Posted: Novembre 7th, 2011 | Author: agaragar | Filed under: comune | Commenti disabilitati su cosa faremo
pubblicata da Franco Berardi il giorno lunedì 7 novembre 2011 alle ore 10.47
L’interminabile imbarazzante agonia del governo Berlusconi annuncia e proroga lo scontro vero. Il mammasantissima è stato così occupato a far gli affari suoi che non ha avuto tempo di portare ad esecuzione i diktat della banca centrale europea. Per questo cercano ora di farlo fuori coloro stessi che lo avevano invece sostenuto o tollerato quando le sue colpe erano soltanto quelle di favorire la mafia e l’evasione fiscale, distruggere la scuola pubblica, comprare deputati e senatori, corrompere i giudici e seminare ignoranza e servilismo per mezzo del monopolio mediatico che gli è stato consentito accumulare.
Ora che si rivela incapace di stringere il cappio al collo della società italiana, perché non ha la forza e la credibilità per strangolarci ecco efficienti aguzzini apprestarsi a prendere il suo posto, perché a loro il polso non trema. Incitati da un Presidente inflessibile solo quando si tratta di salvaguardare gli interessi della classe finanziaria globale, i cani latrano tirando sul laccio che li trattiene. Vogliono azzannare gli efficienti adoratori dell’impietosa divinità che si chiama Mercato
Ma non c’è più nessun mercato, in verità, solo un campo di battaglia. Di là l’esercito aggressivo dei predoni accumula bottino – privatizza i servizi, licenzia, aumenta le ore di lavoro straordinario non pagate, nega la pensione a chi l’attende con buon diritto, elimina spese inutili come la scuola e la sanità. Di qua l’esercito disordinato dei lavoratori trasformato in esercito di precari poveri senza speranza, arretra lanciando urla che promettono una vendetta che non verrà, perdendo metro dopo metro i suoi pochi averi, il prodotto dei suoi risparmi e del suo lavoro, la speranza di mandare i figli a scuola.
I sindacati chiamano allo sciopero. Per l’ennesima volta sfileremo portando cartelli che dicono: diritto a questo e diritto a quello. E chi se ne frega dicono ai piani alti del palazzo, tanto del vostro lavoro non abbiamo più bisogno perché vi stiamo sostituendo uno per uno con schiavi che non possono scioperare.
Manifesteremo pacificamente nelle vie della città. E chi se ne frega, visto che delle vostre dimostrazioni abbiamo già perso il conto e hanno cambiato nulla visto che la democrazia non esiste più e voi siete gli unici che ci credono ancora.
Allora daremo fuoco alle auto e assalteremo le banche. E chi se ne frega visto che le automobili che trovate in strada son quelle dei vostri colleghi, e nelle banche non c’è niente di interessante poiché il potere corre sul cavo che collega i computer di tutta la terra.
Si prepara una nuova dimostrazione per l’11 novembre.
Cosa faremo?
Non si sono ancora spente le polemiche del 15 Ottobre tra i violenti bruciatori di camionette e i pacifici democratici alternativi, e già si promettono servizi d’ordine per proteggere i cortei. E’ come dichiarare la guerra interna. Dal momento che siamo impotenti a fermare le rapide incursioni dei predoni finanziari, ci sfogheremo dandoci un po’ di legnate tra di noi.
Quelli buoni saranno poi premiati con un seggio in Parlamento. Ma esisterà ancora il Parlamento fra un anno? E c’è ancora qualcuno che crede davvero che in Parlamento si possa far cosa diversa dal reggere la coda agli aguzzini mentre eseguono il verdetto della classe predatrice?
E i cattivi? I cattivi si leccheranno le ferite perché è loro vocazione lamentarsi. Spaccano qualche vetrina, tirano bombe carta contro un poveraccio come loro, alzano le braccia in segno di eccitazione estrema poi tornano a casa si fanno una sega e si lamentano perché gli altri non li capiscono.
Cosa dovremmo dimostrare l’11 novembre? Non c’è niente da dimostrare e nessuno cui dimostrare qualcosa. Dovremmo invece iniziare l’azione di riconquista di ciò che ci è stato tolto.
