Buddha

Posted: Gennaio 16th, 2012 | Author: | Filed under: au-delà, General | Commenti disabilitati su Buddha

«Io considero la posizione dei re e dei governanti come quella dei granelli di polvere. Osservo tesori di oro e di gemme come se fossero mattoni e ciottoli. Guardo le più belle vesti di seta come cenci strappati. Vedo le miriadi di mondi dell’universo come i piccoli semi di un frutto, e il più grande lago dell’India come una goccia d’olio sul mio piede. Mi accorgo che gli insegnamenti del mondo sono l’illusione di maghi. Distinguo il più elevato concetto di emancipazione come un broccato d’oro in un sogno, e considero il sacro sentiero degli illuminati come fiori che si schiudano ai nostri occhi. Vedo la meditazione come il pilastro di una montagna, il Nirvana come un incubo delle ore diurne. Considero il giudizio del bene e del male come la danza serpentina di un drago, e il sorgere e il tramontare delle credenze come null’altro che le tracce lasciate dalle quattro stagioni»


“Oser l’exode” de la société de travail

Posted: Gennaio 15th, 2012 | Author: | Filed under: comune, critica dell'economia politica, postcapitalismo cognitivo | Commenti disabilitati su “Oser l’exode” de la société de travail

Vers la production de soi, entretien avec André Gorz

Par Yovan GILLES |

Les périphériques vous parlent : Dans votre dernier ouvrage Misères du Présent, Richesses du Possible faisant allusion au livre de J. Rifkin La Fin du Travail, vous affirmez quant à vous : « Il ne s’agit pas du travail au sens anthropologique ou au sens philosophique. (…) Il s’agit sans équivoque du travail spécifique propre au capitalisme industriel » Pouvez-vous développer pour nous cet argument ?

André Gorz : Au sens anthropologique, on appelle habituellement « travail » l’activité par laquelle les humains façonnent et transforment leur milieu de vie. C’est d’abord la malédiction biblique : le monde n’est pas naturellement propice à la survie des humains, il n’est pas « un jardin planté pour eux », disait Hegel. La vie humaine est « improbable », écrivait Sartre, elle rencontre cette improbabilité comme un ensemble d’adversités, de maladies, de raretés. Au sens philosophique, le concept de travail englobe les dimensions multiples de l’activité humaine. La philosophie grecque distinguait le travail-corvée – ponos – qu’il faut accomplir jour après jour pour entretenir le milieu de vie et produire sa subsistance. C’est aussi bien le travail ménager que le travail agricole, dont les hommes, dans les sociétés traditionnelles, se déchargent sur les femmes et les esclaves. Après le ponos, il y a la poiesis : le travail de l’artisan, de l’artiste, du « producteur ». Le travail comme poiesis n’est plus, à la différence du ponos, asservi complètement aux nécessités et aux contraintes matérielles de la subsistance. Il peut s’en émanciper en devenant création, invention, expression, réalisation de soi. C’est cette dimension du travail qui intéresse avant tout Hegel et ensuite Marx : le travail par lequel je m’individualise, me fais personne, inscris dans la matérialité du monde l’idée que je me fais de ce qui doit être.

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IL CAPITALE FINANZIARIO

Posted: Gennaio 13th, 2012 | Author: | Filed under: critica dell'economia politica | Commenti disabilitati su IL CAPITALE FINANZIARIO

di Maria Turchetto (il manifesto, 13 Gennaio 2012)

Nuova edizione per Mimesis di un classico del pensiero critico novecentesco, «Il capitale finanziario» di Rudolf Hilferding. Un volume ancora utile alla conoscenza della realtà per poi trasformarla.

