“Nuovo fascismo” o neoliberalismo? Michel Foucault e l’affaire Croissant

Posted: Novembre 3rd, 2013 | Author: | Filed under: comunismo, epistemes & società, Révolution | Commenti disabilitati su “Nuovo fascismo” o neoliberalismo? Michel Foucault e l’affaire Croissant

di Alessandro Simoncini*

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1. Nel cuore degli “anni di piombo”: il caso Croissant

Come si sa, fin dai primi anni ’70 Michel Foucault avvierà l’elaborazione di un’analitica del potere capace di oltrepassare tanto la sterile dogmatica del contrattualismo liberale, quanto le insufficienze di un rigido economicismo marxista. (1) Ai suoi occhi, la lezione proveniente dagli eventi del ’68 aveva indicato la strada: i movimenti avevano rigettato materialmente l’ordine della società disciplinare affermando dal basso, e con radicalità globalmente diffusa, che «non si accettava più di essere governati in un certo modo». (2)Per dirla con Gilles Deleuze, quelle lotte avevano rappresentato «la messa a nudo di tutti i rapporti di potere, ovunque essi si esercitassero, cioè dappertutto». (3) In questo modo, esse avevano squadernato apertamente il “concreto” stesso del potere – sosteneva Foucault – fin nelle maglie più fini della sua rete. (4) Recepirne le indicazioni significava allora elaborare una “microfisica del potere” in grado di superare l’ossessione teorica della sovranità e di mostrare come la concretezza dei poteri e dei saperi avesse prodotto, storicamente e materialmente, l’assoggettamento delle menti e dei corpi: (5) il governo di tutti e di ciascuno. Alla “microfisica” Foucault associava immediatamente una militanza da “intellettuale specifico” come quella praticata nel “Gruppo di informazione sulle prigioni” tra il 1970 e il 1972: (6) qui la teoria diventava una “scatola di attrezzi” capace di potenziare i tanti “fuochi di resistenza” che sempre inquietano i dispositivi di potere-sapere attivi nei mille piani del reale. È a un simile rinnovamento della cultura politica, per una sinistra autonoma dalle burocrazie partitiche e dalle centrali sindacali, che Foucault sembra pensare fin dai primi anni ’70. Ed è ancora un simile “programma” a guidarlo qualche anno dopo, nel periodo di gestazione di quella Storia della ragion governamentale che prenderà forma nei due corsi tenuti al Collège de France tra il 1977 e il 1979: (7) un percorso intellettuale, questo, che modificherà sensibilmente gli assetti precedenti dell’analitica foucaultiana. (8) In questo passaggio teorico cruciale riveste un ruolo importante – forse centrale – l’affaire Croissant, nel quale sul finire del 1977 Foucault si impegnerà personalmente.

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L’economia del debito e il «governo» della povertà: una critica della microfinanza

Posted: Novembre 2nd, 2013 | Author: | Filed under: 99%, BCE, bio, comune, comunismo, epistemes & società | Commenti disabilitati su L’economia del debito e il «governo» della povertà: una critica della microfinanza

di Marco Fama

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Il contributo di Marco Fama rappresenta una critica della microfinanza, in quanto istituzione capitalistica. La microfinanza è raccontata al di là di ogni retorica. Essa è spiegata come una vera e propria (bio)politica monetaria che realizza una forma di dominio attraverso l’istituzione di rapporti creditizi che mettono a valore la condizione di povertà. Le nuove forme di governo della povertà incentrate sul (micro)debito, nel mentre si avvalgono della produzione discorsiva neoliberale per mezzo della quale sono presentate come un’occasione di auto-emancipazione per i poveri, portano questi direttamente nel cuore dei meccanismi di spoliazione messi in atto dai mercati finanziari; attraverso le logiche del debito/colpa a queste sottese, inoltre, viene ad esprimersi una forma fattiva di biopotere che ambisce a produrre – tra coloro i quali più di chiunque altro avrebbero motivo di insorgere – delle soggettività docili. Una riflessione preziosa per coloro che aspirano a riappropriarsi di un sapere monetario che sfidi la violenza finanziaria.