Anzitutto dovremmo portare la comunicazione alla maggioranza della popolazione, quelli che non vengono alle dimostrazioni, e vanno al supermercato, al cinema. a teatro a messa, a scuola, alla stazione, in banca, preoccupati e un po’ mesti.
L’11 novembre dovremmo andare nei supermercati nei cinema, nei teatri, nelle chiese, nelle scuole nelle stazioni e nelle banche. Sederci insieme ad altri venti o cento o mille e ascoltare le frasi di una lavoratrice precaria o di un ricercatore che dice le ragioni degli sfruttati. E ogni frase dovremmo ripeterla ad alta voce con altri mille, in un megafono umano che si diffonde, sapendo che in un’altra banca un altro supermercato sta accadendo la stessa cosa.
Dovremmo entrare nel supermercato prendere ciò che ci occorre poi recarci alla cassa, e alla cassiera con cortesia dire: signorina legga questo foglio. E sul foglio c’è scritto il mio nome cognome indirizzo e c’è scritto TESSERA DEL PANE. E sotto c’è scritto:
“siccome non ho più i mezzi per sostenere me e la mia famiglia la prego di accettare questo documento come garanzia del fatto che pagherò non appena la Banca centrale europea avrà erogato un reddito di cittadinanza a tutti coloro che ne hanno bisogno.”
Dovremmo andare nei ristoranti di lusso, mangiare come dio comanda e alla fine lasciare cinque euro sul tavolo e una tessera del pane con nome cognome indirizzo e promessa di pagherò quando avrò un reddito che me lo consenta.
Dovremmo andare alle inaugurazioni dell’Anno accademico e alle riunioni del consiglio comunale e del consiglio di amministrazione della banca e dell’azienda e dichiarare che fin quando non si sottrarranno all’ordine di sterminio che proviene dalla banca centrale gli impediamo di agire, di legiferare, di contribuire al crimine.
Dovremmo aprire la porta di un edificio vuoto di proprietà vaticana o di una compagnia di assicurazione e renderlo accessibile alla massa crescente di coloro che non hanno casa.
Dovremmo occupare le strade metterci dei grandi tavoli e organizzare mense popolari, dove ciascuno paga il pasto con quello che può sborsare. Mangiare insieme costa meno e permette di riattivare i circuiti anchilosati dell’acting out solidale.
Noi non vogliamo la guerra, eppure ce l’hanno dichiarata. Non combatteremo la loro guerra perché la perderemmo. Vivremo come è giusto vivere da esseri umani, da eguali e da liberi. E se leggi partiti e parlamenti vorranno piegarci al ricatto dei predoni, noi disobbediremo alle leggi ai partiti e ai parlamenti. Stanno provando a trasformarci in schiavi, a toglierci la dignità e la coscienza. Ed è bene saperlo: sono pronti ad uccidere se gli schiavi smettono di lamentarsi e si ribellano in modo intelligente e solidale. Uccideranno, perché il dio Mercato per loro è più importante della vita umana.
Noi disprezziamo il superomismo nazistoide di tutti quei Giavazzi che incitano ad accettare il rischio economico e la competizione, ma dovremo imparare umilmente a correre il rischio di morire se a rischio è la nostra dignità di esseri umani e di lavoratori. Perché chi crede che sia meglio vivere da schiavo che correre il rischio di morire vivrà da schiavo e morirà da schiavo.
Posted: Novembre 6th, 2011 | Author: agaragar | Filed under: arts | Commenti disabilitati su Pina
by Wim Wenders
http://www.youtube.com/watch?v=CNuQVS7q7-A
Posted: Novembre 5th, 2011 | Author: agaragar | Filed under: comune, crisi sistemica | 90 Comments »
Il movimento del 99 per cento può cambiare il mondo
di Ulrich Beck, da la Repubblica
Com’è possibile che un caldo autunno americano, sul modello della primavera araba, distrugga il credo dell’ Occidente, cioè la visione economica dell’ american way? Com’ è possibile che il grido “Occupy Wall Street” raggiunga e trascini nelle piazze non soltanto i ragazzi di altre città americane, ma anche quelli di Londra, Vancouver, Bruxelles, Roma, Francoforte e Tokio? I contestatori non sono andati soltanto a far sentire la loro voce contro una cattiva legge o a sostenere qualche causa particolare: sono scesi in piazza a protestare contro “il sistema”. Ciò che fino a non molto tempo fa veniva chiamato “libera economia di mercato” e che ora ricominciaa essere chiamato “capitalismo” viene portato sul banco degli accusati e sottoposto a una critica radicale. Perché il mondo è improvvisamente disposto a prestare ascolto, quando Occupy Wall Street rivendica di parlare a nome del 99% dei travolti contro l’ 1% dei profittatori?
