Senza lacrime per i cocci

Posted: Novembre 9th, 2011 | Author: | Filed under: comune, crisi sistemica | Commenti disabilitati su Senza lacrime per i cocci

di COLLETTIVO UNINOMADE

Lo ammettiamo: non riusciamo ad appassionarci alla sequenza di annunci e smentite sulle dimissioni del governo, né alle adunate dell’opposizione parlamentare – o di segmenti più o meno autoreferenziali di essa – in piazza piuttosto che alla Leopolda.

Non è in alcun modo entusiasmante sapere che il governo manterrà, o meno, la propria maggioranza parlamentare a seconda della maggiore capacità di Denis Verdini di acquistare voti per governo, o di Paolo Cirino Pomicino di sottrargliene. Così come poco entusiasmante è stata la kermesse di Bersani, dalla quale ci pare di capire che l’unica novità sia l’elezione di Neffa a canzoniere ufficiale del partito: contenti loro…

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Mike Davis

Posted: Novembre 8th, 2011 | Author: | Filed under: crisi sistemica, U$A | Commenti disabilitati su Mike Davis

Dove è svanito «el sueño americano»

di Mike Davis

Nel sud-est della California al confine con il Messico, dove la disoccupazione è fra le più alte e il reddito fra i più bassi degli Usa, il movimento si connette con l’attivismo di vecchia data

La mia autoradio riferisce di una bufera artica su Wall Street, ma Main Street a El Centro cuoce tranquillamente in un caldo autunnale da 90 gradi farenheit. Nella Imperial Valley califoniana, dove l’acqua del fiume Colorado sovvenzionata dal governo federale ha irrigato i profitti di latifondisti anglosassoni per oltre un secolo e dove i contadini muoiono troppo spesso a causa di colpi di sole e disidratazione a 120 gradi farenheit ad agosto, questo è il clima adatto per protestare.

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cosa faremo

Posted: Novembre 7th, 2011 | Author: | Filed under: comune | Commenti disabilitati su cosa faremo

pubblicata da Franco Berardi il giorno lunedì 7 novembre 2011 alle ore 10.47

L’interminabile imbarazzante agonia del governo Berlusconi annuncia e proroga lo scontro vero. Il mammasantissima è stato così occupato a far gli affari suoi che non ha avuto tempo di portare ad esecuzione i diktat della banca centrale europea. Per questo cercano ora di farlo fuori coloro stessi che lo avevano invece sostenuto o tollerato quando le sue colpe erano soltanto quelle di favorire la mafia e l’evasione fiscale, distruggere la scuola pubblica, comprare deputati e senatori, corrompere i giudici e seminare ignoranza e servilismo per mezzo del monopolio mediatico che gli è stato consentito accumulare.

Ora che si rivela incapace di stringere il cappio al collo della società italiana, perché non ha la forza e la credibilità per strangolarci ecco efficienti aguzzini apprestarsi a prendere il suo posto, perché a loro il polso non trema. Incitati da un Presidente inflessibile solo quando si tratta di salvaguardare gli interessi della classe finanziaria globale, i cani latrano tirando sul laccio che li trattiene. Vogliono azzannare gli efficienti adoratori dell’impietosa divinità che si chiama Mercato

Ma non c’è più nessun mercato, in verità, solo un campo di battaglia. Di là l’esercito aggressivo dei predoni accumula bottino – privatizza i servizi, licenzia, aumenta le ore di lavoro straordinario non pagate, nega la pensione a chi l’attende con buon diritto, elimina spese inutili come la scuola e la sanità. Di qua l’esercito disordinato dei lavoratori trasformato in esercito di precari poveri senza speranza, arretra lanciando urla che promettono una vendetta che non verrà, perdendo metro dopo metro i suoi pochi averi, il prodotto dei suoi risparmi e del suo lavoro, la speranza di mandare i figli a scuola.

I sindacati chiamano allo sciopero. Per l’ennesima volta sfileremo portando cartelli che dicono: diritto a questo e diritto a quello. E chi se ne frega dicono ai piani alti del palazzo, tanto del vostro lavoro non abbiamo più bisogno perché vi stiamo sostituendo uno per uno con schiavi che non possono scioperare.

Manifesteremo pacificamente nelle vie della città. E chi se ne frega, visto che delle vostre dimostrazioni abbiamo già perso il conto e hanno cambiato nulla visto che la democrazia non esiste più e voi siete gli unici che ci credono ancora.

Allora daremo fuoco alle auto e assalteremo le banche. E chi se ne frega visto che le automobili che trovate in strada son quelle dei vostri colleghi, e nelle banche non c’è niente di interessante poiché il potere corre sul cavo che collega i computer di tutta la terra.