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L’agire comune e i limiti del Capitale

Posted: Ottobre 31st, 2013 | Author: | Filed under: 99%, au-delà, bio, comune, comunismo, critica dell'economia politica, Marx oltre Marx, postoperaismo | 54 Comments »

di TONI NEGRI.1

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1. È nel secondo dopo guerra che si afferma l’intuizione di Pollock – elaborata nell’epoca weimariana – che il mercato capitalista non possa essere considerato in maniera semplicista e retorica come libertà (se non addirittura anarchia) di circolazione e realizzazione del valore delle merci bensì al contrario e fondamentalmente come unità di comando sul livello sociale, come “pianificazione”. Questo concetto socialista, aborrito dal pensiero economico capitalista, rientrava gloriosamente fra le categorie della scienza economica. Il concetto di “capitale sociale” (e cioè di un capitale unificato nella sua estensione sociale, dentro e al di sopra del mercato ed inteso come dispositivo di garanzia del funzionamento del mercato stesso), insomma come sigla di una effettiva direzione capitalista della società, viene sempre più largamente sviluppato.

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CONTRO IL DENARO

Posted: Ottobre 31st, 2013 | Author: | Filed under: comune, crisi sistemica, epistemes & società, Marx oltre Marx, situationism | Commenti disabilitati su CONTRO IL DENARO

di Aldo Meccariello

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Anselm Jappe
Contro il denaro

Mimesis, Milano-Udine 2013,
pp.62, € 4,90
ISBN 978-88-5751-161-0

E se il vero azzardo fosse quello di scommettere sulla scomparsa del denaro, che cosa ne sarebbe del capitalismo? E che cosa ne sarebbe di noi che «ci siamo consegnati, piedi e mani legate, al denaro»? Come saranno le nostre vite dopo un crollo su vasta scala delle banche e delle finanze pubbliche? Domande provocatorie, come è provocatorio il titolo di questo agile volumetto, che raccoglie tre lucidi e sferzanti articoli di Anselm Jappe, allievo di Mario Perniola e professore di Estetica all’Accademia di Belle Arti di Frosinone. Nel primo articolo, Il denaro è diventato obsoleto?, l’Autore descrive un raccapricciante scenario distopico che potrebbe stimolare l’immaginazione di un regista di film catastrofici. Senza il denaro, che è il nostro feticcio, senza «questa divinità che noi stessi abbiamo creato dal quale crediamo di dipendere e al quale siamo pronti a sacrificare tutto pur di placare le sue ire» (p. 11), ci saranno magazzini pieni ma senza clienti, fabbriche in grado di funzionare ma senza operai e maestranze, scuole in cui i professori non si presenteranno più, perché privi di salario da mesi, le campagne senza contadini, uffici senza più impiegati: saremmo di fronte all’incantesimo di un nuovo Medioevo «che separa gli uomini dai loro prodotti» (p. 8). Con il susseguirsi di crisi finanziarie peggiori di quelle del 2008, saremmo dinanzi alla fase terminale del capitalismo che implode insieme a quel mediatore universale che Marx chiamava il denaro. In effetti, questo scenario non è così surreale perché – sostiene Jappe – il denaro si sta rarefacendo sia dal punto di vista materiale (deflazione) sia da quello del valore (inflazione), ma senza di esso «che fa circolare le cose, noi siamo come un corpo senza sangue» (p. 10). Ma «se le banche sprofondano, se falliscono a catena, se cessano di distribuire denaro, noi tutti rischiamo di sprofondare con loro» (p. 12), perché un’economia senza questa interfaccia che è il denaro è, al momento, un salto nell’ignoto che sgomenta.

