un importante appuntamento di lotta a livello europeo e globale. Ci prepariamo a viverlo mentre l’onda di indignazione sollevata dalla crisi economica è arrivata a investire Wall Street e dopo mesi di mobilitazioni che, per quel che ci riguarda più da vicino, hanno segnato in profondità l’area euro-mediterranea. Sia chiaro: al 15 ottobre è bene guardare con occhi scevri da ogni mitologia riguardo alla sua possibile natura di «evento decisivo». Proprio la dinamica delle lotte degli ultimi mesi ha mostrato spesso una sconnessione tra i movimenti reali e la convocazione di scadenze che si volevano «ricompositive», come ad esempio gli scioperi generali in Italia e in Grecia. Mentre altrettanto spesso veri e propri «eventi» si sono prodotti in modi imprevedibili, che si tratta di indagare e comprendere. Il 15 ottobre, colto nella sua dinamica transnazionale, costituisce anche un’occasione per approfondire la discussione su questi problemi, che sono stati al centro dei recenti meeting di Rio de Janeiro (24-26 agosto), di Barcellona (15-18 settembre) e in Tunisia (29 settembre-2 ottobre).
Occupy Wall Street: The Most Important Thing in the World Now
By Naomi Klein – October 6th, 2011
Published in The Nation.
I was honored to be invited to speak at Occupy Wall Street on Thursday night. Since amplification is (disgracefully) banned, and everything I said had to be repeated by hundreds of people so others could hear (a.k.a. “the human microphone”), what I actually said at Liberty Plaza had to be very short. With that in mind, here is the longer, uncut version of the speech.
I love you.
And I didn’t just say that so that hundreds of you would shout “I love you” back, though that is obviously a bonus feature of the human microphone. Say unto others what you would have them say unto you, only way louder.