The commons and their im/possibilities

Posted: Dicembre 5th, 2012 | Author: | Filed under: comune, critica dell'economia politica, postcapitalismo cognitivo, Révolution | 17 Comments »

by Casper Hoedemækers, Bernadette Loacker and Michael Pedersen

In recent years a familiar mantra has been recited through media channels, government
reports and related sources, namely that of austerity. By now, the images of protest
movements of various stripes have been well-documented, which has given the Left a
renewed notion of opposition and resistance to a seemingly unperturbed neoliberal
encroachment on almost all areas of life (e.g. Bonefeld, 2012, this issue; also Hamann,
2009; Read, 2009).

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commun

Posted: Dicembre 3rd, 2012 | Author: | Filed under: comune, critica dell'economia politica, postcapitalismo cognitivo, postoperaismo, Révolution | Commenti disabilitati su commun

Les enregistrements de la séance « Qu’est-ce que le commun ? » du 28 novembre 2012

Les enregistrements vidéos* de la séance « Qu’est-ce que le commun ? » avec Antonio Negri à l’occasion de la sortie de son ouvrage avec Michael Hardt Commonwealth dans le cadre du séminaire « Du public au commun » faits mercredi 28 novembre 2012 à la Maison des sciences économiques, Paris.

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Communism is the Ruthless Critique of all that Exists

Posted: Dicembre 3rd, 2012 | Author: | Filed under: bio, comune, critica dell'economia politica, Révolution | Commenti disabilitati su Communism is the Ruthless Critique of all that Exists

Interview with Michael Hardt

Interview conducted by “Praktyka Teoretyczna” editorial collective on the occasion of publication of the Polish translation of Hardt and Negri’s Commonwealth.

Commonwealth is an attempt to answer the question: how can we reexamine the conditions and horizons of the communist political praxis and theory today. It is not only a successful revival of the seventeenth century tradition of treatises on government, but also a kind of a political manifesto. However, looking at the reception of different leftist theoretical propositions in Poland, we can expect a quite harsh welcoming of this book in our country. Could you somehow try to convince readers from the post-socialist countries, “disappointed” by Marxism as an epistemological perspective and ideologically waterproofed to the most of leftist proposals, to familiarize with the communist project presented in the Commonwealth?

I can well imagine that for many Polish readers the concept of communism has become so corrupt that they do not want to hear anything more about it. In standard discourse today for many people (in post-socialist countries and elsewhere) “communism” means rigid state bureaucracy, total state control of economic and social activity, suppression of political dissent, workers’ sacrifice for the national good, restrictions on public speech, and so forth. For Toni and me, however, and indeed for many others, communism means something entirely different – not the exaltation of the state but the abolition of the state, not the celebration of work but the liberation from work, as well as experimentation with forms of freedom and democratic participation that go well beyond what exists in contemporary capitalist societies.

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Controcanto

Posted: Novembre 13th, 2012 | Author: | Filed under: comune, crisi sistemica, critica dell'economia politica, postcapitalismo cognitivo, postoperaismo | Commenti disabilitati su Controcanto

di Antonio Negri

Inutile insistere sulla ricchezza e l’efficacia della ricerca di Gerald Raunig. È, il suo, un passaggio che, assumendo l’orizzonte determinato dalla sussunzione reale della società nel capitale, l’assorbimento totalitario del valore d’uso nel valore di scambio, ci sospinge tuttavia oltre le tristi passioni della scuola di Francoforte, ci libera dalle letture di un “postmodernismo debole” ed irride a ogni figura lineare della sussunzione, foss’anche armata dall’ironia situazionista. La scrittura di Raunig si muove su quel terreno che si stende dai Mille plateaux di Deleuze-Guattari fino alle costituzioni del postoperaismo ed ivi produce modulazioni ricche ed articolate della critica del potere e inaugura nuove linee di fuga, diserzioni, dialettiche di nuovi mondi, riterritorializzazioni creative… È un controcanto questo a tutti quegli sviluppi del pensiero postmoderno (ed anche postoperaista) che coagulano linee di critica (altrimenti aperte) ed inclinano in maniera teoreticistica e rigida momenti di resistenza (altrimenti vivaci). È dunque un controcanto essenziale che ci rimette tutti con i piedi per terra.