Si prepara una nuova dimostrazione per l’11 novembre.

Cosa faremo?

Non si sono ancora spente le polemiche del 15 Ottobre tra i violenti bruciatori di camionette e i pacifici democratici alternativi, e già si promettono servizi d’ordine per proteggere i cortei. E’ come dichiarare la guerra interna. Dal momento che siamo impotenti a fermare le rapide incursioni dei predoni finanziari, ci sfogheremo dandoci un po’ di legnate tra di noi.

Quelli buoni saranno poi premiati con un seggio in Parlamento. Ma esisterà ancora il Parlamento fra un anno? E c’è ancora qualcuno che crede davvero che in Parlamento si possa far cosa diversa dal reggere la coda agli aguzzini mentre eseguono il verdetto della classe predatrice?

E i cattivi? I cattivi si leccheranno le ferite perché è loro vocazione lamentarsi. Spaccano qualche vetrina, tirano bombe carta contro un poveraccio come loro, alzano le braccia in segno di eccitazione estrema poi tornano a casa si fanno una sega e si lamentano perché gli altri non li capiscono.

Cosa dovremmo dimostrare l’11 novembre? Non c’è niente da dimostrare e nessuno cui dimostrare qualcosa. Dovremmo invece iniziare l’azione di riconquista di ciò che ci è stato tolto.

Anzitutto dovremmo portare la comunicazione alla maggioranza della popolazione, quelli che non vengono alle dimostrazioni, e vanno al supermercato, al cinema. a teatro a messa, a scuola, alla stazione, in banca, preoccupati e un po’ mesti.

L’11 novembre dovremmo andare nei supermercati nei cinema, nei teatri, nelle chiese, nelle scuole nelle stazioni e nelle banche. Sederci insieme ad altri venti o cento o mille e ascoltare le frasi di una lavoratrice precaria o di un ricercatore che dice le ragioni degli sfruttati. E ogni frase dovremmo ripeterla ad alta voce con altri mille, in un megafono umano che si diffonde, sapendo che in un’altra banca un altro supermercato sta accadendo la stessa cosa.

Dovremmo entrare nel supermercato prendere ciò che ci occorre poi recarci alla cassa, e alla cassiera con cortesia dire: signorina legga questo foglio. E sul foglio c’è scritto il mio nome cognome indirizzo e c’è scritto TESSERA DEL PANE. E sotto c’è scritto:

“siccome non ho più i mezzi per sostenere me e la mia famiglia la prego di accettare questo documento come garanzia del fatto che pagherò non appena la Banca centrale europea avrà erogato un reddito di cittadinanza a tutti coloro che ne hanno bisogno.”

Dovremmo andare nei ristoranti di lusso, mangiare come dio comanda e alla fine lasciare cinque euro sul tavolo e una tessera del pane con nome cognome indirizzo e promessa di pagherò quando avrò un reddito che me lo consenta.

Dovremmo andare alle inaugurazioni dell’Anno accademico e alle riunioni del consiglio comunale e del consiglio di amministrazione della banca e dell’azienda e dichiarare che fin quando non si sottrarranno all’ordine di sterminio che proviene dalla banca centrale gli impediamo di agire, di legiferare, di contribuire al crimine.

Dovremmo aprire la porta di un edificio vuoto di proprietà vaticana o di una compagnia di assicurazione e renderlo accessibile alla massa crescente di coloro che non hanno casa.

Dovremmo occupare le strade metterci dei grandi tavoli e organizzare mense popolari, dove ciascuno paga il pasto con quello che può sborsare. Mangiare insieme costa meno e permette di riattivare i circuiti anchilosati dell’acting out solidale.

Noi non vogliamo la guerra, eppure ce l’hanno dichiarata. Non combatteremo la loro guerra perché la perderemmo. Vivremo come è giusto vivere da esseri umani, da eguali e da liberi. E se leggi partiti e parlamenti vorranno piegarci al ricatto dei predoni, noi disobbediremo alle leggi ai partiti e ai parlamenti. Stanno provando a trasformarci in schiavi, a toglierci la dignità e la coscienza. Ed è bene saperlo: sono pronti ad uccidere se gli schiavi smettono di lamentarsi e si ribellano in modo intelligente e solidale. Uccideranno, perché il dio Mercato per loro è più importante della vita umana.

Noi disprezziamo il superomismo nazistoide di tutti quei Giavazzi che incitano ad accettare il rischio economico e la competizione, ma dovremo imparare umilmente a correre il rischio di morire se a rischio è la nostra dignità di esseri umani e di lavoratori. Perché chi crede che sia meglio vivere da schiavo che correre il rischio di morire vivrà da schiavo e morirà da schiavo.


