Per una genealogia del sicuritarismo
Posted: Febbraio 5th, 2013 | Author: agaragar | Filed under: anthropos, crisi sistemica, epistemes & società | 15 Comments »di Alessandro Simoncini
di Alessandro Simoncini
Foucault: pensare la storia della verità con Nietzsche
di Giuseppe Zuccarino
Il 2 dicembre 1970, Michel Foucault tiene la lezione inaugurale della nuova cattedra di Storia dei sistemi di pensiero, istituita per lui al Collège de France. Il testo, che è di carattere programmatico, sarà pubblicato poco tempo dopo, nella forma di un volumetto dal titolo L’ordre du discours(1). In questo scritto, fin quasi dall’esordio, il filosofo espone la sua tesi di fondo, secondo cui «in ogni società la produzione del discorso è insieme controllata, selezionata, organizzata e ridistribuita tramite un certo numero di procedure che hanno la funzione di scongiurarne i poteri e i pericoli, di padroneggiarne l’evento aleatorio, di schivarne la pesante, temibile materialità»(2).
di Claudio Cavallaro
La globalizzazione economica e i movimenti sociali hanno causato la crisi del carattere performativo delle costituzioni nazionali. In un volume giunto a conclusione di un ciclo di seminari del gruppo Uninomade viene affrontata la frantumazione del diritto
La plurisecolare storia politica europea, dalla modernità in avanti, situa ogni possibile critica del diritto e dei suoi istituti di fronte all’evidenza di un fatto. La formulazione, la tutela e la garanzia dei diritti soggettivi – civili, politici e sociali, secondo la tradizionale ripartizione di Thomas H. Marshall – si presenta come prerogativa esclusiva del Sovrano e non fa, non può in alcun caso fare, capo alla società, ai singoli o alle comunità di individui. Si tratta di un’eredità del giuspositivismo che innerva le sedimentazioni giuridico-istituzionali di tutta l’Europa continentale e che pilota l’evoluzione del diritto pubblico-statuale sino alla composizione delle Costituzioni democratiche del Novecento, senza scontare – Hannah Arendt lo aveva ben intuito – le solenni dichiarazioni dei diritti umani fondamentali.
http://www.youtube.com/watch?v=3AP2nO0Pang
di Eleonora de Conciliis
1. Le riflessioni che seguono non vogliono essere squisitamente filosofiche, né vagamente sociologiche, e neppure provocatoriamente politiche, ma, in senso foucaultiano, genealogiche. È stato infatti Michel Foucault ad aver fornito, in Sorvegliare e punire (1975), la più acuta ricerca genealogica sull’origine della prigione moderna, ed è nella sua produzione degli anni settanta che possiamo trovare ancor oggi spunti fecondi per analizzare le forme di vita criminali, le ‘vite degli uomini infami’ che proliferano nell’epoca contemporanea1. Tuttavia, per ragioni non solo espositive2, mi servirò inizialmente di una nozione proveniente dalla sociologia di Pierre Bourdieu, applicandola con una certa disinvoltura metodologica al mondo della criminalità organizzata: la nozione di campo.3
by Web intersezioni 79. In principio c’era il debito. Intervista a David Graeber.
David Graeber su wikipedia viene presentato come un “antropologo e attivista anarchico di nazionalità statunitense”. Questo biglietto da visita non mi convince: dice “troppo poco” e, allo stesso tempo, “troppo” su di uno studioso che, al momento, rappresenta non soltanto uno dei baricentri gravitazionali delle analitiche teoretiche dei movimenti di protesta internazionali (lo so: è questa un’etichetta “troppo” vaga) come Occupy Wall Street ma anche una delle voci più interessanti nel campo degli studi critici (qui la definizione è volutamente vaga) sulla contemporaneità ferità dalle logiche quantitative dell’economia finanziaria.
