Badiou: le avventure della filosofia francese

Posted: Ottobre 22nd, 2013 | Author: | Filed under: anthropos, au-delà, epistemes & società, Marx oltre Marx, philosophia, post-filosofia | Commenti disabilitati su Badiou: le avventure della filosofia francese

di ALAIN BADIOU

È appena uscito in Italia l’ultimo libro, Le avventure della filosofia francese. Dagli anni Sessanta, di uno dei più rilevanti filosofi contemporanei, Alain Badiou. Ne pubblichiamo la prefazione, per gentile concessione della casa editrice DeriveApprodi, che ringraziamo.

L’ARTICOLO IN PDF

Questo libro si compone di una serie di testi il cui solo punto in comune consiste nel fatto che tutti riguardano filosofi di lingua francese che possiamo dire contemporanei. «Contemporanei» significa in questo caso che la loro opera è stata pubblicata essenzialmente in un periodo che va dalla seconda metà del XX secolo ai pochi anni di quello appena cominciato.

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Insospettate insorgenze: dalla comunità politica alla condotta in comune

Posted: Ottobre 13th, 2013 | Author: | Filed under: 99%, anthropos, au-delà, bio, kunst, Marx oltre Marx, post-filosofia, Révolution, situationism | 73 Comments »

[gf 29.11.2012]

posthuman

1. Il destino delle comunità politiche, ovvero delle forme comunitarie dell’esistenza politica, per come esso ci è stato consegnato dal XX secolo, è un destino segnato, e come tale senza alcuna speranza. Le ultime forme della lunga storia delle politiche “di comunità” attengono sostanzialmente, nelle loro diverse declinazioni, a quelle che l’antropologo Ernesto De Martino non avrebbe avuto difficoltà ad inserire tra le “comunità del lutto”. Una comprensione adeguata di tale “agire in comunità”, secondo l’espressione di Weber, implica però la genealogia della stessa forma comunitaria dell’esistenza politica: in questo senso, possiamo dire che che la “modernità”, o quantomeno quella modernità politica che attraversa le esplosioni rivoluzionarie dell’800 e del ‘900, si caratterizza per l’esistenza di certe forme di comunità politica. Da questo punto di vista ciò che è moderno può essere distinto da ciò che moderno non è – ed è quindi precedente o successivo – anche in base alle rappresentazioni sceniche e alle posture soggettive e del politico, ovvero, proseguendo lungo questo asse, attraverso certe forme specifiche di “agire in comunità”. Diversamente detto: se è possibile riconoscere la “modernità”, come Foucault ha intuito nei suoi ultimi anni di lavoro, per l’esistenza di alcune e non di altre forme di “condotte”, ovvero di “stili di vita”, occorre anche intravedere in che termini queste condotte abbiano prodotto valori e spazi simbolici per la scena della politica: come Rancière ha chiarito a proposito del “disaccordo” intrinseco al politico, di cui Machiavelli parlava citando alla sua maniera la diatriba tra patrizi e plebei nell’antica Roma e l’indisponibilità dei nobili a comprendere nel campo politico chi “non poteva” avere voce politica, nelle Istorie fiorentine, il problema cruciale della fondazione politica è, per la modernità, quella dello “spazio scenico” e conseguentemente della tracciabilità tra un “noi” e un “loro”. Ed è proprio questa divisione del sociale che verrebbe neutralizzata nelle mitologie, e nelle pratiche, dell’agire in comunità. La politica è dov’è la comunità: oltre è terra di nessuno. Una vera decostruzione di questa terminologia della “comunità politica” è possibile solo nei termini di una decostruzione delle pratiche su cui essa si è fondata e che l’hanno a loro volta perpetuata. In questo senso, occorre tornare a pensare le forme di comunità politica che hanno storicamente costituito la modernità occidentale e che hanno collaborato per definire la scena pubblica della sua “politica” innanzitutto come degli orizzonti simbolici in cui determinate forme di agire individuale – pensiamo alle forme cooperative di metà Ottocento o ai club giacobini – si sono riconosciute e, nel riconoscersi, hanno dato vita e senso ai destini biografici di milioni di individui.