Pina

Posted: Novembre 6th, 2011 | Author: | Filed under: arts | Commenti disabilitati su Pina

by Wim Wenders

http://www.youtube.com/watch?v=CNuQVS7q7-A


Ulrich Beck

Posted: Novembre 5th, 2011 | Author: | Filed under: comune, crisi sistemica | 90 Comments »

Il movimento del 99 per cento può cambiare il mondo

di Ulrich Beck, da la Repubblica

Com’è possibile che un caldo autunno americano, sul modello della primavera araba, distrugga il credo dell’ Occidente, cioè la visione economica dell’ american way? Com’ è possibile che il grido “Occupy Wall Street” raggiunga e trascini nelle piazze non soltanto i ragazzi di altre città americane, ma anche quelli di Londra, Vancouver, Bruxelles, Roma, Francoforte e Tokio? I contestatori non sono andati soltanto a far sentire la loro voce contro una cattiva legge o a sostenere qualche causa particolare: sono scesi in piazza a protestare contro “il sistema”. Ciò che fino a non molto tempo fa veniva chiamato “libera economia di mercato” e che ora ricominciaa essere chiamato “capitalismo” viene portato sul banco degli accusati e sottoposto a una critica radicale. Perché il mondo è improvvisamente disposto a prestare ascolto, quando Occupy Wall Street rivendica di parlare a nome del 99% dei travolti contro l’ 1% dei profittatori?

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Intervista a Maurizio Lazzaratto

Posted: Novembre 5th, 2011 | Author: | Filed under: comune, critica dell'economia politica | Commenti disabilitati su Intervista a Maurizio Lazzaratto

La lotta degli “intermittenti dello spettacolo” in Francia

a cura di Andrea Inglese

Maurizio Lazzarato, sociologo e filosofo, residente a Parigi, si è occupato approfonditamente del movimento sociale più innovativo e duraturo che la Francia abbia prodotto nell’ultimo ventennio, ossia il movimento dei cosiddetti intermittents du spectacle, artisti, operai o tecnici, che lavorano nell’ambito del cinema, della televisione, della musica o del teatro. Lazzarato, con Antonella Corsani, ha pubblicato nel 2008 anche un libro, Intermittents et Précaires, che raccoglie i risultati di uno studio nato dalla collaborazione tra militanti del movimento e ricercatori universitari intorno alla figura ibrida del “lavoratore culturale”. Ci pare importante, oggi, ritracciare la storia di questa lotta e la riflessione sulla realtà che essa ha prodotto. Almeno da quando un movimento come TQ ha riunito per la prima volta in Italia autori, lavoratori dell’editoria e piccoli editori, per interrogarsi criticamente sul ruolo che la generazione dei trenta-quarantenni riesce a svolgere all’interno del mondo culturale, considerando sia le condizioni di lavoro sia i privilegi e le posizioni di dominio che vigono in esso.
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Zizek: l’illusione della democrazia

Posted: Novembre 5th, 2011 | Author: | Filed under: comune, crisi sistemica, postcapitalismo cognitivo | Commenti disabilitati su Zizek: l’illusione della democrazia

Le proteste a Wall street e di fronte alla cattedrale di St. Paul a Londra hanno in comune “la mancanza di obiettivi chiari, un carattere indefinito e soprattutto il rifiuto di riconoscere le istituzioni democratiche”, ha scritto Anne Applebaum sul Washington Post. “A differenza degli egiziani di piazza Tahrir, a cui i manifestanti di Londra e New York si richiamano apertamente, noi abbiamo istituzioni democratiche”. Se si riduce la rivolta di piazza Tahrir a una richiesta di democrazia di tipo occidentale, come fa Applebaum, diventa ridicolo paragonare le proteste di Wall street a quelle in Egitto: come possono i manifestanti occidentali pretendere ciò che già hanno? Quello che la giornalista sembra non vedere è un’insoddisfazione generale per il sistema capitalistico globale, che in luoghi diversi assume forme diverse.

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L’INDICIBILE

Posted: Novembre 2nd, 2011 | Author: | Filed under: comune, critica dell'economia politica, postcapitalismo cognitivo | 1 Comment »

di Franco berardi “Bifo”

Sulla Repubblica del 2 Novembre Barbara Spinelli pone, con la chiarezza e l’acutezza che la distinguono, due problemi decisivi del momento presente. In un articolo dal titolo “Più poteri all’Europa” si chiede quali conseguenze porterà il cosiddetto “commissariamento” europeo che interessa l’Italia – paese evidentemente incapace di uscire dalla situazione di ingovernabilità in cui l’ha spinta l’arroganza ignorante della destra più irresponsabile di tutti i tempi, ma anche la viltà intellettuale e la subalternità del centro-sinistra.