di Giorgio Agamben
Per capire che cosa significa la parola “futuro”, bisogna prima capire che cosa significa un´altra parola, che non siamo più abituati a usare se non nella sfera religiosa: la parola “fede”. Senza fede o fiducia, non è possibile futuro, c´è futuro solo se possiamo sperare o credere in qualcosa. Già, ma che cos´è la fede? David Flüsser, un grande studioso di scienza delle religioni – esiste anche una disciplina con questo strano nome – stava appunto lavorando sulla parola pistis, che è il termine greco che Gesù e gli apostoli usavano per “fede”. Quel giorno si trovava per caso in una piazza di Atene e a un certo punto, alzando gli occhi, vide scritto a caratteri cubitali davanti a sé Trapeza tes pisteos. Stupefatto per la coincidenza, guardò meglio e dopo pochi secondi si rese conto di trovarsi semplicemente davanti a una banca: trapeza tes pisteos significa in greco “banco di credito”. Ecco qual era il senso della parola pistis, che stava cercando da mesi di capire: pistis, ” fede” è semplicemente il credito di cui godiamo presso Dio e di cui la parola di Dio gode presso di noi, dal momento che le crediamo. Per questi Paolo può dire in una famosa definizione che “la fede è sostanza di cose sperate”: essa è ciò che dà realtà a ciò che non esiste ancora, ma in cui crediamo e abbiamo fiducia, in cui abbiamo messo in gioco il nostro credito e la nostra parola. Qualcosa come un futuro esiste nella misura in cui la nostra fede riesce a dare sostanza, cioè realtà alle nostre speranze.Ma la nostra, si sa, è un´epoca di scarsa fede o, come diceva Nicola Chiaromonte, di malafede, cioè di fede mantenuta a forza e senza convinzione. Quindi un´epoca senza futuro e senza speranze – o di futuri vuoti e di false speranze.
di ROSELLA e SERENA
Adesso è successo di tutto e di più: il fermo dell’Ilva, il Decreto del governo, persino il tornado. E l’Italia si è dovuta accorgere di Taranto, della sua gente che respira polvere di ferro, degli operai che muoiono di cancro, delle madri che sono costrette a dare latte alla diossina ai neonati, e tutti si sono concentrati sull’Ilva per convincersi che hanno un cuore, ma anche per non vedere tutto il resto. Una città di circa 180.000 persone chiusa in una cintura di veleni, perché l’Ilva è solo una parte del problema. In quel “territorio a perdere” ci sono l’Enel, la base Nato con i suoi sottomarini atomici e chissà quali altre diavolerie; l’Arsenale della Marina Militare, la Cementir che scarica nel Mar Piccolo, due tra le discariche più grandi d’Europa e due inceneritori.
di RENATO DI PAULI, ANDREA FRANCHI, WILLER MONTEFUSCO, MIMMO SERSANTE
In seguito a recenti incontri, a Pordenone si è formato un gruppo di lavoro che intende interloquire con UniNomade a partire dall’intervento sul territorio sui due temi dell’ambiente e dei migranti. Il primo intervento è nato circa tre anni fa nel comune pedemontano di Fanna (PN) confinante con una zona ad alta intensità industriale e oberato da un grande cementificio che ha ottenuto l’autorizzazione regionale a bruciare combustibile da rifiuti. L’area si può considerare la Taranto della regione Friuli Venezia Giulia per i gravissimi e documentati effetti inquinanti. Il secondo intervento, che risale a parecchi anni fa, ha portato alla costituzione di un’Associazione migranti che tra alti e bassi svolge un’azione di necessaria assistenza ma anche di significativa mobilitazione in un’area in cui la presenza delle lavoratrici e dei lavoratori migranti è tra le più alte d’Italia. Le note che seguono sono una riflessione nata dentro l’intervento con il comitato di Fanna. Si tratta di un primo tentativo di pensare le lotte in una prospettiva più ampia. Sarebbe opportuno che compagne/i interessati a queste problematiche e con esperienza di lavoro sul campo intervenissero sui temi che proponiamo alla riflessione.