Ma forse abbiamo bisogno anche di un controcanto “al quadrato”. Vale a dire che qui si riaprono problemi, e dalle conclusioni di Raunig consegue il bisogno di elaborare altre ipotesi pratiche, politiche, costruttive. È come una seconda volta: il libro di Raunig ci ha mostrato un “altro” mondo; al punto sul quale lui è arrivato, c’è dunque una nuova narrazione che va iniziata (per stare alla metafora kafkiana: una “nuova” Giuseppina che canta a un popolo di topi “riformato”). Già Leopardi, nella sua splendida Batrachomiomachia, aveva visto spostarsi e duplicarsi il mondo dei topi, pur dentro passioni eroiche e movimenti individuali. Qui invece, per Raunig, i movimenti sono molteplici, sono quelli della moltitudine e delle libere singolarità che la compongono. Dunque, qual è il problema, qui ricreato, al quale, per la seconda volta, un controcanto può corrispondere? È quello, dicevano Deleuze e Guattari, del superamento del ritornello, dell’alternativa del lisciare e dello scalfire lo spazio, del territorializzare e del deterritorializzare. Raunig – con Giuseppina – ci hanno ormai definitivamente portato sul terreno politico: hic Rodhus, hic salta. […]

Porto qui testimonianza di lunghe discussioni con Félix Guattari proprio a questo proposito: quale punto “macchinico” di interferenza produttiva, quale “nuovo” agencement può darsi, tale da costituire una funzione espressiva locale, una volta che ci si trovi di fronte a un campo di immanenza, moltiplicatore di segmenti e proliferante velocità intrattenibili? Era il periodo in cui i nostri due maestri stavano concludendo il lavoro su Kafka e la risposta, già data in quel saggio, era che quella macchina poteva essere localizzata solo dalla consistenza/coesistenza di quantità intensive. Il che – tradotto per quell’analfabeta che ero – significava afferrare, in quel campo d’immanenza che le lotte di classe formavano, le quantità intensive della tendenza materiale alla crisi del sistema capitalista. E, inoltre, quelle che costituivano il dispositivo del rifiuto operaio dello sfruttamento, delle energie rivoluzionarie (minoritarie, certo, ma si sa che ciò che è minoritario supplisce al numero con l’intensità) allora agenti e del desiderio comunista – più intenso, più alto, ma consistente sul luogo di crisi e di lotta. Un sorvolo potente che crea un “luogo”.

E un quindicennio più tardi, rispondendo a una mia domanda sulla specificità della lotta comunista di classe, Deleuze rispondeva che il sistema di linee di fuga che definisce il capitalismo, può essere afferrato e combattuto solo inventando e costruendo una “macchina da guerra”. Cioè determinando in tal modo uno spazio-tempo, un potere costituente e una capacità di resistenza, localizzate e creative di un “popolo a-venire”. Ancora un “luogo”, dunque, non statico ma creativo – come appunto questo “controcanto al quadrato” esige. Le azioni di Occupy e le acampadas degli indignados ci impegnano a lavorare sulla definizione di questa verticalità, di questa intensità, di questo luogo. Non è più una questione solo temporale. Benjamin ricorda che durante le rivolte del XIX secolo, gli operai ribelli sparavano sugli orologi delle piazze, denunciando nella misura temporale, la misura dello sfruttamento.

Oggi i lavoratori precari, ribellandosi, devono sparare sui calendari – che non danno la continuità ma la separazione dei tempi, una successione distinta di tempi diversi della valorizzazione – poiché il loro sfruttamento, la loro alienazione, sono soprattutto misurati dalla mobilità spaziale, dalla separazione dei luoghi di impiego, dalla contiguità locale della cooperazione e dalla diversità degli spazi che devono percorrere. Come i migranti, così i precari, cooperanti in rete, sempre alla ricerca di un luogo dove restare. Senza questo luogo sembra impossibile ribellarsi. È così, o è già segno di una nostra frustrazione, l’affermarlo? Comunque, è il problema stesso che ci riporta alla scoperta di un luogo, come Occupy ci ha portato a Zuccotti park, alla piazza della libertà. I movimenti vanno dunque riformati ritrovandoli in uno spazio – una verticalità li attraversa, localizzandoli e innalzandoli, con estrema intensità locale. […] Abbiamo camminato molto a lungo vivendo formidabili avventure: abbiamo bisogno di fermarci per un momento, su un luogo, perché solo su un luogo è possibile rinnovare continuamente il canto di Giuseppina.