La nuova edizione de Il capitale finanziario di Rudolf Hilferding è una vera strenna, di cui sono grata alla casa editrice Mimesis (pp. 544, euro 28). Non certo per il gusto erudito e nostalgico di riavere un classico del marxismo ormai introvabile e citato di seconda e terza mano, ma perché la poderosa opera di Rudolf Hilferding merita davvero, più che una rilettura, una nuova lettura, come suggeriscono nell’introduzione Emiliano Brancaccio e Luigi Cavallaro, curatori di questa edizione. Una lettura – scrivono – che aiuti «a produrre un altro testo che (…) sposti di piano quello immediatamente pervenutoci da Hilferding, facendo apparire nuovi oggetti teorici su cui lavorare».

L’indicazione richiama esplicitamente la lezione di Louis Althusser (non a caso del resto il titolo dell’introduzione è «Leggere Il capitale finanziario»), cui i curatori si rifanno anche quando sostengono che il «nucleo del paradigma marxista», da cui oggi si può ben ripartire anche se non è in voga tra i bocconiani, consiste «nel titanico risultato di aver gettato le basi per una teoria scientifica della storia: una teoria che, si badi bene, non ha nulla a che vedere con la visione teleologica e destinale che afflisse certe sue volgarizzazioni dottrinali».

Per dirla tutta, la «visione teleologica e destinale» della storia è stata ben più che una vulgata ad uso delle accademie sovietiche e delle scuole di partito. Era lo «spirito del tempo» dell’Ottocento e di buona parte del Novecento, che Marx aveva faticosamente trasceso ma attraverso il quale veniva (e viene ancora) interpretato. L’idea che il destino del capitalismo sia predicibile permea perciò anche l’opera di Hilferding e ne costituisce la principale debolezza: è la sua predizione di un percorso spontaneo dall’anarchia all’organizzazione pianificata dell’accumulazione sotto la direzione di un «capitale unificato», preludio della transizione al socialismo. La stessa idea destinale permea anche le coeve teorie del crollo e la stessa visione di Lenin dello stadio monopolistico e finanziario come «fase suprema» – cioè ultima – di un capitalismo divenuto incapace di promuovere lo sviluppo delle forze produttive e perciò morto per la storia, anzi ormai «putrefatto». In Lenin la storia del capitalismo descrive una parabola di tipo organico (nascita, crescita, decadenza e morte) anziché un’evoluzione progressiva; lo schema teleologico prevede comunque la fine prossima e certa (nella forma del crollo, dell’abbattimento rivoluzionario o della metamorfosi riformista), indispensabile a conseguire il fine del comunismo.

Il virtuoso e il parassita

Ma non vorrei qui limitarmi a ribadire l’indicazione althusseriana di abbandonare le storie teleologiche (in quanto tali ideologiche, non scientifiche) orientate al/alla fine; quanto proporre una breve riflessione sul perché, a cavallo tra Ottocento e Novecento, la fine del capitalismo venga declinata nelle forme antitetiche della decadenza e del crollo, da un lato, e dell’evoluzione virtuosa, dall’altro. In L’imperialismo, fase suprema del capitalismo Lenin impone una convivenza forzata a due rappresentanti delle declinazioni antitetiche in questione, Hilferding e Hobson. Riprende infatti, com’è noto, la definizione di Hilferding del «capitale finanziario» come «capitale unificato» («Capitale finanziario significa capitale unificato. I settori del capitale industriale, commerciale e bancario, un tempo divisi, vengono posti sotto la direzione comune dell’alta finanza»), associandovi tuttavia il giudizio negativo espresso da Hobson sulla finanza «parassitaria». Di fatto tradisce, in tal modo, il pensiero di entrambi gli autori: per Hilferding, in realtà, l’unificazione di capitale bancario, commerciale e industriale è un processo sostanzialmente virtuoso, foriero di crescita economica e di potenzialità regolatrici; in Hobson, per contro, il capitale finanziario non rappresenta affatto una forma unificata del capitale, ma una sua frangia degenerata che svolge il ruolo perverso di spostare altrove «la ricchezza della nazione» a scapito dello stesso capitale commerciale e produttivo (per inciso, Hobson non è l’unico, all’epoca, a teorizzare una contrapposizione forte tra industria e finanza: penso, ad esempio, a Thoestein Veblen). La convivenza forzata che Lenin impone alle tesi di Hilferding e di Hobson si basa, ancora una volta, su una metafora organica: il capitale cresce (diventa «più grosso» attraverso i processi di concentrazione e centralizzazione in cui il capitale finanziario ha un ruolo chiave, proprio come dice Hilferding), si espande (invade completamente il mondo, come sostengono entrambi gli autori), ma inesorabilmente invecchia (decade dalla sua funzione propulsiva dello sviluppo per diventare «parassitario», proprio come dice Hobson).