di ROBERTO ESPOSITO – la Repubblica | 28 Novembre 2012
DALL’ETICA AL DESIDERIO. I PENSIERI DI UN MAESTRO. Massimo Recalcati dedica due volumi al controverso psicoanalista Il primo, appena pubblicato, è sul soggetto e i sentimenti
Noi, i soggetti. Ma chi siamo, noi? E cosa vuol dire “soggetto”? Che rapporto passa tra me e l’altro, all’interno della comunità? Ma anche tra me e ciò che, senza appartenermi, come il linguaggio che parlo, mi condiziona, mi modella, mi altera? E ancora: cosa è, per ciascuno di noi, il desiderio? A quale legge risponde? E come si articola con l’etica, l’arte, l’amore? Sono le grandi domande che si pone, e ci pone, Massimo Recalcati in Jacques Lacan. Desiderio, godimento, soggettivazione (Cortina), prima parte di un dittico, straordinario per quantità e qualità, cui seguirà un’altra sulla clinica psicoanalitica. Si tratta del suo ultimo libro, ma anche, più a fondo, del libro della sua vita. Certamente Recalcati ne scriverà ancora molti. Ma il libro della vita è un’altra cosa. È il libro cui dedichiamo la vita, ingaggiando una battaglia che non possiamo mai davvero vincere. E che poi, a un certo momento, sorprendendoci, la vita scrive attraverso di noi.
Si potrebbe dire che questo, a conti fatti, è quanto ci ha insegnato Lacan. La sua è un’opera “difficile” – non perché lontana dalla nostra esperienza, ma perché, al contrario, tanto prossima ad essa che quasi non riusciamo a metterla a fuoco e oggettivarla. La forza e il fascino del libro di Recalcati stanno appunto in questa consapevolezza. Nel sapere, e nel dirci, che le tesi di Lacan non possono essere descritte dall’esterno, come una qualsiasi teoria, ma vanno riconosciute dentro di noi – nei nostri gesti e nelle nostre parole, nei nostri impulsi e nei nostri smarrimenti. In questo senso va intesa quella “sovversione del soggetto” cui, fin dai primi seminari, Lacan dedica la propria opera – e dunque, come si diceva, la propria vita. Contro l’idea di una padronanza del soggetto su se stesso egli ci insegna che diveniamo ciò che siamo soltanto attraverso la mediazione simbolica dell’Altro – di un terzo che s’interpone nella relazione narcisistica tra noi e la nostra immagine, complicandola ma anche vivificandola, dando senso a ciò che sembra non averne.
Recalcati ricostruisce in tutte le sue pieghe lo sviluppo, tutt’altro che lineare, di un pensiero, come quello di Lacan, costituito nel punto di confluenza e di tensione tra esistenzialismo e strutturalismo, capace di assorbire, traducendoli in un impasto originalissimo, gli influssi di Hegel e Heidegger, di Sartre e Kojève, di Saussurre e Jakobson – per non parlare di Freud, restato fino all’ultimo il suo interlocutore privilegiato. In questo quadro complesso e in continua evoluzione, quale è il suo punto di partenza – il nucleo rovente da cui si può dire nasca la necessità del suo pensiero? Si tratta del fatto che, nel rifiuto narcisistico dell’altro, nel tentativo inane di ricucire la propria faglia originaria, il soggetto mostra di odiare innanzitutto se stesso. In questo modo – nel nodo mortifero che lega Narciso a Caino – si può rinvenire la radice dei totalitarismi e della guerra, a ridosso dei quali Lacan comincia a lavorare.
Quello che, nella stretta distruttiva tra Immaginario e Reale, risulta escluso è il piano del Simbolico, della relazione con l’altro, intesa come domanda di riconoscimento reciproco, come legge della parola e del dono. Quando la tendenza all’immunità – alla chiusura identitaria – prevale sulla passione per la comunità, l’Io batte contro il proprio limite rimbalzando sull’altro, secondo una pulsione di morte che finisce per risucchiarli entrambi nel proprio vortice. I grandi temi dell’inconscio come linguaggio, del nome del padre, della dialettica tra desiderio e godimento, sono tutti modi per proporre, da parte di Lacan, la medesima esigenza. Che è quella, per un soggetto esposto alla propria alterità, di non identificarsi con se stesso, ma senza perdersi nell’altro. Di sfuggire alla ricerca compulsiva di un godimento senza limiti, ma anche alla legge di un desiderio senza realizzazione.
