Posted: Giugno 17th, 2013 | Author: agaragar | Filed under: 99%, bio, comune, comunismo, postcapitalismo cognitivo, postoperaismo, Révolution | Commenti disabilitati su Foucault: Quella potenza umana ridotta a merce
di Sandro Mezzadra
SAGGI «Il soggetto produttivo. Da Foucault a Marx» di Pierre Macherey, per la casa editrice ombre corte
Per organizzare il lavoro si producono «norme», che regolano comportamenti, ma anche limiti e resistenze
«Marx per me non esiste», dichiarò Michel Foucault in un dialogo del 1976 con la redazione della rivista Hérodote. E aggiungeva: «voglio dire questa specie d’entità che s’è costruita attorno a un nome proprio, e che si riferisce ora a un certo individuo, ora alla totalità di quel che ha scritto, ora a un immenso processo storico che deriva da lui». C’è qui una chiave per intendere il rapporto intrattenuto da Foucault con Marx, tema che continua a essere al centro di molti studi e dibattiti (si veda ad esempio il bel libro curato da Rudy Leonelli, Foucault-Marx. Paralleli e paradossi, Bulzoni, 2010): la radicale distanza di Foucault dal marxismo, inteso come compatto edificio dogmatico, si accompagnava in lui alla diffidenza nei confronti di ogni tentativo di «accademicizzare» Marx, di ridurlo a un «autore» come un altro. Quest’ultima è un’operazione certo legittima, continuava Foucault nell’intervista del 1976, ma equivale a «misconoscere la rottura che lo stesso Marx ha prodotto». Quella rottura nel cui solco Foucault ha continuato per molti versi a pensare – non senza produrre ulteriori rotture, che lo hanno spesso condotto lontano da Marx.
[–>]
Posted: Giugno 7th, 2013 | Author: agaragar | Filed under: comune, comunismo, crisi sistemica, Marx oltre Marx, postcapitalismo cognitivo, postoperaismo, Révolution | Commenti disabilitati su PHILOSOPHERS OF THE WORLD UNITE!
CfP: Philosophers of the World Unite! Theorizing Digital Labour and Virtual Work: Definitions, Forms and Transformations
Call for Papers: Philosophers of the World Unite! Theorizing Digital Labour and Virtual Work: Definitions, Forms and Transformations
Special issue of tripleC: Communication, Capitalism & Critique
Supported by:
tripleC: Communication, Capitalism & Critique. Open Access Journal for a Global Sustainable Information Society.
http://fuchs.uti.at/wp-content/CfP_DigitalLabour.pdf
COST Action IS1202 “Dynamics of Virtual Work”-Working Group 3 (http://dynamicsofvirtualwork.com, http://dynamicsofvirtualwork.com/wg3/),
Editors: Marisol Sandoval, Christian Fuchs, Jernej A. Prodnik, Sebastian Sevignani, Thomas Allmer.
[–>]
Posted: Giugno 3rd, 2013 | Author: agaragar | Filed under: 99%, comune, comunismo, crisi sistemica, Marx oltre Marx, postcapitalismo cognitivo, postoperaismo, Révolution | 14 Comments »
di Toni Negri
Postfazione di Gerald Raunig, Fabbriche del sapere, industrie della creatività, ombre corte / cartografie 2012
Inutile insistere sulla ricchezza e l’efficacia della ricerca di Gerald Raunig. La sua scrittura si muove su quel terreno che si stende dai Mille Plateaux di Deleuze-Guattari fino alle costituzioni del postoperaismo ed ivi produce modulazioni ricche ed articolate della critica del potere ed inaugura nuove linee di fuga, diserzioni, dialettiche di nuovi mondi, riterritorializzazioni creative… È un controcanto questo a tutti quegli sviluppi del pensiero postmoderno (ed anche postoperaista) che coagulano linee di critica (altrimenti aperte) ed inclinano in maniera teoreticistica e rigida momenti di resistenza (altrimenti vivaci). È dunque un controcanto essenziale che ci rimette tutti con i piedi per terra.