In cerca di egemonia

Esistono oggi interpretazioni che consentono di comprendere e integrare le posizioni di Hilferding e di Hobson al di fuori degli schemi teleologici e delle metafore organiche. Penso alla scuola cosiddetta del «Sistema Mondo» – che considero uno sviluppo fecondo del marxismo – e in particolare ai «cicli sistemici» delineati da Giovanni Arrighi. Com’è noto, Arrighi legge i periodi di «espansione finanziaria» come momenti finali di un ciclo e preludio di «trasformazioni egemoniche» che ridisegnano il quadro geopolitico dell’«economia-mondo» capitalistica – ossia il suo strutturarsi in centri, periferie e semiperiferie. Entro queste coordinate teoriche potremmo leggere l’analisi di Hobson come attinente non al capitalismo in generale, ma al capitalismo inglese la cui egemonia, a cavallo tra Ottocento e Novecento, è in crisi; e l’analisi di Hilferding come attinente invece al capitalismo tedesco e alla Germania, che viceversa, nell’epoca in questione, si candida a pieno titolo al ruolo di nuova potenza egemone, disponendo di nuovi strumenti finanziari e di settori industriali strategici. Hilferding sembra in effetti consapevole di avere sotto gli occhi, con il caso tedesco, non tanto una particolarità nazionale (questa, all’epoca, è piuttosto l’ottica degli autori della scuola storica, citati in più luoghi ne Il capitale finanziario), quanto, per così dire, l’ultima release del capitalismo. In altre parole, l’osservatorio privilegiato per lo studio del capitalismo non è più, secondo Hilferding, quell’Inghilterra che Marx aveva indicato come «sede classica» (cioè tipica) nella prefazione alla prima edizione de Il capitale; è invece la Germania, con le banche che offrono credito di capitale e non solo credito di circolazione, con la più estesa adozione della forma della società per azioni e il conseguente primato del controllo sulla proprietà, con i nuovi potenti strumenti che favoriscono la concentrazione e la struttura oligopolistica del mercato.

Se ho proposto queste riflessioni non è semplicemente per contestualizzare l’opera di Hilferding alla sua epoca, visto che il risultato di una simile operazione sarebbe dichiararla datata; al contrario, il mio è un tentativo di «spostarla di piano», proprio come suggeriscono Brancaccio e Cavallaro, inserendola in nuove problematiche per renderla suscettibile di una lettura attuale. Nell’attuale congiuntura credo che interrogarsi sul futuro del capitalismo in chiave destinale – come in sostanza ancora fanno quelli che Brancaccio e Cavallaro definiscono «agitatori di fantasiose “moltitudini” in movimento» – non porti molto lontano; e abbia invece molto più senso cercare di capire a fondo i meccanismi, i conflitti, i processi che operano nel corso di «trasformazioni egemoniche» come quella che stiamo vivendo. In questa prospettiva senza dubbio Hilferding può fornirci strumenti capaci di andare più in profondità rispetto alla «teoria dominante (…) ferma sul suo trono», con cui giustamente Brancaccio e Cavallaro se la prendono nell’introduzione – al contrario degli «ossimorici “liberisti di sinistra”» cui fa tanta soggezione.