Anche il lavoro si sta dissolvendo in questa specie di tableau apocalittico: è questo il tema del secondo articolo, ancora più radicale del primo, che ha per titolo Lavoro astratto o lavoro immateriale?.Jappe propone al lettore un excursus critico e stringente delle categorie marxiane di valore, merce, denaro e lavoro astratto per spiazzare i teorici e i corifeidel cosiddetto capitalismo cognitivo che identificano in maniera grossolana «‘il lavoro immateriale’ con ‘il lavoro astratto’ di cui parla Marx» (p. 25). Il lavoratore postfordista non è al di là della logica capitalista, e il fatto che metta in gioco il suo capitale cognitivo non gli impedisce di essere la figura più moderna e aggiornata del marxismo tradizionale. Lo spostamento di focus dal materiale all’immateriale non ha significato un cambiamento o una rottura delle analisi classiche dei rapporti di produzione, anche se l’esplosione del terziario prima e della società dell’informazione poi ha reso sempre meno produttivo, in termini puramente capitalistici, il lavoro. Il paradosso risiede nel fatto che è proprio la società del lavoro ad abolire il lavoro. La sostituzione del lavoro con la tecnologia e la conseguente disoccupazione potrebbero in sé essere un fattore positivo: in una società razionale, le tecnologie permetterebbero a tutti di lavorare molto di meno, e ciò sarebbe un bene. Invece la società capitalista non si interessa all’utilità o meno, ma alla sola produzione del “valore”: chi non ha un lavoro viene tagliato fuori dalla società. Ma quando la crisi del capitalismo raggiungerà il suo apice, almeno la metà della popolazione globale diventerà superflua. Da tale punto di vista il capitalismo – osserva Jappe – vive uno stadio terminale, e «non fa altro che rinviare il redde rationem tramite la finanziarizzazione. Infatti, nessun modello nuovo di accumulazione è più venuto: si sono solo simulati dei profitti» (p. 32). La crescita esplosiva del capitale finanziario aumenta la volatilità dei mercati e la progressiva abolizione del denaro; in tale ottica i mezzi di creazione del profitto divengono meramente finanziari, provocando il collasso delle politiche occupazionali la cui stagnazione o retrocessione porta indirettamente alla precarizzazione o alla crisi del lavoro.

All’apparenza, quelle di Jappe sembrano provocazioni intellettuali e analisi iperboliche, ma ad una riflessione più attenta sono tesi nuove ed originali che però sfuggono all’interno del dibattito della sinistra italiana, rassegnata da sempre all’eternità del capitalismo e delle sue categorie. Il ragionamento dell’Autore continua serrato anche nel terzo saggio che chiude il volumetto, intitolato Credito a morte. La storiella che la finanza sia la sola responsabile della crisi mentre l’economia reale sarebbe buona e sana non regge più perché la crisi che stiamo vivendo non è l’occasione di un miglioramento del capitalismo «come motore di un nuovo regime» di accumulazione e produttore di impiego» (p. 42), ma semplicemente il suo colpo di coda, la sua agonia. È mera illusione pensare che tutta la responsabilità sia attribuibile all’avidità di gruppi di speculatori o di multinazionali ingorde per favorire invece «un ritorno al capitalismo “saggio”, perché “regolato” e sottomesso alla “politica”» (p. 44). La tesi ovvia e spiazzante di Jappe che ilcapitalismo non è eterno e pertanto può crollare per i limiti interni al proprio sviluppo è una tesi che meriterebbe di essere approfondita e discussa in ben altri luoghi istituzionali e in organismi internazionali dove si decide l’assetto economico del mondo. L’intero sistema per ora tiene perché si basa essenzialmente sul credito, ma non può durare. I dati certi con cui fare i conti sono l’esaurimento delle risorse, i cambiamenti irreversibili del clima, l’estinzione delle specie naturali e dei paesaggi, l’avanzare impetuoso delle tecnologie che sostituiscono il lavoro vivo. Perfino gli antagonismi storici (operai e capitale, lavoro e denaro) «rischiano di scomparire insieme, avvinti nella loro agonia» (p. 61). Come uscirne? È la bella domanda che non può trovare risposte a meno che non si ricorra, come suggerisce Jappe, alla contemplazione di un quadro di Paul Klee, Finalmente, l’uscita.