[–>]
Posted: Giugno 3rd, 2013 | Author: agaragar | Filed under: au-delà, crisi sistemica, epistemes & società, postcapitalismo cognitivo, Révolution | Commenti disabilitati su Il Nuovo Regno e Balotelli
di Militanduquotidien
“Essere liberi significa per voi partecipare al dominio. Partecipare al dominio significa per voi dominare. E il vostro dominio lo chiamate dominio del pensiero. Per dominare siete disposti ad andare con gli affamati, perché qui si combatte per il dominio. Ma gli affamati vogliono il dominio per non aver fame, quindi vogliono un dominio del tutto particolare, che consiste nell’infrangere il dominio di coloro che cagionano la fame. Gli affamati non hanno nulla in contrario ad essere dominati, se questo dominio elimina la fame, in quanto accresce la combattività degli affamati. Essi non tengono in conto alcuno la vostra troppo libera libertà.”
Bertolt Brecht
E’ difficile in questi giorni affacciarsi alla finestra per “stare a vedere” poiché non vi è più nulla da vedere. Se le parole contavano mai come adesso esse risultano vuote e la coerenza si dipinge a bene negoziabile come tutto il restante. Ovunque il neoliberismo fagocita nell’universo mercantile il lavoro, la natura, la sostanza vivente e ciò comprende immancabilmente anche l’immaginario e la mente. Degli sfoghi retorici, in futuro, ci rimarranno forse quelli del Presidente della Camera e di qualche altro “legame” umano all’interno di istituzioni che hanno ormai definitivamente inserito il pilota automatico. Oltre la meccanica rimarrà la retorica nella misura in cui le mine che si stagliano lungo il paesaggio non potranno essere disinnescate dagli stessi che hanno contribuito a posizionarle. Le responsabilità (quelle vere e pressanti) si fanno ora condivise in una “guerra tra poveri” che ha già fatto la sua comparsa e che non potrà più delegare a una “politica” quel ruolo di mediazione abbandonato ormai definitivamente. La TINA (There is no alternative) ha vinto ancora ma oggi lo scenario è più drammatico.
[–>]
Posted: Maggio 29th, 2013 | Author: agaragar | Filed under: 99%, comune, crisi sistemica, Marx oltre Marx, postcapitalismo cognitivo, Révolution | 177 Comments »
di MARCO BERTORELLO e DANILO CORRADI
La crisi da strutturale si va trasformando in sistemica nella misura in cui l’economia di mercato, nel suo produrre disfunzioni e inefficacia, dà vita a un crescente mancato consenso sociale. L’incapacità di quest’ultimo di riversarsi su un progetto alternativo consente all’attuale sistema di permanere ancora saldamente in sella. Ma allo stesso tempo è sempre più evidente il distacco in ordine sparso e atomizzato, e qui sta il limite che sviluppa impotenza, di importanti segmenti della società. Il problema sarà come passare dal mancato consenso al dissenso, dalla critica alla proposta. Quello che intanto appare come un dato ineliminabile è l’incapacità concreta di uscire dalla crisi da parte delle attuali classi dirigenti. Restando quindi su questo punto, sono necessarie alcune considerazioni per comprendere come sia in corso una sorta di fine dell’Impero a cui è sempre più urgente contrapporre un’alternativa, pena il rischio che forze centrifughe e di destra prendano il sopravvento. Se ci convinciamo seriamente della parabola da fine dell’Impero allora saremo costretti a prendere più seriamente anche la necessità di un’alternativa radicale, capace di uscire dagli schemi politici, economici e sociali che il Novecento ancora riversa sul nuovo secolo.
[–>]
Posted: Maggio 16th, 2013 | Author: agaragar | Filed under: 99%, comune, comunismo, postcapitalismo cognitivo, postoperaismo, Révolution | 356 Comments »
di Mona Chollet
da “Le Monde Diplomatique”, maggio 2013
Si lavora e, in cambio, si ricevono soldi. Questa logica è così ben impressa nella mente, che la prospetti- va di garantire un reddito di base incondizionato, cioè di versare a ciascuno una somma mensile sufficiente a permettergli di vivere, indipendentemente dall’attività lavorati- va, sembra un’aberrazione. Siamo ancora convinti di dover strappare a una natura arida e ingrata i mezzi per la sussistenza individuale; ma la realtà è ben diversa.
