Precari per sempre
Posted: Aprile 9th, 2013 | Author: agaragar | Filed under: 99%, comune, postcapitalismo cognitivo, postoperaismo, Révolution | 1 Comment »di Benedetto Vecchi
Nei recenti libri di Joseph Stiglitz e Zygmunt Bauman, la crescita della
differenze sociali e di reddito è figlia dell’austerità. Come illustra in un
suo saggio, la filosofa Ilaria Possenti ne evidenzia il nesso con una
intermittenza nel mercato del lavoro.
Due sono ormai le parole ricorrenti nella politica istituzionale. In nome
loro, vengono decise politiche draconiane di austerità, che invece di
risolvere, non fanno altro che confermare una condizione di illibertà. Si
tratta di «precarietà» e «disuguaglianza», termini che dovrebbero orientare
il pensiero critico nella traversata del deserto neoliberista ma che invece
sono entrati a far parte del lessico di intellettuali, economisti
preoccupati di dimostrare che le disuguaglianze e la precarietà sono una
anomalia, una parentesi di una società che tende, grazie al buon
funzionamento del mercato, all’uguaglianza. Convinzione smentita dai dati
europei sul crescente divario di reddito esistente nelle società, uniti a
quelli sull’altrettanto crescente esercito del lavoro «atipico» e sulla
disoccupazione che ha superato la boa del dieci per cento (in Italia, le
cifre sui disoccupati oscillano tra i 3 milioni e i 3,5 milioni di senza
lavoro, mentre quelle sui precari sono oltre i 4 milioni).
Le eccezioni non mancano e vedono protagonisti piccoli gruppi intellettuali
o movimenti sociali. Preziosa nello svelare il carattere immanente delle
disuguaglianze nel capitalismo è, ad esempio, l’analisi che da anni conduce
il filosofo francese Etienne Balibar, di cui vanno segnalati, oltre il
recente Cittadinanza (Bollati Boringhieri), i volumi La proposition de
l’égaliberté e Citoyen Sujet, entrambi pubblicati dalla casa editrice Puf.
Questo nulla toglie al fatto che, tanto la precarietà che la disuguaglianza,
sono tornate a infoltire di titoli una pubblicistica impegnata nel
riproporre, in forma innovata, dispositivi keynesiani che hanno garantito al
capitalismo oltre trent’anni di sviluppo. Tra quest’ultimi vanno ricordati
il Nobel per l’economia Joseph Stiglitz, il tedesco Ulrich Beck, l’inglese
Anthony Giddens, il polacco Zygmunt Bauman, lo statunitense Richard Sennett,
cioè i «senza partito» ritenuti le punte di diamante del pensiero
democratico. Tra queste due posizioni, occorre affiancarne un’altra, che
sviluppi una critica alle politiche di austerità, considerando i «senza
partito» democratici interlocutori, senza rinunciare all’obiettivo di una
sintesi tra eguaglianza e libertà, all’interno di una superamento del lavoro
salariato, di cui la precarietà è solo l’ultima manifestazione, in ordine di
tempo.
La costante neoliberista
Rilevante a questo fine è prendere atto che, sia nello spazio nazionale che
in quello europeo, la condizione precaria e le disuguaglianze sono oggetto
di politiche sociali che tendono a contenere gli effetti destabilizzanti
all’interno del modello di accumulazione capitalistica neoliberista. Come ha
argomentato Maurizio Lazzarato nella raccolta di scritti da poco pubblicata
dalla casa editrice ombre corte, Il governo delle disuguaglianze è da
considerare una costante del neoliberismo, sgomberando così il campo della
retorica dello stato minimo che ha accompagnato il lungo inverno della
controrivoluzione neoliberale. Lo stato, argomenta in maniera convincente
l’autore, è lo strumento per assicurare la gestione e la legittimità delle
disuguaglianze, ma anche per plasmare un «uomo nuovo», quell’individuo
proprietario che doveva diventare il perno su cui far ruotare l’insieme
delle relazioni sociali e attorno al quale costruire un nuovo progetto di
società dove l’insieme delle tutele sociali e i diritti sociali della
cittadinanza siano merce da acquistare sul mercato della protezione sociale.
Che questo sia lo scenario che ha caratterizzato il neoliberismo non ci sono
molti dubbi. Soltanto che dal 2008 il dominante governo delle disuguaglianze
è entrato in crisi.
Il capitalismo ha visto non solo crescere la povertà, ma anche una diffusa
indisponibilità di uomini e donne a fare proprio l’incubo dell’individuo
proprietario. Indisponibilità che si è tradotta nelle forme ambivalenti del
populismo, nell’esplosione di rivolte sociali che hanno attraversato gli
Stati Uniti e l’Europa. E nella crescita, in alcuni paesi del vecchio
continente, come l’Italia, la Spagna e la Grecia, dell’astensionismo
elettorale. Ed è proprio in Europa e negli Stati Uniti che l’attenzione e la
denuncia della precarietà e delle disuguaglianze è più forte. Anche in
questo caso, le posizioni che si contendono l’arena pubblica si concentrano
sulle politiche adeguate per affrontare una «questione sociale» che viene
spesso paragonata a quella di fine Ottocento o a quella successiva alla
«grande crisi» del ’29. E se la troika europea subordina l’accesso ai
diritti sociali di cittadinanza all’accettazione della precarietà, negli
Stati Uniti le disuguaglianze sono l’esito di una economia di mercato andata
fuori controllo.