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Posted: Novembre 5th, 2011 | Author: agaragar | Filed under: comune, critica dell'economia politica | Commenti disabilitati su Intervista a Maurizio Lazzaratto
La lotta degli “intermittenti dello spettacolo” in Francia
a cura di Andrea Inglese
Maurizio Lazzarato, sociologo e filosofo, residente a Parigi, si è occupato approfonditamente del movimento sociale più innovativo e duraturo che la Francia abbia prodotto nell’ultimo ventennio, ossia il movimento dei cosiddetti intermittents du spectacle, artisti, operai o tecnici, che lavorano nell’ambito del cinema, della televisione, della musica o del teatro. Lazzarato, con Antonella Corsani, ha pubblicato nel 2008 anche un libro, Intermittents et Précaires, che raccoglie i risultati di uno studio nato dalla collaborazione tra militanti del movimento e ricercatori universitari intorno alla figura ibrida del “lavoratore culturale”. Ci pare importante, oggi, ritracciare la storia di questa lotta e la riflessione sulla realtà che essa ha prodotto. Almeno da quando un movimento come TQ ha riunito per la prima volta in Italia autori, lavoratori dell’editoria e piccoli editori, per interrogarsi criticamente sul ruolo che la generazione dei trenta-quarantenni riesce a svolgere all’interno del mondo culturale, considerando sia le condizioni di lavoro sia i privilegi e le posizioni di dominio che vigono in esso.
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Posted: Novembre 5th, 2011 | Author: agaragar | Filed under: comune, crisi sistemica, postcapitalismo cognitivo | Commenti disabilitati su Zizek: l’illusione della democrazia
Le proteste a Wall street e di fronte alla cattedrale di St. Paul a Londra hanno in comune “la mancanza di obiettivi chiari, un carattere indefinito e soprattutto il rifiuto di riconoscere le istituzioni democratiche”, ha scritto Anne Applebaum sul Washington Post. “A differenza degli egiziani di piazza Tahrir, a cui i manifestanti di Londra e New York si richiamano apertamente, noi abbiamo istituzioni democratiche”. Se si riduce la rivolta di piazza Tahrir a una richiesta di democrazia di tipo occidentale, come fa Applebaum, diventa ridicolo paragonare le proteste di Wall street a quelle in Egitto: come possono i manifestanti occidentali pretendere ciò che già hanno? Quello che la giornalista sembra non vedere è un’insoddisfazione generale per il sistema capitalistico globale, che in luoghi diversi assume forme diverse.
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Posted: Novembre 2nd, 2011 | Author: agaragar | Filed under: comune, critica dell'economia politica, postcapitalismo cognitivo | 1 Comment »
di Franco berardi “Bifo”
Sulla Repubblica del 2 Novembre Barbara Spinelli pone, con la chiarezza e l’acutezza che la distinguono, due problemi decisivi del momento presente. In un articolo dal titolo “Più poteri all’Europa” si chiede quali conseguenze porterà il cosiddetto “commissariamento” europeo che interessa l’Italia – paese evidentemente incapace di uscire dalla situazione di ingovernabilità in cui l’ha spinta l’arroganza ignorante della destra più irresponsabile di tutti i tempi, ma anche la viltà intellettuale e la subalternità del centro-sinistra.
