Posted: Dicembre 30th, 2013 | Author: agaragar | Filed under: Archivio, au-delà, bio, epistemes & società, Foucault, Marx oltre Marx, post-filosofia | 7 Comments »
Alias – di Beatrice Andreose, 13.9.2013
Festival della filosofia. Mario Galzigna nel suo libro lancia la provocazione di unire l’empirico e il concettuale. Al pensiero in rivolta affida il compito di contrapporre “i futuri possibili”
Dal pensiero in rivolta alle trame di futuro attraverso una sovversione diffusa. Talvolta, le rivolte del pensiero, intersecano il “movimento reale”, talvolta sono disseminate,disperse, molecolari. Costituiscono sempre una prospettiva libertaria, lontana da discipline e potere, che Mario Galzigna ‚docente di Etnopsichiatria e Storia della cultura scientifica a Ca’ Foscari, ritrova in numerosi artisti ed in insospettabili opere. In Costruzione di un edificio del pittore fiorentino Pietro Cosimo, ad esempio. Un quadro “intrigante ed enigmatico” scelto come immagine di copertina del suo ultimo libro “Rivolte del pensiero. Dopo Foucault, per riaprire il tempo” Bollati Boringhieri. Nel quadro, sottolinea Galzigna, il concetto di edificio e l’ideale rinascimentale di costruzione convivono. Scelte tematiche e formali dell’artista che ignora i riferimenti mitologici e religiosi della sua epoca per lasciar spazio ad un progetto“ che dischiude il tempo della civilizzazione a un futuro possibile”. Apre il presente “ su scenari futuribili,dove progettazione e utopia diventano contenuti dinamici della temporalità”. Libro densissimo, prosa elegante, in prefazione Mario Galzigna risponde alla provocazione di Foucault( di cui è stato tra i più fedeli allievi italiani assieme ad Alessandro Fontana), avviando una approfondita riflessione sul pensiero che rompe le gabbie della testualità, irrompe col vissuto nella scena del mondo, intacca “alle radici la sovranità e l’autosufficienza del concetto”. Si tratta di un pensiero in cui le categorie astratte trovano nell’esperienza la loro fonte di legittimazione “ Così si unisce ciò che la filosofia ha sempre tenuto distinto: la vita ed il pensiero, l’empirico ed il concettuale”scrive.
“Disperanza” è il neologismo che Galzigna conia per indicare, la sottrazione di futuro che affligge il nostro tempo schiacciato “sul deserto di un eterno presente”. Al pensiero in rivolta-e ai movimenti di rivolta– affida il compito di contrapporre” i futuri possibili”. Si tratta di “ un compito politico. Un compito filosofico. Un nuovo orizzonte di senso per il pensiero. Più modestamente, without vanity, una nuova prospettiva del nostro impegno intellettuale e della nostra ricerca”.
Poiché, per dirla con Foucault, il carattere specifico del potere è di essere repressivo e di reprimere con una particolare attenzione le energie inutili, le intensità dei piaceri ed i comportamenti irregolari, il pensiero insorgente e spaesante pur essendo risultato spesso minoritario nella storia del pensiero occidentale, è tuttavia egualmente fecondo e potente. Galzigna ritesse e incrocia tra loro invenzioni concettuali e forme estetiche di insorti d’eccezione, alcuni border line, altri psicotici, tutti geniali: da Ronald Laing, uno dei grandi padri dell’antipsichiatria europea, al pittore Renè Magritte, dall’antropologo brasiliano Darcy Ribeiro al libertino Diderot. Ma prima di addentrarci nel volume, una premessa sulla scrittura. L’autore utilizza un suggestivo registro narrativo che rompe le divisioni tra saggio e racconto, rispondendo così ad una esigenza interiore di afferrare l’evento in modo pregnante “restituendogli la sua irriducibile specificità”. Al saggio alterna il racconto. Con quest’ultima forma scrive delle sue esperienze all’interno di due Servizi di Salute Mentale in contesti psichiatrici, e di quella vissuta in Brasile tra gli indios Guaranì a proposito dei quali riutilizza i concetti di sintesi disgiuntiva e disgiunzione creativa.
