Posted: Dicembre 4th, 2011 | Author: agaragar | Filed under: au-delà | Commenti disabilitati su Lucio e Mara
“La mia morte è cominciata da tempo. Quando Mara è scomparsa ha portato via con sè tutta la mia voglia di vivere, ed ero già pronto a seguirla. Lei lo ha intuito e in extremis mi ha strappato la promessa di portare a termine il lavoro che avevo avviato negli anni della sua sofferenza e che in altro modo era anch’esso in punto di arrivo.
La promessa è più un atto di amore, il regalo di un tempo supplementare. Era uno stimolo e un aiuto per dare una conclusione degna al destino che ci aveva fatto casualmente ma più volte incontrare e poi dato tanti anni di felicità totale. Era anche un appuntamento, o almeno così lo ho vissuto ogni giorno. Ora posso dire che la promessa la ho mantenuta al meglio che potevo. Il libro è stato pubblicato anche in Spagna, Inghilterra, Argentina e Brasile.
Nel lungo e doloroso intermezzo ho avuto modo non solo di riflettere sul passato ma anche di misurare il futuro. E mi sono convinto di non avere ormai nè l’età, nè l’intelligenza, nè il prestigio per dire o per fare qualcosa di veramente utile a sostegno delle idee e delle speranze che avevano dato un senso alla mia vita.
Intendiamoci, non escludo affatto che quelle idee e quelle speranze, riformulate, non si ripresentino nella storia a venire: ma in tempi lunghi e senza sapere come e dove. Comunque fuori dalla mia portata.
Per tutto ciò mi pare legittimo, anzi quasi razionale soddisfare un desiderio profondo che anzichè ridursi, cresce. Il desiderio di sdraiarmi a fianco di Mara per dimostrarle che l’amo come e più che mai, e dimostrare che la morte è stata capace di spegnerci, ma non di dividerci. Può essere solo un simbolo, ma non è poco.”.
[A seguire, un post scriptum, in cui Lucio Magri chiedeva di evitare cerimonie funebri, rimembranze e giudizi dettati dall’occasione, ma “semplicemente uno sguardo affettuoso, o almeno amichevole, rivolto ad una coppia di innamorati sepolti in un piccolo cimitero, insieme“]
Posted: Novembre 30th, 2011 | Author: agaragar | Filed under: au-delà, post-filosofia | 6 Comments »
di Michel Foucault
Perché scriveva Sade? Cosa poteva significare, per Sade, l´esercizio
della scrittura? Dagli elementi biografici che abbiamo su di lui,
sappiamo che ha riempito di inchiostro migliaia di pagine, molte più di
quelle che si sono salvate. Una quantità ragguardevole si è persa, ogni
qualvolta Sade è stato imprigionato. Sade scriveva, infatti, su pezzetti
di carta che gli venivano regolarmente sequestrati. È così che ha
redatto Le 120 giornate, alla Bastiglia, terminandole credo nel 1788-89.
Quando la Bastiglia venne espugnata dai rivoluzionari, quelle pagine gli
furono confiscate. Ecco il lato oscuro della presa della Bastiglia: la
sparizione de Le 120 giornate del Marchese. Fortunatamente queste pagine
vennero ritrovate, ma solo dopo la sua morte. Al tempo, per quella
“perdita”, Sade versò, è lui stesso a ricordarcelo, “lacrime di sangue”.
L´ostinazione che Sade ha posto nella scrittura, le sue lacrime di
sangue unitamente al fatto che ogni volta che pubblicava un libro veniva
sbattuto in galera – ecco, tutto ciò prova che Sade attribuiva alla
scrittura un´importanza ragguardevole. Con il termine “scrittura” non
bisogna intendere il mero fatto di scrivere, ma il fatto di pubblicare.
Poiché – ricordiamocelo – Sade pubblicava i propri testi. E se la
fortuna voleva che, mentre li pubblicava, egli fosse fuori di prigione,
ciò non impediva che fosse arrestato non appena quei medesimi testi
fossero pubblicati. E il tutto proprio a causa della loro pubblicazione.
