Posted: Marzo 8th, 2012 | Author: agaragar | Filed under: donnewomenfemmes, postgender, Révolution | Commenti disabilitati su tiqqun
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Introduzione a
ECOGRAFIA DI UNA POTENZIALITA’
di Tiqqun
Anarcheologia e potenzialità
” Tiqqun” è un termine dell’ebraico cabbalistico di Isaac Luria ( 1534-1572), detto “Ha-Ari” o “Il sacro
leone”, e significa “riparazione”.
Di Tiqqun sono stati tradotti in Italia gli Elementi per una teoria della Jeune-Fille ( Bollati Boringhieri,
2003), La comunità terribile (Derive & approdi, 2003) e Teoria del Bloom ( Bollati Boringhieri, 2004), testi
molto letti da noi anche all’interno dei gruppi femministi e lgbtq. I materiali contenuti ne La comunità
terribile sono tutti tratti dal secondo numero del quaderno di “ Tiqqun” ( Parigi, ottobre 2001 ): fra queste
traduzioni brilla negativamente, per la sua assenza, come un buco nero, un saggio per me fondamentale da
leggere in Italia, che è Échographie d’une puissance ( da me un po’ impropriamente tradotto “Ecografia di
una potenzialità”, come a scuola ci dicevano “ Quella ragazza, o quel ragazzo, ha delle potenzialità” ).
Questo è il testo che ora presentiamo qui, liberamente fruibile da chiunque voglia leggerlo.
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Posted: Marzo 3rd, 2012 | Author: agaragar | Filed under: crisi sistemica, postcapitalismo cognitivo, Révolution | Commenti disabilitati su Zizek
L’epoca delle rivolte borghesi
di Slavoj Zizek
Come ha fatto Bill Gates a diventare l’uomo più ricco d’America? La sua ricchezza non ha nulla a che fare con la produzione di software di qualità a prezzi inferiori a quelli della concorrenza o con uno “sfruttamento” più efficace dei suoi dipendenti (la Microsoft paga uno stipendio relativamente alto ai lavoratori intellettuali).
Il software della Microsoft continua a essere comprato da milioni di persone perché è riuscito a imporsi come uno standard quasi universale, monopolizzando in pratica il settore, quasi una personificazione di quello che Marx chiamava “intelletto generale”, riferendosi al sapere collettivo in tutte le sue forme, dalla scienza al know how pratico. Bill Gates ha di fatto privatizzato parte dell’intelletto generale ed è diventato ricco intascando i profitti.
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Posted: Marzo 1st, 2012 | Author: agaragar | Filed under: Révolution | Commenti disabilitati su NO TAV!
“La resistenza è sempre possibile. Ma dobbiamo impegnarci nella resistenza sviluppando prima di tutto l’idea di una cultura tecnologica. Nonostante tutto, ai nostri giorni, quest’idea è enormemente sottosviluppata. Per esempio abbiamo sviluppato una cultura artistica e letteraria. Ma gli ideali di una cultura tecnologica rimangono sottosviluppati e, per questo motivo, al di fuori della cultura popolare e degli ideali pratici di democrazia. Ecco perché la società come insieme non ha controllo sugli sviluppi tecnologici. E questo rappresenta una delle più gravi minacce alla democrazia nel prossimo futuro”. Paul Virilio (Intervistato da John Armitage in “The Kosovo War Took Place in Orbital Space” in C Theory, 18, 2000)
1.