Il “commissariamento” imbarazza indigna e offende – dice Spinelli. Ma non dovrebbe, perché in effetti può essere visto all’incontrario, non come una condizione di debolezza e di inadeguatezza della politica italiana, ma come una condizione di flessibilità che – trasformando la necessità in virtù – darebbe a questo paese l’opportunità di sperimentare un’avanzata forma di cessione di sovranità e quindi aprirebbe le porte ad un ampliamento dell’ambito di governo dell’Unione, e parallelamente, ad una riduzione delle rigidità sovranitarie o nazionaliste. L’Italia potrebbe in questa occasione giocare un ruolo di apertura e di avanguardia, a patto di rovesciare l’atteggiamento oggi prevalente in un atteggiamento di assunzione consapevole del ruolo di innovazione istituzionale che il paese “commissariato” potrebbe assumere, quando accettasse un processo di condivisione delle decisioni economiche, sociali, e politiche, e quando avesse l’autorevolezza necessaria per chiedere agli altri paesi (Francia e Germania incluse) di accettare una simile flessibilità post-nazionale e una simile disposizione post-sovranitaria.
Fin qui m’inchino alla lungimiranza della scrittrice.
Ma c’è un secondo punto su cui – me ne dispiaccio – debbo dichiarare il mio disaccordo. Giustamente Spinelli distingue tra perdita di sovranità e perdita di democrazia. Rinunciare alla sovranità nazionale è buono, dal punto di vista del progresso europeo. Male sarebbe invece, si lascia sfuggire Spinelli se si verificasse una perdita di democrazia. Ma su questo punto non si sofferma abbastanza. E invece dovrebbe.
Come la maggior parte dei commentatori politici, Barbara Spinelli giudica severamente la decisione di Papandreou di indire un referendum per decidere se consegnare o meno quel che resta della società greca al diktat ultramonetarista della banca centrale europea. E’ strano come la grande maggioranza dei commentatori che si definiscono democratici considerino in modo così altezzoso il diritto dei popoli a decidere sul proprio futuro. Si può pensare che Papandreou avrebbe dovuto indire un referendum nella primavera del 2010, prima di esporre il suo popolo alla violenza scatenata dei banchieri che ha spolpato e umiliato la società ellenica. Meglio tardi che mai, verrebbe da aggiungere.
Non si può infatti accettare che si prendano decisioni di vitale importanza che riguardano l’intera società greca (questioni di vita o di morte), senza concedere ai cittadini neppure il diritto di rispondere a un referendum.
Dopo diciotto mesi di devastazione finanziaria e conseguenti impoverimento, disoccupazione, repressione, e umiliazione politica – il premier Papandreou decide di fare una cosa che dovrebbe essere considerata assolutamente normale, in un mondo che ama definirsi democratico. Convoca una consultazione che permetterà al popolo greco di discutere e di decidere se accettare o respingere il diktat della classe finanziaria europea. Non l’avesse mai fatto. La reazione dei mercati è il panico generalizzato, il crollo delle borse, la minaccia di gettare l’Europa in un abisso. Ma non la chiamavano democrazia di mercato? Pare che il capitalismo non sopporti più l’esistenza della democrazia, e l’esistenza stessa della civiltà. Ma se la democrazia e la civiltà decidessero che è venuta l’ora di liberarsi del capitalismo?
Zizek ha detto recentemente che il dogmatismo imperante preferisce pensare che stia per arrivare la fine del mondo (e preferisce sfidarla) piuttosto che ammettere, più ragionevolmente, che è finito il capitalismo. Forse è questa la prospettiva cui dovremmo abituarci, e da cui dovremmo ripartire: il capitalismo è finito. Cosa viene dopo?
Posted: Novembre 1st, 2011 | Author: agaragar | Filed under: comune, crisi sistemica | Commenti disabilitati su APPELLO – 17 novembre
[lettera-appello] costruiamo un movimento internazionale
Abbiamo scritto una lettera-appello rivolta alle tante reti e realt? di movimento, sindacati degli studenti, gruppi organizzati, accampate e piazze occupate, con cui siamo entrati in contatto, a cui guardiamo con interesse, a cui siamo solidali.
Tre anni fa ? esplosa la bolla finanziaria ed ? cos? iniziata la pi? grande crisi economica degli ultimi decenni. Il sistema sociale ed economico che negli ultimi trent’anni ? stato presentato come l’unico possibile si ? rivelato per quello che ?: un sistema che ha aumentato le disuguaglianze sia a livello globale sia a livello locale, un sistema che mira a distruggere i diritti dei lavoratori e lo stato sociale, un sistema che favorisce l’1% pi? potente a discapito del restante 99%.