Da dove viene dunque la serietà della scrittura in Sade? Io credo che a
un primo sguardo sia dovuta a un fatto, a più riprese espresso in
Justine e Juliette. Sade si rivolge ai lettori non in ragione del
piacere che i suoi racconti possono provocare in loro, ma proprio per
ciò che di sgradevole può esservi narrato. Lo dice chiaramente: «Non
avrete di che provare piacere, ascoltando il racconto di storie tanto
raccapriccianti. La virtù punita, il vizio ricompensato, bambini
massacrati, ragazzi e ragazze fatti a pezzi, donne incinte impiccate,
interi ospedali dati alle fiamme. La vostra sensibilità sarà rovesciata,
il vostro cuore non ne potrà più. Ma che cosa volete che vi dica? Non è
alla vostra sensibilità, né al vostro cuore che mi rivolgo. Mi rivolgo
alla vostra ragione – ad essa solamente. Voglio dimostrare una verità
fondamentale, ossia che il vizio viene sempre ricompensato e la virtù
punita». Si pone però un problema. Quando seguiamo un romanzo di Sade,
ci accorgiamo che non c´è assolutamente logica nella ricompensa del
Vizio e nella punizione della Virtù. In effetti, ogni qualvolta Justine,
che è virtuosa, viene punita, la punizione non dipende mai dal fatto che
abbia commesso un errore di ragionamento, che non abbia previsto
qualcosa o sia stata cieca nei confronti di una talaltra cosa. No,
Justine ha calcolato perfettamente tutto, ma le capita sempre una
qualche terribile sventura. Sventura che attiene all´ordine del caso e
come tale la punisce. Justine salva qualcuno? Bene, quando l´ha tratto
in salvo, finisce per massacrarlo. Massacra colui a cui ha appena
salvato la vita. Qui è il caso, sempre il caso, che interviene, mai la
conseguenza logica dei suoi atti. E questo caso determina la punizione.
Quando Sade afferma di indirizzarsi «non al vostro cuore, ma alla vostra
ragione» non è dunque in questione la razionalità del Vizio, né della
Virtù. Sade non si prende seriamente, qui. Ma allora, che cosa vuole
fare quando pretende di indirizzarsi alla nostra ragione, mentre
l´ossatura del racconto si rivolge a tutt´altro orizzonte? Credo che per
capirlo occorra riprendere un passaggio – il solo, in Justine e Juliette
– che si riferisce allo scrivere. Juliette si rivolge a un personaggio,
a un´amica già perversa, ma non totalmente perversa. Non ancora almeno.
Qui si tratta di fare l´ultimo apprendistato, di salire l´ultimo scalino
della perversione. Ecco i consigli di Juliette: «Rimanete quindici
giorni senza occuparvi di lussuria. Distraetevi, divertitevi con altre
cose, ma fino al compimento del quindicesimo giorno non lasciate il
minimo spiraglio alla più piccola idea libertina. Poi coricatevi, da
sola, nella calma, nel silenzio e nell´oscurità più profonda.
Ricordatevi allora di tutto ciò che avete bandito in quei quindici
giorni. Date poi alla vostra immaginazione la libertà di presentare
differenti modi di pervertirvi. Percorreteli nel dettaglio. Passateli in
rassegna. Persuadetevi che tutta la terra vi appartiene e avete il
diritto di cambiare, mutilare, distruggere, rovesciare qualunque essere.
[…] Il delirio si impossesserà di voi. Accendete allora la candela e
trascrivete sui fogli la specie di smarrimento che vi ha infiammato,
senza dimenticare alcuna circostanza che aggravi i dettagli.
Addormentatevi, dopo averlo fatto. L´indomani, rileggete le note e
ricominciate l´operazione». Ecco dunque un testo che chiaramente ci
mostra un modo di usare la scrittura. Un uso chiaro delle scrittura. Si
parte dalla libertà totale assegnata all´immaginazione, si scrive, ci si
addormenta, si rilegge, si procede con un nuovo lavoro
dell´immaginazione, si passa a una nuova elaborazione per mezzo della
scrittura e infine, come dice Sade, alla maniera di una ricetta
culinaria: «Commentate…».