La scrittura è la morte degli altri

Posted: Ottobre 31st, 2013 | Author: | Filed under: 99%, anthropos, Archivio, bio, comune, epistemes & società, Foucault, post-filosofia | Commenti disabilitati su La scrittura è la morte degli altri

di Michel Foucault

Michel

[Tra l’estate e l’autunno del 1968 Michel Foucault e il critico letterario Claude Bonnefoy registrarono una serie d’incontri con l’idea di pubblicare, presso le edizioni Belfond, un volume di conversazioni in cui Foucault avrebbe parlato del proprio rapporto con la scrittura. Il progetto fu poi abbandonato. La trascrizione di questi colloqui è stata resa pubblica nel 2004 e Cronopio ne ha da poco pubblicato la versione italiana: Il bel rischio. Conversazione con Claude Bonnefoy, a cura di Antonella Moscati. Presentiamo alcuni brani del libro. I titoli dei paragrafi sono redazionali].

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How Science Is Telling Us All to Revolt

Posted: Ottobre 30th, 2013 | Author: | Filed under: 99%, comune, crisi sistemica, epistemes & società, Global, Révolution, U$A, vita quotidiana | Commenti disabilitati su How Science Is Telling Us All to Revolt

by Naomi Klein, NewStatesman

29 October 13

Naomi

Is our relentless quest for economic growth killing the planet? Climate scientists have seen the data – and they are coming to some incendiary conclusions.

In December 2012, a pink-haired complex systems researcher named Brad Werner made his way through the throng of 24,000 earth and space scientists at the Fall Meeting of the American Geophysical Union, held annually in San Francisco. This year’s conference had some big-name participants, from Ed Stone of Nasa’s Voyager project, explaining a new milestone on the path to interstellar space, to the film-maker James Cameron, discussing his adventures in deep-sea submersibles.

But it was Werner’s own session that was attracting much of the buzz. It was titled “Is Earth F**ked?” (full title: “Is Earth F**ked? Dynamical Futility of Global Environmental Management and Possibilities for Sustainability via Direct Action Activism”).

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La traduzione in italiano qui


Note sullo stato della filosofia italiana (1). Oltre l’accademia: le strade

Posted: Ottobre 29th, 2013 | Author: | Filed under: au-delà, epistemes & società, Marx oltre Marx, philosophia, post-filosofia | Commenti disabilitati su Note sullo stato della filosofia italiana (1). Oltre l’accademia: le strade

di GIROLAMO DE MICHELE.1

Vitt

Confesso di aver seguito con un certo distacco, e anche un po’ di fastidio, il nascere del “Nuovo Realismo”, del cui testo fondante molte cose non mi convincevano, e continuano a non convincermi. Del resto, non essendo mai stato “post-modern”, non mi convinceva neanche l’eventuale difesa del bersaglio polemico. E, se devo dirla tutta, l’ambiente “Italian Theory” – tradotto come mangio: l’Italietta accademica che ha il suo quarto d’ora di notorietà modaiola, ora che il vestitino “French Theory” s’è sdrucito a furia di strofinature, nei McDonald culturali americani – mi faceva venire in mente il Poeta di Pavana: “di solito ho da far cose più serie, costruire su macerie, o mantenermi vivo”.

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LA VITA PSICHICA DEL POTERE

Posted: Ottobre 29th, 2013 | Author: | Filed under: anthropos, au-delà, bio, donnewomenfemmes, epistemes & società, post-filosofia, postgender, vita quotidiana | Commenti disabilitati su LA VITA PSICHICA DEL POTERE

di Paolo B. Vernaglione

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Che vi sia oggi un’urgenza, una impellente necessità, un bisogno fisico di sottrarsi alla legge della colpa e del debito, dei dispositivi di sanzione, di repressione e di lutto associati alla cattiva vita imposta da poteri e istituzioni sovranazionali che sfruttano vite e rapinano risorse materiali e non, è un dato di fatto.

