la decima estate
Posted: Agosto 6th, 2011 | Author: agaragar | Filed under: crisi sistemica | 2 Comments »pubblicata da Franco Berardi il giorno sabato 6 agosto 2011 alle ore 18.46
La decima estate del nuovo millennio ci porta due novità.
Prima: la guerra infinita dichiarata dall’Occidente contro il resto del mondo è persa in ogni suo scenario. Perfino la guerra afghana, quella che non si poteva perdere, è persa. E la guerra nordafricana iniziata da poco è già una catastrofe. Ma per quanto persa la guerra non può finire perché per l’appunto è infinita. Nessuno ha il coraggio di dirlo: al Qaida ha vinto una guerra impensabile, grazie al fatto che l’Occidente non è stato in grado di pensarla e si è lasciato trascinare in un abisso di demenza.
Seconda novità: il collasso finanziario ingovernabile si trasforma in progressivo smantellamento delle strutture civili della società.
La borghesia, dominante nell’epoca moderna, era una classe territorializzata: il suo potere si fondava sull’espansione della prosperità di un territorio e di una parte maggioritaria della popolazione. La sua prosperità dipendeva dall’espansione produttiva e dal benessere sociale.
La classe che ha conquistato il potere negli anni della globalizzazione è una classe deterritorializzata e virtuale. A rigore non possiamo neppure parlarne come di una classe. E’ piuttosto un pulviscolo di interessi che si aggregano e si disgregano continuamente: il mercato finanziario è luogo mobile e immateriale nel quale si condensano e si disperdono movimenti a carattere sempre più spesso puramente distruttivo.
Il mercato azionario un tempo era indicatore di spostamenti della ricchezza reale. Grazie agli effetti della globalizzazione digitale e alla polverizzazione degli scambi, ora il gioco si è completamente rovesciato. Non la creazione di ricchezza, ma la sua dissipazione è la tecnica con cui si arricchisce la classe trasversale della finanza.
La tecnica predatoria consiste nell’aggredire un territorio (un’impresa, una struttura sociale, una popolazione, una nazione), dissolverne la consistenza produttiva, privatizzarne i guadagni e socializzarne le perdite, per poi abbandonare quel territorio non appena, sempre più rapidamente, l’addensamento predatorio lo ha spolpato.
La politica, i governi, le sinistre esistono ormai soltanto per convincere le popolazioni terrorizzate ad accettare di lavorare sempre più in fretta per salari sempre più scarsi allo scopo di ricostituire un capitale che la classe finanziaria si appresta a predare domattina. Se crediamo nella leggenda della crescita siamo in trappola. No lavoriamo e i governi – di destra o di sinistra non fa nessuna differenza – consegnano il malloppo fresco fresco fresco ai “mercati” che lo dissolvono per trasformarlo in capitale finanziario.
Non credo ci siano molte possibilità di uscirne vivi. Fukushima è un dito puntato verso l’orizzonte del futuro planetario. La sola speranza è abbandonare il campo, farsi da parte mentre tutto sprofonda, e ricostituire le strutture della vita sociale in uno spazio che non interagisca in alcun modo con la follia predatoria del capitalismo nella sua fase agonica, che forse durerà mille anni.
Esiste questo luogo? Non esiste. Il compito politico del tempo che viene è crearlo.
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