Posted: Dicembre 22nd, 2012 | Author: agaragar | Filed under: anthropos, bio, comune, critica dell'economia politica, Marx oltre Marx, postcapitalismo cognitivo, Révolution | Commenti disabilitati su Virno: lo stato di eccezione proclamato dal basso
Marco Scotini intervista Paolo Virno
Vorrei ripartire dal tuo testo Virtuosismo e Rivoluzione apparso nel lontano ‘93 sulla rivista «Luogo Comune» per affrontare quello strano soggetto politico che definiamo disobbedienza. Facendo seguito alla riflessione sulla «disobbedienza civile» di stampo liberale, e molto lontano da questa, proponevi allora un’idea di disobbedienza sociale (o di disobbedienza radicale) che sarebbe diventata una delle parole-chiave per identificare l’azione del movimento globale. Dopo quel tuo intervento (confluito poi nella Grammatica della moltitudine) altri contributi teorici rilevanti non mi sembra ci siano stati.
Per me il problema era quello di pensare a una forma di disobbedienza radicale, tale cioè da andare al nocciolo stesso della forma moderna di Stato. Non si trattava e non si tratta di disobbedire a una legge reputata ingiusta in nome di un’altra legge, di una legge più basilare o di una legge anteriore e più autorevole, come per esempio il dettato costituzionale. Questo naturalmente è possibile ma non è il nostro problema. Il nostro problema è corrodere quello stesso obbligo di obbedienza, ancora vuoto di contenuti, che precede le singole leggi e che sta alla base dell’istituzione dello Stato moderno. Come a dire: lo Stato si forma su un obbligo preventivo a obbedire alle leggi che verranno, quali che esse siano. È una sorta di obbligo preliminare che si tratta di mettere in questione. In sostanza la domanda fondamentale per ogni riflessione sulle istituzioni politiche è: perché bisogna obbedire? Se si risponde a questa domanda dicendo «perché lo impone la legge» ci si condanna a un regresso all’infinito, nel senso che è fin troppo facile – a quel punto – chiederci: «Perché bisogna obbedire alla legge? alla legge che impone l’obbedienza?» e così via, naturalmente… Su che cosa si può fondare l’obbedienza? Su un’altra legge ancora? Ma non c’è termine a questo pensiero, non c’è un punto d’arrivo.
[–>]
Posted: Dicembre 15th, 2012 | Author: agaragar | Filed under: au-delà, bio, post-filosofia, Révolution | Commenti disabilitati su Foucault: l’ignota tragedia della soggettività
di Michele Spano’
Si racconta che Michel Foucault, interrogato da un giovane studente sui fatti del terrorismo italiano, abbia risposto: «L’importante, oggi, è soprattutto San Crisostomo». L’aneddoto è il miglior viatico alla lettura del corso «Del governo dei viventi» (tenuto presso il Collège de France tra il 1979 e il 1980. il volume è stato pubblicato con il titolo Du gouvernement des vivants, Seuil, pp. 400, euro 26) e del seminario Mal faire dire vrai, tenuto nel 1981 presso l’Università di Lovanio e pubblicato dalla Presses Universitaires de Louvain (euro 30).
I due testi, che una felice congiuntura editoriale ha voluto fossero pubblicati insieme, sono infatti un’occasione preziosa per tornare sulle questioni – centrali nell’ultima riflessione foucaultiana – del rapporto tra governo e verità, e, dunque, sulla relazione di assoluta transitività che lega, nell’immanenza di un’ellisse, assoggettamento e soggettivazione, etica e politica (e – come emerge da questi testi – perfino quella bestia nera foucaultiana che è il diritto).
[–>]
Posted: Dicembre 3rd, 2012 | Author: agaragar | Filed under: bio, comune, critica dell'economia politica, Révolution | Commenti disabilitati su Communism is the Ruthless Critique of all that Exists
Interview with Michael Hardt
Interview conducted by “Praktyka Teoretyczna” editorial collective on the occasion of publication of the Polish translation of Hardt and Negri’s Commonwealth.