In quanto alla psichiatria , lo spunto è dunque un caso concreto. Galzigna cita Roland Laing, psichiatra non istituzionale,e parla di una seduta dove ad elaborare risposte non è stato un singolo ma un collettivo, un gruppo che pensa, che produce pensiero. “ Un pensiero in rivolta esce da se stesso. Contraddice se stesso. Si rivolge al mondo, corrode i dispositivi a cui appartiene: rompe abitudini consolidate, destabilizza scenari rassicuranti ed immobili, smascherando lucidamente l’arbitrio e la violenza delle relazioni di potere che lo includono. Abitato dal fervore dell’istante, dalla temibile urgenza del divenire, dall’inquietudine del molteplice, un pensiero in rivolta contrasta l’egemonia dell’uno e la tirannia dell’identico”. A proposito di follia Galzigna parte da Foucault e parla di Esquirol che per la prima volta pschiatrizza le passioni e l’erotismo. In un passaggio di grande effetto dialettico richiama la necessità di legare assieme i saperi, i comportamenti, i modi di vita. “Per farlo occorre descrivere, classificare, mettere a fuoco la trama delle connessioni,il ventaglio delle differenze, lo spettro delle analogie, il gioco delle somiglianze”.
Da pensiero insorgente ad altro pensiero insorgente: intrigante il capitolo dedicato all’amato Antonin Artaud ed il suo teatro della crudeltà. Artaud cancella la scena desiderando “l’impossibilità del teatro” e decretando così la fine di una duplice tirannia: quella del testo e quella dell’autore-creatore. Lo scrittore fugge dalla psicoanalisi, da cui si sente violentato, nonostante si sottoponga nel 1927 a dieci sedute col dottor Renè Allendy che aveva già seguito Anais Nin. Nel suo teatro la parola rompe col mondo della rappresentazione classica e con i valori della cultura occidentale che essa esprime. Diventa così la Parola che sta prima delle parole”: un linguaggio sonoro, scrittura vocale che precede la nascita del senso, che deve essere detta e recitata, più che riprodotta e trasmessa. Che rappresenta la potenza sonora del linguaggio, la sua forza espansiva, la sua prossimità al grido”. In una lettera a Gide, Artaud scrive “I gesti equivarranno a dei segni, i segni varranno delle parole”. Nel suo attraversamento disperato della follia, documentata dalla tremila pagine dei Cahiers de Rodez, Artaud cancella la cesura radicale tra anima e corpo, parola e esistenza, testo e carne e scorpora la parola dall’insieme a cui appartiene originariamente. Così come nella sua pittura che diventa pittogramma.
Nel capitolo dedicato ai libertini Galzigna descrive due visioni antagoniste dell’erotismo fiorite entrambe nel ‘700. Da una parte l’erotismo di Sade che separa il piacere dagli affetti. Dall’altro quello giocoso e affettivo del grande Diderot passando per Restif “ Una problematica di grande attualità che andrebbe ancora oggi ripensata” spiega. Infine il mistero nella pittura di Renè Magritte che nel suo L’impero delle luci reinventa il concetto di sintesi disgiuntiva e creativa. “Un chiaro di luna a mezzogiorno” o “ sogno a mezzogiorno”, come lo definisce lo stesso pittore in una lettera scritta a Scutenaire nel novembre del 1959. Una violazione dei luoghi comuni, del nostro immaginario collettivo, ovvero un paesaggio notturno e un cielo in pieno giorno che mette assieme in una stessa composizione, pur mantenendole distinte, due dimensioni antagoniste:luce e buio, giorno e notte. Ed a proposito di sintesi disgiuntive ecco l’affondo letterario dedicato agli amati Guaranì, un popolo oggetto di genocidio, che Galzigna incontra nell’ottobre 2012, durante un suo soggiorno in Brasile “terra dei contrasti”. Conquistato dalla lingua del cacique , vero e proprio capo spirituale, Galzigna spiega la loro politica anticolonialista vista come una politica di decolonizzazione del pensiero. Perché, come scrive poco prima di morire un altro grande rivoltoso molto caro a Galzigna, l’antropologo brasiliano Darcy Ribeiro, “è meglio sbagliare ed esplodere che prepararsi per il nulla”.
