“Thiers, questo nano mostruoso, ha affascinato la borghesia francese per quasi mezzo secolo, perché è l’espressione intellettuale più perfetta della sua corruzione di classe”. A parlare non è qualche rancoroso attivista del Movimento 5 stelle, ma Karl Marx; in ballo c’era una guerra civile, per nulla simulata, quella che portò alla Comune di Parigi e poi alla sua repressione.
Insomma, di fronte alla puzza sotto il naso con cui si guarda ad alcune categorie vorremmo provare a tranquillizzare tutti: nella nostra patristica rivoluzionaria non mancano autorevoli esempi di insulti popolari e di utilizzo di ambigue parole come “corruzione”.
Giocare il gioco dell’Italian Theory? Note sullo stato della filosofia italiana – 4
A fine gennaio si è tenuto a Parigi un convegno sull’Italian Theory, organizzato dall’Université Paris-Ouest Nanterre e dalla Sorbona1. L’asse del convegno, coordinato da Silvia Contarini, Davide Luglio e Federico Luisetti, era dubitativo: L’Italian Theory existe-t-elle? La domanda potrebbe essere ripensata così: esiste un capitolo specifico della storia del pensiero europeo, geograficamente e cronologicamente circoscritto e relativamente omogeneo dal punto di vista tematico, capace tuttavia di offrire una proposta teorica sulla quale incardinare un dibattito utile a sciogliere alcune questioni urgenti per la filosofia contemporanea? attorno a tale questione si è prodotto un fitto confronto tra Roberto Esposito, Toni Negri, Sandro Mezzadra e gli altri partecipanti all’incontro. Com’è facile intuire, la questione è sbilanciata su molteplici incognite, senza sciogliere le quali, tuttavia, nessuna “unità storiografica” può reggere alla verifica teorica.
1. Il capitalismo è un oggetto di elevata astrazione, il comune è una forza di ancor più grande astrazione.
La nozione di lavoro astratto di Marx identificò per la prima volta il motore centrale del capitalismo, ovvero la trasformazione del lavoro in equivalente generale. In seguito, Sonh-Rethel (1970) individuò la stretta relazione che passa storicamente tra astrazione del linguaggio, astrazione della merce e astrazione del denaro. Nella cosiddetta ‘introduzione’ ai Grundrisse (scritta nel 1857) Marx chiarisce l’astrazione come metodologia di analisi che emergerà solo dieci anni più tardi nella pagine del Capitale (1867). Come ricordano in molti (Ilyenkov 1960), in Marx il concreto è un risultato, è un prodotto del processo di astrazione: la realtà capitalistica, così come quella rivoluzionaria, è una invenzione. “Il concreto è concreto perché è sintesi di molte determinazioni, quindi unità del molteplice. Per questo nel pensiero esso si presenta come processo di sintesi, come risultato e non come punto di partenza, sebbene esso sia il punto di partenza effettivo e perciò anche il punto di partenza dell’intuizione e della rappresentazione” (Marx 1857: 101). L’astrazione è sia la tendenza del capitale, sia il metodo del Marxismo. L’operaismo viene quindi a strappare l’astrazione dal doppiopetto del capitale per ricucirla addosso alla tuta del proletario: astrazione è sia il movimento del capitale, sia il movimento della resistenza ad esso.
Negri (1979: 66) muove l’astrazione al centro del metodo della tendenza antagonista come processo di conoscenza collettiva: “il processo dell’astrazione determinata è tutto dentro l’illuminazione collettiva, proletaria, è quindi un elemento di critica e una forma di lotta”. In qualche modo, l’idea del comune nasce come progetto epistemico.
Marx, Karl (1857). Grundrisse der Kritik der politischen Ökonomie. Moscow: Verlag für fremdsprachige Literatur, 1939. Traduzione: Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica. Torino: Einaudi, 1976.
Ilyenkov, E. Vassilievich (1960). La dialettica dell’astratto e del concreto nel Capitale di Marx. Milano : Feltrinelli, 1961.
Sohn-Rethel, Alfred (1970). Geistige und körperliche Arbeit. Frankfurt (Main): Suhrkamp. Traduzione: Lavoro intellettuale e lavoro manuale. Milano, Feltrinelli, 1977.
Negri, Antonio (1979). Marx oltre Marx: Quaderno di lavoro sui Grundrisse. Milano: Feltrinelli.