Parlare delle Valsusa citando un passaggio di questa intervista a Virilio di John Armitage, che ha fa parte di una lunga serie di colloqui tra i due autori praticamente sconosciuta in Italia, può sembrare un giochetto estetico quanto il curioso titolo preso da questo colloquio del 2000. Che rifletteva l’idea che uno dei più sanguinosi conflitti etnici in Europa dalla fine della guerra fredda, quello del Kosovo, trovasse un piano strategico di espressione nello spazio orbitale della comunicazione via satellite delle televisioni generaliste e non solo. Alla fine, nonostante il ‘900 avesse già dato ampiamente notizia del fenomeno, in anni più recenti, dall’inizio del secolo, ci si è giocoforza attestati sulla convinzione che i conflitti si vincono, e si perdono, su due piani solidamente intrecciati: il terreno fisico di conflitto e lo spazio digitale comunicativo. Non solo, quest’ultimo spazio è decisivo, dal punto di vista politico, per ampliare o ridurre la portata delle vittorie come delle sconfitte. Afghanistan, Iraq, Libia, Siria, Grecia, le stesse rivolte inglesi sono lezioni che ruotano attorno a questo insegnamento. Se infatti vogliamo applicare queste lezioni non alla guerra ma ai conflitti sociali la vicenda della disconnessione del risultato dei referendum del 2011 dallo spazio mediale ufficiale è paradigmatica. L’esito di una battaglia, per quanto sia senza morti e feriti, se disconnesso velocemente dallo spazio mediale ufficiale può prendere direzioni di significato persino opposte rispetto al suo risultato originario. L’effetto giuridico e politico, che questo risultato originario aveva prodotto sul campo, finirà quindi prima per ridursi poi per dissolversi.
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Posted: Febbraio 22nd, 2012 | Author: agaragar | Filed under: crisi sistemica, Révolution | 10 Comments »
di VICKY SKOUMBI, DIMITRIS VERGETIS, MICHEL SURYA*
Nel momento in cui un giovane greco su due è disoccupato, 25.000 persone
senza tetto vagano per le strade di Atene, il 30 per cento della popolazione
è ormai sotto la soglia della povertà, migliaia di famiglie sono costrette a
dare in affidamento i bambini perché non crepino di fame e di freddo e i
nuovi poveri e i rifugiati si contendono l’immondizia nelle discariche
pubbliche, i “salvatori” della Grecia, col pretesto che i Greci “non fanno
abbastanza sforzi”, impongono un nuovo piano di aiuti che raddoppia la dose
letale già somministrata. Un piano che abolisce il diritto del lavoro e
riduce i poveri alla miseria estrema, facendo contemporaneamente scomparire
dal quadro le classi medie.
L’obiettivo non è il “salvataggio”della Grecia: su questo punto tutti gli
economisti degni di questo nome concordano. Si tratta di guadagnare tempo
per salvare i creditori, portando nel frattempo il Paese a un fallimento
differito.Si tratta soprattutto di fare della Grecia il laboratorio di un
cambiamento sociale che in un secondo momento verrà generalizzato a tutta
l’Europa. Il modello sperimentato sulla pelle dei Greci è quello di una
società senza servizi pubblici, in cui le scuole, gli ospedali e i
dispensari cadono in rovina, la salute diventa privilegio dei ricchi e la
parte più vulnerabile della popolazione è destinata a un’eliminazione
programmata, mentre coloro che ancora lavorano sono condannati a forme
estreme di impoverimento e di precarizzazione.
Ma perché questa offensiva neoliberista possa andare a segno, bisogna
instaurare un regime che metta fra parentesi i diritti democratici più
elementari. Su ingiunzione dei salvatori, vediamo quindi insediarsi in
Europa dei governi di tecnocrati in spregio della sovranità popolare. Si
tratta di una svolta nei regimi parlamentari, dove si vedono i
“rappresentanti del popolo” dare carta bianca agli esperti e ai banchieri,
abdicando dal loro supposto potere decisionale. Una sorta di colpo di stato
parlamentare, che fa anche ricorso a un arsenale repressivo amplificato di
fronte alle proteste popolari. Così, dal momento che i parlamentari avranno
ratificato la Convenzione imposta dalla Troika (Ue, Bce, Fmi),
diametralmente opposta al mandato che avevano ricevuto, un potere privo di
legittimità democratica avrà ipotecato l’avvenire del Paese per 30 o 40
anni.
