Mantra del sollevarsi
Posted: Ottobre 18th, 2011 | Author: agaragar | Filed under: comune, postoperaismo | 8 Comments »di Franco Berardi “Bifo”
Il 15 febbraio del 2003 centomilioni di persone sfilarono nelle strade
del mondo per chiedere la pace, per chiedere che la guerra contro l’Iraq
non devastasse definitivamente la faccia del mondo. Il giorno dopo il
presidente Bush disse che nulla gli importava di tutta quella gente (I
don’t need a focus group) e la guerra cominciò. Con quali esiti sappiamo.
Dopo quella data il movimento si dissolse, perché era un movimento
etico, il movimento delle persone per bene che nel mondo rifiutavano la
violenza della globalizzazione capitalistica e la violenza della guerra.
Il 15 Ottobre in larga parte del mondo è sceso in piazza un movimento
similmente ampio. Coloro che dirigono gli organismi che stanno affamando
le popolazioni (come la BCE) sorridono nervosamente e dicono che sono
d’accordo con chi è arrabbiato con la crisi purché lo dica educatamente.
Hanno paura, perché sanno che questo movimento non smobiliterà, per la
semplice ragione che la sollevazione non ha soltanto motivazioni etiche
o ideologiche, ma si fonda sulla materialità di una condizione di
precarietà, di sfruttamento, di immiserimento crescente. E di rabbia.
La rabbia talvolta alimenta l’intelligenza, talaltra si manifesta in
forma psicopatica. Ma non serve a nulla far la predica agli arrabbiati,
perché loro si arrabbiano di più. E non stanno comunque ad ascoltare le
ragioni della ragionevolezza, dato che la violenza finanziaria produce
anche rabbia psicopatica.
Il giorno prima della manifestazione del 16 in un’intervista pubblicata
da un giornaletto che si chiama La Stampa io dichiaravo che a mio parere
era opportuno che alla manifestazione di Roma non ci fossero scontri,
per rendere possibile una continuità della dimostrazione in forma di
acampada. Le cose sono andate diversamente, ma non penso affatto che la
mobilitazione sia stata un fallimento solo perché non è andata come io
auspicavo.
Un numero incalcolabile di persone hanno manifestato contro il
capitalismo finanziario che tenta di scaricare la sua crisi sulla
società. Fino a un mese fa la gente considerava la miseria e la
devastazione prodotte dalle politiche del neoliberismo alla stregua di
un fenomeno naturale: inevitabile come le piogge d’autunno. Nel breve
volgere di qualche settimana il rifiuto del liberismo e del finazismo è
dilagato nella consapevolezza di una parte decisiva della popolazione.
Un numero crescente di persone manifesterà in mille maniere diverse la
sua rabbia, talvolta in maniera autolesionista, dato che per molti il
suicidio è meglio che l’umiliazione e la miseria.
Leggo che alcuni si lamentano perché gli arrabbiati hanno impedito al
movimento di raggiungere piazza San Giovanni con i suoi carri colorati.
Ma il movimento non è una rappresentazione teatrale in cui si deve
seguire la sceneggiatura. La sceneggiatura cambia continuamente, e il
movimento non è un prete né un giudice. Il movimento è un medico. Il
medico non giudica la malattia, la cura.
Chi è disposto a scendere in strada solo se le cose sono ordinate e non
c’è pericolo di marciare insieme a dei violenti, nei prossimi dieci anni
farà meglio a restarsene a casa. Ma non speri di stare meglio, rimanendo
a casa, perché lo verranno a prendere. Non i poliziotti né i fascisti.
Ma la miseria, la disoccupazione e la depressione. E magari anche gli
ufficiali giudiziari.
Dunque è meglio prepararsi all’imprevedibile. E’ meglio sapere che la
violenza infinita del capitalismo finanziario nella sua fase agonica
produce psicopatia, e anche razzismo, fascismo, autolesionismo e
suicidio. Non vi piace lo spettacolo? Peccato, perché non si può
cambiare canale.