Posted: Dicembre 28th, 2013 | Author: agaragar | Filed under: bio, comune, comunismo, critica dell'economia politica, epistemes & società, philosophia, postoperaismo | Commenti disabilitati su Derive post-operaiste e cattura cognitiva
di Carlo Formenti
Analizzando la svolta liberista delle socialdemocrazie europee, Luciano Gallino1 parla di “cattura cognitiva”, riferendosi alla doppia capitolazione delle organizzazioni tradizionali del movimento operaio di fronte alla controrivoluzione neoliberista: mancata opposizione agli attacchi del nemico di classe e sostanziale accettazione dei suoi paradigmi teorici (Gramsci avrebbe parlato di egemonia e di rivoluzione passiva). In un testo recente2, ho tentato di dimostrare come il processo di cattura cognitiva sia andato ben oltre i confini della socialdemocrazia, coinvolgendo anche la cultura dei movimenti e delle sinistre radicali. La breccia che ha consentito lo “sfondamento” del fronte ideologico anticapitalista è stata la rinuncia a descrivere il conflitto sociale in termini di lotta di classe. Nel testo citato nella nota precedente, ho messo al centro della mia analisi critica: 1) i “nuovi movimenti” che, dall’inizio degli anni Ottanta, hanno progressivamente spostato l’asse dei conflitti sociali verso le contraddizioni di genere, le tematiche ambientali e la lotta per l’estensione dei diritti individuali nel quadro della “democrazia reale” (con estrema approssimazione, si potrebbe parlare di uno slittamento dalla lotta per l‘uguaglianza socioeconomica alla lotta per il riconoscimento delle differenze culturali); 2) la lunga deriva del pensiero post-operaista, a sua volta in progressivo allontanamento dal concetto di classe. In questa sede mi occuperò esclusivamente di questo secondo bersaglio polemico, concentrando l’attenzione su un testo di Maurizio Lazzarato (3) che ho potuto leggere solo successivamente alla pubblicazione del mio ultimo libro.
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Posted: Dicembre 24th, 2013 | Author: agaragar | Filed under: BCE, crisi sistemica, epistemes & società, General | Commenti disabilitati su Stagnazione secolare
di Christian Marazzi
Secondo alcuni istituti di ricerca, l’anno prossimo l’economia svizzera dovrebbe cavarsela abbastanza bene, certamente se si guarda alle prospettive poco rosee dei paesi dell’eurozona.
Aumento delle espostazioni, grazie al nostro rapporto privilegiato con l’economia tedesca fortemente orientata alla crescita delle esportazioni; aumento, secondo alcuni istituti, addirittura della massa salariale, anche se in questo caso non si specifica a che livello della scala dei redditi.
Tanto meglio, vien da dire, se il nostro PIL è destinato a crescere attorno al 2%, anche se va detto che la crescita in sé non è garanzia di maggiore equità distributiva. Da anni i frutti della crescita non sgocciolano verso il basso, tanto che le disuguaglianze sono aumentate fortemente da noi come ovunque. E questo è “il” problema, certamente sociale, ma anche economico.
Non a caso alcuni economisti che guardano con disincanto al futuro delle economie occidentali parlano di “stagnazione secolare”, un periodo, che rischia di essere lungo, di domanda cronicamente debole e di crescita anemica, nella migliore delle ipotesi. Il rischio deflazione incombe sul mondo, in particolare in Europa, e se non sarà la grande depressione degli anni Trenta è solo grazie alla presenza della rete della sicurezza sociale, che comunque non pochi politici persistono nel voler ridurre. Ma, avvertono i più, il margine sostenibile di intervento dei governi è molto più risicato per il peso elevato della spesa pubblica. Tutto questo dopo cinque anni dall’esplosione della crisi durante i quali gli interventi delle autorità monetarie sono stati davvero straordinari, rivelandosi però più un sostegno ai mercati finanziari che non all’economia reale.
E quindi, che fare? Le ipotesi sono più o meno queste.Una ulteriore riduzione dei tassi reali d’interesse, nella speranza di rilanciare l’inflazione. Benché politicamente accettabile, non sembra proprio che i prezzi possano invertire la tendenza al ribasso con ulteriori iniezioni di liquidità.