Commonwealth is an attempt to answer the question: how can we reexamine the conditions and horizons of the communist political praxis and theory today. It is not only a successful revival of the seventeenth century tradition of treatises on government, but also a kind of a political manifesto. However, looking at the reception of different leftist theoretical propositions in Poland, we can expect a quite harsh welcoming of this book in our country. Could you somehow try to convince readers from the post-socialist countries, “disappointed” by Marxism as an epistemological perspective and ideologically waterproofed to the most of leftist proposals, to familiarize with the communist project presented in the Commonwealth?
I can well imagine that for many Polish readers the concept of communism has become so corrupt that they do not want to hear anything more about it. In standard discourse today for many people (in post-socialist countries and elsewhere) “communism” means rigid state bureaucracy, total state control of economic and social activity, suppression of political dissent, workers’ sacrifice for the national good, restrictions on public speech, and so forth. For Toni and me, however, and indeed for many others, communism means something entirely different – not the exaltation of the state but the abolition of the state, not the celebration of work but the liberation from work, as well as experimentation with forms of freedom and democratic participation that go well beyond what exists in contemporary capitalist societies.
[–>]
Posted: Novembre 28th, 2012 | Author: agaragar | Filed under: anthropos, bio, epistemes & società, lacanism | 8 Comments »
di ROBERTO ESPOSITO – la Repubblica | 28 Novembre 2012
DALL’ETICA AL DESIDERIO. I PENSIERI DI UN MAESTRO. Massimo Recalcati dedica due volumi al controverso psicoanalista Il primo, appena pubblicato, è sul soggetto e i sentimenti
Noi, i soggetti. Ma chi siamo, noi? E cosa vuol dire “soggetto”? Che rapporto passa tra me e l’altro, all’interno della comunità? Ma anche tra me e ciò che, senza appartenermi, come il linguaggio che parlo, mi condiziona, mi modella, mi altera? E ancora: cosa è, per ciascuno di noi, il desiderio? A quale legge risponde? E come si articola con l’etica, l’arte, l’amore? Sono le grandi domande che si pone, e ci pone, Massimo Recalcati in Jacques Lacan. Desiderio, godimento, soggettivazione (Cortina), prima parte di un dittico, straordinario per quantità e qualità, cui seguirà un’altra sulla clinica psicoanalitica. Si tratta del suo ultimo libro, ma anche, più a fondo, del libro della sua vita. Certamente Recalcati ne scriverà ancora molti. Ma il libro della vita è un’altra cosa. È il libro cui dedichiamo la vita, ingaggiando una battaglia che non possiamo mai davvero vincere. E che poi, a un certo momento, sorprendendoci, la vita scrive attraverso di noi.
Si potrebbe dire che questo, a conti fatti, è quanto ci ha insegnato Lacan. La sua è un’opera “difficile” – non perché lontana dalla nostra esperienza, ma perché, al contrario, tanto prossima ad essa che quasi non riusciamo a metterla a fuoco e oggettivarla. La forza e il fascino del libro di Recalcati stanno appunto in questa consapevolezza. Nel sapere, e nel dirci, che le tesi di Lacan non possono essere descritte dall’esterno, come una qualsiasi teoria, ma vanno riconosciute dentro di noi – nei nostri gesti e nelle nostre parole, nei nostri impulsi e nei nostri smarrimenti. In questo senso va intesa quella “sovversione del soggetto” cui, fin dai primi seminari, Lacan dedica la propria opera – e dunque, come si diceva, la propria vita. Contro l’idea di una padronanza del soggetto su se stesso egli ci insegna che diveniamo ciò che siamo soltanto attraverso la mediazione simbolica dell’Altro – di un terzo che s’interpone nella relazione narcisistica tra noi e la nostra immagine, complicandola ma anche vivificandola, dando senso a ciò che sembra non averne.