Con questa intervista a Toni Negri, si apre su globalproject.info una nuova finestra che proporrà con continuità a partire da oggi inedite occasioni di analisi, approfondimento e formazione teorico-politica.
E proprio le caratteristiche della fase “post-austerity”, che si sta affacciando dopo sei anni di gestione capitalistica della crisi, in Europa e nella relazione tra questo spazio e gli scenari globali, saranno al centro del lavoro di queste prime settimane.
A partire, ad esempio, dalle tensioni che hanno investito nelle ultime ore i mercati delle cosiddette “economie emergenti”. E’ il sistema nei cambi ad entrare, per la prima volta dall’inizio della crisi, in fibrillazione, quasi ad indicare come forse sui rapporti valutari il capitale finanziario abbia cominciato a giocarsi la partita per la stabilizzazione e il rilancio delle dinamiche di accumulazione. Provare a comprendere che cosa stia succedendo sarà una delle sfide che MM si prepara ad affrontare.
Pubblichiamo l’editoriale di Roberto Finelli al n. 5 della rivista di filosofia on line Consecutio Temporum , dal titolo Karl Marx e il suo deficit originario.
1. Ciò che di Marx oggi non è più possibile accettare non è certamente la critica dell’economia – che invece trova sempre più conferme – quanto l’antropologia e la filosofia della storia che ne consegue. In buona parte dell’opera di Marx c’è infatti un deficit profondissimo di analisi e comprensione della soggettività, che ha avuto conseguenze assai negative nelle storie dei movimenti operai e delle emancipazioni sociali che si sono richiamate al marxismo.
Quando si commemorano delle nascite, delle morti od altri anniversari che risalgono a più di un secolo prima, l’oggetto del ricordo è, le più volte, già diventato un pezzo da museo collocato fra i reperti di un passato morto e che non solleva più la minima emozione. Pagine culturali dei quotidiani, dignitari della cultura ed amministratori della storia possono celebrare il loro “avvenimento” appoggiandosi piacevolmente sulle teche dentro le quali dormono i documenti cui riferirsi, documenti che una volta galvanizzavano le folle.
Chi come noi non ha interessi elettorali è nella migliore posizione per riconoscere la grande importanza che avranno, nel 2014, le elezioni per il parlamento europeo. E’ facile prevedere, nella maggior parte dei Paesi interessati, un elevato astensionismo e una significativa affermazione di forze “euroscettiche”, unite dalla retorica del ritorno alla “sovranità nazionale”, dall’ostilità all’euro e ai “tecnocrati di Bruxelles”. Non sono buone cose, per noi. Siamo da tempo convinti che l’Europa ci sia, che tanto sotto il profilo normativo quanto sotto quello dell’azione governamentale e capitalistica l’integrazione abbia ormai varcato la soglia dell’irreversibilità. Nella crisi, un generale riallineamento dei poteri – attorno alla centralità della BCE e a quel che viene definito “federalismo esecutivo” – ha certo modificato la direzione del processo di integrazione, ma non ne ha posto in discussione la continuità. La stessa moneta unica appare oggi consolidata dalla prospettiva dell’Unione bancaria: contestare la violenza con cui essa esprime il comando capitalistico è necessario, immaginare un ritorno alle monete nazionali significa non capire qual è oggi il terreno su cui si gioca lo scontro di classe. Certo, l’Europa oggi è un’“Europa tedesca”, la sua geografia economica e politica si va riorganizzando attorno a precisi rapporti di forza e di dipendenza che si riflettono anche a livello monetario. Ma solo l’incanto neoliberale induce a scambiare l’irreversibilità del processo di integrazione con l’impossibilità di modificarne i contenuti e le direzioni, di far agire dentro lo spazio europeo la forza e la ricchezza di una nuova ipotesi costituente. Rompere questo incanto, che in Italia è come moltiplicato dalla vera e propria dittatura costituzionale sotto cui stiamo vivendo, significa oggi riscoprire lo spazio europeo come spazio di lotta, di sperimentazione e di invenzione politica. Come terreno sul quale la nuova composizione sociale dei lavoratori e dei poveri aprirà, eventualmente, una prospettiva di organizzazione politica. Certo, lottando sul terreno europeo, essa avrà la possibilità di colpire direttamente la nuova accumulazione capitalistica. E’ ormai solo sul terreno europeo che possono porsi la questione del salario come quella del reddito, la definizione dei diritti come quella delle dimensioni del welfare, il tema delle trasformazioni costituzionali interne ai singoli paesi come la questione costituente europea. Oggi, fuori da questo terreno, non si dà realismo politico.