L’altra ipotesi è quella di uscire dalla “bonus culture”, la cultura delle alte remunerazioni dei manager che da due decenni ormai ha visto le grandi imprese privilegiare i prezzi dei titoli azionari rispetto agli investimenti produttivi. Su questo fronte è più probabile assistere ad una riduzione degli stipendi del personale a fronte di un aumento dei dividendi distribuiti agli azionisti, sia per fidelizzarli che per attrarne di nuovi, soprattutto nel settore bancario, confrontato con i bisogni di ricapitalizzazione.
La terza ipotesi, quella che sembra la più ragionevole, è di sfruttare l’eccedenza di risparmio in circolazione per finanziare l’aumento degli investimenti pubblici, con particolare attenzione all’economia ecologicamente sostenibile. E’ quanto auspica ad esempio l’OCSE nel suo Rapporto annuale sull’allocazione dei fondi pensione.
Mediamente, solo lo 0,9% dei fondi pensione analizzati su scala europea è investito in infrastrutture pubbliche, il che è assurdo, dato che i rendimenti dei fondi e delle infrastrutture dovrebbero convergere nel medio-lungo periodo, e questo nell’interesse della collettività.
Certo è che se non si affronta con determinazione il rischio della “stagnazione secolare”, tentando nuove vie e senza paura di commettere possibili errori, nessun ottimismo di fine anno riuscirà a tranquillizzarci.
Posted: Dicembre 22nd, 2013 | Author: agaragar | Filed under: anthropos, arts, au-delà, digital conflict, epistemes & società, postcapitalismo cognitivo | Commenti disabilitati su Manifesto per una politica accelerazionista
di ALEX WILLIAMS e NICK SRNICEK.
01. INTRODUZIONE: Sulla congiuntura
1. All’inizio della seconda decade del ventunesimo secolo, la civilizzazione globale si trova ad affrontare una nuova progenie di cataclismi. Imminenti apocalissi appaiono ridicolizzare le norme e le strutture organizzative delle politica che furono forgiate alla nascita degli stati-nazione, agli albori del capitalismo e in un ventesimo secolo contrassegnato da guerre senza precedenti.
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Posted: Dicembre 21st, 2013 | Author: agaragar | Filed under: anthropos, au-delà, bio, donnewomenfemmes, epistemes & società, postgender | Commenti disabilitati su Sulla “teoria del gender”. Judith Butler risponde ai suoi detrattori
di Redazione LC 20 dicembre 2013
Un’intervista a Judith Butler apparsa su “Le Nouvel Observateur”, il 15 dicembre 2013. La traduzione è di Federico Zappino.
Le Nouvel Observateur: Nel 1990 ha pubblicato Gender Trouble (trad. it., Questione di genere), testo che ha segnato l’irruzione, nel dibattito intellettuale, della “teoria del gender”. Di cosa si tratta?
Judith Butler: Intanto ritengo importante precisare di non aver inventato gli “studi di genere” (gender studies): la categoria di “genere” era infatti già in uso dagli anni Sessanta, negli Stati Uniti, sia all’interno della ricerca sociologica, sia in quella antropologica. In Francia, invece, in particolare sotto l’influsso di Lévi-Strauss, si è preferito parlare di “differenze sessuali”. La cosiddetta “teoria del gender” prende dunque piede solo tra gli anni Ottanta e Novanta, innestandosi proprio all’incrocio tra l’antropologia statunitense e lo strutturalismo francese.
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A chi spetta una buona vita?
Posted: Dicembre 20th, 2013 | Author: agaragar | Filed under: anthropos, au-delà, bio, epistemes & società, post-filosofia, postgender, posthumanism | Commenti disabilitati su il postumano
La nostra seconda vita negli universi digitali, il cibo geneticamente modificato, le protesi di nuova generazione, le tecnologie riproduttive sono gli aspetti ormai familiari di una condizione postumana. Tutto ciò ha cancellato le frontiere tra ciò che è umano e ciò che non lo è, mettendo in mostra la base non naturalistica dell’umanità contemporanea.