Parallelamente, l’Unione europea si appresta a istituire un conto bloccato
dove verrà direttamente versato l’aiuto alla Grecia, perché venga impiegato
unicamente al servizio del debito. Le entrate del Paese dovranno essere “in
priorità assoluta” devolute al rimborso dei creditori e, se necessario,
versate direttamente su questo conto gestito dalla Ue. La Convenzione
stipula che ogni nuova obbligazione emessa in questo quadro sarà regolata
dal diritto anglosassone, che implica garanzie materiali, mentre le vertenze
verranno giudicate dai tribunali del Lussemburgo, avendo la Grecia
rinunciato anticipatamente a qualsiasi diritto di ricorso contro sequestri e
pignoramenti decisi dai creditori. Per completare il quadro, le
privatizzazioni vengono affidate a una cassa gestita dalla Troika, dove
saranno depositati i titoli di proprietà dei beni pubblici. In altri
termini, si tratta di un saccheggio generalizzato, caratteristica propria
del capitalismo finanziario che si dà qui una bella consacrazione
istituzionale.
Poiché venditori e compratori siederanno dalla stessa parte del tavolo, non
vi è dubbio alcuno che questa impresa di privatizzazione sarà un vero
festino per chi comprerà.
Ora, tutte le misure prese fino a ora non hanno fatto che accrescere il
debito sovrano greco, che, con il soccorso dei salvatori che fanno prestiti
a tassi di usura, è letteralmente esploso sfiorando il 170% di un Pil in
caduta libera, mentre nel 2009 era ancora al 120%. C’è da scommettere che
questa coorte di piani di salvataggio – ogni volta presentati come ‘ultimi’-
non ha altro scopo che indebolire sempre di più la posizione della Grecia,
in modo che, privata di qualsiasi possibilità di proporre da parte sua i
termini di una ristrutturazione, sia costretta a cedere tutto ai creditori,
sotto il ricatto “austerità o catastrofe”. L’aggravamento artificiale e
coercitivo del problema del debito è stato utilizzato come un’arma per
prendere d’assalto una società intera. E non è un caso che usiamo qui dei
termini militare: si tratta propriamente di una guerra, condotta con i mezzi
della finanza, della politica e del diritto, una guerra di classe contro
un’intera società. E il bottino che la classe finanziaria conta di strappare
al ‘nemico’ sono le conquiste sociali e i diritti democratici, ma, alla fine
dei conti, è la stessa possibilità di una vita umana. La vita di coloro che
agli occhi delle strategie di massimizzazione del profitto non producono o
non consumano abbastanza non dev’essere più preservata.
E così la debolezza di un paese preso nella morsa fra speculazione senza
limiti e piani di salvataggio devastanti diviene la porta d’entrata
mascherata attraverso la quale fa irruzione un nuovo modello di società
conforme alle esigenze del fondamentalismo neoliberista. Un modello
destinato all’Europa intera e anche oltre. E’ questa la vera questione in
gioco. Ed è per questo che difendere il popolo greco non si riduce solo a un
gesto di solidarietà o di umanità: in gioco ci sono l’avvenire della
democrazia e le sorti del popolo europeo.
Dappertutto la “necessità imperiosa” di un’austerità dolorosa ma salutare ci
viene presentata come il mezzo per sfuggire al destino greco, mentre vi
conduce dritto. Di fronte a questo attacco in piena regola contro la
società, di fronte alla distruzione delle ultime isole di democrazia,
chiediamo ai nostri concittadini, ai nostri amici francesi e europei di
prendere posizione con voce chiara e forte. Non bisogna lasciare il
monopolio della parola agli esperti e ai politici. Il fatto che, su
richiesta dei governanti tedeschi e francesi in particolare, alla Grecia
siano ormai impedite le elezioni può lasciarci indifferenti? La
stigmatizzazione e la denigrazione sistematica di un popolo europeo non
meritano una presa di posizione? E’ possibile non alzare la voce contro
l’assassinio istituzionale del popolo greco? Possiamo rimanere in silenzio
di fronte all’instaurazione a tappe forzate di un sistema che mette fuori
legge l’idea stessa di solidarietà sociale?
Siamo a un punto di non ritorno. E’ urgente condurre la battaglia di cifre e
la guerra delle parole per contrastare la retorica ultra-liberista della
paura e della disinformazione. E’ urgente decostruire le lezioni di morale
che occultano il processo reale in atto nella società. E diviene più che
urgente demistificare l’insistenza razzista sulla “specificità greca” che
pretende di fare del supposto carattere nazionale di un popolo (parassitismo
e ostentazione a volontà) la causa prima di una crisi in realtà mondiale.