La democrazia di carta

In questa prospettiva vanno senz’altro accolte alcune indicazioni di lettura dei curatori. In primo luogo, quella secondo cui la tendenza alla centralizzazione costituisce l’oggetto principale dell’analisi di Hilferding. Il capitale finanziario offre una visione assai complessa dei processi di centralizzazione del capitale, che non rinvia soltanto alle economie di scala ma mette in gioco «una miscela di strategie difensive e predatorie». La logica del capitale, in altri termini, non è semplicemente la razionalità minimax orientata all’efficienza, ma un agire strategico conflittuale di natura in ultima analisi politica (su questo punto ha a suo tempo molto insistito Gianfranco La Grassa, ad esempio in Gli strateghi del capitale, manifestolibri). Ancora, l’analisi dello sviluppo del credito bancario e della diffusione della forma giuridica della società per azioni in Hilferding non sfocia nell’«immagine tranquillizzante che ne danno le teorie economiche e politiche tradizionali, che li presentano come strumenti di “democrazia finanziaria” preposti rispettivamente alla raccolta dei risparmi e alla ripartizione del rischio d’impresa. Al contrario, (…) Hilferding mostra che lo sviluppo del credito e della società per azioni muove il capitale verso poche e piene mani». Il mercato capitalistico non è affatto un mero meccanismo di allocazione di risorse, né il regno di una virtuosa concorrenza: è un potentissimo strumento di concentrazione e centralizzazione. Le stesse politiche economiche e monetarie vanno dunque lette alla luce dei processi di concentrazione e centralizzazione – indicazione questa preziosa, come ben evidenziano i curatori, per la comprensione dell’attuale congiuntura.

Un’ultima precisazione, per non essere fraintesa. Sono convinta che il compito di «spiegare il mondo» sia oggi molto urgente – abbiamo perso, temo, molto terreno su questo fronte. Ciò non significa affatto perseguire la conoscenza per la conoscenza rinunciando alla prospettiva di «cambiare il mondo»: proprio questa prospettiva, tuttavia, rende più ardui e moltiplica i compiti conoscitivi. Va in questo senso pienamente valorizzata l’indicazione con cui Brancaccio e Cavallaro concludono l’introduzione, evocando un poco noto lavoro di Hilferding del 1940, Capitalismo di stato o economia statuale totalitaria?: «Noi crediamo (…) che sia giunto il tempo che i marxisti riesaminino l’esperienza sovietica, con le sue grandezze e i suoi orrori, in chiave finalmente scientifica e storico-critica». È davvero indispensabile affrontare finalmente la questione, oggetto di una rimozione che sta durando troppo, per poter proporre alternative credibili all’ideologia liberista, al capitale finanziario e alle sue politiche economiche.


The Network of Global Corporate Control

Posted: Gennaio 13th, 2012 | Author: | Filed under: critica dell'economia politica | Commenti disabilitati su The Network of Global Corporate Control

by Stefania Vitali, James B. Glattfelder, Stefano Battiston*

Chair of Systems Design, ETH Zurich, Zurich, Switzerland
Abstract Top

The structure of the control network of transnational corporations affects global market competition and financial stability. So far, only small national samples were studied and there was no appropriate methodology to assess control globally. We present the first investigation of the architecture of the international ownership network, along with the computation of the control held by each global player. We find that transnational corporations form a giant bow-tie structure and that a large portion of control flows to a small tightly-knit core of financial institutions. This core can be seen as an economic “super-entity” that raises new important issues both for researchers and policy makers.