Recalcati ricostruisce in tutte le sue pieghe lo sviluppo, tutt’altro che lineare, di un pensiero, come quello di Lacan, costituito nel punto di confluenza e di tensione tra esistenzialismo e strutturalismo, capace di assorbire, traducendoli in un impasto originalissimo, gli influssi di Hegel e Heidegger, di Sartre e Kojève, di Saussurre e Jakobson – per non parlare di Freud, restato fino all’ultimo il suo interlocutore privilegiato. In questo quadro complesso e in continua evoluzione, quale è il suo punto di partenza – il nucleo rovente da cui si può dire nasca la necessità del suo pensiero? Si tratta del fatto che, nel rifiuto narcisistico dell’altro, nel tentativo inane di ricucire la propria faglia originaria, il soggetto mostra di odiare innanzitutto se stesso. In questo modo – nel nodo mortifero che lega Narciso a Caino – si può rinvenire la radice dei totalitarismi e della guerra, a ridosso dei quali Lacan comincia a lavorare.
Quello che, nella stretta distruttiva tra Immaginario e Reale, risulta escluso è il piano del Simbolico, della relazione con l’altro, intesa come domanda di riconoscimento reciproco, come legge della parola e del dono. Quando la tendenza all’immunità – alla chiusura identitaria – prevale sulla passione per la comunità, l’Io batte contro il proprio limite rimbalzando sull’altro, secondo una pulsione di morte che finisce per risucchiarli entrambi nel proprio vortice. I grandi temi dell’inconscio come linguaggio, del nome del padre, della dialettica tra desiderio e godimento, sono tutti modi per proporre, da parte di Lacan, la medesima esigenza. Che è quella, per un soggetto esposto alla propria alterità, di non identificarsi con se stesso, ma senza perdersi nell’altro. Di sfuggire alla ricerca compulsiva di un godimento senza limiti, ma anche alla legge di un desiderio senza realizzazione.
L’originalità di Lacan – nell’interpretazione di Recalcati – sta nella capacità di tenersi lontano da entrambi questi estremi. Di non contrapporre il godimento al desiderio, ma di cercare di articolarli in una forma che fa di uno il contenuto dell’altro. Il processo di soggettivazione – vale a dire di elaborazione, da parte dell’io, dell’alterità da cui proviene – è il luogo di questa alleanza, la zona mobile in cui le acque del desiderio confluiscono in quelle del godimento, pur senza mischiarsi. Godere nel desiderio, attraverso il desiderio – vale a dire non di una pienezza irraggiungibile, ma della differenza che ci attraversa e ci costituisce: ecco la sfida, il luogo impervio della nostra responsabilità etica verso l’altro, che né la dissipazione libertina di Sade né la morale sacrificale di Kant potevano mai attingere. È il tema su cui sono tornati con efficacia anche Bruno Moroncini e Rosanna Petrillo in L’etica del desiderio. Un commentario del seminario sull’etica di Lacan (Cronopio). Quali sono i segni di questa possibile giuntura tra godimento e desiderio, pulsione e legge, uno e altro? Lacan li rintraccia intanto in un’etica del reale – non dei valori trascendenti – che, pur consapevole della necessità che ci governa, la apre alla contingenza dell’incontro inatteso, come quella che, nell’interpretazione sartriana, fa di Flaubert non un idiota, ma un genio.