Che questa emergenza si traduca in sistemi di negoziazione, in tentativi di seduzione e in pratiche di securizzazione, anche da parte di quei soggetti politici che declinano il conflitto sociale in opzioni identitarie e prassi organizzative più o meno stabili, è un altro dato di fatto, il cui peso peraltro, nel deserto prodotto da quasi 40 anni di esistenza neoliberale del mondo, è risibile.

Nel doppio vincolo dell’urgenza di libertà e della prassi di omologazione quale che sia, si è per forza spinti a chiedersi quali modi ci siano di sottrarsi alla legge speculativa della soggettivazione e in ugual tempo alla per lo più inconsapevole inerenza dell’omologazione, in un sapere, in una volontà partecipativa, in una socialità da organizzare a tutti i costi.

Opportuna giunge quindi la ripubblicazione del saggio di Judith Butler, La vita psichica del potere, coincidente tra l’altro con la traduzione della conferenza del 2012 A chi spetta una buona vita? pronunciata in occasione dell’assegnazione all’autrice del premio Adorno.

La filosofa queer, che in questi anni ha offerto una credibile alternativa critica ai dispositivi discorsivi con cui poteri economici, di discriminazione sociale e di invasione simbolica di menti e corpi regnano su vite in via di ulteriore precarizzazione, indica nel tropismo della soggettivazione il luogo di emersione di possibili esodi dalla sistematica quotidiana cattura di affetti e abilità, emozioni e gusti singolari, nell’accordo segreto che ognuna e ognuno statuisce con i poteri da cui è affetto.

Il tropo, cioè quella figura retorica della torsione che produce molteplici significati di uno stesso enunciato e in cui si incontra il doppio vincolo dell’essere soggetti, l’assoggettamento e la soggettivazione, può considerarsi luogo di invenzione delle figure della modernità, laddove essa continua a esercitare la volontà di sapere nello spazio di produzione del potere.

Seguendo la scansione archeologica con cui Michel Foucault ha indagato i rapporti tra poteri e soggetti, tra psichico e sociale, tra materiale e discorsivo, la Butler da anni va compiendo una cartografia critica del sapere filosofico in cui rintracciare lo spazio congruo tra agency politica e filosofia prima. In questa soglia si scopre il divenire animale dell’umano, l’esibirsi linguistico della prassi, la volontà materiale di libertà nei dispositivi di servitù volontaria, sia praticati dai mercati sia da chi vi si oppone.

Dall’esame della coscienza infelice in Hegel a quella “cattiva” in Nietzsche, nel rapporto repressione–identità in Freud e nell’intuizione della malinconia come esito del divenire soggetto dell’ “io”, oltre che nella teoria dell’interpellazione di Althusser, una topografia della soggettivazione ci restituisce il senso pieno dell’impossibilità cui siamo vincolati: scindere gli effetti delle macchine di assoggettamento dai dispositivi grazie a cui siamo “noi stessi”, singolari esseri linguistici esposti alla colpa e al debito, all’autosanzione e al disciplinamento, all’imprigionamento del corpo nell’anima di un “altro” in cui solo si può esistere.

Come Nietzsche scriveva nella Genealogia della morale, la coscienza essendo funzione specifica dell’animale istruìto a mantenere promesse, il senso di colpa, quella “cosa fosca” che deriva dal debito, trova spazio nell’esercizio del potere da parte del creditore e trova forma nella seduzione della punizione, nella gradevolezza della sanzione presso il debitore.

Nel teatro della volontà come luogo in cui il sociale presuppone lo psichico, si sono inventati l’interiorità e l’io come figura del risarcimento per la mancata estinzione del debito. Lì, con Freud, vige l’attaccamento libidico alla proibizione, il tropo dell’inversione, la gratificazione del piacere frustrato. Lì, con Foucault, la misura dell’assoggettamento si rende parzialmente apprezzabile come prassi di soggettivazione, bisogno di liberazione, desiderio di condivisione. Nel dispiegarsi del quadro teorico che Butler compone, queste figure della modernità trapassano nella critica dell’identità di genere, che “lo spirito dell’epoca” più che la teoria femminista o la teoria critica, ha reso praticabile.