[–>]
Posted: Aprile 23rd, 2013 | Author: agaragar | Filed under: 99%, comune, crisi sistemica, critica dell'economia politica, postcapitalismo cognitivo, Révolution | Commenti disabilitati su Moneta del comune e reddito sociale garantito
di LAURENT BARONIAN e CARLO VERCELLONE
L’ambizione di quest’articolo è quella di gettare le basi per una concezione della moneta del comune a partire da un’interrogazione omessa dalla teoria economica dei beni comuni.
Quali sono, dunque, le condizioni capaci di attenuare il vincolo monetario al rapporto salariale e di favorire così lo sviluppo di forme di produzione alternative ai principi d’organizzazione sia del pubblico che del privato? Questa domanda richiede d’introdurre nella teoria del Comune il ruolo strutturante della moneta nei rapporti capitale-lavoro.
L’esame del rapporto tra moneta e comune necessita, di conseguenza, di partire da una critica della teoria dei beni comuni dalla quale la moneta, come il lavoro, sono curiosamente assenti. La ragione di quest’assenza si trova nel fatto che questa concezione naturalista dei beni comuni accetta implicitamente uno dei postulati fondatori della teoria economica standard, ovvero la neutralità della moneta, concepita come un semplice strumento tecnico che facilita gli scambi, e non come la cristallizzazione di un rapporto sociale di potere.
Su questa base, si tratterà di caratterizzare un approccio dinamico del comune al singolare nel quale la questione della moneta e delle mutazioni della divisione del lavoro occupa un posto centrale. Questo approccio fondato sulla triade lavoro-moneta-plusvalore servirà allora egualmente da filo conduttore per rianimare la controversia che aveva opposto Marx ai proudhoniani, precursori di un approccio della moneta come comune.
Infine, fonderemo il nostro ragionamento sulle teorie marxiane del circuito per mostrare che il carattere specificamente monetario del rapporto capitale-lavoro costituisce l’unico punto di partenza adeguato per una riflessione sulla moneta del comune. Questa riflessione farà emergere perché la nozione di reddito sociale garantito corrisponde ad un’istituzione del comune volta a rendere la creazione monetaria endogena non solo al capitale ma anche alla riproduzione autonoma della forza lavoro.
[–>]
Posted: Aprile 9th, 2013 | Author: agaragar | Filed under: 99%, comune, postcapitalismo cognitivo, postoperaismo, Révolution | 1 Comment »
di Benedetto Vecchi
Nei recenti libri di Joseph Stiglitz e Zygmunt Bauman, la crescita della
differenze sociali e di reddito è figlia dell’austerità. Come illustra in un
suo saggio, la filosofa Ilaria Possenti ne evidenzia il nesso con una
intermittenza nel mercato del lavoro.
Due sono ormai le parole ricorrenti nella politica istituzionale. In nome
loro, vengono decise politiche draconiane di austerità, che invece di
risolvere, non fanno altro che confermare una condizione di illibertà. Si
tratta di «precarietà» e «disuguaglianza», termini che dovrebbero orientare
il pensiero critico nella traversata del deserto neoliberista ma che invece
sono entrati a far parte del lessico di intellettuali, economisti
preoccupati di dimostrare che le disuguaglianze e la precarietà sono una
anomalia, una parentesi di una società che tende, grazie al buon
funzionamento del mercato, all’uguaglianza. Convinzione smentita dai dati
europei sul crescente divario di reddito esistente nelle società, uniti a
quelli sull’altrettanto crescente esercito del lavoro «atipico» e sulla
disoccupazione che ha superato la boa del dieci per cento (in Italia, le
cifre sui disoccupati oscillano tra i 3 milioni e i 3,5 milioni di senza
lavoro, mentre quelle sui precari sono oltre i 4 milioni).
Le eccezioni non mancano e vedono protagonisti piccoli gruppi intellettuali
o movimenti sociali. Preziosa nello svelare il carattere immanente delle
disuguaglianze nel capitalismo è, ad esempio, l’analisi che da anni conduce
il filosofo francese Etienne Balibar, di cui vanno segnalati, oltre il
recente Cittadinanza (Bollati Boringhieri), i volumi La proposition de
l’égaliberté e Citoyen Sujet, entrambi pubblicati dalla casa editrice Puf.