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Marazzi: la moneta corrente del liberismo

Posted: Ottobre 11th, 2013 | Author: | Filed under: 99%, comune, comunismo, crisi sistemica, critica dell'economia politica, Marx oltre Marx, postcapitalismo cognitivo, postoperaismo | Commenti disabilitati su Marazzi: la moneta corrente del liberismo

di Christian Marazzi

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«Banche e crisi» di Sergio Bologna per DeriveApprodi

Le basi materiali del dominio finanziario sono nei nuovi modelli produttivi, nell’«innovazione» permanente della logistica, della circolazione delle merci e del mercato del lavoro

C’è sempre un po’ d’azzardo editoriale nella pubblicazione di testi apparsi ormai nel corso di alcuni decenni, a maggior ragione quando si passa dal Marx che studia, come corrispondente del New York Daily Tribune, la prima crisi monetaria e finanziaria «moderna» (1856-1857), alla storia del rapporto tra petrolio e mercato mondiale, alla funzione della logistica e dei porti come «integratori di sistema» e come riedizione della logica della crisi dei subprime, esempio dell’intreccio tra processi produttivi e di circolazione delle merci e finanziarizzazione, con saggi pubblicati tra il 2012 e il 2013. Per chi questi scritti li ha letti man mano che uscivano, si tratta di una bella occasione per rivivere alcuni passaggi fondamentali della storia del pensiero critico di un «operaista indipendente» quale è sempre stato Sergio Bologna, ma per un giovane di vent’anni che, immerso anima e corpo nella crisi odierna che ha una gran voglia di agire e di costruire collettivamente nuovi strumenti di analisi e interpretazione del capitalismo finanziario (fatiscente? ipermaturo?), la fruizione de Banche e crisi. Dal petrolio al container (DeriveApprodi, pp. 200, euro 17), non è immediatamente evidente. Oltretutto in un periodo in cui la letteratura sulla crisi finanziaria è ormai sterminata e la lettura quotidiana del Sole 24 Ore o del Financial Times per capire dove va lo spread, i rendimenti sui titoli del debito sovrano, il tasso di cambio tra Euro e dollaro, le decisioni della Federal Reserve sui tassi d’interesse direttori e altre cosucce del genere, lascia poco tempo allo studio delle contraddizioni strutturali del sistema economico capitalistico.

Un giornalista chiamato Marx

«Per leggere Marx occorre avere una forte tensione politica presente», scrive Bologna; Marx «ti prende semplicemente per il braccio e ti dice…guarda da questo angolo visuale». Sotto questo profilo, per così dire metodologico, la Postfazione di Gian Enzo Duci, Crisi e intelligenza della merce, è davvero molto utile, oltre che luicida e riassuntiva di alcuni dei contributi più significativi dell’opera di Bologna che, anche lui, ti prende per il braccio e «cerca di far vedere, non per forza credere, qualcosa di più» su quanto sta accadendo nel mondo «marxiano» della merce. Ad esempio, la inarrestabile crescita dell’offerta navale e il parallelo sviluppo delle infrastrutture portuali, il crescente intervento della finanza nel mondo dello shipping, il rapporto tra produzione di mezzi di traporto e domanda, guardando però anche alle merci trasportate all’interno del mercato mondiale, la crisi da sovraproduzione sempre in agguato, così simile a quella dei subprime o di qualsiasi altra merce che i mercati finanziari da una trentina d’anni a questa parte selezionano e trasformano da valore d’uso in asset finanziario, eleggendo di volta in volta queste merci regine a «convenzioni collettive», come Keynes scriveva nella sua Teoria generale del 1936, e che oggi chiamiamo bolle finanziarie, processi alimentati dal credito bancario, modalità razionali attraverso cui il capitale realizza profitti a breve termine, per poi esplodere puntualmente, lasciando dietro di sé macerie, svalutazione della ricchezza sociale, povertà e disperazione umana.