Credo si debba studiare a fondo, in maniera più decisa e precisa, questo
testo. Chiediamoci allora come funziona, in esso, la scrittura. Direi
che in primo luogo la scrittura vi gioca un ruolo intermediario tra
immaginario e reale. Sade, o il personaggio in questione, si dà fin
dall´inizio alla totalità del mondo immaginario possibile e deve quindi
variare questo mondo, superarne i limiti, spostarne le frontiere. Va
oltre, proprio mentre credeva di aver già immaginato tutto, ed è questo
che va trascritto più volte e solo quando sarà arrivato a una data
realtà, allora potrà accedere al famoso: «Commentez ensuite». Come se
fosse facile, commentare quando si è sognato di massacrare migliaia di
bambini, di bruciare centinaia di ospedali, di far esplodere un vulcano…
La scrittura è dunque questo processo, questo momento che ci porta fino
a un reale che, a dirla tutta, spinge il reale fino ai limiti stessi
dell´inesistenza. La scrittura è ciò che permette di spingersi sempre
oltre le frontiere dell´immaginazione. Il principio di realtà o,
piuttosto, la scrittura è ciò che a forza di spinte successive sposta il
momento della conoscenza oltre l´immaginazione. La scrittura è ciò che
forza a far lavorare l´immaginazione, introducendo un ritardo nel
momento in cui il reale finemente si sostituirà al principio di realtà.
La scrittura spinge la realtà fino a divenire irreale quanto
l´immaginazione. La scrittura – ecco la sua prima funzione – abolisce le
frontiere tra realtà e immaginazione. La scrittura esclude la realtà,
ecco quindi che cancella tutti i limiti dell´immaginario.
Ci sono però altre funzioni che orientano la scrittura. La scrittura, in
particolare, cancella il limite temporale, cancella i limiti dello
sfinimento, della fatica, della vecchiaia, della morte. A partire dalla
scrittura, tutto può continuamente, indefinitamente ricominciare. Ma mai
la fatica, mai lo sfinimento, mai la morte si affacceranno in questo
mondo della scrittura, che è precisamente l´elemento che cancella la
differenza tra principio di realtà e principio di piacere. La scrittura
introduce il desiderio nel mondo della verità, togliendo a esso le
briglie e i limiti del lecito e dell´illecito, del permesso e del
proibito, del morale e dell´immorale. La scrittura introduce il
desiderio nello spazio dove tutto il possibile è indefinitamente
possibile e illimitato. La scrittura permette all´immaginazione e al
desiderio di non incontrare più altra cosa che non sia la sua
individualità. Permette al desiderio di essere sempre, in qualche modo,
all´altezza della propria irregolarità. In conseguenza di tutte queste
illimitazioni prodotte dalla scrittura, il desiderio diventa legge a sé
stesso. Diviene sovrano assoluto che detiene la propria verità, la
propria ripetizione, il proprio infinito, la propria istanza di
verifica. Niente potrà più dire al desiderio «sei falso», niente può
rinfacciargli «non sei totalità», niente «è vero ciò che sogni, ma c´è
qualcosa che ti si oppone». Niente può più dire al desiderio «ci sei, ma
la realtà dice un´altra cosa». Grazie alla scrittura, il desiderio è
entrato nel mondo della verità totale, assoluta, illimitata senza
possibile contestazione esterna.
Ecco dunque che, osservata da questa prospettiva, la scrittura sadiana
non ha come caratteristica il mettere in comunicazione, l´imporre, il
suggerire a qualcuno le idee o i sentimenti di un altro. Non si tratta
assolutamente di persuadere qualcuno di una verità esterna. La scrittura
sadiana è una scrittura che non si indirizza a nessuno. Non si indirizza
a nessuno nella misura in cui non si tratta di persuadere a nessuna
verità che avrebbe ipoteticamente nella testa, avrebbe riconosciuto e
dovrebbe quindi imporre al lettore. La scrittura di Sade è una scrittura
assolutamente totalitaria, tanto che nessuno può esserne persuaso in un
senso, e nessuno può comprenderla nell´altro. Ecco dunque che per Sade è
assolutamente necessario che tutti i suoi fantasmi passino per la
scrittura e attraverso la scrittura, in ciò che ha di materiale, poiché,
come ci dice il testo di Juliette, è proprio questa scrittura, quella
materiale, fatta di segni posti su una pagina che possiamo leggere,
correggere, riprendere e via all´infinito – è questa scrittura che mette
il desiderio in uno spazio illimitato, dove ciò che è esteriore, il
tempo, i limiti dell´immaginazione, le concessioni e i divieti, sono
totalmente e definitivamente aboliti.