Il presidente della Repubblica dice che è inammissibile che qualcuno
spacchi le vetrine delle banche e bruci una camionetta lanciata a tutta
velocità in un carosello assassino. Ma il presidente della Repubblica
giudica ammissibile che sia Ministro un uomo che i giudici vogliono
processare per mafia, tanto è vero che gli firma la nomina, sia pure con
aria imbronciata. Il Presidente della Repubblica giudica ammissibile che
un Parlamento comprato coi soldi di un mascalzone continui a legiferare
sulla pelle della società italiana tanto è vero che non scioglie le
Camere della corruzione. Il Presidente della Repubblica giudica
ammissibile che passino leggi che distruggono la contrattazione
collettiva, tanto è vero che le firma. Di conseguenza a me non importa
nulla di ciò che il Presidente giudica inammissibile.
Io vado tra i violenti e gli psicopatici per la semplice ragione che là
è più acuta la malattia di cui soffriamo tutti. Vado tra loro e gli
chiedo, senza tante storie: voi pensate che bruciando le banche si
abbatterà la dittatura della finanza? La dittatura della finanza non sta
nelle banche ma nel ciberspazio, negli algoritmi e nei software.
La dittatura della finanza sta nella mente di tutti coloro che non sanno
immaginare una forma di vita libera dal consumismo e dalla televisione.
Vado fra coloro cui la rabbia toglie ragionevolezza, e gli dico: credete
che il movimento possa vincere la sua battaglia entrando nella trappola
della violenza? Ci sono armate professionali pronte ad uccidere, e la
gara della violenza la vinceranno i professionisti della guerra.
Ma mentre dico queste parole so benissimo che non avranno un effetto
superiore a quello che produce ogni predica ai passeri.
Lo so, ma le dico lo stesso. Le dico e le ripeto, perché so che nei
prossimi anni vedremo ben altro che un paio di banche spaccate e
camionette bruciate. La violenza è destinata a dilagare dovunque. E ci
sarà anche la violenza senza capo né coda di chi perde il lavoro, di chi
non può mandare a scuola i propri figli, e anche la violenza di chi non
ha più niente da mangiare.
Perché dovrebbero starmi ad ascoltare, coloro che odiano un sistema così
odioso che è soprattutto odioso non abbatterlo subito?
Il mio dovere non è isolare i violenti, il mio dovere di intellettuale,
di attivista e di proletario della conoscenza è quello di trovare una
via d’uscita. Ma per cercare la via d’uscita occorre essere laddove la
sofferenza è massima, laddove massima è la violenza subita, tanto da
manifestarsi come rifiuto di ascoltare, come psicopatia e come
autolesionismo. Occorre accompagnare la follia nei suoi corridoi
suicidari mantenendo lo spirito limpido e la visione chiara del fatto
che qui non c’è nessun colpevole se non il sistema della rapina sistematica.
Il nostro dovere è inventare una forma più efficace della violenza, e
inventarla subito, prima del prossimo G20 quando a Nizza si riuniranno
gli affamatori. In quella occasione non dovremo inseguirli, non dovremo
andare a Nizza a esprimere per l’ennesima volta la nostra rabbia
impotente. Andremo in mille posti d’Europa, nelle stazioni, nelle piazze
nelle scuole nei grandi magazzini e nelle banche e là attiveremo dei
megafoni umani. Una ragazza o un vecchio pensionato urleranno le ragioni
dell’umanità defraudata, e cento intorno ripeteranno le sue parole, così
che altri le ripeteranno in un mantra collettivo, in un’onda di
consapevolezza e di solidarietà che a cerchi concentrici isolerà gli
affamatori e toglierà loro il potere sulle nostre vite.
Un mantra di milioni di persone fa crollare le mura di Gerico assai più
efficacemente che un piccone o una molotov.
(18 ottobre 2011)
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