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La tecnica del capitale

Posted: Gennaio 12th, 2012 | Author: | Filed under: critica dell'economia politica | Commenti disabilitati su La tecnica del capitale

di Antiper – Critica rivoluzionaria dell’esistente – Teoria e preassi per il non ancora esistente – Dicembre 2011 (1)

“Siamo effettivamente nell’Età della Tecnica, ma questa non assomiglia assolutamente alle età che l’hanno preceduta, perché tutte le età che l’anno preceduta dall’antichità, al medioevo, al rinascimento, l’illuminismo, il romanticismo, il positivismo erano tutte età pre-tecnologiche dove funzionava il paradigma che l’uomo è il soggetto della Storia e la Tecnica è lo strumento con cui realizza i suoi scopi. Oggi non è più così. La Tecnica è diventata il soggetto della Storia e gli uomini sono diventati funzionari negli apparati tecnici. Siamo stati deposti dal protagonismo storico. La Storia non è più il luogo della nostra azione, ma il luogo dell’azione della Tecnica” [2].

Da quando è nato il Governo “tecnico” di Mario Monti si è fatto un gran parlare di sottomissione della “politica” ai “tecnici”, di “espropriazione” e “sospensione” della democrazia, di “dittatura dei mercati finanziari”, ecc… Lo ha detto a gran voce la destra, lo dice la sinistra [3]. Ma è proprio così? C’è davvero un prima “democratico” e un dopo non democratico, post-democratico, anti-democratico di cui il Governo Monti rappresenta lo spartiacque?

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La furia dei cervelli

Posted: Gennaio 11th, 2012 | Author: | Filed under: comune, postcapitalismo cognitivo | Commenti disabilitati su La furia dei cervelli

L’urlo del Quinto Stato contro il Moloch della crisi
di Francesca Coin

È un libro di poesia e rivolta, quello di Roberto Ciccarelli e Giuseppe Allegri: “La furia dei cervelli” (Manifestolibri). Un grido ruvido di rabbia e zerbini randagi, un canto di resistenza. Non voglio ripercorrere il testo per intero, voglio soffermarmi su quello che per me è il suo nodo centrale. Il conflitto in corso non è solamente un conflitto contro i nostri corpi. La precarietà ai limiti dell’inoccupazione, l’assenza di garanzie sociali e di reddito, la riforma delle pensioni e del ciclo della vita, lo sfregio continuo del vivere insieme e della tenerezza, non sono semplicemente corollari di uno stato di emergenza che è divenuto permanente. Sono di più: sono i sintomi di un pensiero che in modo sempre più feroce negli ultimi decenni ha sfigurato la vita.

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Cinque domande sulla crisi

Posted: Gennaio 11th, 2012 | Author: | Filed under: comune, crisi sistemica, postoperaismo | Commenti disabilitati su Cinque domande sulla crisi

a cura di SANDRO MEZZADRA e TONI NEGRI

L’approfondimento della crisi, con le sue devastanti conseguenze sociali, continua a spiazzare consolidati paradigmi interpretativi. Ne risultano non soltanto la bancarotta della scienza economica mainstream, ma anche inedite sfide per quanti hanno continuato in questi anni a praticare in forme originali la critica dell’economia politica. In questione, sempre più chiaramente, ci sembra essere proprio il rapporto tra le categorie economiche e le categorie politiche. Per aprire la discussione all’interno del sito di UniNomade abbiamo rivolto cinque domande ad Andrea Fumagalli, Christian Marazzi e Carlo Vercellone. Presentiamo di seguito le risposte di Andrea e di Christian, in forma di dialogo. Carlo ha svolto alcune riflessioni sull’insieme dei temi da noi proposti: le si possono leggere in conclusione.

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La crisi, il general intellect, il piacere, il sasso e la vetrina

Posted: Gennaio 9th, 2012 | Author: | Filed under: comune, crisi sistemica, postcapitalismo cognitivo, postoperaismo | Commenti disabilitati su La crisi, il general intellect, il piacere, il sasso e la vetrina

di Franco Piperno

I) Ricordati del tulipano. Nella tradizione del movimento operaio, ovvero per quel marxismo diffuso che in Italia era, fino a qualche decade fa, una sorta di economia politica popolare, la crisi che attraversiamo dovrebbe essere considerata una conseguenza della sovrapproduzione : una immane stock di merce giace in stato di saturazione, invenduta; dal momento che gli unici ad avvertirne la mancanza sono quegli stessi che non hanno il denaro per comprarla. Una enorme quantità di valore di scambio privato del suo valore d’uso, attesta icasticamente cosa deve intendersi per dissipazione dell’energia corporea e mentale dell’uomo occidentale, per aumento entropico, crescita del disordine in senso ontologico, termodinamico.