Intervista a STEPHEN SHAPIRO – di EMANUELE LEONARDI
Attualmente stai lavorando – da una prospettiva marxiana – su nozioni quali forza lavoro fissa e materialismo culturale. Potresti spiegare quali sono i caratteri centrali di questi concetti? Come si connettono con il sistema educativo e con il ruolo sempre più cruciale giocato dalla conoscenza nel contesto dei processi di produzione contemporanei?
Il materialismo culturale è lo studio della relazione tra esperienza sociale, in quanto storicamente messa in forma dall’organizzazione della produzione, ed espressione culturale, sia essa testuale, visuale, sonora o comportamentale. Il materialismo culturale, profondamente legato alla figura di Raymond Williams (1921-1988), si propone in generale di andare oltre le inutili rigidità della dicotomia tra struttura e sovrastruttura o della teoria del riflesso culturale, avversata pure da Engels.
Una vicenda abbastanza datata quella sul reddito garantito si è riaccesa nel dibattito di movimento e non solo. Il “non solo” si riferisce prevalentemente all’ultimo periodo della vita politica istituzionale e del suo spazio pubblico che perlomeno dalle elezioni del 2013 in poi ha indicato il reddito, certamente minimo e condizionato, come uno dei terreni di riforma possibile. Chiaramente nemmeno a dirlo dopo mesi di governo dellebasse e strette intese, il dispositivo di briciole è stato definito nella Legge di Stabilità 2014 con risorse allocate risibili: come la montagna partorisce il topolino. Nel maxi-emendamento compare una misura presentata mediaticamente come reddito minimo ma in verità si stratta di un sussidio contro la povertà il cui finanziamento è a dir poco ridicolo ovvero 120 milioni di Euro in tre anni. Queste risorse dovrebbero confluire nel fondo contro la povertà che attualmente gestisce la Social Card. La misura è estremamente familista ed destinata ad una platea ridottissima. Non ci aspettavamo di più dal governo dell’austerity, ma una cosa ci sembra fondamentale sottolineare: i tre disegni di legge presentati alla Camera (PD, SEL e M5S) in modo assolutamente divergenti sia come filosofia dell’intervento che come previsioni di copertura economica hanno messo chiaramente in luce almeno tre caratteristiche fondamentali. La prima riguarda il bisogno della governance di dare una risposta spot sul tema del reddito a tutti gli esclusi dagli ammortizzatori sociali e dagli strumenti di protezione sociale. Ci riferiamo alla composizione sociale fatta da milioni di precari, precarizzati, working poor e giovani disoccupati, questo lo vediamo come un segno che il dibattito (a volte confuso ed ambiguo) e la penetrazione sociale della rivendicazione ha tutte le potenzialità per diventare una miscela esplosiva e preoccupante. La seconda caratteristiche riguarda l’impostazione degli schemi di reddito proposti delle diverse forze politiche, completamente schiacciata sui dispositivi di regolazione sociale imposti dall’Europea che obbligano l’Italia ad attivare forme di sostegno al reddito legate a politiche di welfare to work ovvero un welfare condizionale completamente legato a regimi sanzionatori. Dispositivi simili, con risorse esigue, verranno attivati anche attraverso il programma europeo Youth Guarantee il cui baricentro dichiarato è la lotta contro la disoccupazione giovanile e le politiche di attivazione dei cosiddetti NEET. La terza caratteristica riguarda il tema dell’allocazione delle risorse pubbliche, nei tre diversi disegni di legge si parla di investimenti che vanno da 2 ai 19 miliardi di euro, ultimo progetto proposto da M5S. Dall’analisi di questi semplici dati emerge, infatti, che il problema non è di risorse ma di volontà politica. L’obbiettivo del governo dell’austerity è quello smantellare e finanziarizzare il welfare, contrastando qualsiasi provvedimenti di redistribuzione della ricchezza continua a finanziare banche, spese militari ect ect. Tutto ciò accade in un contesto di impoverimento generalizzato di larghi strati della popolazione, l’INPS ha recentemente affermato che il 29% della popolazione, a più di 18 milioni di persone, rischia la povertà, un dato vicino a quello greco, che è pari al 34%. Osservando i dati il paese ellenico è l’unico peggiore dell’Italia all’interno dell’Eurozona.