La scrittura è dunque il desiderio che ha avuto accesso a una verità che
nulla può più contenere. Una verità senza limite. La scrittura è il
desiderio divenuto verità. Verità che ha preso forma di desiderio. Del
desiderio ripetitivo, del desiderio illimitato, del desiderio senza
letto, del desiderio senza esteriorità, dove l´esteriorità è la
soppressione dell´esteriorità in rapporto al desiderio. Questo è quanto
la scrittura porta a compimento, nell´opera di Sade. Ed è la ragione che
lo spinge a scrivere.
Posted: Novembre 25th, 2011 | Author: agaragar | Filed under: au-delà, comune, postcapitalismo cognitivo | 7 Comments »
L’intelletto generale alla ricerca del corpo
di Franco Berardi “Bifo”
Questo testo è tratto dalle pp. 121-125 di Franco Berardi Bifo, La sollevazione. Collasso europeo e prospettive del movimento, Manni, Lecce 2011, pp. 160, € 10.00 (qui la scheda di presentazione editoriale)
Il 14 dicembre del 2010 centinaia di migliaia di persone, per gran parte studenti e ricercatori invasero il centro delle città di Londra di Atene e di Roma e li misero a soqquadro. Non proprio a ferro e fuoco, per questa volta, la prossima si vedrà.
La loro piattaforma rivendicativa, se così la vogliamo chiamare, consisteva semplicemente in questo: la conoscenza, la ricerca, l’educazione non possono essere sottoposte agli interessi di arricchimento di una ristretta classe finanziaria, e le autorità politiche e finanziarie europee non possono tagliare i fondi per la ricerca e per la scuola, né possono pretendere di sottomettere le linee di sviluppo della ricerca e dell’educazione alle finalità del profitto e della competizione. Se si fa questo si avvia un processo di imbarbarimento, di de-civilizzazione.
[…]
Posted: Ottobre 2nd, 2011 | Author: agaragar | Filed under: au-delà | Commenti disabilitati su Le Grand Jeu
Avant-Propos
Le Grand Jeu est irrémédiable; il ne se joue qu’une fois. Nous voulons le jouer à tous les instants de notre vie. C’est encore à « qui perd gagne ». Car il s’agit de se perdre. Nous voulons gagner. Or, le Grand Jeu est un jeu de hasard, c’est-à-dire d’adresse, ou mieux de « grâce » : la grâce de Dieu, et la grâce des gestes.
Avoir la grâce est une question d’attitude et de talisman. Rechercher l’attitude favorable et le signe qui force les mondes est notre but. Car nous croyons à tous les miracles. Attitude : il faut se mettre dans un état de réceptivité entière, pour cela être pur, avoir fait le vide en soi. De là notre tendance idéale à remettre tout en question dans tous les instants. Une certaine habitude de ce vide façonne nos esprits de jour en jour. une immense poussée d’innocence a fait craquer pour nous tous les cadres des contraintes qu’un être social a coutume d’accepter. Nous n’acceptons pas parce que nous ne comprenons plus. Pas plus les droits que les devoirs et leurs prétendues nécessités vitales. Face à ces cadavres, nous augurons peu à peu une éthique nouvelle qui se construira dans ces pages. Sur le plan de la morale des hommes qui se regardent, qui s’emboîtent le pas, qui rampent au-dessous, volent au-dessus, se devancent, se fuient, s’acclament, se huent et se regardent impassibles. Mais nous ne voulons être alors que l’action de marcher. C’est en cela que nous sommes comédiens sincères. Mauvais sont ceux qui ne se donnent pas entièrement à leur choix. Nous avons simplement le sens de l’action.
[…]