Gli scritti di Bologna sullo shipping, il too big to fail delle corporations del mare, le infrastrutture portuali, sono di tale attualità che, nell’editoriale del febbraio del 2013, la più autorevole rivista mondiale sul traffico marino «Containerisation International», invitava i suoi lettori (non proprio gli stessi de il manifesto) a leggere uno dei suoi saggi «se volevano chiarirsi le idee». E, per tornare a noi, Marx, oltretutto il Marx giornalista che si occupa dell’attualità della crisi pensando al futuro Das Kapital, come entra nel lavoro teorico e analitico di Sergio Bologna? Quel saggio del 1973, riletto oggi, è straordinariamente attuale. Per tanti motivi: apparse a due anni dalla decisione statunitense di rendere il dollaro inconvertibile, vera e propria «rivoluzione dall’alto» che ha dato avvio all’uscita non solo dal sistema monetario di Bretton Woods, ma anche, verso la fine degli anni Settanta, dal modello fordista, traghettando il capitale mondiale nell’epoca attuale, quella appunto del capitalismo finanziarizzato.

Diede avvio, quel saggio, a un programma di lavoro all’interno della rivista Primo Maggio, e da allora molti di coloro che vi parteciparono non hanno smesso di studiare la moneta e le crisi finanziarie. Un bell’esempio, anch’esso particolarmente attuale, di metodo di lavoro legato al presente ma con lo sguardo rivolto al futuro, ai gangli sociali e soggettivi della rivoluzione capitalistica, alla crisi-trasformazione della composizione sociale, insomma alla lotta di classe.

La forma del valore

La vera attualità nella lettura che Bologna fa di Marx nel bel mezzo di un dibattito marxista tanto entusiasmante quanto, già allora, decisamente in declino, è l’analisi del rapporto inscindibile, circolare, tra merce e moneta. Non era e non è ancora evidente in ambito marxista, dato che molto spesso si guarda a merce e moneta in modo schizofrenico, privilegiando una volta la prima, un’altra la seconda. La moneta del Marx letto da Bologna è forma del valore delle merci, espressione del lavoro all’interno dell’intero circuito del capitale, dalla compra-vendita della forza-lavoro alla realizzazione monetaria dei profitti, e che in questo periplo circolatorio assume funzioni diverse. Forma del valore, non equivalente generale-universale (che della forma-valore è una funzione tra le altre), come praticamente tutta la tradizione marxista ha sempre teorizzato, anche quando il sistema monetario internazionale aveva tagliato il cordone ombelicale tra denaro oro come «merce Regina», passando a un regime monetario in cui la creazione di liquidità ex nihilo la fa decisamente da padrone. È questa lettura del denaro in Marx che permetterà di seguire le trasformazioni future tenendo ben fermo lo sguardo sulla produzione e la riproduzione del capitale come rapporto sociale, e non come mero rapporto tra quantità di lavoro astratto contenuto nelle merci.

L’emergenza dei nuovi soggetti «dentro e contro» la transizione al postfordismo, il problema immanente di come comandare monetariamente il lavoro vivo ormai disperso nella società, la vita dell’uomo flessibile, non è possibile senza questo sguardo «disciplinare» unitario. Ne va della comprensione di tutto quanto sta accadendo nella sfera non solo della circolazione delle merci, ma, quel che a tutti noi interessa politicamente, della riproduzione della merce forza-lavoro, della sua vita messa al lavoro. Una riproduzione priva di equivalenti generali di riferimento, orfana dell’«ultima istanza», se non quel nostro essere singolarità fluttuanti, corpi, alla ricerca di un nuovo punto di vista collettivo, di nuove parole per lottare assieme. Di nuove forme di vita.


Toni Negri: “Disarticolare la proprietà”

Posted: Ottobre 10th, 2013 | Author: | Filed under: comune, comunismo, crisi sistemica, critica dell'economia politica, epistemes & società, Marx oltre Marx, post-filosofia, postcapitalismo cognitivo, postoperaismo | Commenti disabilitati su Toni Negri: “Disarticolare la proprietà”

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qui il testo dell’intervento


Inchiesta operaia e lavoro di riproduzione

Posted: Ottobre 9th, 2013 | Author: | Filed under: 99%, comune, comunismo, crisi sistemica, critica dell'economia politica, donnewomenfemmes, epistemes & società, Marx oltre Marx, postoperaismo, Révolution | Commenti disabilitati su Inchiesta operaia e lavoro di riproduzione

di ALISA DEL RE

Pubblichiamo il contributo di Alisa Del Re all’ultimo numero di Viewpoint Magazine sull’inchiesta operaia, appena pubblicato

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Uso politico dell’inchiesta operaia

La proposta originaria di una “inchiesta statistica sulla situazione delle classi lavoratrici” fu formulata per la prima volta da Marx nelle Istruzioni per i delegati del consiglio centrale provvisorio dell’associazione internazionale dei lavoratori, nel 1867, poi ripresa nel 1880. L’intento era di portare alla luce quei “fatti e misfatti”, relativi all’organizzazione del lavoro e al processo di produzione e di vita, che il potere borghese deliberatamente occulta o quanto meno mistifica.