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La costituzione del comune

Posted: Ottobre 27th, 2012 | Author: | Filed under: comune, crisi sistemica, critica dell'economia politica, postcapitalismo cognitivo, postoperaismo, Révolution | Commenti disabilitati su La costituzione del comune

di ANTONIO NEGRI

Un intervento al seminario Uninomade a Roma 26/10/2012

Organizzerò il mio intervento su tre punti fondamentali. Cercherò innanzitutto di definire la convenzione finanziaria che oggi ci domina e come essa abbia modificato il rapporto tra privato e pubblico. In secondo luogo cercherò di analizzare come il privato e il pubblico siano stati fissati nella costituzione del 1948, ma soprattutto come essi si presentino nel farsi della costituzione europea. Infine, cercherò di capire come, in nome del comune, possa essere rotta la convenzione costituzionale che ci lega, opponendo dispositivi antagonisti all’esercizio del potere finanziario, costruendo una “moneta del comune” – insomma, che cosa significa, dentro/contro l’attuale convenzione finanziaria europea, procedere nella costruzione del comune?

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Comunismo

Posted: Ottobre 27th, 2012 | Author: | Filed under: comune, critica dell'economia politica, postoperaismo, Révolution | Commenti disabilitati su Comunismo

Questo testo è stato estratto dall’intervento pronunciato in occasione di una conferenza tenutasi a Londra nel maggio 2009 al Birbeck Institute, per iniziativa di Alain Badiou e Slavoj Žižek, dal titolo On the idea of Communism. Gli atti di questo incontro, che hanno visto la partecipazione di alcuni dei principali filosofi contemporanei, sono stati raccolti in un libro che ha visto la pubblicazione in Francia, Spagna e Inghilterra. In Italia, con il titolo L’idea di comunismo, lo stesso libro sarà disponibile nel mese di aprile nel catalogo delle edizioni DeriveApprodi. Segnaliamo che il testo qui riportato non rappresenta la versione integrale dell’intervento.

di Toni Negri

L’affermazione che la storia è storia della lotta di classe, sta alla base del materialismo storico. Quando il materialista storico indaga sulla lotta di classe, lo fa attraverso la critica dell’economia politica. Ora, la critica conclude che il senso della storia della lotta di classe è il comunismo: «il movimento reale che distrugge lo stato di cose presente». Si tratta di starci dentro a questo movimento. Si obietta spesso che queste affermazioni sono espressioni di una filosofia della storia. A me però non sembra che si possa confondere il senso politico della critica con un telos della storia. Nel corso della storia, le forze produttive normalmente producono i rapporti sociali e le istituzioni dentro i quali sono trattenute e dominate: questo sembra evidente, questo registra ogni determinismo storico. Perché allora ritenere che un eventuale rovesciamento di questa situazione e la liberazione delle forze produttive dal dominio dei rapporti capitalisti di produzione costituiscano (secondo il senso operativo della lotta di classe) un’illusione storica, un’ideologia politica, un non-senso metafisico? Cercheremo di dimostrare il contrario.

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Controcanto

Posted: Ottobre 15th, 2012 | Author: | Filed under: critica dell'economia politica, postcapitalismo cognitivo, Révolution | Commenti disabilitati su Controcanto

di Antonio Negri

Inutile insistere sulla ricchezza e l’efficacia della ricerca di Gerald Raunig. È, il suo, un passaggio che, assumendo l’orizzonte determinato dalla sussunzione reale della società nel capitale, l’assorbimento totalitario del valore d’uso nel valore di scambio, ci sospinge tuttavia oltre le tristi passioni della scuola di Francoforte, ci libera dalle letture di un “postmodernismo debole” ed irride a ogni figura lineare della sussunzione, foss’anche armata dall’ironia situazionista. La scrittura di Raunig si muove su quel terreno che si stende dai Mille plateaux di Deleuze-Guattari fino alle costituzioni del postoperaismo ed ivi produce modulazioni ricche ed articolate della critica del potere e inaugura nuove linee di fuga, diserzioni, dialettiche di nuovi mondi, riterritorializzazioni creative… È un controcanto questo a tutti quegli sviluppi del pensiero postmoderno (ed anche postoperaista) che coagulano linee di critica (altrimenti aperte) ed inclinano in maniera teoreticistica e rigida momenti di resistenza (altrimenti vivaci). È dunque un controcanto essenziale che ci rimette tutti con i piedi per terra.