Sul piano della teoria politica e filosofica, urge adeguare le categorie di comprensione delle identità e dei fenomeni sociali a partire da questo salto. Sul piano dell’analisi, dopo aver constatato la fine dell’umanesimo, occorre vedere in questa trasformazione le insidie di una colonizzazione della vita nel suo complesso da parte dei mercati e della logica del profitto.
Occorre dunque adeguare la teoria ai cambiamenti in atto, senza rimpianti per un’umanità ormai perduta e cogliendo le opportunità offerte dalle forme di neoumanesimo che scaturiscono dagli studi di genere, postcoloniali e dai movimenti ambientali.
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Posted: Dicembre 19th, 2013 | Author: agaragar | Filed under: 99%, comunismo, critica dell'economia politica, epistemes & società, Marx oltre Marx, Révolution, vita quotidiana | 8 Comments »
Intervista a STEPHEN SHAPIRO – di EMANUELE LEONARDI
Attualmente stai lavorando – da una prospettiva marxiana – su nozioni quali forza lavoro fissa e materialismo culturale. Potresti spiegare quali sono i caratteri centrali di questi concetti? Come si connettono con il sistema educativo e con il ruolo sempre più cruciale giocato dalla conoscenza nel contesto dei processi di produzione contemporanei?
Il materialismo culturale è lo studio della relazione tra esperienza sociale, in quanto storicamente messa in forma dall’organizzazione della produzione, ed espressione culturale, sia essa testuale, visuale, sonora o comportamentale. Il materialismo culturale, profondamente legato alla figura di Raymond Williams (1921-1988), si propone in generale di andare oltre le inutili rigidità della dicotomia tra struttura e sovrastruttura o della teoria del riflesso culturale, avversata pure da Engels.
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Posted: Dicembre 18th, 2013 | Author: agaragar | Filed under: 99%, bio, comune, donnewomenfemmes, epistemes & società, postcapitalismo cognitivo | Commenti disabilitati su Tra crisi della riproduzione sociale e welfare comune
Intervista a SILVIA FEDERICI – di ANTONIO ALIA
Silvia Federici non ha bisogno di presentazioni. Militante e intellettuale femminista, da sempre impegnata nei movimenti sociali, è stata tra le fondatrice della campagna Wages for Housework. Le abbiamo rivolto alcune domande per offrire una lettura della crisi e delle possibili alternative con cui sicuramente occorre confrontarsi. L’intervista si chiude con un commento ad un articolo di Nancy Fraser. Nell’intervento, Silvia Federici ricorda l’importanza di quel femminismo che ha ispirato lotte e riflessioni teoriche e che non ha concesso nulla ai processi di istituzionalizzazione neoliberale. Un femminismo che fa definitivamente i conti con la fine di ogni possibile riformismo contro cui occorre invece “costruire nuove strutture e nuovi rapporti alternativi allo Stato e al mercato”.
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Posted: Dicembre 13th, 2013 | Author: agaragar | Filed under: 99%, bio, comune, epistemes & società, postoperaismo, Révolution, vita quotidiana | Commenti disabilitati su Note sulla moneta tra soggettività e reddito garantito
di Laboratorio Acrobax
Premessa
Una vicenda abbastanza datata quella sul reddito garantito si è riaccesa nel dibattito di movimento e non solo. Il “non solo” si riferisce prevalentemente all’ultimo periodo della vita politica istituzionale e del suo spazio pubblico che perlomeno dalle elezioni del 2013 in poi ha indicato il reddito, certamente minimo e condizionato, come uno dei terreni di riforma possibile. Chiaramente nemmeno a dirlo dopo mesi di governo dellebasse e strette intese, il dispositivo di briciole è stato definito nella Legge di Stabilità 2014 con risorse allocate risibili: come la montagna partorisce il topolino. Nel maxi-emendamento compare una misura presentata mediaticamente come reddito minimo ma in verità si stratta di un sussidio contro la povertà il cui finanziamento è a dir poco ridicolo ovvero 120 milioni di Euro in tre anni. Queste risorse dovrebbero confluire nel fondo contro la povertà che attualmente gestisce la Social Card. La misura è estremamente familista ed destinata ad una platea ridottissima. Non ci aspettavamo di più dal