Sulla scorta dell’epistemologia disidentificante degli scorsi anni Sessanta, filosofi e militanti gay come Hocquenghem, e oggi Bersani, Edelman, queer come Teresa De Lauretis, la cui opera rappresenta una imprescindibile pietra miliare nella storia della teoria GBLTQI e nel pensiero critico, rintracciano una via di esodo antisociale e desoggettivante che, al netto delle politiche di riconoscimento dei diritti gay, e dei sogni infuturanti di una rivoluzione a venire, segnano un percorso praticabile di sottrazione e insubordinazione.

Essi cioè hanno aperto, come Judith Butler sottolinea alla fine del libro e come Federico Zappino e Lorenzo Bernini suppongono nel denso dialogo che chiude l’edizione, ad un’esistenza come possibilità (e possibilità di non), a cui si è riferito Spinoza e ultimamente Agamben; e a cui, aggiungiamo, si riferisce un filosofo del linguaggio come Paolo Virno che indagando la natura umana svela l’umana natura della prassi.

Judith Butler
La vita psichica del potere
Teorie del soggetto
A cura di Federico Zappino
Mimesis (2913, pp.254
€ 20,00


Rendita, accumulazione e nuovi processi di valorizzazione nel web 2.0

Posted: Ottobre 28th, 2013 | Author: | Filed under: 99%, bio, comune, crisi sistemica, critica dell'economia politica, digital conflict, epistemes & società, vita quotidiana | Commenti disabilitati su Rendita, accumulazione e nuovi processi di valorizzazione nel web 2.0

Il numero 40 della rivista Millepiani – “Se la filosofia morirà sarà per assassinio. La macchina, i soggetti e il desiderio” – dedica i suoi vent’anni di laboratorio di ricerca a Gilles Deleuze e Félix Guattari. Pubblichiamo l’anticipazione del contributo di Andrea Cagioni su “Rendita, accumulazione e nuovi processi di valorizzazione nel web 2.0”.

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L’articolo intende fornire un contributo critico su alcuni elementi di economia politica della new economy e offrire strumenti analitici utili alla comprensione delle aporie, dei rapporti di forza e dei conflitti che attraversano il campo del Web 2.0.

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Quale sovranità monetaria? Pensare la crisi europea

Posted: Ottobre 26th, 2013 | Author: | Filed under: 99%, BCE, comunismo, crisi sistemica, critica dell'economia politica, epistemes & società, postoperaismo | Commenti disabilitati su Quale sovranità monetaria? Pensare la crisi europea

di Stefano Lucarelli

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In occasione della pubblicazione francese del saggio di Christian Marazzi “Finanza bruciata”, può essere utile analizzare il dibattito francese sulla crisi economico-finanziaria. In questo saggio, Stefano Lucarelli ripercorre le diverse posizioni della corrente eterodossa (da André Orléan, François Chesnais, Jacques Sapir al “Manifesto d’économistes atterrés” promosso in Francia da P. Askenazy, T. Coutrot, H. Sterdyniak e dallo stesso Orléan), mettendo in luce come il tema dell’instabilità connaturata nei mercati finanziari e la questione dei debiti illegittimi porti alle necessità di ridefinire la sovranità monetaria in Europa. In questa ottica, diventa impellente oggi avviare un dibattito sulla “moneta del comune”, ovvero la possibilità di istituire dei circuiti finanziari alternativi.

« Uno dei rischi peggiori di questa crisi è la chiusura su se stessi degli Stati-nazione, la corsa a svalutazioni competitive per riconquistare fette di mercato sottraendole agli altri con misure protezionistiche. È così che, di solito, scoppiano le guerre »[1].

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