Questo nulla toglie al fatto che, tanto la precarietà che la disuguaglianza,
sono tornate a infoltire di titoli una pubblicistica impegnata nel
riproporre, in forma innovata, dispositivi keynesiani che hanno garantito al
capitalismo oltre trent’anni di sviluppo. Tra quest’ultimi vanno ricordati
il Nobel per l’economia Joseph Stiglitz, il tedesco Ulrich Beck, l’inglese
Anthony Giddens, il polacco Zygmunt Bauman, lo statunitense Richard Sennett,
cioè i «senza partito» ritenuti le punte di diamante del pensiero
democratico. Tra queste due posizioni, occorre affiancarne un’altra, che
sviluppi una critica alle politiche di austerità, considerando i «senza
partito» democratici interlocutori, senza rinunciare all’obiettivo di una
sintesi tra eguaglianza e libertà, all’interno di una superamento del lavoro
salariato, di cui la precarietà è solo l’ultima manifestazione, in ordine di
tempo.
La costante neoliberista
Rilevante a questo fine è prendere atto che, sia nello spazio nazionale che
in quello europeo, la condizione precaria e le disuguaglianze sono oggetto
di politiche sociali che tendono a contenere gli effetti destabilizzanti
all’interno del modello di accumulazione capitalistica neoliberista. Come ha
argomentato Maurizio Lazzarato nella raccolta di scritti da poco pubblicata
dalla casa editrice ombre corte, Il governo delle disuguaglianze è da
considerare una costante del neoliberismo, sgomberando così il campo della
retorica dello stato minimo che ha accompagnato il lungo inverno della
controrivoluzione neoliberale. Lo stato, argomenta in maniera convincente
l’autore, è lo strumento per assicurare la gestione e la legittimità delle
disuguaglianze, ma anche per plasmare un «uomo nuovo», quell’individuo
proprietario che doveva diventare il perno su cui far ruotare l’insieme
delle relazioni sociali e attorno al quale costruire un nuovo progetto di
società dove l’insieme delle tutele sociali e i diritti sociali della
cittadinanza siano merce da acquistare sul mercato della protezione sociale.
Che questo sia lo scenario che ha caratterizzato il neoliberismo non ci sono
molti dubbi. Soltanto che dal 2008 il dominante governo delle disuguaglianze
è entrato in crisi.
Il capitalismo ha visto non solo crescere la povertà, ma anche una diffusa
indisponibilità di uomini e donne a fare proprio l’incubo dell’individuo
proprietario. Indisponibilità che si è tradotta nelle forme ambivalenti del
populismo, nell’esplosione di rivolte sociali che hanno attraversato gli
Stati Uniti e l’Europa. E nella crescita, in alcuni paesi del vecchio
continente, come l’Italia, la Spagna e la Grecia, dell’astensionismo
elettorale. Ed è proprio in Europa e negli Stati Uniti che l’attenzione e la
denuncia della precarietà e delle disuguaglianze è più forte. Anche in
questo caso, le posizioni che si contendono l’arena pubblica si concentrano
sulle politiche adeguate per affrontare una «questione sociale» che viene
spesso paragonata a quella di fine Ottocento o a quella successiva alla
«grande crisi» del ’29. E se la troika europea subordina l’accesso ai
diritti sociali di cittadinanza all’accettazione della precarietà, negli
Stati Uniti le disuguaglianze sono l’esito di una economia di mercato andata
fuori controllo.
Nel suo ultimo libro – Il prezzo delle disuguaglianza, Einaudi, pp. 473,
euro 23 – Joseph Stiglitz denuncia la crescita del reddito dei dirigenti di
impresa e quello del lavoro dipendente. Il panorama sociale al di là
dell’Atlantico vede una minoranza di super ricchi e una numeroso esercito
costituito da ceto medio impoverito e working poor. Per il premio Nobel per
l’economia, se continuano così, gli Stati Uniti non solo sono destinati a un
lento declino economico, ma vedranno lo sbriciolamento delle sue stesse
fondamenta democratiche. Da qui, la sua valorizzazione di Occupy Wall
Street, cioè un movimento che ha come collante proprio la denuncia della
polarità esistente tra il 99 per cento della popolazione impoverita e il
restante un per cento. La via d’uscita proposta è il ritorno a politiche
redistributive del reddito, a un limitato intervento dello Stato in economia
per lo sviluppo delle infrastrutture necessarie a rendere competitive
imprese sempre più globali, investimenti nella formazione e politiche volte
a garantire una diffusa assistenza sanitaria.