Ciò che conta oggi non sono le particolarità, reali o immaginari, ma il
comune: la sorte di un popolo che contagerà tutti gli altri.
Molte soluzioni tecniche sono state proposte per uscire dall’alternativa “o
la distruzione della società o il fallimento” (che vuol dire, lo vediamo
oggi, sia la distruzione sia il fallimento). Tutte vanno prese in
considerazione come elementi di riflessione per la costruzione di un’altra
Europa. Prima di tutto però bisogna denunciare il crimine, portare alla luce
la situazione nella quale si trova il popolo greco a causa dei “piani
d’aiuto” concepiti dagli speculatori e i creditori a proprio vantaggio.
Mentre nel mondo si tesse un movimento di sostegno e Internet ribolle di
iniziative di solidarietà, gli intellettuali saranno gli ultimi ad alzare la
loro voce per la Grecia? Senza attendere ancora, moltiplichiamo gli
articoli, gli interventi, i dibattiti, le petizioni, le manifestazioni.
Ogni
iniziativa è la benvenuta, ogni iniziativa è urgente. Da parte nostra ecco
che cosa proponiamo: andare velocemente verso la formazione di un comitato
europeo di intellettuali e di artisti per la solidarietà con il popolo greco
che resiste. Se non lo facciamo noi, chi lo farà? Se non adesso, quando?
*Rispettivamente redattrice e direttore della rivista Aletheia di Atene e
direttore della rivista Lignes, Parigi.
Prime adesioni: Daniel Alvaro, Alain Badiou, Jean-Christophe Bailly, Etienne
Balibar, Fernanda Bernardo, Barbara Cassin, Bruno Clement, Danièle
Cohen-Levinas, Yannick Courtel, Claire Denis, Georges Didi-Hubermann, Ida
Dominijanni, Roberto Esposito, Francesca Isidori, Pierre-Philippe Jandin,
Jérome Lebre, Jean-Clet Martin, Jean-Luc Nancy, Jacques Ranciere, Judith
Revel, Elisabeth Rigal, Jacob Rogozinski, Avital Ronell, Ugo Santiago, Beppe
Sebaste, Michèle Sinapi, Enzo Traverso
Posted: Febbraio 11th, 2012 | Author: agaragar | Filed under: Révolution | 1 Comment »
Οι λαοί έχουν τη δύναμη, δεν παραδίδονται ποτέ. Οργάνωση, αντεπίθεση!
The peoples have the power and never surrender. Organize counterattack!
I popoli hanno il potere e non si arrendono mai. Organizziamo il contrattacco!
“PAME” sindacato comunista.
Posted: Febbraio 7th, 2012 | Author: agaragar | Filed under: comune, Révolution | Commenti disabilitati su Netwar 2.0: Verso una convergenza della “calle” e della rete
di GIORGIO GRIZIOTTI, DARIO LOVAGLIO e TIZIANA TERRANOVA
Circa un anno fa la nascente forza d’espressione della moltitudine sulla rete si è imposta all’attenzione mondiale nella battaglia Wikileaks ed in seguito, a partire dalla Tunisia , nelle rivoluzioni di quella grande area e nei movimenti 15M e Occupy.
Dopo un anno chiave, denso di minacce e promesse nate, queste ultime, da un movimento mondiale completamente nuovo, la governance finanziarizzata, cosciente della grande minaccia che l’autocomunicazione orizzontale delle moltitudini fa pesare sul suo dominio, cerca di riprendere con forza l’attacco alla libertà sulla rete.
[…]
Posted: Gennaio 6th, 2012 | Author: agaragar | Filed under: comune, Révolution, riots | Commenti disabilitati su Fai la cosa giusta. 11 tesi sul conflitto che viene e sul mondo da inventare
LUM – libera università metropolitana
1. «Il mondo è tutto ciò che accade». Partiamo da Oakland.