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Posted: Ottobre 29th, 2011 | Author: agaragar | Filed under: comune, crisi sistemica, postcapitalismo cognitivo, riots | Commenti disabilitati su Toni Negri: note sul 15 ottobre
Ero e sono fuori, in queste settimane, in Spagna ed in Portogallo. Non ho seguito direttamente quello che è avvenuto a Roma. Ma sono stato sorpreso, direi sbalordito, nel leggerne cronache e commenti.
1) La divisione tra gli “indignati” e gli altri, i “cattivi”, è stata fatta prima di tutto da La Repubblica, l’organo di quel partito dell’ordine e dell’armonia che ben conosciamo (per non dire degli altri media). Non sembra che il comitato organizzatore della manifestazione si sia indignato molto per ciò. C’era forse un peccato originale alla base di questo oltraggio: chi aveva organizzato la “manifestazione degli indignati” non aveva molto a che fare con le pratiche teoriche e politiche che dalla Spagna si sono estese globalmente, talora in maniera massiccia, altre volte minoritaria: il rifiuto della rappresentanza politica e sindacale, il rigetto delle costituzioni liberali e socialdemocratiche, l’appello al potere costituente. In Italia, invece, un gruppo politico al limite della rappresentanza parlamentare si è appropriato il nome degli Indignados … E ora reclamano: “Lasciateci fare politica”.
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Posted: Ottobre 27th, 2011 | Author: agaragar | Filed under: crisi sistemica | Commenti disabilitati su diritto all’insolvenza
di Franco Berardi “Bifo”
Inefficacia delle forme di lotta in assenza di solidarietà
Il movimento di protesta si è diffuso durante l’anno 2011, e ha cercato di opporsi all’attacco finanziario contro la società. Ma le dimostrazioni pacifiche non sono riuscite a cambiare il programma di azione della Banca centrale europea, dato che i parlamenti nazionali sono ostaggi delle regole di Maastricht, degli automatismi finanziari che funzionano come costituzione materiale dell’Unione. La dimostrazione pacifica è efficace nel contesto della democrazia, ma la democrazia è finita dal momento che automatismi tecno finanziari hanno preso il posto della decisione politica. Se occorreva una prova definitiva del carattere illusorio di ogni discorso sull’alternativa democratica, l’esperienza di governo di Barack Obama ce l’ha fornita. Nessun potere democratico può nulla, nessuna alternativa è possibile nella sfera dell’azione democratica, dal momento che le decisioni sono già prese, incorporate nei dispositivi di connessione informatica, finanziaria e psichica.
La violenza è esplosa allora in alcuni momenti. Le quattro notti di rabbia delle periferie inglesi, le rivolte violente di Roma e Atene, hanno mostrato la possibilità che la protesta sociale diventi aggressiva. Ma anche la violenza è incapace di cambiare il corso delle cose. Bruciare una banca è totalmente inutile, dato che il potere finanziario non è negli edifici fisici bancari, ma nella connessione astratta tra numeri, algoritmi e informazioni. Perciò se vogliamo trovare forme di azione che siano capaci di affrontare la forma attuale del potere dobbiamo partire dalla coscienza che il lavoro cognitivo è la principale forza produttiva capace di creare gli automatismi tecno linguistici che rendono possibile la speculazione finanziaria. Seguendo l’esempio di Wikileaks dobbiamo organizzare un processo di lungo periodo di smantellamento e riscrittura degli automatismi tecno linguistici che creano le condizioni della schiavitù.