Al di qua dell’Atlantico, gli fa idealmente eco il pamphlet di Zygmunt
Barman che denuncia la falsità della retorica dominante seconda la quale La
ricchezza di pochi avvantaggia tutti (Laterza, pp. 100, euro 9). Anche in
questo caso, il dito è puntato contro il crescente divario di reddito che
caratterizza le società europee e statunitensi. A differenza di quella
svolta da Stiglitz, ci troviamo però di fronte a un’analisi che lega
disuguaglianze e precarietà, dove il secondo termine indica l’esito di quel
dissolvimento delle istituzioni della modernità che Barman ha più volte
posto come esito dell’avvento della società liquida.
Cacciatori di innovazione
Quello che però né Stiglitz né Bauman affrontano è il venir meno del nesso
tra cittadinanza e lavoro. Nella condizione precaria, infatti, l’accesso ai
diritti di cittadinanza garantiti dallo stato nazionale è interdetto, mentre
il regime di accumulazione ha necessità di attivare un ciclo continuo di
innovazione, sempre più delegato al lavoro vivo. La precarietà, dunque, va
considerata come la condizione propedeutica affinché le imprese possano
attingere a un bacino di expertise in un mercato del lavoro che non prevede
più la stabilità nel rapporto professionale. È dunque un dispositivo che
consente la «cattura» della capacità innovativa del lavoro vivo.
In una importante analisi delle tesi di Bauman e Sennett, la filosofa
italiana Ilaria Possenti ne delinea, nel volume Flessibilità (ombre corte,
pp. 195, euro 18), alcuni dei tratti distintivi. Adattabilità a cambiamenti
repentini del processo lavorativo, gestione individuale del rischio,
sviluppo e cura delle rete sociali che consentono di poter gestire
l’intermittenza della presenza nel mercato del lavoro. Se per i
neoliberisti, tutto ciò significa diventare «imprenditori di se stessi», per
Ilaria Possenti queste sono le caratteristiche del «precario», figura
lavorativa che sembra calzare a pennello per le giovani generazioni, ma che
Sennett considera prerogative dell’antica figura dell’artigiano ritornata in
auge nel capitalismo contemporaneo.
Nei suoi ultimi scritti – L’uomo artigiano e Insieme, entrambi pubblicati da
Feltrinelli – Richard Sennett afferma che stiamo assistendo alla rivincita
del lavoro concreto sul lavoro astratto, che dovrebbe consentire di far
tornare a un livello socialmente accettabile le diseguaglianze. Ciò che non
convince dell’analisi di Sennett non è solo la sua apologia del lavoro
artigiano, ma la rimozione del fatto che sono proprio quelle caratteristiche
che egli assegna al lavoro concreto ad entrare in campo nei processi di
valorizzazione capitalistica. Più la precarietà diviene norma generale, più
il processo di espropriazione della capacità innovativa del lavoro vivo è
quindi garantito. La precarietà è cioè il dispositivo che regola i rapporti
tra capitale e lavoro vivo.
Le linee del colore, la differenziazione generazionale, la contrapposizione
tra permanenti e temporanei sono dunque da considerare forme di governance
del mercato del lavoro, scandito appunto dalla precarietà. In altri termini,
le differenziazioni generazionali, di razza e sessuali sono parte integrante
di quel governo delle disuguaglianze che, anche se in crisi, è lo sfondo
entro cui collocare il tema della precarietà.
La missione impossibile
Tutto ciò può servire a quell’attraversata del deserto che il pensiero
critico sta compiendo. Va detto che molte altre sono le acquisizioni che ha
tratto dal neoliberismo, meglio dal capitalismo contemporaneo. Tra queste,
l’impossibilità di un ritorno alle norme che regolavano il rapporto tra
capitale e lavoro nel passato. La precarietà non è infatti un incidente di
percorso, ma il presente e il futuro del lavoro vivo. L’altro aspetto che è
stato reso evidente dai movimenti sociali di questi anni è l’indisponibilità
a funzionare come oggetto passivo. Ci sono stati processi di organizzazione
del precariato, mentre il tema del reddito di cittadinanza è entrato a far
parte del lessico politico tanto in ambito nazionale che sovranazionale. Il
rischio che si corre è che precarietà e reddito siano ridotti a significanti
vuoti da riempire secondo i vincoli dettati, appunto, dal «governo delle
disuguaglianze».