Nel suo ultimo libro – Il prezzo delle disuguaglianza, Einaudi, pp. 473,
euro 23 – Joseph Stiglitz denuncia la crescita del reddito dei dirigenti di
impresa e quello del lavoro dipendente. Il panorama sociale al di là
dell’Atlantico vede una minoranza di super ricchi e una numeroso esercito
costituito da ceto medio impoverito e working poor. Per il premio Nobel per
l’economia, se continuano così, gli Stati Uniti non solo sono destinati a un
lento declino economico, ma vedranno lo sbriciolamento delle sue stesse
fondamenta democratiche. Da qui, la sua valorizzazione di Occupy Wall
Street, cioè un movimento che ha come collante proprio la denuncia della
polarità esistente tra il 99 per cento della popolazione impoverita e il
restante un per cento. La via d’uscita proposta è il ritorno a politiche
redistributive del reddito, a un limitato intervento dello Stato in economia
per lo sviluppo delle infrastrutture necessarie a rendere competitive
imprese sempre più globali, investimenti nella formazione e politiche volte
a garantire una diffusa assistenza sanitaria.
Al di qua dell’Atlantico, gli fa idealmente eco il pamphlet di Zygmunt
Barman che denuncia la falsità della retorica dominante seconda la quale La
ricchezza di pochi avvantaggia tutti (Laterza, pp. 100, euro 9). Anche in
questo caso, il dito è puntato contro il crescente divario di reddito che
caratterizza le società europee e statunitensi. A differenza di quella
svolta da Stiglitz, ci troviamo però di fronte a un’analisi che lega
disuguaglianze e precarietà, dove il secondo termine indica l’esito di quel
dissolvimento delle istituzioni della modernità che Barman ha più volte
posto come esito dell’avvento della società liquida.
Cacciatori di innovazione
Quello che però né Stiglitz né Bauman affrontano è il venir meno del nesso
tra cittadinanza e lavoro. Nella condizione precaria, infatti, l’accesso ai
diritti di cittadinanza garantiti dallo stato nazionale è interdetto, mentre
il regime di accumulazione ha necessità di attivare un ciclo continuo di
innovazione, sempre più delegato al lavoro vivo. La precarietà, dunque, va
considerata come la condizione propedeutica affinché le imprese possano
attingere a un bacino di expertise in un mercato del lavoro che non prevede
più la stabilità nel rapporto professionale. È dunque un dispositivo che
consente la «cattura» della capacità innovativa del lavoro vivo.
In una importante analisi delle tesi di Bauman e Sennett, la filosofa
italiana Ilaria Possenti ne delinea, nel volume Flessibilità (ombre corte,
pp. 195, euro 18), alcuni dei tratti distintivi. Adattabilità a cambiamenti
repentini del processo lavorativo, gestione individuale del rischio,
sviluppo e cura delle rete sociali che consentono di poter gestire
l’intermittenza della presenza nel mercato del lavoro. Se per i
neoliberisti, tutto ciò significa diventare «imprenditori di se stessi», per
Ilaria Possenti queste sono le caratteristiche del «precario», figura
lavorativa che sembra calzare a pennello per le giovani generazioni, ma che
Sennett considera prerogative dell’antica figura dell’artigiano ritornata in
auge nel capitalismo contemporaneo.
Nei suoi ultimi scritti – L’uomo artigiano e Insieme, entrambi pubblicati da
Feltrinelli – Richard Sennett afferma che stiamo assistendo alla rivincita
del lavoro concreto sul lavoro astratto, che dovrebbe consentire di far
tornare a un livello socialmente accettabile le diseguaglianze. Ciò che non
convince dell’analisi di Sennett non è solo la sua apologia del lavoro
artigiano, ma la rimozione del fatto che sono proprio quelle caratteristiche
che egli assegna al lavoro concreto ad entrare in campo nei processi di
valorizzazione capitalistica. Più la precarietà diviene norma generale, più
il processo di espropriazione della capacità innovativa del lavoro vivo è
quindi garantito. La precarietà è cioè il dispositivo che regola i rapporti
tra capitale e lavoro vivo.
Le linee del colore, la differenziazione generazionale, la contrapposizione
tra permanenti e temporanei sono dunque da considerare forme di governance
del mercato del lavoro, scandito appunto dalla precarietà. In altri termini,
le differenziazioni generazionali, di razza e sessuali sono parte integrante
di quel governo delle disuguaglianze che, anche se in crisi, è lo sfondo
entro cui collocare il tema della precarietà.