La soggettività sociale sembra debole e frammentaria, di fronte all’assalto finanziario. Trenta anni di precarizzazione del lavoro e di competizione hanno distrutto il tessuto stesso della solidarietà sociale e reso fragile la capacità psichica di condividere il tempo, le cose e il respiro. La virtualizzazione della comunicazione sociale ha eroso l’empatia tra corpi umani. Il problema della solidarietà è sempre stato cruciale in ogni processo di lotta e di cambiamento sociale. L’autonomia si fonda sulla capacità di condividere la vita quotidiana e di riconoscere che quel che è buono per me è buono per te, e quel che è cattivo per me è cattivo per te. La solidarietà è difficile da costruire ora, che il lavoro è stato trasformato in una distesa di celle temporali ricombinante, e di conseguenza il processo di soggettivazione è divenuto frammentario, an-empatico e debole. La solidarietà non ha nulla a che vedere con un sentimento altruista di sacrificio. In termini materialisti la solidarietà non è una faccenda che riguarda te, ma una faccenda che riguarda me. Allo stesso modo l’amore non è altruismo, ma piacere di condividere il respiro e lo spazio dell’altro. L’amore è capacità di godere di me stesso grazie alla tua presenza, ai tuoi occhi.
Per questo la solidarietà si fonda sulla prossimità territoriale dei corpi sociali, e non si può costruire solidarietà tra frammenti di tempo, e le rivolte inglesi e italiane, come l’acampada spagnola si debbono considerare come delle forme di riattivazione psico-affettiva del corpo sociale, come un tentativo di attivare una relazione vivente tra il corpo sociale e l’intelletto generale. Solo quando l’intelletto generale sarà capace di riconnettersi con il corpo sociale saremo in grado di cominciare il processo di effettiva autonomizzazione dalla presa del capitalismo finanziario.
Diritto all’insolvenza
Un nuovo concetto sta emergendo dalle nebbie della presente situazione: diritto all’insolvenza. Non pagheremo il debito.
I paesi europei sono stati obbligati a accettare il ricatto del debito, ma la gente rifiuta l’idea di dover pagare per un debito che non ha assunto.
L’antropologo David Graeber nel suo libro Debt the first 5ooo years, (Melville house, 2011), e il filosofo Maurizio Lazzarato in La fabrique de l’homme endetté (editions Amsterdam, 2011) hanno cominciato una riflessione sulla genesi culturale della nozione di debito, e sulle implicazioni psichiche del senso di colpa che quella nozione comporta. E Federico Campagna scrive nel suo saggio Recurring Dreams: The red heart of Fascism:
“L’ultima volta ci ha messo decenni per venire alla luce. Prima ci fu la guerra, poi, quando la guerra finì, ci fu il debito, e tutti i legami che vengono col debito. Era il tempo dell’industrializzazione, della modernità, e tutto accadeva su scala di massa. Impoverimento di massa, disoccupazione di massa, iperinflazione, iperpopulismo. Le nazioni cadevano sotto il peso di quello che i marxisti chiamavano contraddizioni, mentre i capitalisti si aggrappavano al bordo dei loro cilindri e tutti aspettavano che il cielo cadesse sulla terra. L’aria divenne elettrica, le piazze si riempirono, gli alberi si trasformarono in bandiere e bastoni. Era il tempo fra le due guerre e nella profondità del corpo sociale il nazismo era ancora nascosto, liquido e montante, calmo come un feto.”
“Questa volta tutto sta accadendo quasi esattamente nello stesso modo, solo un po’ out-of-sync, come succede coi sogni ricorrenti. Ancora una volta l’equilibrio del potere nel mondo sta spostandosi. Il vecchio impero sta annegando, malinconicamente e i nuovi poteri stanno affrettandosi nella corsa verso l’egemonia. Come prima le loro atletiche grida sono quelle potenti della modernità: crescita! Crescita! Crescita”.
Il peso del debito ossessiona l’immaginazione del futuro, come già accadde negli anni Venti in Germania, e l’Unione, che un tempo era una promessa di prosperità e di pace sta diventando un ricatto e una minaccia. In risposta il movimento ha lanciato lo slogan: “Non pagheremo il debito”.
Per il momento queste parole sono illusorie, perché in effetti lo stiamo già pagando: il sistema educativo è tagliato, impoverito, privatizzato, posti di lavoro cancellati, e così via.
Ma quelle parole intendono cambiare la percezione sociale del debito, e creare una coscienza della sua arbitrarietà e illegittimità morale. Il diritto all’insolvenza emerge come una nuova parola chiave e un nuovo concetto carico di implicazioni filosofiche. Il concetto di insolvenza non implica soltanto il rifiuto di pagare il debito finanziario ma in maniera sottile implica il rifiuto di sottomettere la potenza vivente delle forze sociali al dominio formale del codice economico.