In ambito europeo, ad esempio, precarietà e continuità di reddito sono temi
affrontati all’interno di politiche di workfare: si accede al reddito solo
se si è disponibili a svolgere un lavoro qualunque esso sia. La precarietà è
qui declinata secondo le politiche di austerità imposte dalla troika ai
paesi dell’Unione europea. In ambito nazionale, il reddito di cittadinanza è
relegato da forze ritenute antisistema – il movimento cinque stelle –
nell’ambito di un misero sussidio di disoccupazione al quale gli
«intermittenti» del mercato del lavoro hanno diritto, additando i dipendenti
del settore pubblico come dei «privilegiati».
La posta in gioco, tuttavia, è di prospettare il reddito di cittadinanza
come un flessibile strumento per quella mission impossible che è la sintesi
tra eguaglianza e libertà, all’interno di un superamento del regime fondato
sul lavoro salariato.
Posted: Aprile 6th, 2013 | Author: agaragar | Filed under: 99%, comune, crisi sistemica, post-filosofia, postcapitalismo cognitivo, Révolution | 2 Comments »
di ADELINO ZANINI e GIGI ROGGERO*
Pubblichiamo l’introduzione al volume “Genealogie del futuro. Sette lezioni per sovvertire il presente” (uscito in questi giorni nella collana UniNomade di ombre corte), che raccoglie il corso di autoformazione Commonware del 2012 “Da Marx all’operaismo”.
Formazione militante. Non è semplice oggi tornare a pronunciare queste parole, ancor meno tradurle in una pratica. Troppo pesante sembrerebbe l’ipoteca delle vecchie “scuole di partito” che su di esse grava. Eppure, questa è la sfida: come ripensare la formazione politica dentro le mutazioni soggettive e le pratiche di movimento contemporanee? È una sfida che UniNomade ha assunto. L’abbiamo chiamata Commonware: è un nome apparentemente criptico e volutamente ironico, scelto per dileggiare i pacchetti didattici delle aziende universitarie, i cosiddetti courseware, rovesciandone il senso dentro la libera cooperazione sociale. Non è un caso, del resto, che le sette lezioni raccolte nel presente volume si siano tenute in sede universitaria (quella di Bologna, nello specifico), simbolicamente e concretamente uno dei principali laboratori dei processi di dequalificazione del sapere critico.
[–>]
Posted: Marzo 28th, 2013 | Author: agaragar | Filed under: au-delà, bio, epistemes & società, postcapitalismo cognitivo, Révolution | 1 Comment »
di MATTEO PASQUINELLI
La vita fende la materia, elabora e contrae la materia, dando vita alle virtualità contenute nel materiale in direzioni sconosciute. La vita emerge come divenire-concetto, divenire-pensiero o, nel caso della coscienza, come divenire-cervello. — Elisabeth Grosz[1]
Il dibattito filosofico-politico degli ultimi anni, almeno alle latitudini del pensiero francese e italiano, è stato caratterizzato da una oscillazione concettuale che ha focalizzato di volta in volta il lavoro immateriale o il lavoro affettivo, l’economia della conoscenza o l’economia del desiderio, il cognitivo o il biopolitico. Nessuna agenda di ricerca o politica è stata immune a questa oscillazione, talvolta recitando in modo polemico un polo contro l’altro. Dopo un periodo al lavoro sull’economia della conoscenza, per esempio, una maggiore attenzione veniva data al lavoro affettivo (tornando a riscoprire quello che il femminismo aveva già tentato di politicizzare negli anni ’70), mentre le biotecnologie occupavano il palco centrale del dibattito sulle nuove forme di potere. Spesso è capitato di sentire lamentele contro un paradigma cognitivo che si dimenticava della materialità biologica e genetica del corpo, della sua libido, dei suoi affetti, ecc. Da alcuni come Lazzarato la noopolitica fu allora proposta come estensione dello spazio del biopotere per arrivare a coprire anche le nuove forme dell’immaginario collettivo e delle tecnologie della conoscenza.[2] Ma solo recentemente si è cominciato propriamente a capire l’importanza delle neuroscienze nelle ricerche dell’operaismo e del post-strutturalismo.[3]
[–>]