governo dell’austerity, ma una cosa ci sembra fondamentale sottolineare: i tre disegni di legge presentati alla Camera (PD, SEL e M5S) in modo assolutamente divergenti sia come filosofia dell’intervento che come previsioni di copertura economica hanno messo chiaramente in luce almeno tre caratteristiche fondamentali. La prima riguarda il bisogno della governance di dare una risposta spot sul tema del reddito a tutti gli esclusi dagli ammortizzatori sociali e dagli strumenti di protezione sociale. Ci riferiamo alla composizione sociale fatta da milioni di precari, precarizzati, working poor e giovani disoccupati, questo lo vediamo come un segno che il dibattito (a volte confuso ed ambiguo) e la penetrazione sociale della rivendicazione ha tutte le potenzialità per diventare una miscela esplosiva e preoccupante. La seconda caratteristiche riguarda l’impostazione degli schemi di reddito proposti delle diverse forze politiche, completamente schiacciata sui dispositivi di regolazione sociale imposti dall’Europea che obbligano l’Italia ad attivare forme di sostegno al reddito legate a politiche di welfare to work ovvero un welfare condizionale completamente legato a regimi sanzionatori. Dispositivi simili, con risorse esigue, verranno attivati anche attraverso il programma europeo Youth Guarantee il cui baricentro dichiarato è la lotta contro la disoccupazione giovanile e le politiche di attivazione dei cosiddetti NEET. La terza caratteristica riguarda il tema dell’allocazione delle risorse pubbliche, nei tre diversi disegni di legge si parla di investimenti che vanno da 2 ai 19 miliardi di euro, ultimo progetto proposto da M5S. Dall’analisi di questi semplici dati emerge, infatti, che il problema non è di risorse ma di volontà politica. L’obbiettivo del governo dell’austerity è quello smantellare e finanziarizzare il welfare, contrastando qualsiasi provvedimenti di redistribuzione della ricchezza continua a finanziare banche, spese militari ect ect. Tutto ciò accade in un contesto di impoverimento generalizzato di larghi strati della popolazione, l’INPS ha recentemente affermato che il 29% della popolazione, a più di 18 milioni di persone, rischia la povertà, un dato vicino a quello greco, che è pari al 34%. Osservando i dati il paese ellenico è l’unico peggiore dell’Italia all’interno dell’Eurozona.
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Posted: Dicembre 12th, 2013 | Author: agaragar | Filed under: au-delà, bio, epistemes & società, Foucault | Commenti disabilitati su La forza del vero di Michel Foucault
di Girolamo De Michele
In un’intervista del 1981 al giornale “Gai Pied”, parlando della propria omosessualità e dell’amicizia come stile di vita, Foucault diceva: «il problema non è quello di scoprire in sé la verità del proprio sesso, ma di usare la sessualità per arrivare a una molteplicità di relazioni»1. Non si tratta di confessare la verità segreta di un desiderio, «si tratta di chiedersi quali relazioni possono essere istituite, inventate, moltiplicate, modulate attraverso l’omosessualità». Queste parole sul “divenire-omosessuale” esprimono bene la direzione verso cui, negli ultimi tre anni della propria attività al Collège de France (quella specie di «rendiconto pubblico di una libera attività», l’aveva definito nel corso del 1976), Foucault aveva orientato la propria ricerca. Non sorprende, dunque, che in questa torsione Foucault abbia dissodato il terreno della tarda antichità, dedicando gli ultimi tre corsi al mondo greco-romano, e in particolare, nell’ultimo anno, ai Cinici. O meglio: solo chi aveva praticato una lunga serie di fraintendimenti del lavoro foucaultiano a partire dalla Volontà di sapere come “blocco della ricerca”, ritirata davanti a uno scacco o presa d’atto di un fallimentare esito nelle weberiane gabbie d’acciaio della modernità – una sorta di consolatoria ritirata fra gli antichi, insomma, poteva rimanere sorpreso dal fatto che Foucault avesse non cercato nella verità degli antichi il senso del presente, ma piantato nietzscheanamente il concetto di parrhesia, di “parlar franco” (quella franchise con cui Slongo congiunge Foucault a Montaigne), nel cuore del tempo presente.
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