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Le passioni della crisi (e-book)

Posted: Gennaio 6th, 2012 | Author: | Filed under: General | Commenti disabilitati su Le passioni della crisi (e-book)

Il rapporto tra passioni e teoria politica è un elemento costitutivo dell’epoca moderna. Basti pensare ad autori come Hobbes e Spinoza e alle opposte prospettive con cui guardano a una passione come la paura. Con la fine del moderno e l’entrata nella nostra contemporaneità il tema delle passioni e dei loro caratteri politici incontra nuova attenzione. Cosa è propriamente una passione? E ciò che accade nei singoli e tra i singoli e tra questi e la dimensione comune. Né interiori né private le passioni determinano le forme della vita collettiva. Basti pensare a come, nel pieno della crisi, la politica si rivolga oggi alla paura, al risentimento, al senso di insicurezza per imporre il suo potere di controllo. Ma di passioni comuni si nutre anche il desiderio di libertà e la rivolta contro l’oppressione. Questo volume passa in rassegna alcune tra le principali passioni che pervadono la contemporaneità, dallo spaesamento all’angoscia, dal risentimento al piacere e al dolore, dall’amore alla malinconia, alla paranoia. E si interroga sul modo in cui esse determinano il nostro modo di vivere e di configgere.

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Fai la cosa giusta. 11 tesi sul conflitto che viene e sul mondo da inventare

Posted: Gennaio 6th, 2012 | Author: | Filed under: comune, Révolution, riots | Commenti disabilitati su Fai la cosa giusta. 11 tesi sul conflitto che viene e sul mondo da inventare

LUM – libera università metropolitana

1. «Il mondo è tutto ciò che accade». Partiamo da Oakland.

Il 2 novembre è iniziata una nuova epoca per il movimento #occupy e, più in generale, per gli indignados. All’occupazione delle strade e delle piazze ‒ sul modello spagnolo e di Zuccotti Park ‒ si è accompagnato uno sciopero generale di potenza straordinaria. Bloccato il porto, fermi gli uffici pubblici. Fermi i trasporti su gomma e la produzione. A braccia conserte anche la polizia. E poi decine di migliaia in piazza, a presidiare la città, a consolidare la paralisi del porto.

Guardiamo ad Oakland come si guarda ad un prototipo. Lacunoso, indubbiamente, in parte immaturo, eppure in grado di mettere in forma, in modo temporaneo, il conflitto che serve, quello in grado di fare i conti con la nuova composizione del lavoro e con la violenza della finanza. Non è sufficiente il sindacato, infatti, ad organizzare un lavoro frammentato e fortemente precarizzato, da sempre immerso nei flussi comunicativi o costretto a prestazioni di tipo neo-servile. Se lo sfruttamento contemporaneo si disloca anche e soprattutto sul terreno dell’accumulazione finanziaria, la lotta di classe deve investire per intero la riproduzione sociale, la vita, la cooperazione extra-lavorativa. Ma non basta neanche il movimento #occupy. La sua forza esibisce la crisi della democrazia liberale di fronte all’arroganza della dittatura finanziaria, ma ancora non ci mostra il modo utile per «far male ai padroni». È necessario prendere la parola e cominciare a «dire la verità al potere», ma bisogna individuare il potere nelle maglie dello sfruttamento metropolitano, nel furto di plusvalore.

In questo senso Oakland è un prototipo, in questo senso riscopriamo, senza timidezza, la nostra ispirazione repubblicana.

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