Ma forse abbiamo bisogno anche di un controcanto “al quadrato”. Vale a dire che qui si riaprono problemi, e dalle conclusioni di Raunig consegue il bisogno di elaborare altre ipotesi pratiche, politiche, costruttive. È come una seconda volta: il libro di Raunig ci ha mostrato un “altro” mondo; al punto sul quale lui è arrivato, c’è dunque una nuova narrazione che va iniziata (per stare alla metafora kafkiana: una “nuova” Giuseppina che canta a un popolo di topi “riformato”). Già Leopardi, nella sua splendida Batrachomiomachia, aveva visto spostarsi e duplicarsi il mondo dei topi, pur dentro passioni eroiche e movimenti individuali. Qui invece, per Raunig, i movimenti sono molteplici, sono quelli della moltitudine e delle libere singolarità che la compongono. Dunque, qual è il problema, qui ricreato, al quale, per la seconda volta, un controcanto può corrispondere? È quello, dicevano Deleuze e Guattari, del superamento del ritornello, dell’alternativa del lisciare e dello scalfire lo spazio, del territorializzare e del deterritorializzare. Raunig – con Giuseppina – ci hanno ormai definitivamente portato sul terreno politico: hic Rodhus, hic salta. […]

Porto qui testimonianza di lunghe discussioni con Félix Guattari proprio a questo proposito: quale punto “macchinico” di interferenza produttiva, quale “nuovo” agencement può darsi, tale da costituire una funzione espressiva locale, una volta che ci si trovi di fronte a un campo di immanenza, moltiplicatore di segmenti e proliferante velocità intrattenibili? Era il periodo in cui i nostri due maestri stavano concludendo il lavoro su Kafka e la risposta, già data in quel saggio, era che quella macchina poteva essere localizzata solo dalla consistenza/coesistenza di quantità intensive. Il che – tradotto per quell’analfabeta che ero – significava afferrare, in quel campo d’immanenza che le lotte di classe formavano, le quantità intensive della tendenza materiale alla crisi del sistema capitalista. E, inoltre, quelle che costituivano il dispositivo del rifiuto operaio dello sfruttamento, delle energie rivoluzionarie (minoritarie, certo, ma si sa che ciò che è minoritario supplisce al numero con l’intensità) allora agenti e del desiderio comunista – più intenso, più alto, ma consistente sul luogo di crisi e di lotta. Un sorvolo potente che crea un “luogo”.

E un quindicennio più tardi, rispondendo a una mia domanda sulla specificità della lotta comunista di classe, Deleuze rispondeva che il sistema di linee di fuga che definisce il capitalismo, può essere afferrato e combattuto solo inventando e costruendo una “macchina da guerra”. Cioè determinando in tal modo uno spazio-tempo, un potere costituente e una capacità di resistenza, localizzate e creative di un “popolo a-venire”. Ancora un “luogo”, dunque, non statico ma creativo – come appunto questo “controcanto al quadrato” esige. Le azioni di Occupy e le acampadas degli indignados ci impegnano a lavorare sulla definizione di questa verticalità, di questa intensità, di questo luogo. Non è più una questione solo temporale. Benjamin ricorda che durante le rivolte del XIX secolo, gli operai ribelli sparavano sugli orologi delle piazze, denunciando nella misura temporale, la misura dello sfruttamento.

Oggi i lavoratori precari, ribellandosi, devono sparare sui calendari – che non danno la continuità ma la separazione dei tempi, una successione distinta di tempi diversi della valorizzazione – poiché il loro sfruttamento, la loro alienazione, sono soprattutto misurati dalla mobilità spaziale, dalla separazione dei luoghi di impiego, dalla contiguità locale della cooperazione e dalla diversità degli spazi che devono percorrere. Come i migranti, così i precari, cooperanti in rete, sempre alla ricerca di un luogo dove restare. Senza questo luogo sembra impossibile ribellarsi. È così, o è già segno di una nostra frustrazione, l’affermarlo? Comunque, è il problema stesso che ci riporta alla scoperta di un luogo, come Occupy ci ha portato a Zuccotti park, alla piazza della libertà. I movimenti vanno dunque riformati ritrovandoli in uno spazio – una verticalità li attraversa, localizzandoli e innalzandoli, con estrema intensità locale. […] Abbiamo camminato molto a lungo vivendo formidabili avventure: abbiamo bisogno di fermarci per un momento, su un luogo, perché solo su un luogo è possibile rinnovare continuamente il canto di Giuseppina.