Il paradosso
Rivendicare il diritto all’insolvenza implica una messa in questione del rapporto tra la forma capitalista (intesa come Gestalt, come forma della percezione) e la potenza produttiva concreta delle forze sociali, particolarmente la potenza dell’intelletto generale. La forma capitalista non è solo un insieme di regole e di funzioni economiche, ma anche l’interiorizzazione di un certo numero di limitazioni, di automatismi psichici, di regole di compatibilità. Cerchiamo di pensare per un attimo che l’intera semiotizzazione finanziaria della vita europea scompaia, cerchiamo di pensare che a un tratto smettiamo di organizzare la vita quotidiana in termini di denaro e di debito. Nulla cambierebbe nella potenzialità utile e concreta della società, nei contenuti della conoscenza, nelle nostre competenze e capacità produttive.
Questo dovremmo fare: immaginare e rendere possibile la liberazione della potenzialità vivente dell’intelletto generale in termini di disincagliamento dalla Gestalt capitalistica, automatismo psichico che governa la vita quotidiana.
Insolvenza significa non riconoscere il codice economico del capitalismo come traduzione della vita reale, come semiotizzazione della potenza e della ricchezza sociale.
La capacità produttiva concretamente utile del corpo sociale è costretta ad accettare l’impoverimento in cambio di nulla. La forza concreta del lavoro produttivo viene sottomessa al compito improduttivo e distruttivo di rifinanziare il sistema finanziario fallimentare. Se potessimo paradossalmente cancellare ogni segno della semiotizzazione finanziaria nulla cambierebbe nel funzionamento sociale, nulla nella capacità intellettuale di concepire e realizzare. Il comunismo non ha bisogno di essere chiamato dal ventre del futuro, esso è qui, nel nostro essere, nella vita immanente dei saperi comuni. Ma la situazione è paradossale, contemporaneamente entusiasmante e disperante. Il capitalismo non è mai stato così prossimo al collasso finale, ma la solidarietà sociale non è mai stata così lontana dall’esperienza quotidiana.
Dobbiamo partire da questo paradosso per costruire un processo post-politico di disincagliamento del possibile dall’esistente.
Posted: Ottobre 26th, 2011 | Author: agaragar | Filed under: anthropos, epistemes & società, post-filosofia | Commenti disabilitati su Bernard Stiegler
‘‘Proletarizzati di tutto il mondo unitevi… contro la bêtise!’’
Intervista a Bernard Stiegler
Bernard Stiegler, professore al Goldsmiths College di Londra, all’Université de Technologie di Compiègne e visiting professor alla Cambridge University, nonché Direttore dell’Institut de Recherche et d’Innovation du Centre Georges Pompidou di Parigi, è sicuramente uno dei filosofi più attenti alle trasformazioni della società contemporanea, come dimostrano i suoi numerosi libri pubblicati negli ultimi anni. A dispetto di alcuni titoli ”apocalittici” delle sue pubblicazioni – come La misère symbolique o Mécréance et miscrédit – e delle analisi fortemente critiche per le quali è conosciuto anche in Italia (sebbene ancora poco tradotto), Stiegler si distingue sicuramente per la serena volontà di trasformazione sociale, economica, politica e culturale dello stato attuale delle cose, prendendo come bersaglio critico l’ignoranza in quanto fenomeno socialmente prodotto dall’ideologia e dalle tecnologie del consumo. Da questa volontà, condivisa con altri pensatori e studiosi, nasce il progetto di Ars Industrialis, l’associazione di cui Stiegler è presidente e uno dei fondatori. In particolare, l’ambizione di Ars Industrialis, è quella di essere “un’associazione internazionale per l’ecologia industriale dello spirito”, che sappia coniugare critica teorica e proposta programmatica su tutti i piani del sapere, a incominciare dalle scienze umane.
Stiegler ha inoltre pubblicato, qualche anno fa, un libro intitolato La télécratie contre la démocratie, offrendoci così un buon movente per accogliere le sue parole, attraverso un’intervista, in questo numero di Kainos.
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