L’originalità di Lacan – nell’interpretazione di Recalcati – sta nella capacità di tenersi lontano da entrambi questi estremi. Di non contrapporre il godimento al desiderio, ma di cercare di articolarli in una forma che fa di uno il contenuto dell’altro. Il processo di soggettivazione – vale a dire di elaborazione, da parte dell’io, dell’alterità da cui proviene – è il luogo di questa alleanza, la zona mobile in cui le acque del desiderio confluiscono in quelle del godimento, pur senza mischiarsi. Godere nel desiderio, attraverso il desiderio – vale a dire non di una pienezza irraggiungibile, ma della differenza che ci attraversa e ci costituisce: ecco la sfida, il luogo impervio della nostra responsabilità etica verso l’altro, che né la dissipazione libertina di Sade né la morale sacrificale di Kant potevano mai attingere. È il tema su cui sono tornati con efficacia anche Bruno Moroncini e Rosanna Petrillo in L’etica del desiderio. Un commentario del seminario sull’etica di Lacan (Cronopio). Quali sono i segni di questa possibile giuntura tra godimento e desiderio, pulsione e legge, uno e altro? Lacan li rintraccia intanto in un’etica del reale – non dei valori trascendenti – che, pur consapevole della necessità che ci governa, la apre alla contingenza dell’incontro inatteso, come quella che, nell’interpretazione sartriana, fa di Flaubert non un idiota, ma un genio.
Ma li ritrova anche nella dinamica dell’amore – come ciò che riscatta l’impossibilità degli amanti di ottenere un godimento reciproco. Mentre il maschio non può godere che di se stesso e in se stesso, la domanda della donna è senza limiti e dunque mai soddisfatta. Vero amore è quello che, anziché rimuoverla, riconosce questa distanza, rinunciando al godimento assoluto. Non l’abolizione della mancanza, ma la sua condivisione nell’abbandono e nel rischio che ne deriva. L’arte, in una diversa esperienza di sublimazione, riproduce tale condizione. Anche in essa la pulsione si afferma circoscrivendo un vuoto – elevando il proprio oggetto alla dignità della Cosa. Come provano i quadri di Cézanne, ma anche la scatola di fiammiferi di Prévert, in una pratica artistica intesa come organizzazione del vuoto, presenza e assenza si sovrappongono in una forma che fa dell’una l’espressione rovesciata dell’altra, così come, in tutta l’arte contemporanea, la figura si rivolge all’infigurabile.
Ancora una volta il soggetto si riconosce assoggettato a qualcosa che lo domina, su cui egli non può avere controllo. E tuttavia, ciò non ne determina né la dissoluzione né la soggezione a una potenza straniera. C’è sempre, in ogni esistenza, una sporgenza rispetto al proprio destino, un punto di resistenza alla ripetizione che coincide con la singolarità della vita. È proprio l’assenza di governo di sé, l’esposizione all’Altro, che riapre il cerchio della necessità alla dimensione del possibile. Forse, si potrebbe aggiungere, l’unico terreno sul quale questa possibilità appare più appannata, nell’opera di Lacan, è quello della politica. Non a caso il libro di Recalcati percorre i territori della filosofia, dell’etica, dell’estetica, ma non quello della politica. Forse perché alla politica non basta la soggettivazione in quanto tale, e neanche l’incrocio dell’uno con l’altro. Occorre anche una linea conflittuale che, all’interno della società, aggreghi gli uni contro, o almeno di fronte, agli altri. Ecco è la questione ultima, lasciata aperta da Lacan, con cui la ricerca di Recalcati è chiamata a confrontarsi.