Ma li ritrova anche nella dinamica dell’amore – come ciò che riscatta l’impossibilità degli amanti di ottenere un godimento reciproco. Mentre il maschio non può godere che di se stesso e in se stesso, la domanda della donna è senza limiti e dunque mai soddisfatta. Vero amore è quello che, anziché rimuoverla, riconosce questa distanza, rinunciando al godimento assoluto. Non l’abolizione della mancanza, ma la sua condivisione nell’abbandono e nel rischio che ne deriva. L’arte, in una diversa esperienza di sublimazione, riproduce tale condizione. Anche in essa la pulsione si afferma circoscrivendo un vuoto – elevando il proprio oggetto alla dignità della Cosa. Come provano i quadri di Cézanne, ma anche la scatola di fiammiferi di Prévert, in una pratica artistica intesa come organizzazione del vuoto, presenza e assenza si sovrappongono in una forma che fa dell’una l’espressione rovesciata dell’altra, così come, in tutta l’arte contemporanea, la figura si rivolge all’infigurabile.
Ancora una volta il soggetto si riconosce assoggettato a qualcosa che lo domina, su cui egli non può avere controllo. E tuttavia, ciò non ne determina né la dissoluzione né la soggezione a una potenza straniera. C’è sempre, in ogni esistenza, una sporgenza rispetto al proprio destino, un punto di resistenza alla ripetizione che coincide con la singolarità della vita. È proprio l’assenza di governo di sé, l’esposizione all’Altro, che riapre il cerchio della necessità alla dimensione del possibile. Forse, si potrebbe aggiungere, l’unico terreno sul quale questa possibilità appare più appannata, nell’opera di Lacan, è quello della politica. Non a caso il libro di Recalcati percorre i territori della filosofia, dell’etica, dell’estetica, ma non quello della politica. Forse perché alla politica non basta la soggettivazione in quanto tale, e neanche l’incrocio dell’uno con l’altro. Occorre anche una linea conflittuale che, all’interno della società, aggreghi gli uni contro, o almeno di fronte, agli altri. Ecco è la questione ultima, lasciata aperta da Lacan, con cui la ricerca di Recalcati è chiamata a confrontarsi.
Posted: Luglio 20th, 2012 | Author: agaragar | Filed under: bio, comune, critica dell'economia politica, postoperaismo, Révolution | Commenti disabilitati su Nuova temporalità dei movimenti e democrazia radicale
di ANTONIO NEGRI
0. Reinventare la democrazia? Sempre più massicciamente i cittadini se lo chiedono, in particolare in paesi dove la democrazia sembra essere in pericolo: questo timore, in Ungheria per esempio, dove oggi ci troviamo, sta in cima ad ogni pensiero. Ma di quale democrazia parliamo? Spinoza aveva distinto la “democrazia assoluta” (così l’aveva chiamata) dalla democrazia come forma di governo che si accoppiava all’aristocrazia ed alla monarchia. Democrazia assoluta cioè una “democrazia del molteplice”, non riducibile a quelle forme di potere che sempre lo definiscono come “uno”. Non a caso Bodin dichiarava, dal suo punto di vista, che tutte le forme del governo sono monarchiche, perché ogni governo – per esser tale – non può che essere governo dell’uno. Il che è falso – come è falsa l’intera tradizione moderna che concepisce il potere come una totalità ed un trascendentale – da Hobbes a Hegel, da Rousseau a Schmitt. Non c’è contratto, neppure un’autorità, preventivo, necessario per formare la società ed il suo ordine. Ma, al contrario, come appunto già Spinoza intuiva, la società politica nasce dal desiderio della moltitudine: un desiderio singolare che si sforza – conatus – di essere costruttivo ed efficace; un desiderio collettivo – cupiditas – che media gli interessi in lotta e gli affetti e le consuetudini in direzione di un insieme istituzionale; ed infine un’immaginazione che costruisce un comune nel quale ragione e desiderio si collegano – amor. C’è un’intera corrente di pensiero che attraversa la modernità (Machiavelli, Spinoza, Marx) che ci assicura di questa verità.