Anticipiamo un brano della postfazione di Antonio Negri al libro di Gerald Raunig, Fabbriche del sapere, industrie della creatività, in uscita nei prossimi giorni per ombre corte

Qui la recensione di Gigi Roggero al libro di Raunig


biocapitalismo

Posted: Settembre 15th, 2012 | Author: | Filed under: crisi sistemica, critica dell'economia politica, Marx oltre Marx, postcapitalismo cognitivo, Révolution | Commenti disabilitati su biocapitalismo

Scuola Esitiva UniNomade: Conricerca e biocapitalismo – registrazioni audio

Ascolta tutti gli audio delle relazioni, delle discussioni e dei workshop nelle quattro giornate della prima Summer School di UniNomade.

6 settembre Biocapitalismo e costituzione politica del presente

Introduzione: Carlo Romagnoli
Toni Negri parte prima – parte seconda

7 settembre Critica marxiana dell’economia politica e suoi sviluppi in epoca di biocapitalismo cognitivo

Benedetto Vecchi
Matteo Pasquinelli
Toni Negri
Discussione

Workshop: inchiesta e conricerca.

Introduzione: Gigi Roggero
Discussione parte prima – parte seconda – parte terza – parte quarta e conclusioni

8 settembre Rendita e biopotere: socializzazione del reddito e rifiuto del debito

Christian Marazzi
Stefano Lucarelli
Maurizio Lazzarato
Discussione

Workshop: processi di socializzazione del reddito e di rifiuto del debito

Introduzione: Andrea Fumagalli, Sandro Chignola, Francesco Festa
Discussione parte prima – parte seconda – parte terza – parte quarta e conclusioni

9 settembre La fabbrica della strategia ai tempi delle moltitudini. Riproduzione sociale, biopolitica e resistenze.

Introduzione: Anna Curcio
Cristina Morini
Roberta Pompili
Renato Busarello
Giso Amendola
Discussione e conclusioni

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Marazzi: la moneta del comune

Posted: Settembre 13th, 2012 | Author: | Filed under: crisi sistemica, critica dell'economia politica, Marx oltre Marx, postoperaismo | Commenti disabilitati su Marazzi: la moneta del comune

Summer School: la moneta del comune

di CHRISTIAN MARAZZI

A me sta il compito di tentare di inquadrare la situazione così come si è venuta a determinare recentemente fino alle ultime decisioni prese dalla BCE. Quando si seguono le vicende monetarie e finanziarie si viene travolti dal divenire della situazione e molto spesso non si riesce a riflettere oltre queste stesse questioni finanziarie. La colonizzazione finanziaria della mente è qualcosa di reale, ma credo che almeno su tre cose sia importante soffermarsi:

la prima questione è come si è arrivati a queste ultime misure prese dalla BCE in questi giorni e con gli effetti euforici che hanno provocato sui mercati;

la seconda ha a che fare con il rompicapo della moneta unica. Come ci posizioniamo noi di fronte al dilemma relativo alla sopravvivenza dell’Unione Monetaria Europea?;

il terzo punto credo che sia un inizio di riflessione su questa categoria che abbiamo buttato lì, ma che mi sembra potenzialmente interessante per lo meno sotto un profilo politico, la moneta del Comune.

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Valore e debito

Posted: Settembre 1st, 2012 | Author: | Filed under: comune, crisi sistemica, critica dell'economia politica, Marx oltre Marx, postcapitalismo cognitivo | Commenti disabilitati su Valore e debito

Il numero della bestia collettiva. Sulla sostanza del valore nell’era della crisi del debito

di MATTEO PASQUINELLI

Non si legge Marx per avere una grammatica con cui descrivere a posteriori e dogmaticamente le lotte sociali (come fa la corrente detta ‘Hysterical Materialism’), ma lo si studia per vedere come i rapporti di produzione e il conflitto abbiano dato forma ai suoi concetti dall’interno.

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