Il “commissariamento” imbarazza indigna e offende – dice Spinelli. Ma non dovrebbe, perché in effetti può essere visto all’incontrario, non come una condizione di debolezza e di inadeguatezza della politica italiana, ma come una condizione di flessibilità che – trasformando la necessità in virtù – darebbe a questo paese l’opportunità di sperimentare un’avanzata forma di cessione di sovranità e quindi aprirebbe le porte ad un ampliamento dell’ambito di governo dell’Unione, e parallelamente, ad una riduzione delle rigidità sovranitarie o nazionaliste. L’Italia potrebbe in questa occasione giocare un ruolo di apertura e di avanguardia, a patto di rovesciare l’atteggiamento oggi prevalente in un atteggiamento di assunzione consapevole del ruolo di innovazione istituzionale che il paese “commissariato” potrebbe assumere, quando accettasse un processo di condivisione delle decisioni economiche, sociali, e politiche, e quando avesse l’autorevolezza necessaria per chiedere agli altri paesi (Francia e Germania incluse) di accettare una simile flessibilità post-nazionale e una simile disposizione post-sovranitaria.

Fin qui m’inchino alla lungimiranza della scrittrice.

Ma c’è un secondo punto su cui – me ne dispiaccio – debbo dichiarare il mio disaccordo. Giustamente Spinelli distingue tra perdita di sovranità e perdita di democrazia. Rinunciare alla sovranità nazionale è buono, dal punto di vista del progresso europeo. Male sarebbe invece, si lascia sfuggire Spinelli se si verificasse una perdita di democrazia. Ma su questo punto non si sofferma abbastanza. E invece dovrebbe.

Come la maggior parte dei commentatori politici, Barbara Spinelli giudica severamente la decisione di Papandreou di indire un referendum per decidere se consegnare o meno quel che resta della società greca al diktat ultramonetarista della banca centrale europea. E’ strano come la grande maggioranza dei commentatori che si definiscono democratici considerino in modo così altezzoso il diritto dei popoli a decidere sul proprio futuro. Si può pensare che Papandreou avrebbe dovuto indire un referendum nella primavera del 2010, prima di esporre il suo popolo alla violenza scatenata dei banchieri che ha spolpato e umiliato la società ellenica. Meglio tardi che mai, verrebbe da aggiungere.

Non si può infatti accettare che si prendano decisioni di vitale importanza che riguardano l’intera società greca (questioni di vita o di morte), senza concedere ai cittadini neppure il diritto di rispondere a un referendum.

Dopo diciotto mesi di devastazione finanziaria e conseguenti impoverimento, disoccupazione, repressione, e umiliazione politica – il premier Papandreou decide di fare una cosa che dovrebbe essere considerata assolutamente normale, in un mondo che ama definirsi democratico. Convoca una consultazione che permetterà al popolo greco di discutere e di decidere se accettare o respingere il diktat della classe finanziaria europea. Non l’avesse mai fatto. La reazione dei mercati è il panico generalizzato, il crollo delle borse, la minaccia di gettare l’Europa in un abisso. Ma non la chiamavano democrazia di mercato? Pare che il capitalismo non sopporti più l’esistenza della democrazia, e l’esistenza stessa della civiltà. Ma se la democrazia e la civiltà decidessero che è venuta l’ora di liberarsi del capitalismo?

Zizek ha detto recentemente che il dogmatismo imperante preferisce pensare che stia per arrivare la fine del mondo (e preferisce sfidarla) piuttosto che ammettere, più ragionevolmente, che è finito il capitalismo. Forse è questa la prospettiva cui dovremmo abituarci, e da cui dovremmo ripartire: il capitalismo è finito. Cosa viene dopo?


APPELLO – 17 novembre

Posted: Novembre 1st, 2011 | Author: | Filed under: comune, crisi sistemica | Commenti disabilitati su APPELLO – 17 novembre

[lettera-appello] costruiamo un movimento internazionale

Abbiamo scritto una lettera-appello rivolta alle tante reti e realt? di movimento, sindacati degli studenti, gruppi organizzati, accampate e piazze occupate, con cui siamo entrati in contatto, a cui guardiamo con interesse, a cui siamo solidali.

Tre anni fa ? esplosa la bolla finanziaria ed ? cos? iniziata la pi? grande crisi economica degli ultimi decenni. Il sistema sociale ed economico che negli ultimi trent’anni ? stato presentato come l’unico possibile si ? rivelato per quello che ?: un sistema che ha aumentato le disuguaglianze sia a livello globale sia a livello locale, un sistema che mira a distruggere i diritti dei lavoratori e lo stato sociale, un sistema che favorisce l’1% pi? potente a discapito del restante 99%.

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