[–>]
Posted: Luglio 20th, 2012 | Author: agaragar | Filed under: au-delà, bio, comune, critica dell'economia politica, Marx oltre Marx | 9 Comments »
by Christoph Brunner
Interview with Christian Marazzi, George Caffentzis and Silvia Federici on the latest events in Québec
Zurich, May 25, 2012
In the wake of the 100th day of the general student strike in Québec and in the aftermath of passing the so-called Special Law 78, the global rupture these events evoked cannot be overlooked. In solidarity with Québec, its students, activists and the Quebecois people reminding us of the rights for free education, the right for peaceful assembly and political expression, this interview has been prompted spontaneously during a workshop at Zurich University of the Arts. Based on discussions in the work of Christian Marazzi on the shift from real production to what he calls financialization and Silvia Federici’s and George Caffentzis’ conceptual, activist and feminist involvement in the Occupy movement in New York and Maine this interview hopes to put emphasis on the problem of debt at the core of current movements around the globe. Aspects concerning the role of affect and the problem of continuity in these movements are inseparable from the social, political and economic circumstances usually foregrounded in the public media.
[–>]
Posted: Luglio 12th, 2012 | Author: agaragar | Filed under: bio, comune, postcapitalismo cognitivo, Révolution | 9 Comments »
di Roberto Ciccarelli
Lo spirito degli anni Novanta sta tornando. Non quelli del XX secolo, definiti da Joseph Stiglitz gli «anni ruggenti» della bolla finanziaria che ha portato all’esplosione dei mutui subprime negli Usa e del debito sovrano in Europa, bensì gli anni Novanta del secolo precedente, l’Ottocento.
E’ un ritorno al futuro. In una crisi che aumenta la disgregazione sociale e smentisce l’ipotesi di uno Stato sociale che accompagna le persone dalla culla alla bara, si torna a parlare di mutualismo. Nel XIX secolo questa pratica permise a operai, artigiani e contadini di creare le società del mutuo soccorso, le leghe di resistenza, le camere del lavoro per garantirsi l’istruzione, le tutele sociali, l’assistenza sanitaria e i fondi contro la disoccupazione. A quel tempo, in Italia c’erano 6700 mutue (800 mila soci effettivi). In Inghilterra c’erano oltre 24 mila società (oltre 4 milioni di soci), in Francia (6200 per 842 mila soci).
[–>]
Posted: Giugno 20th, 2012 | Author: agaragar | Filed under: anthropos, bio, vita quotidiana | Commenti disabilitati su Freud, Marcuse e il disagio della civiltà
di Franco Toscani
1. Freud, il perdurare del disagio e l’enciclopedia delle scienze
Il Sigmund Freud che nel 1929 s’interroga sulla barbarie avanzante e sul “disagio della civiltà” (Das Unbehagen in der Kultur è il titolo definitivo dell’opera che ebbe come primo titolo Das Unglück in der Kultur, L’infelicità nella civiltà) – in anni che stavano preparando una delle tragedie più spaventose del XX secolo – costituisce uno stimolo potentissimo, anche per noi oggi, a porre domande essenziali sul radicamento forte del male nella costituzione psichica dell’uomo odierno, sul disagio grave del nostro tempo, sull’inciviltà di tanti aspetti della nostra civiltà.