Il 2 novembre è iniziata una nuova epoca per il movimento #occupy e, più in generale, per gli indignados. All’occupazione delle strade e delle piazze ‒ sul modello spagnolo e di Zuccotti Park ‒ si è accompagnato uno sciopero generale di potenza straordinaria. Bloccato il porto, fermi gli uffici pubblici. Fermi i trasporti su gomma e la produzione. A braccia conserte anche la polizia. E poi decine di migliaia in piazza, a presidiare la città, a consolidare la paralisi del porto.
Guardiamo ad Oakland come si guarda ad un prototipo. Lacunoso, indubbiamente, in parte immaturo, eppure in grado di mettere in forma, in modo temporaneo, il conflitto che serve, quello in grado di fare i conti con la nuova composizione del lavoro e con la violenza della finanza. Non è sufficiente il sindacato, infatti, ad organizzare un lavoro frammentato e fortemente precarizzato, da sempre immerso nei flussi comunicativi o costretto a prestazioni di tipo neo-servile. Se lo sfruttamento contemporaneo si disloca anche e soprattutto sul terreno dell’accumulazione finanziaria, la lotta di classe deve investire per intero la riproduzione sociale, la vita, la cooperazione extra-lavorativa. Ma non basta neanche il movimento #occupy. La sua forza esibisce la crisi della democrazia liberale di fronte all’arroganza della dittatura finanziaria, ma ancora non ci mostra il modo utile per «far male ai padroni». È necessario prendere la parola e cominciare a «dire la verità al potere», ma bisogna individuare il potere nelle maglie dello sfruttamento metropolitano, nel furto di plusvalore.
In questo senso Oakland è un prototipo, in questo senso riscopriamo, senza timidezza, la nostra ispirazione repubblicana.
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Posted: Novembre 23rd, 2011 | Author: agaragar | Filed under: Révolution | 9 Comments »
Je voudrais, avant de commencer ce post, faire un appel à ses lecteurs. Comme vous le savez, ce blog comme de nombreuses publications sur ce site ne sont possibles que parce que « Le Monde diplomatique » existe et finance ces activités. Comme tous les ans, nous faisons appel aux dons des lecteurs pour aider et consolider notre indépendance. Je vous invite à y participer, dans la mesure de vos moyens, et à relayer cet appel autour de vous.
Les prévisions les plus pessimistes étaient devenues monnaie courante. Après le printemps venait l’automne arabe, la contre-révolution était en marche, et, pour certains, la révolution n’avait même pas eu lieu. Ce sentiment était sans doute d’autant plus prégnant que le renversement des régimes tunisien et égyptien s’était opéré avec une apparente facilité, créant l’illusion que les transformations seraient simples. Dès que le processus sembla ralenti, les augures annoncèrent que la révolution avait perdu. Pourtant, toute l’histoire des révolutions, de la révolution anglaise à la révolution française, de la révolution bolchevik à la révolution algérienne, prouve que les transformations nécessitent du temps, de l’énergie, souvent des affrontements violents. Rarement les classes dominantes cèdent sans combattre. Mais si la contre-révolution est une réalité, rien n’indique qu’elle doive nécessairement l’emporter.
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Posted: Novembre 16th, 2011 | Author: agaragar | Filed under: Révolution | Commenti disabilitati su Tunisie : commentaires sur la révolution à l’occasion des élections
par Sadri Khiari
L’Assemblée nationale constituante a été élue [1]. Sa première réunion aura lieu le 22 novembre. Sans conteste, le parti Ennahdha est sorti victorieux du scrutin. Les résultats du vote ont cependant réservé de nombreuses surprises. Bien que la victoire des candidats du parti Ennahdha était attendue, celui-ci a réalisé un score bien plus important que prévu avec 1 500 000 voix. Il obtient donc 89 sièges (41%) sur les 217 que compte l’Assemblée constituante. Souligner, comme le font certains, que 60% des électeurs n’ont pas voté pour Ennahdha mais pour les 27 listes qui ont eu des sièges à l’Assemblée constituante n’a pas grand sens dans la mesure où cela signifierait que, malgré leurs divergences, ces dernières auraient plus de choses en commun entre elles qu’avec Ennahdha – une façon comme une autre de sous-entendre que le clivage principal qui traverse la société tunisienne est celui qui oppose « modernistes » et « islamistes ».
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