La missione impossibile
Tutto ciò può servire a quell’attraversata del deserto che il pensiero
critico sta compiendo. Va detto che molte altre sono le acquisizioni che ha
tratto dal neoliberismo, meglio dal capitalismo contemporaneo. Tra queste,
l’impossibilità di un ritorno alle norme che regolavano il rapporto tra
capitale e lavoro nel passato. La precarietà non è infatti un incidente di
percorso, ma il presente e il futuro del lavoro vivo. L’altro aspetto che è
stato reso evidente dai movimenti sociali di questi anni è l’indisponibilità
a funzionare come oggetto passivo. Ci sono stati processi di organizzazione
del precariato, mentre il tema del reddito di cittadinanza è entrato a far
parte del lessico politico tanto in ambito nazionale che sovranazionale. Il
rischio che si corre è che precarietà e reddito siano ridotti a significanti
vuoti da riempire secondo i vincoli dettati, appunto, dal «governo delle
disuguaglianze».
In ambito europeo, ad esempio, precarietà e continuità di reddito sono temi
affrontati all’interno di politiche di workfare: si accede al reddito solo
se si è disponibili a svolgere un lavoro qualunque esso sia. La precarietà è
qui declinata secondo le politiche di austerità imposte dalla troika ai
paesi dell’Unione europea. In ambito nazionale, il reddito di cittadinanza è
relegato da forze ritenute antisistema – il movimento cinque stelle –
nell’ambito di un misero sussidio di disoccupazione al quale gli
«intermittenti» del mercato del lavoro hanno diritto, additando i dipendenti
del settore pubblico come dei «privilegiati».
La posta in gioco, tuttavia, è di prospettare il reddito di cittadinanza
come un flessibile strumento per quella mission impossible che è la sintesi
tra eguaglianza e libertà, all’interno di un superamento del regime fondato
sul lavoro salariato.
Satin Creditcare Network Ltd, a Delhi-based microfinance institution, has raised Rs 41 crore from three funds.
It will use the funds to grow in rural areas in North India, where it will impact close to 150,000 additional lives. Satin Creditcare has over 4.75 lakh active borrowers across 10 States.
Lok Capital, a venture capital firm that invests in enterprises catering to bottom of the pyramid, has completely sold its stake in Satin Creditcare. Lok Capital, one of the earliest investors in Satin, had invested Rs 10 crore, since 2008.
MicroVest II, ShoreCap II Ltd and Danish Microfinance Partners K/S have invested in Satin s recent round of fund-raising. MicroVest has purchased Lok Capital s entire stake.
Venky Natarajan, Managing Partner, Lok Capital Advisory Services, did not want to disclose how much Lok Capital sold its stake for, but said the returns were satisfactory .
There was certainly more stability in the microfinance sector now, he said. The companies that had been resilient during the crisis the sector was going through had demonstrated ability to [url=http://www.balenciaga-outelts.com]Balenciaga city bags[/url] attract good quality investors.
Satin Creditcare s asset under management had increased from Rs 40 crore when Lok Capital invested in it to about Rs 600 crore now. Lok had less than 15 per cent stake in the company.
Lok Capital s exit was the first complete exit of this scale in the microfinance sector in the country and it underlined the sector s buoyancy and growth potential. Satin Creditcare s portfolio had grown to Rs 575 crore as on March 31, 2013, from Rs 319 crore a year ago. Satin had a lender base of 35 institutions, including 11 public [url=http://www.onlinehermesoutlet.com/hermes-birkin-30cm/450-hermes-birkin-handbag-gray-golden.html]Hermes Birkin Handbag gray golden[/url] sector banks, 11 private sector banks, three foreign banks and 10 domestic and foreign institutional lenders.
MicroVest, headquartered in Washington, DC, [url=http://www.onlinehermesoutlet.com/hermes-birkin-25cm/483-hermes-birkin-tote-bag-peru-25cm.html]Hermes Birkin Tote Bag Peru 25CM[/url] is a private, for-profit investment adviser. Since launching operations in 2003, MicroVest has provided financing to over 80 low-income finance institutions in over 45 countries. Equator Capital Partners, a US-based company, manages and sponsors impact investment funds. Danish Microfinance Partners invests in [url=http://www.onlinehermesoutlet.com/hermes-birkin-30cm/443-hermes-birkin-bag-skyblue-golden.html]Hermes Birkin Bag Skyblue Golden[/url] financial institutions with microfinance [url=http://www.onlinehermesoutlet.com/]Hermes Birkin Bag 35 Leather Sienna Gold[/url] exposure.
Nexus Venture and Avalon Ventures invest in Indix
Nexus Venture Partners and Avalon Ventures, venture capital firms, have invested $ 4.5 million in Indix. The funding will be used to accelerate product development and scale marketing and sales in the US.
Indix, based in Chennai [url=http://www.onlinehermesoutlet.com/]Hermes Outlet[/url] and Seattle, the US, works on big data, analytics, visualisations and applications that help product and services companies manage and get the most out of their product portfolio. Indix is building a cloud-based product for individuals in businesses around the world. Founded in late 2010 and started operating in late 2011, Indix had previously raised $ 1.4 million from seed investors, including Nexus Ventures. Indix has an engineering and product team based out of Chennai.