[–>]
Posted: Maggio 6th, 2012 | Author: agaragar | Filed under: anthropos, bio, vita quotidiana | Commenti disabilitati su Il suicidio dell’amore
di Sarantis Thanopulos
Un uomo di 34 anni ha ucciso la sua convivente di 20 anni e ha gettato il cadavere, avvolto in un lenzuolo, da un cavalcavia. Durante un momento di intimità lei l’aveva chiamato con il nome del suo ex fidanzato. Dall’inizio dell’anno sono 54 le donne uccise dal loro compagno per motivi, il più delle volte, di gelosia. Freud ha interpretato il delirio di gelosia dell’uomo in termini di negazione dell’omosessualità: «Non sono io che amo lui (l’uomo). È lei (la mia donna) che lo ama». L’omosessualità contribuisce alla costituzione di un desiderio eterosessuale compiuto perchè garantisce il necessario investimento narcisistico del proprio desiderio e favorisce l’identificazione con il desiderio del partner. Nel maschio il rigetto della propria componente omosessuale è sempre associato alla paura della femminilizzazione, della perdita idella propria identità virile. Provoca una difficoltà di coinvolgimento erotico profondo, perché comporta l’inibizione della parte accogliente, femminile di sé, e alimenta la frustrazione e l’odio nei confronti della donna. La rimozione eccessiva dei propri desideri omosessuali è il motivo della gelosia morbosa anche nella donna eterosessuale: spesso dietro l’acerrima rivalità si nasconde il desiderio inconfessabile per la rivale. Tuttavia nella donna, la gelosia folle, che l’omofobia interna può determinare, non esita solitamente nella stessa violenza distruttiva che a volte conduce l’uomo all’omicidio. Ciò perché questa gelosia protegge la donna da una figura materna intrusiva, che ha invaso il suo spazio erotico quando era bambina inibendo la parte omosessuale del suo desiderio. L’odio nei confronti dell’uomo traditore concentra l’investimento erotico su di lui, figura meno invasiva (perché meno significativa) che fa da cuscinetto protettivo tra lei e la rivale, oggetto di un amore impossibile. L’uomo eterosessuale ossessivamente geloso deve difendersi dai sentimenti omosessuali, perché in lui sono rinforzati dal suo odio nei confronti della stessa figura materna intrusiva che minaccia l’erotismo della donna omofoba. La gelosia lo protegge dalla propria omosessualità e conserva il carattere eterosessuale del suo desiderio (e il suo legame con la donna) ma lo allontana dal legame solidale, omofilico con il suo simile (in principio il padre) e lo lascia indifeso nei confronti di una figura femminile che capta tutto il suo interesse ed è vissuta come castrante. Il tradimento da parte di una figura cosi potente gli appare come conferma della sua impotenza e può scatenare una rabbia incontenibile. La figura di una madre infelice nel suo rapporto con l’uomo che si riscatta attraverso il possesso del figlio getta la sua ombra sul destino degli assassini delle loro compagne. Con questa madre da riscattare essi si identificano, non ne possono fare a meno anche se la odiano. La donna trovata morta in un lenzuolo sotto il cavalcavia, sembrava, a detta dei testimoni, avvolta in un sudario. Corpo materno avvolto nel sudario del figlio sacrificale, il figlio messianico che uccidendo nella propria donna (vittima sfortunata e incolpevole) la madre da riscattare afferma che il riscatto non è possibile che nella morte, nell’omicidio-suicidio.
[il manifesto]
Posted: Febbraio 13th, 2012 | Author: agaragar | Filed under: bio, comune, Marx oltre Marx, post-filosofia | Commenti disabilitati su Il “nudo” e il “sacro”
La biopolitica di Giorgio Agamben
di Fabio Milazzo
“La storia della ratio governamentale,
la storia della ragione governamentale
e la storia delle contro condotte che le si sono opposte non possono essere dissociate l’una dall’ altra.”
Michel Foucault, Sicurezza, territorio e popolazione. Corso al Collège de France (1977-1978), p.365).
Nel 1979 Michel Foucault rese celebre il concetto di “biopolitica” dedicandogli un intero corso al Collège de France[1].
Durante il ciclo di lezioni Foucault cercò di dimostrare la correlazione tra il liberalismo, l’economia e il governo. L’economia, con il liberalismo, diventa il paradigma orientante le pratiche di governo.
“ Mi sembra che l’analisi della biopolitica non si possa fare senza aver compreso il regime generale di questa ragione governamentale di cui vi sto parlando, regime generale che si può chiamare questione di verità, in primo luogo della verità all’interno della ragione governamentale, e di conseguenza se non si comprende bene di che cosa si tratta in questo regime che è il liberalismo, (…) e una volta che avremo saputo che cos’è questo regime governamentale chiamato liberalismo potremo sapere cos’è la biopolitica”[2].
[…]