Nel 1964 Raniero Panzieri[1] interviene sul tema “Scopi politici dell’inchiesta”[2] presentandolo in questi termini: “Noi abbiamo degli scopi strumentali, evidentemente molto importanti, che sono rappresentati dal fatto che l’inchiesta è un metodo corretto, efficace e politicamente fecondo per prendere contatto con gli operai singoli e gruppi di operai. Questo è uno scopo molto importante: non solo non c’è uno scarto, un divario e una contraddizione tra l’inchiesta e questo lavoro di costruzione politica, ma l’inchiesta appare come un aspetto fondamentale di questo lavoro di costruzione politica. Inoltre il lavoro a cui l’inchiesta ci costringerà, cioè un lavoro di discussione anche teorica tra i compagni, con gli operai ecc., è un lavoro di formazione politica molto approfondita e quindi l’inchiesta è uno strumento ottimo per procedere a questo lavoro politico”.

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Dietro la crisi della democrazia

Posted: Ottobre 6th, 2013 | Author: | Filed under: 99%, BCE, crisi sistemica, critica dell'economia politica, epistemes & società, Global, Marx oltre Marx | 2 Comments »

Per comprendere la natura della crisi delle istituzioni democratiche che accompagna la crisi economica esplosa tra il 2007 e il 2008 appare sempre più urgente definire un quadro analitico di lungo periodo: la deriva plebiscitaria e carismatica non è che un frutto del trentennio neoliberista apertosi dalla metà degli anni Settanta.

di Alberto Burgio, da www.costituzionalismo.it

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Tra liberismo e fascismo

In estrema sintesi, il senso di questo intervento consiste nell’affermare che è possibile comprendere la crisi della politica, nell’ambito della quale si pongono fenomeni oggi particolarmente vistosi come l’astensionismo di massa, la critica della democrazia rappresentativa e l’invocazione della democrazia diretta, soltanto se la si inquadra in un contesto ampio e di lungo periodo. Ampio, nel senso che questa crisi si collega alla crisi sociale ed economica (in verità anche a una crisi che Gramsci definirebbe «intellettuale e morale»); di lungo periodo, poiché essa chiama in causa una «grande trasformazione» verificatasi nel corso degli ultimi 50-60 anni.

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Operai e capitale

Posted: Ottobre 3rd, 2013 | Author: | Filed under: comunismo, critica dell'economia politica, epistemes & società, Marx oltre Marx, postoperaismo, Révolution | Commenti disabilitati su Operai e capitale

Rileggere “Operai e capitale” – Lo stile operaista alla prova del presente

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In occasione della ripubblicazione di Operai e capitale (DeriveApprodi, settembre 2013), Commonware pubblica i materiali finora inediti del convegno in occasione della precedente edizione, a quarant’anni dalla prima. Il convegno si è tenuto mercoledì 31 gennaio 2007 alla facoltà di scienze politiche dell’Università La Sapienza di Roma, promosso dalla casa editrice DeriveApprodi e dalla rete per l’autoformazione.

→ Relazione di Mario Tronti

→ Relazione di Alberto Asor Rosa

→ Relazione di Toni Negri

→ Relazione di Brett Neilson

→ Relazione di Rita Di Leo

→ Conclusioni di Mario Tronti

li trovate qui


Che cosa rimane di Guy Debord. Intervista ad Anselm Jappe

Posted: Settembre 9th, 2013 | Author: | Filed under: arts, au-delà, epistemes & società, Marx oltre Marx, Révolution, situationism | 304 Comments »

di RICCARDO ANTONUCCI

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A margine del convegno dal titolo “I situazionisti: teoria, arte e politica”, tenutosi all’Università di Roma 3 lo scorso 30 maggio, abbiamo intervistato Anselm Jappe, tra i relatori di questa giornata insieme, tra gli altri, a Mario Perniola (1). Si è parlato della recente mostra degli archivi Debord alla Bibliothèque Nationale de France e dell’attualità, o meglio della feconda inattualità, dell’opera del pensatore francese.

Dopo aver partecipato al collettivo tedesco Krisis, Anselm Jappe insegna attualmente estetica all’EHESS di Parigi, e all’Accademie d’Arte di Frosinone e di Tours. Ha studiato a fondo la corrente situazionista, ed è autore di numerosi articoli e volumi, in francese, tedesco e italiano, tra cui spiccano: Crédit à mort (Paris 2011), Contro il denaro (Milano 2012) e i due importanti volumi Guy Debord (Paris 2001, ried. Roma 2013) e L’avant garde inacceptable (Paris 2004).

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commonware: “DENTRO LA CRISI ALLO SPECCHIO”

Posted: Settembre 1st, 2013 | Author: | Filed under: 99%, anthropos, au-delà, comune, comunismo, crisi sistemica, digital conflict, Marx oltre Marx, post-filosofia, postcapitalismo cognitivo, postoperaismo, Révolution | 6 Comments »

di COMMONWARE

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Quando le lotte esplodono nei Brics. Ecco la questione che ci poniamo, o meglio a cui la Comune di Gezi e il movimento passe livre in Brasile ci pongono di fronte. In prima battuta, offrono l’occasione per mettere ancora una volta a critica il continuo ripresentarsi di un’immagine termidoriana dell’attuale fase.

Arrivati ormai al sesto anno della crisi, che a suo tempo definimmo globale e permanente, è come se per molti fosse ormai conclamata non solo l’insufficienza dei movimenti, ma un loro strutturale destino di sconfitta e irrisolutezza. Da qui la scelta di ripiegamenti e scorciatoie, poco conta se “in avanti” o “indietro”, se dettati da ingenua buona fede o da calcolo opportunistico. Il risultato è identico: l’evitare di confrontarsi con gli avanzamenti e i punti di blocco, cioè i nodi reali delle lotte laddove ci sono, oppure della loro difficoltà a emergere e diventare tessuto connettivo. “Ma in Italia di lotte non ce ne sono!”, recita la vulgata, dentro e fuori dai movimenti. É forse la stessa cosa che avrebbero potuto dire i compagni a Istanbul o a Rio de Janeiro, per non parlare degli Stati Uniti pre-occupy o in Tunisia ed Egitto prima dell’ondata rivoluzionaria che ha messo a soqquadro il Nord Africa. Sarebbero stati incauti, quei compagni, o quantomeno – possiamo dire oggi – non avrebbero considerato quelle genealogie più o meno profonde che di quelle insorgenze costituiscono l’indispensabile spina dorsale. Non ci interessa consultare la cabala o fare i bookmaker delle rivolte globali: il nostro compito, più sobrio e in definitiva più impegnativo, è di provare a leggere delle tendenze, di elaborare ipotesi politiche, di scommettere sulla differente composizione di elementi che già esistono o in modo caotico si stanno formando.

A tale scopo, queste lotte ci interrogano su questioni di fondo: innanzitutto, è possibile indicare un paradigma comune dei movimenti nella crisi? Non stiamo ovviamente parlando di un peraltro impensabile quadro unitario e omogeneo, quanto invece di elementi comuni che possano permettere di porre su un piano di immediata comunicazione e traducibilità le differenti lotte. Se questo paradigma è individuabile, in che modo quello che è avvenuto in Turchia e in Brasile lo modificano? I materiali di analisi e riflessione che presentiamo in apertura della nostra Cartografia delle lotte nella crisi offrono, in questa direzione, importanti contributi.

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Control and Becoming

Posted: Agosto 25th, 2013 | Author: | Filed under: comunismo, epistemes & società, Marx oltre Marx, post-filosofia, postoperaismo, Révolution | 9 Comments »

Gilles Deleuze in conversation with Antonio Negri

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Negri: The problem of politics seems to have always been present in your intellectual life. Your involvement in various movements (prisoners, homosexuals, Italian autonomists, Palestinians), on the one hand, and the constant problematizing of institutions, on the other, follow on from one another and interact with one another in your work, from the book on Hume through to the one on Foucault. What are the roots of this sustained concern with the question of politics, and how has it remained so persistent within your developing work? Why is the rela­tion between movement and institution always problematic?

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